
Archiviazione a Messina (2004) della indagine su Gennaro, ex art. 416 bis CP che è stata aperta dopo le rivelazioni Arcidiacono.
L'inchiesta ha ignorato la lettera ricevuta dal dott. Scidà (v. Capitolo XIII) tempestivamente espunta dall'incarto. La richiesta conclusiva del PM (18/07/2003) afferma pagato da Gennaro, il prezzo che gli altri compratori pagavano, ma prescinde dalla consistenza e dal valore, mai adeguatamente indagati, dell'immobile avuto dal magistrato, diversa sotto entrambi i profili da quella che gli altri ottenevano. La richiesta evita altresì ogni contatto con il punto, fra tutti scabroso, dell'uso fatto dall'indagato presso il CSM, e in altre sedi, dell'atto Arcidiacono, nel 2001, mente riporta gli elaboratissimi conati del dott. Gennaro, intesi a dimostrare che dieci anni prima la simulazione (Arcidiacono costruttore e venditore) non fu diretta a dissimulare la venditrice effettiva (società Di Stefano) ma al risparmio di tempo prezioso, mediante riduzione ad un solo passaggio, dei due che altrimenti sarebbero accorsi (Arcidiacono>Società; Società>Gennaro) ma soprattutto ignora, nel senso che non ha mai avuto notizia, il processo (v. Capitolo II) con due Laudani tra gli imputati, che avrebbe accesso curiosità e suggerito domande.
Il testo della richiesta è tuttavia di grande interesse per le risultanze che riassume: Gennaro che nega di aver mai conosciuto Rizzo (contro la verità ampiamente accertata, ma nell'esercizio , osserva il PM, della facoltà di mentire, spettantegli come indagato). Interessante è quel testo anche per ciò che riporta delle affermazioni di uomini del clan, e di altri, circa il magistrato Gennaro.
Nessuno può negare che l'ANM (lasciando indosso a Gennaro il manto di suo Presidente, pur dopo le dichiarazioni del magistrato Scidà all'antimafia, e pur dopo la clamorosa conferma, venuta ad esse dalle rivelazioni Arcidiacono) ed il CSM (avventurandosi nel voto a tutela di Gennaro, e rifiutandosi di tornare su di esso, dopo quelle rivelazioni) hanno posto la Giustizia di Messina nell'impossibilità di concludere diversamente l'inchiesta, senza trapassare, trapassando quel paludamento, l'onore della magistratura associata e senza distruggere il prestigio dell'organo di autogoverno.
Capitolo XV
La politica, destra e sinistra, è tutta per Gennaro e per la Procura. I governi Berlusconi ne sono lo scudo, come la Commissione Antimafia della XIV Legislatura e la Commissione della V. Quali gli interessi in gioco.
Per la sinistra, Gennaro, immedesimato con la Finocchiaro, era un campione da quando, il 23 novembre 2000 (la vigilia, si può dire, dell'audizione Scidà in Antimafia), aveva dato, dal podio del congresso veneziano di MD, come Presidente dell'ANM, nel grido di guerra: "Berlusconi non può essere il Presidente del Consiglio".
Per la destra, vincitrice dell'elezioni, Gennaro diventava il miglior Presidente dell'ANM, da quando debole ed esposto: peer le dichiarazioni di Scidà in Antimafia, e per la tremenda conferma che esse avevano avuto, 4 o 5 mesi dopo, dalle rivelazioni Arcidiacono. Ed era, così esposto nell'azione del Ministero della Giustizia (accertamenti ispettivi; azioni disciplinari) il migliore leader di fatto della Procura di Catania, città nella quale era a sua volta esposto all'azione di quell'Ufficio, come Sindaco, il medico personale di Berlusconi, Scapagnini. Un'altra ragione formidabile, di risparmiare Gennaro, condonandogli l'uscita antiberlusconiana di Venezia, era nell'interesse dell'On. Berlusconi a buoni rapporti con l'On. Finocchiaro, terminale, per Arcore, di ogni dialogo con l'opposizione (vedi Giustolisi e Travaglio in MicroMega 3/06).
A capo del Ministero della Giustizia stava il leghista Castelli, sottosegretario il casiniano Vietti, già relatore in marzo del voto del CSM a tutela di Gennaro.
L'Antimafia della XIV legislatura (presidenza e maggioranza di destra) avrebbe dovuto portare avanti l'inchiesta che la precedente , frenata dal partito della Finocchiaro e dalla sinistra in genere, aveva eluso: le convocazioni del col. dei CC Pinotti, dell'avv. B; l'audizione del Sostituto Marino era stata variamente remorata; il tempo residuo, prima dell'ormai scontato scoglimento felle Camere, fu preso dall'ascolto di assertori dell'inneccepibile andamento delle cose in Procura. Ma la nuova Commissione si rifiutò, dal momento della sua costituzione sino alla fine della legislatura, di occuparsi di Catania. Non volle metter piede nella provincia etnea, mentre eccedeva a sette altri capoluoghi; e nessun seguito dette alle segnalazioni ed istanze dalle quali era tempestata la Presidenza.
L'Antimafia della XV (presidenza e maggioranza di sinistra) volle andare, nel coprire Catania, ben oltre i limiti della mera omissione, impegnandosi, sin dal primo momento, positivamente nella messa in sicurezza della Procura e di Gennaro. Essa nominò suo consulente, a tempo pieno, proprio uno dei tre Sostituti del pool antimafia, che avevano trattato, nel modo già descritto (capitoli IV-V-VI) l'omicidio Rizzo e gli affari concernenti Scuto. La portata, ingente, di quella determinazione fu contestata al Presidente On. Forgione con una lettera aperta di Giambattista Scidà (disponibile sul blog all'indirizzo www.scida.wordpress.com) il testo.
tratto da http://www.ucuntu.org/pdf/ScidaCasoCatania.pdf