10 nov
Una finestra aperta sul Movimento Pastori Sardi che negli ultimi due anni ha portato nel circuito mediatico un’agonia che si consumava nel silenzio generale
L’odore della campagna, il rumore dei campanacci e il calpestio degli zoccoli del bestiame. Emblemi di un settore, quello della pastorizia, legata a doppio filo alla Sardegna. Per secoli gli allevatori ne sono stati custodi e detentori e hanno tramandato tante tradizioni che ancora oggi vivono nella nostra quotidianità. Senza la figura sociale del pastore la
domani vedendosi alla guida di un’azienda agropastorale se già oggi il proprio padre è costretto a ritirarlo dagli studi perché non è più in grado di pagarglieli?
La punta dell’iceberg dei problemi, il prezzo del latte, che da anni si trova in saldo, circa 60 centesimi di euro per i più fortunati.
Eppure dietro un litro di latte ci sono immani quantità di sacrifici e alti costi di produzione tra acqua, elettricità, mangimi e sementi. E siamo di fronte a un vero e proprio strozzinaggio se si pensa che poi al supermercato il formaggio lo si paga dai 12 euro in su. E se varchiamo il mare il pecorino è venduto a peso d’oro.
Sardegna sarebbe sì un’isola molto bella ma in un certo senso una scatola vuota. Perfino quando la si rappresenta sotto l’aspetto turistico è raro evitare le immagini delle greggi al pascolo. Sarà così anche per i nostri figli o per i nostri nipoti?
Proseguendo sul binario che sta portando centinaia di aziende verso il baratro probabilmente no! La figura del pastore sembra infatti destinata a sparire.
Per capire un po’ meglio cosa c’è oggi nei pensieri di un allevatore, apriamo una finestra sul Mps (Movimento pastori sardi) che sotto la guida del leader Felice Floris dagli anni Novanta osteggia ogni giorno con passione e determinazione la crisi dilagante.
Nessuna connotazione politica, dissociato da sindacati che ritiene inadeguati, l’unico obiettivo del Mps è quello di tutelare il pastore sardo, al grido di «riprendiamoci ciò che in tutti questi anni è stato tolto a un intero popolo».
Un intero popolo: sì, perché la crisi del mondo agropastorale è affare di tutti. Se va a fondo questo settore, si trascina dietro tutto un indotto di attività commerciali tra fornitori ed esercizi di vendita.
Giorni di duro lavoro e notti di veglia tra mille preoccupazioni. È questa oggi la vita del pastore sardo. Guardiani del territorio e del tempo, che all’allevamento hanno dedicato un’intera vita.
Alle attuali condizioni come può un giovane ragazzo pensare al proprio
In Sardegna la zootecnia ovicaprina è costituita da circa 17 mila allevamenti. La sua incidenza sulla PLV (Produzione lorda vendibile) agricola regionale è del 25 per cento circa, cioè il 45 per cento del peso dell’intero settore zootecnico. L’Isola produce più di due terzi del latt ovino italiano e oltre la metà del latte caprino. In cifre rispettivamente il 68 e il 52 per cento circa della produzione nazionale.
La produzione complessiva del comparto è intorno ai 300 milioni di litri, che, una volta trasformati portano a una produzione totale di formaggi pari di oltre 590 mila quintali, con un movimento di fatturato di circa 350 milioni di euro. Alla luce di queste cifre, chi realmente ci guadagna dal latte?
In più: qualche anno fa alle aziende è stato chiesto uno sforzo immane per rinnovare le stalle, svecchiare le attrezzature modernizzare le campagne che tradotto in impegni finanziari significa mutui di 30 anni. Debiti che le aziende oggi non riescono più a sostenere. Il carico da novanta ce lo mettono le cartelle esattoriali, all’ordine del giorno: ne seguono aste impietose che si abbattono sul lavoro di generazioni. Per troppo tempo si è scesi a compromessi dietro le false illusioni e miseri contentini.
Ma il Movimento Pastori Sardi è riuscito in questi anni a farsi spazio, portando a conoscenza di tutti i veri problemi delle campagne sarde e sfatando una volta per tutte il pensiero comune di una categoria disgregata.
Margherita Denti – Pubblicato numero di ottobre di Millo