L'albero della storia è sempre verde

L'albero della storia è sempre verde

"Teniamo ben ferma la comprensione del fatto che, di regola, le classi dominanti vincono sempre perché sempre in possesso della comprensione della totalità concettuale della riproduzione sociale, e le classi dominate perdono sempre per la loro stupidità strategica, dovuta all’impossibilità materiale di accedere a questa comprensione intellettuale. Nella storia universale comparata non vi sono assolutamente eccezioni. La prima e l’unica eccezione è il 1917 russo. Per questo, sul piano storico-mondiale, Lenin è molto più grande di Marx. Marx è soltanto il coronamento del grande pensiero idealistico ed umanistico tedesco, ed il fondatore del metodo della comprensione della storia attraverso i modi di produzione. Ma Lenin è molto di più. Lenin è il primo esempio storico in assoluto in cui le classi dominate, sia pure purtroppo soltanto per pochi decenni, hanno potuto vincere contro le classi dominanti. Bisogna dunque studiare con attenzione sia le ragioni della vittoria che le ragioni della sconfitta. Ma esse stanno in un solo complesso di problemi, la natura del partito comunista ed il suo rovesciamento posteriore classistico, individualistico e soprattutto anti- comunitario" Costanzo Preve da "Il modo di produzione comunitario. Il problema del comunismo rimesso sui piedi"

sabato 19 ottobre 2013

Estremismo, malattia infantile di questo stato


Chi alza la tensione? Riflessione sulla macchina repressiva 

Ci siamo, ci stiamo preparando all'assedio di domani. E… tra uno striscione e l'altro, tra un volantino e una chiacchiera, non possiamo esimerci dal leggere i giornali e la stampa online. Certo, non ci sorprendiamo e, anzi, sorridiamo nel leggere come le varie testate nazionali siano esperte nel  criminalizzare il dissenso sociale. Se in questi giorni le ragioni del corteo e la rabbia che ci spinge a scendere in piazza, non hanno sfondato la cortina di ferro della stampa mainstream, le uniche notizie che sono uscite sulla giornata di domani sono state in termini di gestione dell'ordine pubblico. Martellante è stato il bombardamento: "gli spaccavetrine scendono a Roma", "i Notav -entità che ha sostituito nell'immaginario la fantomatica figura del black block- assedieranno la città". La macchina della paura è partita in pompamagna. E con essa anche la macchina della repressione, oggi infatti a Roma il clima si è scaldato, ma certo non a causa di black block o presunti terroristi!
 
La mattina è iniziata con la notizia del fermo preventivo di cinque francesi che ieri notte, dopo esser stati identificati in centro, sono stati portati nel commissariato di Trevi - Campo Marzio e da lì trasportati all'ufficio immigrazione da dove verranno direttamente rimpatriati. Misure che nulla hanno a che fare con la "sicurezza" o "l'ordine pubblico" infatti a questi ragazzi non viene imputato alcun reato.

Già avuta questa notizia abbiamo cominciato a pensare si trattasse di uno scherzo, ci siamo chiesti se si trattasse del teatro dell'assurdo o se, senza essercene accorti, siamo diventati i protagonisti di un romanzo distopico con tanto di polizia segreta e processi alle intenzioni.
Ma non è finita qui.

Nelle ore successive è stato fermato un militante romano, gli è stato perquisito il furgone che utilizza per lavoro all'interno del quale è stato scritto che ci fosse un pericoloso arsenale. Sappiamo bene che non è così, sappiamo anche che ciò che è stato rinvenuto è un oggetto utile all'auto-tutela di chi lavora di notte in condizioni non certo sicure. Queste, tuttavia, sono storie dell'ordinario sfruttamento e delle pessime condizioni di lavoro che viviamo tutti i giorni e che di certo non interessano a chi dalla giornata di oggi voleva solo ricavare un mostro da sbattere in prima pagina. Ebbene abbiamo anche il nostro furgoncino carico di mazze, proprio come nei migliori copioni.
 
Ma non è finita neanche qui.
Un gruppo di attivisti durante un volantinaggio di fronte alla sede dell'Atac che si è recentemente costituita parte civile nel processo per la manifestazione del 15 Ottobre 2011 - che ha anche riscosso entusiasmo da parte dei lavoratori - e che è poi proseguito per le vie del Pigneto è stato rincorso e caricato a freddo dalle forze dell'ordine. Dunque, un semplice volantinaggio si trasforma in una mattanza che, poiché è avvenuta all'interno di un mercato rionale, ha coinvolto anche semplici passanti che allucinati dalla spropositata reazione della polizia sono intervenuti. Abbiamo anche le nostre teste aperte per completare il quadretto, che importa se sono di famigerati black block o di anziane signore che fanno la spesa?

Magari fosse finita qui.
Sappiamo, infatti, che si susseguono le circolari all'interno degli ospedali vicini al percorso del corteo che invitano a liberare più posti letto possibili in vista dei previsti incidenti per la manifestazione di domani. Le liste di attesa per un posto letto in un ospedale romano notoriamente sono lunghissime, ma state tranquilli se vi volete operare domani avrete intere corsie pronte ad accogliervi! Se poi nei reparti oltre a medici e infermieri troverete anche poliziotti non è un problema, vogliono solo il numero del vostro documento poi il resto è carico del servizio sanitario nazionale. Ci sembra paradossale che, mentre noi scendiamo in piazza per difendere le nostre vite e i nostri territori, loro preventivano evidentemente di spaccarci le teste ma con clemenza liberano i letti degli ospedali! 

E ancora.
Stamattina abbiamo saputo che, per ordine del questore Fulvio della Rocca, l'ateneo la Sapienza domani resterà chiuso per tutta la giornata per ragioni di ordine pubblico. Quale ordine pubblico? Non riusciamo proprio a capire infatti come lasciare aperte biblioteche e aule studio possa rappresentare una minaccia. Manifestiamo per avere di nuovo diritto al futuro, per non essere nati sotto il segno dell'esclusione sociale. Domattina le porte chiuse dell'università quando gli studenti partiranno in corteo da Piazzale Aldo Moro non saranno che un simbolo delle porte che vengono chiuse in faccia ai giovani tutti i giorni.
Eccoci qui, dunque, a poche ore dal corteo la macchina mediatica guidata da Questura e Ministero degli Interni ha avuto i suoi arresti di Black Block, il suo arsenale e le sue teste aperte. Si prepara a chiudere i luoghi di aggregazione e ad aprire gli ospedali.
Chi alza la tensione?

Comitati e movimenti verso il 19 Ottobre


martedì 15 ottobre 2013

La Gabanelli licenziata ...

lunedì 14 ottobre 2013

QUESTO NON E' SERVIZIO PUBBLICO

 
 
Chi ha ancora il coraggio di guardare la tv, e ha il fegato di frequentare Rai 3, ricorderà che circa un mese fa Riccardo Iacona, ideatore della trasmissione Presa Diretta, mise in onda una puntata di vera informazione sulla crisi dei cittadini europei, che illuminava il grande pubblico sulle autentiche responsabilità della crisi, intervistava economisti di valore come Emiliano Brancaccio e Bruno Amoroso, nonché personalità come Hans Olaf Henkel, e raccontava in maniera magistrale le lotte dei portoghesi contro la Troika. Chi scrive ammette di essere trasecolato, davanti a un simile spettacolo. E chi si aspettava di veder affiorare certi concetti su una grande rete nazionale? Chi poteva immaginare una Rai che fa informazione?

Per fortuna Milena Gabanelli ha rimesso le cose in ordine, con la puntata di Report di lunedì 14 ottobre (presto disponibile in rete: consigliata la visione). La giornalista è riuscita agevolemente ad annientare quanto di buono costruito dal suo collega un mese prima. Niente voci "critiche". Piuttosto, le opinioni rassicuranti di economisti come Boeri e Perotti. Dopo averci a lungo intrattenuto sulle inefficienze e le assurdità della Pubblica Amministrazione  e del fisco italiani (che nessuno nega, ovviamente), Report ci conduce in un'inchiesta sui motivi che spingono gli imprenditori a delocalizzare all'estero. Servizio sulla Polonia, con la voce narrante (è bene sottolinearlo) che cerca di porre in una luce favorevole i fatti narrati. Ci viene spiegato che in Polonia fare impresa è possibile, perché l'imposizione fiscale sulle imprese è inesistente, c'è la possibilità di licenziare incondizionatamente e con breve preavviso, non esiste il Trattamento di Fine Rapporto, non sanno cosa sia la tredicesima, e in generale si lavora più a lungo per meno. Stacco poi su come in Polonia i bambini vengano addestrati sin da piccoli ad acquisire la cultura imprenditoriale. Intervista alla locale Coordinatrice del Programma di Apprendimento dell'Imprenditorialità, che ci spiega che fin dalla tenera età i piccoli giocano al "Piccolo Bancomat", e che alle elementari si addestrano al gioco del "Piccolo Ministro delle Finanze", dove ai bambini è dato di decidere quali spese tagliare*.

Proseguendo, la Gabanelli individua nella carenza di produttività il vero guaio italiano, e addita chi parla di uscita dall'euro a ciarlatani che cercano di distrarre dai problemi reali. L'economista Lucrezia Reichlin ci spiega che l'idea di far acquistare i titoli del tesoro dalla propria Banca Centrale è "molto pericolosa", in quanto "toglie incentivi al risanamento dei conti". E perdere la disciplina di bilancio è ancora più pericoloso, perché "creerebbe inflazione", la quale è "una tassa occulta che distrugge i risparmi". Molto meglio, sempre per la Reichlin, che anche l'Italia accetti un piano di "aiuti" dalla BCE, con relativo commissariamento. La voce narrante conferma, e passa a intervistare un giornalista di Repubblica, il quale ci comunica che con l'uscita dall'euro i risparmi degli italiani sarebbero decurtati di un terzo. La voce narrante paragona l'uscita dall'euro a "una patrimoniale sui cittadini italiani di centinaia di miliardi"; "di gran lunga la soluzione più costosa".

Sistemati gli "uscisti", si passa alle soluzioni che si potrebbero adottare per far fronte all'innegabile crisi. La risposta non può che essere una: fare come la Germania. Vengono illustrati in maniera abbastanza chiara gli effetti delle riforme tedesche dei primi anni 2000: aumento della disoccupazione, delle disuguaglianze, perdita di redditi e diritti per i lavoratori. Ma tali scelte vengono ancora poste in una luce favorevole, sottolineando come abbiano avuto luogo in un momento di crescita dell'economia mondiale, quindi nel "tempo giusto". "A quei tempi la Germania è dimagrita, mentre noi siamo ingrassati, e adesso ci supera" dice la voce narrante, soddisfatta. 

Infine, un accenno al Fiscal Compact. Iacona, giustamente, lo indicava come una sciagura. Invece, per gli "esperti" citati dalla Gabanelli, dire che il Fiscal Compact, se rispettato strangolerà l'economia italiana è,senza mezzi termini,"una cavolata"; "con un po' di inflazione e crescita economica il debito si aggiusta da solo". Come a dire, manco ce ne accorgeremo.

I nostri lettori non hanno bisogno che smonti una a una queste bufale. Né che spieghi perché è truffaldino chiamare "Unione" un'organizzazione che ha il solo fine di portare alle estreme conseguenze la concorrenza tra nazioni, cioè tra lavoratori. Sono abbastanza avvezzi al ragiomento economico e a quello politico per farlo da soli. Resta, grande, l'amarezza. Non quella che nasce dalla considerazione (qualunquista) che Gabanelli fa disinformazione a spese nostre; piuttosto, dall'idea che chi detiene un potere così formidabile come quello di dirigere importanti trasmissioni nazionali inocula, ad arte, veleno nelle menti dei cittadini. Se lo facesse da reti private non cambierebbe nulla. Esiste un etica della responsabilità, anche per i protagonisti dei Mass Media. E Gabanelli, mi si passi il francesismo, se ne fotte. (C.M.)

http://il-main-stream.blogspot.it/2013/10/questo-non-e-servizio-pubblico.html

Il Mercato è cieco, inevitabile cadute, vogliamo e dobbiamo guidarlo




Le mille bolle del mercato finanziario

15 ottobre 2013
Il Nobel per l’Economia 2013 a Fama, Hansen e Shiller per le loro analisi sulla previsione degli andamenti dei mercati finanziari. Sebbene confutata sul piano scientifico, la tesi dei mercati finanziari efficienti continua a dominare la scena politica
di Emiliano Brancaccio e Marco Veronese Passarella
       
Gli americani Eugene Fama (Università di Chicago), Lars Peter Hansen (Università di Chicago) e Robert Shiller (Università di Yale) sono i vincitori del premio Nobel 2013 per l’Economia, in virtù delle loro analisi sulla previsione degli andamenti dei mercati delle attività finanziarie e immobiliari. Nel motivare la scelta di quest’anno, l’Accademia svedese delle scienze ha molto insistito sugli elementi di continuità tra le ricerche degli studiosi premiati. In realtà, come vedremo, il loro successo è derivato soprattutto dagli elementi di rottura tra le loro analisi e dall’ampia letteratura che si è sviluppata in questi anni intorno ad essi.
Appartenente a una famiglia di origine siciliana emigrata a Boston ai primi del secolo scorso, Eugene Fama è annoverato tra i più intransigenti difensori della libertà dei mercati finanziari e della loro completa deregolamentazione. Questa posizione politica viene solitamente giustificata dai suoi epigoni in base alla tesi secondo cui il mercato utilizza al meglio tutte le informazioni disponibili utili alla determinazione del prezzo delle attività, e ogni eventuale nuova informazione viene istantaneamente incorporata nei prezzi delle attività. Nel caso della borsa valori, per esempio, il prezzo corrente delle azioni riflette le informazioni disponibili circa il valore attuale dei dividendi futuri attesi. Se dunque i prezzi che scaturiscono dalle contrattazioni sono determinati in base a un impiego ottimale di tutte le informazioni disponibili, nessuno potrà sperare di utilizzare quelle stesse informazioni per speculare, cioè per “battere il mercato”.
Da questa tesi i seguaci di Fama hanno tratto la conclusione secondo cui il mercato azionario è il miglior giudice di sé stesso: ogni intervento di regolazione della borsa, come di tutti gli altri mercati, finirebbe per turbare un processo di determinazione dei prezzi che utilizza nel modo migliore le informazioni disponibili, e che dunque può esser considerato il più efficiente criterio di allocazione delle risorse disponibili. Benché apertamente tratta dalle analisi di Fama, in realtà questa volgarizzazione non riflette il loro grado di sofisticatezza. Basti notare, ad esempio, che sebbene abbia fornito importanti contributi a sostegno dell’idea che il mercato determina i prezzi utilizzando tutte le informazioni disponibili, l’economista di Chicago ha anche fatto notare che i prezzi dipendono pure dalla teoria in base alla quale le informazioni vengono elaborate. Dopo la crisi esplosa nel 2007 Fama ha riconosciuto che c’è oggi grande incertezza intorno alla scelta della giusta teoria, vale a dire della corretta interpretazione del funzionamento del sistema economico. Tale incertezza, tuttavia, non sembra costituire a suo avviso un motivo per zittire i volgarizzatori del suo pensiero: anzi, in un contesto in cui non vi è consenso circa la scelta del giusto modello interpretativo del mondo che ci circonda, egli sembra far valere ancor di più la tesi secondo cui il libero mercato resta il criterio allocativo migliore, e quindi non dovrebbe mai essere imbrigliato dai tentativi di regolazione politica.
Le tesi di Fama hanno goduto di un enorme successo all’interno della comunità accademica internazionale. Eppure, già prima dello scoppio della crisi, le evidenze empiriche tendevano a smentire piuttosto seccamente l’idea della efficienza dei mercati finanziari. Il caso della borsa valori in questo senso è emblematico. Se i prezzi correnti delle azioni riflettessero semplicemente le informazioni disponibili sui dividendi futuri attesi allora la variabilità dei prezzi dovrebbe risultare inferiore a quella dei dividendi; spiegato in termini intuitivi, questi ultimi dovrebbero variare maggiormente poiché si determinano in una fase successiva e quindi incorporano informazioni che al momento della fissazione dei prezzi non erano disponibili. In un celebre articolo pubblicato nel 1981, tuttavia, Shiller elaborò un test econometrico dal quale scaturì un risultato esattamente opposto: la variabilità dei prezzi di mercato dei titoli azionari eccede di gran lunga quella dei dividendi, fino a cinque volte di più e in alcuni casi persino oltre. Evidentemente, dunque, i prezzi non possono esser considerati un mero riflesso dei dividendi futuri. Altre forze incidono su di essi, e la sfida scientifica consiste nell’individuarle.
I difensori della tesi dei mercati efficienti hanno cercato di spiegare i risultati di Shiller in base all’idea che i prezzi correnti delle azioni non dipendono solo dai dividendi futuri ma anche dalle preferenze degli agenti economici tra consumo presente e consumo futuro, che nella loro ottica determinano il volume del risparmio e quindi anche la domanda di azioni. Tali preferenze tenderebbero a modificarsi durante le varie fasi del ciclo economico: per esempio, nel corso di una recessione il consumo presente si riduce, la preferenza verso di esso dunque aumenta, il che modifica la domanda di azioni e quindi anche i loro prezzi di mercato, del tutto indipendentemente dalle variazioni dei dividendi futuri. Questa spiegazione, tuttavia, è stata confutata da test econometrici successivi tra cui spiccano quelli elaborati dal terzo vincitore, Lars Hansen. I test, tra l’altro, sembrano indicare che il ciclo economico incide in misura troppo limitata sulle scelte di acquisto dei titoli, e quindi non può costituire una valida giustificazione per l’eccessiva variabilità dei prezzi rispetto ai dividendi.
I risultati di Shiller hanno trovato riscontri ulteriori anche nelle analisi di altri mercati, come ad esempio quelli delle obbligazioni e delle valute. Così come in borsa i prezzi delle azioni oscillano molto più dei dividendi futuri, così anche negli altri mercati i prezzi tendono ad allontanarsi dai valori che dovrebbero scaturire dalle informazioni “fondamentali” sul futuro. Se ne è tratta così la conclusione generale secondo cui l’alta variabilità dei prezzi è dovuta al fatto che i mercati finanziari sono dominati da fattori psicologici imponderabili, in grado di generare ondate di euforia o di panico: le cosiddette “bolle speculative”, che gonfiandosi e poi scoppiando contribuiscono alla instabilità complessiva del sistema economico, generando cicli di boom e di depressione della produzione e dell’occupazione. Questa chiave di lettura, di cui lo stesso Shiller è stato un fautore, ha aperto la via alla cosiddetta finanza comportamentale, una branca della ricerca economica che prova a spiegare la dinamica dei mercati finanziari in base all’idea che il comportamento degli agenti economici non sempre possa esser definito razionale. Si tratta di una linea di indagine che può vantare illustri predecessori, tra cui Charles Kindleberger e John Kenneth Galbraith. Nella versione corrente, tuttavia, essa sembra dare adito all’idea che, se gli agenti fossero perfettamente razionali, i prezzi rifletterebbero le informazioni “fondamentali” e quindi una soluzione di libero mercato potrebbe risultare efficiente. Una conclusione, questa, che per molti versi appare insoddisfacente, e che presta il fianco alla critica di quegli indirizzi alternativi di ricerca secondo i quali la “bolla speculativa” non costituisce tanto un’anomalia determinata dall’irrazionalità dei singoli individui, ma rappresenta piuttosto una necessità vitale dell’attuale regime di accumulazione capitalistica, fondato sulla centralità del mercato finanziario.
Di fronte all’avanzata dei suoi numerosi critici Fama non sembra essersi scomposto più di tanto. Recentemente, anzi, egli sembra avere ulteriormente estremizzato la sua posizione, affermando che in fin dei conti “le bolle non esistono” e che il mercato finanziario sarebbe stato addirittura “la vittima della recessione, non la causa”. Un simile atteggiamento, a prima vista, potrebbe esser scambiato per l’ultimo arrocco di un sovrano della cittadella accademica, ormai prossimo alla defenestrazione. La verità, tuttavia, è che sebbene abbia perduto gran parte del suo appeal scientifico, la retorica liberista di Fama potrebbe rivelarsi più in sintonia con l’attuale tempo politico di quanto si possa immaginare. Dopotutto, il regime di accumulazione trainato dal mercato finanziario è entrato in crisi più e più volte, in questi anni, sotto i colpi dei danni che esso stesso provocava. Ma nessun movimento politico ha finora osato anche solo accennare a una sua messa in discussione. Potremmo dire, insomma, che sebbene la sua inefficienza risulti per molti versi conclamata, il mercato finanziario e i suoi apologeti stanno opponendo una efficace resistenza politica alle pressioni della critica. Il futuro rischia pertanto di essere ancora una volta di Fama e dei suoi epigoni, piuttosto che di Shiller. E la “repressione della finanza”, che Keynes negli anni Trenta invocava e che almeno in parte riuscì a conseguire, resta per il momento solo una chimera.
           
Riferimenti bibliografici
Brancaccio, E. (2005). “Stock market and bubbles”, Quaderno DASES Università del Sannio, 7.
Brancaccio, E. e Passarella, M. (2012). L’austerità è di destra. E sta distruggendo l’Europa, Milano, Il Saggiatore.
Cassidy, J. (2010), “Interview with Eugene Fama”, New Yorker, January.
Fama, E. (1970). “Efficient capital markets: a review of theory and empirical work”, Journal of Finance, 25, pp. 383-417.
Shiller, R.J. (1981). “Do stock prices move too much to be justified by subsequent movements in dividends?”, American Economic Review, 71, pp. 421-436.
Shiller, R.J. (2009). Euforia irrazionale. Alti e bassi di borsa, Il Mulino, Bologna.

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