
I fatti
L'appalto di una nuova sede, proprio per la Pretura, in via Crispi, fu dennunciato con glamore come variamente illegale: ma nessuni si mosse, nè la Procura nè i Pretori. Esortato da un giornale ad agire, Gennaro tacque. L'appaltatore trionfò.
Nella storia della città quell'inerzia fu come spezzata, come una curva a gomito. Le forze dominanti potevano ora guardare senza preoccupazione alla "magistratura progressista" (l'espressione è nelle cartelline dell'imprenditore Rendo, cadute in sequestro a Roma). Costituì, quell'inerzia, una tappa di cruciale importanza nella costruzione della pax cathinensis, la pace di una comunità senza "eretici".
Se si fossero impegnati nel contrastare, avrebbero sfidato, nello stesso tempo, le forze politiche ed economiche egemoni e la mafia (inquietante era infatti per la sua composizione la giunta municipale del tempo, proprio dal lato più attivo in quell'affare). All'opposto, l'astensione da ogni lato di guerra spianava al gruppo e al suo abile proselitismo, la strada del più ampio successo, nella triplice direzione, della conquista seggio in CSM, come oggetto di permante appannagio, dell'accesso ai posti-chiave della Procura della Repubblica e della scalata dell'ANM. Vero è che la caduta di prestigio fu netta; vero anche che isolati autori di anonimi sfruttarono l'aura di grande tentatrice che avvolgeva l'impresa, per mettere avanti spiegazioni diffamatorie dell'inattività, ma la risonanza di quegli scritti, archiviati all'unanimità dal CSM, fu tra minima e nulla, e presto le vociferazioni maligne parvero tacersi per sempre.
Il Prefetto di Palermo, Dalla Chiesa, autore della fatidica intervista sulla mafia a Catania e sulle collusioni con essa degli imprenditori catanesi (la Repubblica del 10/08/'82), venne ucciso il 3 settembre, 24 giorni dopo.
Durante la solenne inagurazione del nuovo edificio, in ottobre, il costruttore potè esaltare, tra gli applausi, i meriti dell'imprenditoria catanese. Dall'interno di quel nuovo tempio della Giustizia il disinvolto artefice di callidi affari repplicava al caduto servitore della legalità.
A Dalla Chiesa successe, con poteri di Alto Commissario Antimafia, un ex Questore di Catania, che con i grandi imprenditori locali aveva sempre avuto rapporti scorrevoli, improntati a fiducia reciproca.
Il quotidiano diretto da Giuseppe Fava fu chiuso quell'anno stesso; Fava venne ucciso il 5 gennaio dell' '84. Aveva raccolto il testimonio caduto di mano al Prefetto di Palermo Dalla Chiesa, fondando un mensile di battaglia, sul tema Catania, e radunandovi giovani di valore (col figlio di lui erano Orioles, i Roccuzzo, Gulisano, Gambino; altri come Faillaci, ancora ragazzo, accorreranno dopo).
La mafia assassina fu buona interprete dei grandi interessi in gioco: quel sangue era necessario al Sistema.
Il quotidiano la Repubblica accettò di chiudere il proprio ufficio di corrispondenza e di non metter piede nella provincia etnea con la sua cronaca regionale.
tratto da http://www.ucuntu.org/pdf/ScidaCasoCatania.pdf
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