L'albero della storia è sempre verde

L'albero della storia è sempre verde

"Teniamo ben ferma la comprensione del fatto che, di regola, le classi dominanti vincono sempre perché sempre in possesso della comprensione della totalità concettuale della riproduzione sociale, e le classi dominate perdono sempre per la loro stupidità strategica, dovuta all’impossibilità materiale di accedere a questa comprensione intellettuale. Nella storia universale comparata non vi sono assolutamente eccezioni. La prima e l’unica eccezione è il 1917 russo. Per questo, sul piano storico-mondiale, Lenin è molto più grande di Marx. Marx è soltanto il coronamento del grande pensiero idealistico ed umanistico tedesco, ed il fondatore del metodo della comprensione della storia attraverso i modi di produzione. Ma Lenin è molto di più. Lenin è il primo esempio storico in assoluto in cui le classi dominate, sia pure purtroppo soltanto per pochi decenni, hanno potuto vincere contro le classi dominanti. Bisogna dunque studiare con attenzione sia le ragioni della vittoria che le ragioni della sconfitta. Ma esse stanno in un solo complesso di problemi, la natura del partito comunista ed il suo rovesciamento posteriore classistico, individualistico e soprattutto anti- comunitario" Costanzo Preve da "Il modo di produzione comunitario. Il problema del comunismo rimesso sui piedi"

sabato 12 maggio 2012

www.ucuntu.org - Catania 13 - la lotta alle mafie è esercizio di lotta al potere corrotto e di classe dello Stato italiano


Capitolo XIV
Archiviazione a Messina (2004) della indagine su Gennaro, ex art. 416 bis CP che è stata aperta dopo le rivelazioni Arcidiacono.

L'inchiesta ha ignorato la lettera ricevuta dal dott. Scidà (v. Capitolo XIII) tempestivamente espunta dall'incarto. La richiesta conclusiva del PM (18/07/2003) afferma pagato da Gennaro, il prezzo che gli altri compratori pagavano, ma prescinde dalla consistenza e dal valore, mai adeguatamente indagati, dell'immobile avuto dal magistrato, diversa sotto entrambi i profili da quella che gli altri ottenevano. La richiesta evita altresì ogni contatto con il punto, fra tutti scabroso, dell'uso fatto dall'indagato presso il CSM, e in altre sedi, dell'atto Arcidiacono, nel 2001, mente riporta gli elaboratissimi conati del dott. Gennaro, intesi a dimostrare che dieci anni prima la simulazione (Arcidiacono costruttore e venditore) non fu diretta a dissimulare la venditrice effettiva (società Di Stefano) ma al risparmio di tempo prezioso, mediante riduzione ad un solo passaggio, dei due che altrimenti sarebbero accorsi (Arcidiacono>Società; Società>Gennaro) ma soprattutto ignora, nel senso che non ha mai avuto notizia, il processo (v. Capitolo II) con due Laudani tra gli imputati, che avrebbe accesso curiosità e suggerito domande.

Il testo della richiesta è tuttavia di grande interesse per le risultanze che riassume: Gennaro che nega di aver mai conosciuto Rizzo (contro la verità ampiamente accertata, ma nell'esercizio , osserva il PM, della facoltà di mentire, spettantegli come indagato). Interessante è quel testo anche per ciò che riporta delle affermazioni di uomini del clan, e di altri, circa il magistrato Gennaro.

Nessuno può negare che l'ANM (lasciando indosso a Gennaro il manto di suo Presidente, pur dopo le dichiarazioni del magistrato Scidà all'antimafia, e pur dopo la clamorosa conferma, venuta ad esse dalle rivelazioni Arcidiacono) ed il CSM (avventurandosi nel voto a tutela di Gennaro, e rifiutandosi di tornare su di esso, dopo quelle rivelazioni) hanno posto la Giustizia di Messina nell'impossibilità di concludere diversamente l'inchiesta, senza trapassare, trapassando quel paludamento, l'onore della magistratura associata e senza distruggere il prestigio dell'organo di autogoverno.

Capitolo XV
La politica, destra e sinistra, è tutta per Gennaro e per la Procura. I governi Berlusconi ne sono lo scudo, come la Commissione Antimafia della XIV Legislatura e la Commissione della V. Quali gli interessi in gioco.
Per la sinistra, Gennaro, immedesimato con la Finocchiaro, era un campione da quando, il 23 novembre 2000 (la vigilia, si può dire, dell'audizione Scidà in Antimafia), aveva dato, dal podio del congresso veneziano di MD, come Presidente dell'ANM, nel grido di guerra: "Berlusconi non può essere il Presidente del Consiglio".

Per la destra, vincitrice dell'elezioni, Gennaro diventava il miglior Presidente dell'ANM, da quando debole ed esposto: peer le dichiarazioni di Scidà in Antimafia, e per la tremenda conferma che esse avevano avuto, 4 o 5 mesi dopo, dalle rivelazioni Arcidiacono. Ed era, così esposto nell'azione del Ministero della Giustizia (accertamenti ispettivi; azioni disciplinari) il migliore leader di fatto della Procura di Catania, città nella quale era a sua volta esposto all'azione di quell'Ufficio, come Sindaco, il medico personale di Berlusconi, Scapagnini. Un'altra ragione formidabile, di risparmiare Gennaro, condonandogli l'uscita antiberlusconiana di Venezia, era nell'interesse dell'On. Berlusconi a buoni rapporti con l'On. Finocchiaro, terminale, per Arcore, di ogni dialogo con l'opposizione (vedi Giustolisi e Travaglio in MicroMega 3/06).

A capo del Ministero della Giustizia stava il leghista Castelli, sottosegretario il casiniano Vietti, già relatore in marzo del voto del CSM a tutela di Gennaro.

L'Antimafia della XIV legislatura (presidenza e maggioranza di destra) avrebbe dovuto portare avanti l'inchiesta che la precedente , frenata dal partito della Finocchiaro e dalla sinistra in genere, aveva eluso: le convocazioni del col. dei CC Pinotti, dell'avv. B; l'audizione del Sostituto Marino era stata variamente remorata; il tempo residuo, prima dell'ormai scontato scoglimento felle Camere, fu preso dall'ascolto di assertori dell'inneccepibile andamento delle cose in Procura. Ma la nuova Commissione si rifiutò, dal momento della sua costituzione sino alla fine della legislatura, di occuparsi di Catania. Non volle metter piede nella provincia etnea, mentre eccedeva a sette altri capoluoghi; e nessun seguito dette alle segnalazioni ed istanze dalle quali era tempestata la Presidenza.

L'Antimafia della XV (presidenza e maggioranza di sinistra) volle andare, nel coprire Catania, ben oltre i limiti della mera omissione, impegnandosi, sin dal primo momento, positivamente nella messa in sicurezza della Procura e di Gennaro. Essa nominò suo consulente, a tempo pieno, proprio uno dei tre Sostituti del pool antimafia, che avevano trattato, nel modo già descritto (capitoli IV-V-VI) l'omicidio Rizzo e gli affari concernenti Scuto. La portata, ingente, di quella determinazione fu contestata al Presidente On. Forgione con una lettera aperta di Giambattista Scidà (disponibile sul blog all'indirizzo www.scida.wordpress.com) il testo.

tratto da http://www.ucuntu.org/pdf/ScidaCasoCatania.pdf

giovedì 10 maggio 2012

www.ucuntu.org - Catania 12 - la lotta alle mafie è esercizio di lotta al potere corrotto e di classe dello Stato italiano


Capitolo IX
Tacciato di aver fatto acquisto di casa da un mafioso (Rizzo),Gennaro si discolpa producendo al CSM, come veridico, l'atto Arcidiacono, mendace, e lo fa giungere, attraverso la Procura Generale, a tutti gli Uffici per i quali, date le circostanze, può presentare interesse.
In marzo 2001, mentre a Messina stanno per essere prese determinazioni (aperture d'indagine) sulle dichiarazioni Scidà all'Antimafia, Gennaro chiede al CSM di tutelarlo.

Capitolo X
Il CSM interviene a tutela di Gennaro (Presidente dell'ANM), contro Scidà e contro Marino (comparso anche questi davanti all'Antimafia), senza voler sentire nè l'uno nè l'altro. La deliberazione (processo verbale di seduta plenaria del 20/03/2001) viene adottata a maggioranza, contro strenua opposizione di alcuni dissenzienti (con quel voto a tutela, essi obbiettano, il Consiglio si sostituisce agli Uffici Giudiziari competenti, prevenendone gli accertamenti; il voto una sentenza).

Capitolo XI
In maggio o giugno dello stesso 2001 Arcidiacono rivela ai Carabinieri di Catania la verità (non è lui il costruttore e venditore; si è prestato ad una funzione, per quell'atto soltanto) e procuce la controdichiarazione illo tempore rilasciategli, a sua richiesta, da Gennaro.

Capitolo XII
Il CSM, informato, si rifiuta di agire contro Gennaro, nonostante richiestone da uno dei suoi componenti.

Capitolo XIII
Nell'agosto 2001, dal carcere catanese di Piazza Lanza, dove sono ristretti molti mafiosi del clan Laudani, un detenuto ostile alla mafia, che gli ha ucciso un congiunto, avverte per lettera il "Presidente Sciatà" che "la sua vita è in pericolo, perchè si è messo contro le persone sbagliate". La Procura della Repubblica di Messina omette di compiere le attività del caso. Non chiede immediato trasferimento del mittente in altro istituto; non lo esamina se non dopo settimane dalla denuncia; e al detenuto -che ha subito riconosciuto per sue la lettera e la sottoscrizione, ricollegando il segnalato pericolo alla posizione di Scidà nel "caso Catania"- accolla il peso di dichiarare, lì, entro quelle mura, nell'assedio di quelle tali presenze, delle quali resterà mercè, la fonte del suo sapere. Alla risposta -quale ognuno in quelle circostanze darebbe-: non ha avuto altra fonte che il suo stesso animo, il magistrato tralascia ogni indagine, salvo un accertamento risibilmente superfluo sull'autenticità della sottoscrizione, e passa a separare gli atti dal procedimento in corso a carico di Gennaro, per chiederne quindi archiviazione, senza aver sentito Scidà. Il GIP rigetta opposizione dell'offeso.

tratto da http://www.ucuntu.org/pdf/ScidaCasoCatania.pdf

martedì 8 maggio 2012

www.ucuntu.org - Catania 11 - la lotta alle mafie è esercizio di lotta al potere corrotto e di classe dello Stato italiano


Capitolo VII
Audizione del magistrato Scidà in Commissione Antimafia (07/12/2000). Per completare l'esposizione egli chiede 60 minuti ancora, che non gli vengono concessi.

Capitolo VIII
Nel '98, mentre Gennaro esce dal CSM, entra a farne parte il dott. D'Angelo. In dicembre del '99 Scidà si duole che non lo abbiano voluto sentire nè a proposito di "viale d'Africa" (Capitolo I e Capitolo III) nè in ordine al processo di Roma (Capitolo III). La prima Commissione viene dissuasa dal chiamarlo e indotta, con mezzi di cui Scidà non deve avere nè notizia nè sospetto, a perseguirlo, pur nella mancanza di qualunque giusto motivo, per incompatibilità con l'ambiente e con la funzione di Presidente del Tribunale dei Minori. La proposta di trasferimento deliberata, all'unanimità, il 09/11/2000 prescinde rigorosamente dall'avere egli sollevato quelle tali questioni (su cui si vuole scenda perpetuo silenzio), così come non contiene alcun riferimento a ciò che gli è stato attribuito segretamente. Essa si fonda sopra asserzioni incompatibili con la realtà, o sopra altre invenzioni difatti incompatibili con la realtà, o sopra assunti che onorano il magistrato: di comportamenti doverosi o addirittura meritori. L'infondatezza, assoluta, non preoccupa. Una legge (n. 1/81) rende non perseguibili i componenti del CSM, nè penalmente nè civilmente, per voti espressi o per opinioni manifestate; e inoltre Scidà è un isolato, ignoto a tutti (non ha rapporti con partiti politici; non ha dalla sua nessuna corrente di magistrati; non confina con logge massoniche), che parlerà invano davanti al plenum. I proponenti hanno sbagliato. Al primo annuncio della proposta (un "lancio" ANSA del 09/11/2000) la rivolta della coscienza pubblica è corale e fragorosa: nel seno della Commissione Antimafia; in mezzo ai giudici minorili italiani, giusto in quei giorni riuniti in congresso; e a Catania, a Messina e a Palermo. Qualcuno chiede perchè, invece di attaccare "una delle personalità più limpide" il CSM non posa gli occhi sui vertici della Procura della Repubblica di Catania; e da qui migliaia e migliaia di cittadini chiedono alla Commissione di convocare l'anziano magistrato. Non è valso a frenare la valanga, che gli stessi autori della proposta si siano gettati su quella loro creatura, a soli 11 giorni dalla deliberazione, per traversarne il cammino verso il plenum e ridomandarla indietro col pretesto fosse necessaria un'ispezione ministeriale: che fu effettuata, e constatò la totale infondatezza degli addebiti.

Sulla dismisura di quel modo di esercizio del potere si abbatteva, puntuale la nemesi.

tratto da http://www.ucuntu.org/pdf/ScidaCasoCatania.pdf

lunedì 7 maggio 2012

www.ucuntu.org - Catania 10 - la lotta alle mafie è esercizio di lotta al potere corrotto e di classe dello Stato italiano


Capitolo VI
Scuto, residente a San Giovanni, è un grande imprenditore della distribuzione: 49 supermercati, di cui uni in San Giovanni; azienda valutata 1000 miliardi. Frequentato dal Rizzo, sua "staffetta" con i capi del clan, Scuto caldeggia l'elezione di Gennaro a Sindaco di San Giovanni.

Per il gruppo Antimafia, per altri Sostituti e per il Procuratore Capo, Scuto è vittima dei Laudani (nel 2000 ultimo tentativo di archiviazione di atti che lo accusano, negati dal gruppo antimafia, per silentium, al Sostituto Marino), ma è sodale del clan per i Carabinieri (un'indagine dei quali, presso banche, per sospetto di riciclaggio di denaro dei Laudani, viene troncata da quel gruppo) e per il Marino (che ne ottiene cattura), nonché per la Procura Generale, che avoca gli atti, e per il Tribunale, che in esito ad otto anni di dibattimento ne pronuncia condanna. La sentenza, impugnata anche dal PM, non è stata ancora depositata. Nel corso del giudizio una proposta di legge (processo breve, senza esclusione dei reati di mafia) è stata presentata al Senato il 19/07/2006, a firma, con altri, della sen. Finocchiaro. E' questa una deplorovole disattenzione, da parte di un parlamentare catanese, al quale sia l'esistenza che l'importanza di quel processo è stata recata a mente, pochi mesi prima, da un articolo di Giustolisi e Travaglio, sulla rivista MicroMega.

L'Aggiunto Gennaro che ha "vistato" (fine gennaio 2001) la richiesta di custodia in carcere, sottopostagli dal Sostituto Marino (inconcepibile il rifiuto del "visto", nel pieno del clamore provocato dai fatti di cui sub. VII e sub. VIII) fa subito apparire sul quotidiano di Palermo (4 febbraio) una sorprendente intervista: gli arresti di imprenditori, per asserita collusione con i mafiosi, possono riuscire di giovamento proprio alla mafia, mentre mettono in pericolo il pane dei lavoratori dipendenti. Solo in fine dell'intervista si fa posto, brevemente, alla ipotesi che la collusione sia provata, per dedurne che in tal caso etc... .

E' una presa di distanza di cui i giudici del riesame possono tener conto o si tratta di un messaggio?

L'avocazione, del marzo 2001, ha per motivi (e le cronache giornalistiche ne informano il pubblico) l'inerzia, e la male gestio nella quale è incorsa la Procura della Repubblica. Ma il 15 marzo appaiono sullo stesso quotidiano di Catania, fianco fianco, interviste del Procuratore Capo e del Procuratore Generale. Il primo difende la richiesta di archiviazione disattesa dal GIP, critica l'avocazione (in Procura Generale han tempo da perdere), sottace l'addebito di inerzia, come se non fosse mai stato formulato, e spiega il riferimento alla mala gestio col fatto in sè, del contrasto tra la richiesta di archivazione (formulata dal gruppo o pool antimafia), e quella di cattura, avanzata dal dott. Marino, appartenente allo stesso Ufficio di Procura, e accolta dal GIP. In altri termini, nessun rimprovero di mala gestio sarebbe stato possibile, senza l'iniziativa del Marino.
Il Procuratore Generale si mantiene, sorprendentemente, sulla stessa linea. Sottace anche lui l'inerzia, come motivo dell'avocazione, e spiega allo stesso modo il motivo della mala gestio. I lettori attenti ne sono sbalorditi. Impossibile, infatti, trovare una spiegazione in personali vulnerabilità del magistrato: se i suoi figli, entrambi, erano stati assunti dalla BAE, del Cav. Del Lavoro Graci (uno dei grandi imprenditori attaccati dal Dalla Chiesa, nel tragico '82, e poi da Giuseppe Fava), le assunzioni erano avvenute in esito a concorso; se i detti suoi figli avevano comprato casa, entrambi, in San Giovanni la Punta, sulla via Montello, di fronte alla casa comprata da Gennaro, a quella lottizzazione era stato sempre estraneo o si era reso estraneo, da tempo, il Rizzo; e se il magistrato aveva deciso come il giudice tributario in favore della BAE un certo ricorso la decisione era stata giusta.
tratto da http://www.ucuntu.org/pdf/ScidaCasoCatania.pdf

domenica 6 maggio 2012

Il capitale e segnali di resa dei conti


Ci sono segnali precisi che vengono dai paesi del sud america che il mondo è in movimento. La Bolivia nazionalizza la compagnia elettrica.
Gli Stati emergenti, dove possono, si riappropriano delle risorse naturali (Argentina) si riappropriano delle proprie industrie.

Nel mondo occidentale, il popolo islandese, in gran maggioranza respinge le politiche economiche neoliberiste del FMI, che tanto male ha fatto in passato a chi ha dovuto sposare questa linea politica economica, della BCE e della Commissione Europea.
In Grecia, in Portogallo, nella Spagna i movimenti di protesta sono quotidiani, duri violenti, si ha consapevolezza che le politiche imposte non risolvono ma affamano sempre di più larghi strati della popolazione.

In Italia il distacco tra i cittadini e la politica è ormai diventato incolmabile, tant'è che lo stesso Capitale italiano attraverso i suoi media ha riesumato l'attuale sinistra extra parlamentare, poco Diliberto molto Ferrero,in quanto al libero battitore Vendola non riesce più a coprire gli spazi a sinistra del PD, spostandosi questo partito sempre più nettamente nell'area neoliberista.
E' stato riesumato anche Grilli e il suo Movimento dandogli il compito parziale di farlo diventare sempre più istituzionale e aggiogarlo al carro del Capitale italiano.

Quindi in questo vuoto, la proposta di costruire un soggetto politico nuovo, in linea di principio non è sbagliata, i tempi sono quelli giusti.
Ma è la stessa proposta che è limitativa e fuorviante in quanto si riallaccia con una metodologia antiquata e comunque proporre una organizzazione che andava bene nel novecento e che oggi non ha più ragione di essere.

Oggi la soggettività politica, di chi si muove su questo terreno, è talmente elevata che lo schema partito è insufficente a contenere l'esuberanza, le capacità, le competenze che si sono autodittamente prodotte che le attuali tecnologie hanno messo a disposizione di ogni singola soggettività e non aver compreso questo si è gia out in partenza.

Oggi la soggettività individuale richiede e pretende circolarità e non gerarchie e riconosce solo l'umiltà e lo spirito di servizio. Tutto è messo in discussione e non si può più barare.
Un esempio, Vendola era partito alla grande, con un grande capitale di fiducia alle spalle, nel giro di due tre anni si è bruciato una potenzialità elevatissima.

Oggi nessuno perdona gli sbagli soprattutto se c'è malafede, e il soggetto collettivo che si sta sempre di più costituendo è capace di scovare ogni minima contraddizione e ha la capacità e possibilità di sbattetterla in faccia tranquillamente e ferocemente. Nulla si dimentica, tutto rimane.
Si sono riaperte vecchie ferite, come il patto tra lo Stato italiano e la mafia siciliana, dei primi anni '90, questo non grazie alle istituzioni più istituzionalizzate ma perchè c'e stata e c'è una forte volonta politica da parte della soggettività individuale a chiarire, comunque ad arrivare alle rese dei conti.

Bisogna avere il coraggio di "sporcarsi le mani" di confrontarsi, di essere parte dell'insieme che si è costruito, che si sta costruendo. Adesso è uno stato di attenzione e di circolazione di idee, arriverà il momento in cui queste cominceranno a camminare, con una pratica sulle spalle, un'esperienza che ha plasmato e plasma, si troveranno delle forme di organizzazione che risponderanno alla bisogna.
Ora è il tempo di arare e seminare, arriveranno le piantine.
martelun