L'albero della storia è sempre verde

L'albero della storia è sempre verde

"Teniamo ben ferma la comprensione del fatto che, di regola, le classi dominanti vincono sempre perché sempre in possesso della comprensione della totalità concettuale della riproduzione sociale, e le classi dominate perdono sempre per la loro stupidità strategica, dovuta all’impossibilità materiale di accedere a questa comprensione intellettuale. Nella storia universale comparata non vi sono assolutamente eccezioni. La prima e l’unica eccezione è il 1917 russo. Per questo, sul piano storico-mondiale, Lenin è molto più grande di Marx. Marx è soltanto il coronamento del grande pensiero idealistico ed umanistico tedesco, ed il fondatore del metodo della comprensione della storia attraverso i modi di produzione. Ma Lenin è molto di più. Lenin è il primo esempio storico in assoluto in cui le classi dominate, sia pure purtroppo soltanto per pochi decenni, hanno potuto vincere contro le classi dominanti. Bisogna dunque studiare con attenzione sia le ragioni della vittoria che le ragioni della sconfitta. Ma esse stanno in un solo complesso di problemi, la natura del partito comunista ed il suo rovesciamento posteriore classistico, individualistico e soprattutto anti- comunitario" Costanzo Preve da "Il modo di produzione comunitario. Il problema del comunismo rimesso sui piedi"

venerdì 11 marzo 2011

Prendere spunto dalla natura per superare le crisi mondiali di economia e ambiente

Roma, 9 mar. - (Adnkronos) - Per depurare l'acqua immettiamo sostanze chimiche che vi annientano tutte le forme di vita. Per produrre una batteria impieghiamo un'energia di gran lunga superiore a quella che fornirà. Tutti esempi a dimostrazione che produciamo e consumiamo intaccando risorse non rinnovabili o danneggiando in modo permanente l'ambiente. Viviamo, dunque, in una grave crisi ambientale che impone una riflessione sulle logiche che applichiamo alle nostre attività economiche.Ed è proprio da qui che nasce la corsa alla green economy che, almeno fino ad oggi, ha rappresentato l'unica soluzione praticabile. Ma sulla scena si affaccia un nuovo modello di economia, la Blue economy, che suggerisce di risollevare le sorti della dell'ambiente e dell'economia mondiale prendendo spunto dalla natura.
A lanciare la sfida è l'economista e imprenditore Gunter Pauli nel suo libro 'Blue economy' (edizione italiana a cura del Wwf Italia per Edizioni Ambiente), presentato oggi al pubblico, in occasione della Aurelio Peccei Lecture 2011 organizzata dal Wwf Italia e dalla Fondazione Aurelio Peccei (Club di Roma) in collaborazione con UniCredit, nell'ambito delle iniziative per l'Ora della Terra Wwf (26 marzo), l'evento mondiale per il clima che sta coinvolgendo la comunità globale in un percorso concreto verso un futuro sostenibile.

Si tratta di un vero e proprio catalogo di 100 innovazioni non solo realizzabili, ma già realizzate in diverse parti del mondo, che ispirandosi ai meccanismi che rendono la natura così perfetta, possono aprire la strada ad un sistema economico completamente nuovo, più sostenibile, più conveniente dal punto di vista economico e anche più equo. Risultato? 100 milioni di posti di lavoro in 10 anni, concrete opportunità imprenditoriali per piccole o grandi imprese, una via d'uscita dalla crisi economica e anche un nuovo modo di comprendere e tutelare la natura.

La natura è infatti un sistema produttivo perfetto ed efficiente, che non produce rifiuti perché gli scarti degli uni diventano 'a cascata' materia prima degli altri, in cui la disoccupazione non esiste, perché tutti hanno un ruolo, che garantisce quindi benessere e risorse per tutti a ciclo continuo.

Qualche esempio? Imitare il cuore della balena, che pompa sangue per 80 anni con appena 6 volt, il manto bicolore della zebra che crea micro-correnti in grado di regolare la temperatura, o i sistemi di raccolta dell?acqua dei coleotteri nel deserto del Namib e ancora, produrre cellulari senza batteria che si caricano con il calore del corpo e le vibrazioni della voce, coltivare funghi sui fondi di caffè, sostituire le lame in metallo dei rasoi 'usa e getta' con fili di seta. Tutti esempi realizzati e realizzabili, perfettamente sostenibili, che stanno già dando lavoro a centinaia di persone in tutto il mondo.

La green economy, per Gunter Pauli, chiede alle aziende di investire di più per salvare l'ambiente e questo significa, che "per avere prodotti e processi più sostenibili bisogna pagare di più". Si tratta, dunque, "di un'economia che riguarda solo le persone ricche" spiega all'ADNKRONOS.

La blue economy, invece, "va 'a cascata' tenendo in considerazione quelle che sono le situazioni energetiche e i bisogni nutritivi della nostra Terra in modo tale, che sia non solo sostenibile, ma anche accessibile a tutti. Ovviamente con ciò che è disponibile localmente".

Ad esempio, aggiunge Pauli, "un fiume, grazie alla sua forza centrifuga, riesce ad autopulirsi senza l'impiego di filtri, di sostanze chimiche o macchinari. E' esattamente lo stesso fenomeno che si ha quando si tira lo sciaquone delle nostre toilette". Questo concetto, per l'autore del libro, "è facilmente sfruttabile per poter avere acqua potabile senza dover impiegare cloro e nessun altro tipo di sostanza". Tra gli esempi imprenditoriali virtuosi descritti nel libro, l'unico caso italiano citato è quello della Novamont, azienda che produce e commercializza plastica biodegradabile e compostabile denominata Mater-Bi®. "Da 20 anni lavoriamo nel settore della chimica sostenibile, ma in una logica di economia di sistema" spiega Catia Bastioli, Ceo Novamont che aggiunge: "un'economia, dunque, non basata sui prodotti ma che parte dai territori, rilanciando la loro competitività, basata sulle materie prime e gli scarti".

Si tratta "di un sistema circolare che coinvolge tutte le parti non solo quella industriale, ma anche quella agricola e culturale. Una ricerca e un'innovazione che permea il territorio e permette di sviluppare una ricerca che non sia per pochi, ma condivisa da tutta la realtà sociale". Insomma, conclude Bastioli, "l'uomo al centro e l'economia intorno a questa sistema".

La blue economy, dunque, conclude Gianfranco Bologna, direttore scientifico del Wwf Italia, "è una rivoluzione culturale che dà un senso nuovo alla inestimabile ricchezza della natura, non solo dispensatrice dei servizi naturali indispensabili alla nostra vita, ma anche 'maestra' di soluzioni tecnologiche e imprenditoriali nuove che ci aiuteranno ad avere un futuro più prospero e sostenibile. Una rivoluzione alla portata di tutti, che dal basso potrà cambiare il mondo".

09/03/2011

tratto da http://www.libero-news.it/articolo.jsp?id=686565

martedì 8 marzo 2011

anche le banche europee tengono nelle pieghe di bilancio voci che non valgono niente!

L'affondo

King contro le banche

Il governatore della Banca d'Inghilterra: «Settore squilibrato».

di Daniele Lorenzetti

Negli ultimi mesi si era già ritagliato un profilo interventista che gli ha procurato gli strali di economisti come Paul Krugman. Ma Mervyn King, governatore della Banca d’Inghilterra dal 2003, pare proprio deciso a non cambiare strada.
In una lunga intervista concessa al Daily Telegraph il 5 marzo, King ha lanciato un duro affondo contro il sistema bancario: «Le banche stanno cercando di massimizzare il profitto a breve termine a spese dei clienti», ha affermato, mettendo in discussione il sistema di premi ai manager e avvertendo che la mancata riforma del settore potrebbe provocare «un'altra crisi finanziaria». Troppe persone, ha aggiunto il numero uno della Banca d'Inghilterra, hanno fatto soldi approfittando di «clienti ignari o ingenui».
ECONOMIA IN STALLO. Una presa di posizione che arriva in un momento critico per l’economia britannica, con un prodotto interno lordo sceso dello 0,6% nel quarto trimestre del 2010 e l'inflazione sopra il 3%.
Una congiuntura economica che, con il boom dei prezzi di petrolio e delle materie prime, a molti osservatori ricorda i fantasmi della stagflazione. Per questo il Cancelliere dello Scacchiere George Osborne ha fatto sapere di avere in testa un bilancio «spudoratamente pro-crescita», le cui linee saranno presentate all’assemblea di primavera Tory il 23 marzo prossimo.
Osborne annuncerà l’istituzione di 10 'zone di nuova impresa' in Inghilterra, con lo scopo dichiarato di rigenerare la crescita nelle aree più duramente colpite dalla recessione.
MONITO A OSBORNE. I commenti di King, è stato notato, seguono anche la firma del Progetto Merlin, un accordo tra Osborne e gli istituti di credito basato su uno scambio: l’impegno a prestare più denaro e mostrare moderazione sui premi, in cambio della rinuncia da parte del governo a intraprendere azioni eclatanti sui bonus e sui profitti.
E dunque sembrano un monito peril ministro, nel momento in cui una commissione governativa sta valutando se costringere le banche consumer a cedere il loro ramo di investment banking separando così nettamente le due attività. Osborne si è detto contrario a questa prospettiva, che incontra fortissime resistenze nel settore finanziario, ma nei piani della commissione governativa King è destinato a diventare il responsabile ultimo della regolamentazione bancaria.

Critiche alla mentalità del 'troppo grande per fallire'

Nella conversazione con il Telegraph, il governatore ha puntato l’indice contro la mentalità del 'too big to fail', un concetto che «non dovrebbe avere cittadinanza in una economia di mercato».
I passi che hanno destato più scalpore sono quelli in cui King disegna un conflitto tra l'etica delle aziende manifatturiere, che in gran parte hanno a cuore i propri dipendenti, clienti e prodotti, e le banche troppo spesso «a caccia di profitti a breve termine». Giudizi taglienti, che a giudicare da quanto ha riportato il blog di Robert Preston, il business editor della Bbc, hanno fatto sobbalzare sulla sedia molti vertici del gotha bancario della City. «Alcune delle cose che i membri dei board mi hanno detto su Mr. King non sono riportabili», ha scritto Preston.
BANCHIERI INFURIATI. Angela Knight, amministratore delegato della British Bankers Association, replicando al governatore ha sostenuto che dall’inizio della crisi il settore si è riformato radicalmente, per poi aggiungere piccata: «Lavoriamo a stretto contatto con i nostri clienti e così facendo abbiamo creato uno dei maggiori centri finanziari del mondo e un importante fattore per l'economia britannica. Risutati che abbiamo raggiunto facendo bene e non certo male il nostro lavoro».
E l'economista Tim Congdon, che era un membro del gruppo di consulenti del Tesoro nel 1990, ha detto di trovare «incredibile» che il signor King abbia attaccato ora la struttura del settore in cui è stato coinvolto per 20 anni. Secondo Congton addirittura sarebbero King e altri ad aver causato la crisi finanziaria minando «la capacità delle banche inglesi di finanziarsi sui mercati internazionali».
BRACCIO DI FERRO SULLE REGOLE. Il tenore dei commenti mostra quanto in molti abbiamo i nervi a fior di pelle. Anche perché i progetti di riforma del settore sono da settimane al centro di un sotterraneo braccio di ferro. Non a caso il ministro del Tesoro Justine Greening ha dichiarato a Bbc News che il governatore si è mosso in sintonia con il governo e con «la gente».
Quasi il segno di un gioco di sponda tra il governatore e l'esecutivo (e infatti l'intervista è stata concessa al Telegraph, il giornale da sempre filo-tory). «Abbiamo bisogno di migliorare la regolamentazione nel settore bancario», ha spiegato la Greening «e questo è uno dei motivi per cui abbiamo creato la commissione che sta cercando di definire una riforma dei settore dei servizi finanziari». Il gruppo di esperti dovrebbe riferire nel corso del 2011 per portare a una nuova regolazione già nel 2012.
UN GOVERNATORE INTERVENTISTA. Del resto il governatore, educato a Cambridge e Harvard e sposato a una interior designer finlandese, non è nuovo a uscite pesanti: accusato di aver minimizzato fino all'ultimo i rischi della bolla immobiliare, attaccato in passato per il mancato salvataggio della Northern Rock Bank, si era fatto poi paladino della nazionalizzazione, al costo di un aumento vertiginoso del debito pubblico. Ultimamente non ha fatto mistero di condividere la strategia economica del governo tory incitando l'esecutivo a procedere sulla strada dei drastici tagli di spesa. Una posizione che aveva suscitato le ire di Ed Balls, ministro-ombra del Tesoro e portavoce dell’opposizione laburista, secondo il quale «l'ultima cosa che deve fare la Banca d'Inghilterra è farsi trascinare nello scontro politico».
IN ATTESA CHE I TASSI SALGANO. Ma oltre ai rapporti tempestosi con le banche, c'è un altro fronte delicato che attende alla prova King, ed è quello dell'inflazione. Sui mercati pare certa una imminente stretta sui tassi ora inchiodati allo 0,5%, dato che il ritmo di incremento dei prezzi al consumo viaggia a livelli doppi rispetto al desiderato 2% e il rapporto sull'inflazione della banca centrale prevede picchi tra il 4 e il 5% verso metà anno. Alla domanda sulla possibilità di un aumento dei tassi di interesse, potenzialmente già la settimana prossima, King ha risposto che ci sono motivi «perfettamente ragionevoli per farlo ora», aggiungendo tuttavia che aumentare i tassi troppo presto sarebbe «un gesto futile».

Sabato, 05 Marzo 2011

tratto da http://www.lettera43.it/economia/10126/king-contro-le-banche.htm

lunedì 7 marzo 2011

altre proposte per uscire dalla crisi.


L'EDITORIALE

La crescita è possibile
ma Tremonti non la vuole

di EUGENIO SCALFARI LA PAROLA "stagflation" è un neologismo inglese da tempo entrato nel lessico economico. Indica una perversa combinazione di inflazione e recessione che, quando si verifica, penalizza pesantemente i "fondamentali" dell'economia, deprime i consumi e gli investimenti, falcidia i redditi, il commercio, l'occupazione, il credito e la tenuta dei conti pubblici.

Avevo accennato a questo rischio nelle ultime righe del mio articolo di domenica scorsa prendendo spunto dalle cifre diffuse dalla Commissione di Bruxelles, ma non immaginavo che a distanza di poche ore la Banca centrale europea e il suo presidente l'avrebbero definita come un fenomeno incombente.

Trichet è persona molto prudente; il suo timore sull'incombenza d'una "stagflation" su tutta l'area europea e la necessità che la politica monetaria della Bce si preparasse a fronteggiare quel fenomeno, ha messo in allarme i mercati producendone le immediate reazioni a cominciare dal tasso di cambio tra l'euro e il dollaro: la moneta europea è schizzata a 1,40 scontando la previsione di un aumento del tasso di interesse.

Nei giorni seguenti e fino a ieri il tema della "stagflation" ha dominato su tutti gli altri, perfino sulla crisi libica e - per quanto ci riguarda - sulle ossessioni paranoiche e complottarde del nostro presidente del Consiglio.
Sta veramente per scatenarsi una crisi di "stagflation"?
Di quale intensità? Quali ne sono le cause? Quali ne saranno i Paesi più colpiti? E quali strumenti saranno usati per fronteggiarla? Il ministro Tremonti ha risposto, come spesso gli avviene, con un'alzata di spalle. Ha per l'ennesima volta ripetuto che l'economica italiana è la più solida tra quelle europee anche se la nostra crescita è la più bassa. Ha messo in evidenza alcune cifre dell'Istat incoraggianti: il reddito è aumentato, il fabbisogno è diminuito, il deficit in percentuale del Pil è migliorato.
Conclusione: stiamo uscendo dalla crisi meglio degli altri; la minaccia di una "stagflation" è un incubo privo di fondamento anche se fa bene la Bce a predisporre i mezzi necessari per fronteggiare questa remota eventualità.
Speriamo abbia ragione anche se non ne siamo affatto sicuri.

* * *

Le cifre dell'Istat sull'economia italiana non sono affatto rassicuranti. è vero che il Pil è aumentato di due decimali e il deficit è diminuito di mezzo punto, ma ci sono altri segnali molto preoccupanti: la cassa integrazione ha raggiunto un nuovo massimo storico, la disoccupazione è cresciuta fino al 30 per cento nella media nazionale, la crescita è ferma. Il debito pubblico in rapporto al Pil ha raggiunto la cifra-record del 119 per cento e si prevede che aumenterà ancora. La vendita di automobili ha registrato un'altra consistente diminuzione, la Fiat da parte sua è crollata. I consumi sono fermi, gli investimenti idem, la costruzione di infrastrutture zero.

L'inflazione è scattata al 2,4.

Dunque la combinazione tra inflazione e recessione per quanto riguarda l'Italia non è un'ipotesi improbabile e comunque remota; al contrario è un fenomeno già in atto.

Siamo già in piena crisi di "stagflation" e non risulta che il governo stia approntando un piano per farle fronte.
è molto probabile, stando alle dichiarazioni di Trichet, che in aprile la Bce aumenti il tasso di interesse di un quarto di punto che si diffonderà attraverso analoghi aumenti nel sistema bancario. Anche gli oneri derivanti dal debito pubblico aumenteranno.

La Bce non vuole scoraggiare la ripresa produttiva del continente e quindi non farà mancare la liquidità al sistema creditizio, ma è molto probabile che quella liquidità resti inutilizzata. Che cosa se ne fanno le banche se gli investimenti non riprendono? Potrebbero destinare la liquidità a sostegno di imprese già decotte. È pensabile che lo facciano? No, non è pensabile. La ridepositeranno presso la Bce guadagnandoci un punto percentuale e/o la investiranno in titoli pubblici facendone aumentare il rendimento alle aste.

Cioè finanziando il Tesoro al maggior costo possibile.

Un tempo questa tecnica si chiamava "circuito di capitali" e fu largamente usata in tempi di guerra: il Tesoro si indebitava con le banche e le banche si finanziavano collocando i titoli in mani private. La liquidità girava su se stessa e non promuoveva nessuna crescita produttiva, salvo il funzionamento delle imprese che lavoravano per la guerra.

Adesso le guerre sono locali e c'è comunque bisogno di finanziare le molto costose iniziative di pace, come le chiamano. Il circuito di capitali funziona così ed è un egregio strumento di emergenza, ma l'effetto di fondo è un aumento costante dell'inflazione. Un effetto secondario ma importantissimo: l'inflazione infatti riduce il valore reale dei redditi fissi, salari e pensioni. Cioè riduce il potere d'acquisto dei ceti deboli. I ceti forti invece recuperano gli effetti dell'inflazione trasferendoli sui prezzi.

L'inflazione infatti è un'imposta regressiva: accresce le diseguaglianze sociali.

Immagino che Tremonti sia d'accordo con questa diagnosi e sia anche d'accordo sul fatto che l'inflazione è provvidenziale per il debitore sovrano, cioè il Tesoro. Più alta è l'inflazione e più diminuisce il valore reale del debito.

Questo è vero per tutti i Paesi della moneta unica. Per fortuna la Bce è molto attenta a combattere l'inflazione e perciò, al bisogno, continuerà la manovra sul tasso di interesse. L'effetto è quello già in atto: aumenta il tasso di cambio dell'euro incoraggiando le importazioni e scoraggiando le esportazioni. Le merci americane, tanto per fare un esempio non marginale, diventeranno più convenienti delle analoghe merci italiane. Quindi importeremo recessione. La "stagflation" funziona proprio così.

Piacerebbe che il nostro governo spiegasse i suoi intendimenti. Purtroppo non lo fa. Così come non lo fa Marchionne (tanto per dire) quando gli si chiede come e dove investirà quei dieci (o venti?) miliardi di investimenti che si è impegnato a destinare alle fabbriche italiane della Fiat e di cui, allo stato dei fatti, sappiamo soltanto che andranno per un miliardo a Mirafiori e per ottocento milioni a Pomigliano.

Le reticenze di Marchionne e quelle di Tremonti sono identiche e anche il loro effetto sociale è identico: in un clima di "stagflation" gli effetti negativi saranno scaricati sui ceti deboli, sui giovani, sulle donne.
Non va bene. Non va affatto bene.

* * *

Conosciamo la risposta di Tremonti: riforme senza spese, riforme a costo zero, riforme "liberali" capaci di rianimare il mercato e le vocazioni imprenditoriali.

Crediti di imposta per chi investe, pagati dallo Stato a babbomorto ma scontabili in banca, magari con prestiti agevolati.

Vedo che anche l'amico Giavazzi sul Corriere della Sera di qualche giorno fa incoraggia riforme senza spese pur criticando le diagnosi di Tremonti.

Giavazzi mette il dito su una piaga (ed ha ben ragione di farlo) quando denuncia le tariffe bloccate dei vari ordini professionali e ne propugna lo sblocco. Sarebbe una buonissima riforma senza spese, ma di ambito piuttosto limitato.

In realtà sappiano tutti benissimo - anche Tremonti lo sa - che esiste un solo strumento per rilanciare la crescita senza attenuare il rigore e la tenuta dei conti pubblici: il fisco. Del resto è questo strumento che Tremonti ha adottato nel decreto per il federalismo municipale e che presumibilmente adotterà anche per quello del federalismo regionale: ha delegato ai Comuni (e lo farà con le Regioni) di inasprire le imposte e istituirne di nuove e/o di lesinare i servizi pubblici di loro competenza.

Siamo pienamente d'accordo con lui contro un'imposta patrimoniale che produrrebbe un'esportazione di capitali massiccia e intollerabile (sebbene una "patrimonialina" opportunamente camuffata sia stata concessa al fisco comunale) ma questo non esaurisce il tema d'una manovra di rilancio attraverso il fisco nazionale. La Finanziaria in corso ha infatti escluso da ogni contribuzione sia i ceti ad alto reddito sia i ricchi e ricchissimi.
Non ha tassato le rendite finanziarie, non ha toccato i redditi variabili.

Voglio qui ricordare che il governo Prodi, con Ciampi al Tesoro e Visco alle Finanze, per agganciare l'Italia all'euro - la sola grande riforma degli ultimi quindici anni - tassò i ceti medi alti, i ricchi ed anche le imprese con un'imposta che fu battezzata "tassa per l'Europa".

Fruttò un gettito di dodicimila miliardi di lire, pari a sei miliardi di euro.

Era una "una tantum", di cui quel governo restituì il 60 per cento due anni dopo come aveva promesso e che fu pagata senza particolari resistenze e opposizioni da parte dei contribuenti. Gli italiani avevano capito l'importanza dell'obiettivo, avevano fiducia in quel governo di persone perbene e si assunsero senza fiatare la loro parte di sacrificio.

Tremonti ha in programma una riforma fiscale che, secondo quanto ha più volte dichiarato, dovrebbe spostare il peso tributario dalle persone alle cose. Di più non ha detto, ma non è difficile immaginare che rinasceranno imposte che un tempo si chiamavano "reali": la "fondiaria", la "ricchezza mobile" e altre analoghe.

Luigi Einaudi, all'epoca sua, apprezzava molto questo tipo di imposizione che ha natura sostanzialmente proporzionale perché appunto si applica alle cose e non al reddito complessivo delle persone e delle imprese. Ma poiché bisogna comunque non smarrire il meccanismo della "progressività" del carico tributario per ragioni di evidente equità sociale, lo stesso Einaudi caldeggiava una tenue imposta patrimoniale ordinaria nonché una forte imposta sulle successioni che assicurasse un obiettivo che gli stava molto a cuore: l'eguaglianza delle posizioni di partenza - come lui le chiamava - e che oggi meglio si chiamano le "pari opportunità".

Richiamo gli insegnamenti einaudiani non solo perché vengono da uno dei grandi maestri della scienza delle finanze, ma anche da un grande liberale che oggi molti citano a sproposito come conservatore accanito. Luigi Einaudi, come tutti i veri liberali, non era affatto un conservatore ma un riformista a 24 carati.

Tornando al fisco dei tempi nostri, la proposta è di tassare subito chi ha un adeguato imponibile, da oggi fino a quando la riforma fiscale sarà varata, e col ricavato rilanciare la crescita. Se il Pil del 1998, che era notevolmente inferiore a quello di oggi, dette un gettito di sei miliardi di euro, il Pil del 2011, nella stessa proporzione, ne darebbe probabilmente il doppio o poco meno. Tra rendite e manovra "una tantum" il rilancio della crescita disporrebbe d'una cifra ragguardevole senza minimamente allentare la tenuta dei conti.

Questa proposta potrebbe esser fatta propria dai partiti d'opposizione e portata in Parlamento. Noi ce lo auguriamo per il bene del Paese.
(06 marzo 2011)
tratto da http://www.repubblica.it/politica/2011/03/06/news/scalfari_6_marzo-13245985/