
Capitalismo 2013
di Antonio Carlo
L’ultimo lungo paragrafo è preceduto dai paragrafi 2-7 dove analizzo il sistema politico italiano nella sua relazione con l’economia capitalistica, ciò che potrebbe sembrare una ricerca dall’oggetto diverso rispetto al paragrafo finale, ma non è così perché anche nella parte “italiana” di questo lavoro ho cercato di evidenziare il legame profondo tra economia e politica nel senso che quando c’era uno sviluppo possibile la politica era in grado di operare scelte tra le alternative di sviluppo capitalistico, che però erano diverse e avevano grosse implicazioni pratiche: il miracolo economico italiano è impensabile senza la politica della DC. Poi la fine del miracolo italiano che, si noti, è parte del grande miracolo capitalistico post-bellico, determina da noi la crisi e il “deperimento” della politica sempre più incapace di dare risposte ai problemi creati da un’economia capitalistica impazzita. Le vicende italiane sono parallele ed analoghe alle vicende mondiali e spesso le anticipano, per cui l’analisi contestuale delle nostre vicende e di quelle mondiali mi pare giustificata ed opportuna.
A) La mutazione dell’elettorato azzurro e il declino irreversibile del cavaliere
Nel 2008 B. vince le elezioni con una maggioranza umiliante e fa fuori Veltroni come Prodi e Rutelli, se fosse Toro Seduto la sua tenda sarebbe piena di scalpi dei suoi avversari stesi e umiliati. Poi nel 2011 lascia il governo sotto la spinta di uno “spread” che è arrivato a 550, di una impopolarità crescente, sinanche i suoi che senza di lui sono nessuno, sembrano sul punto di mollarlo. Che cosa è accaduto?
Non certo un ritorno di fiamma del centrosinistra che annega nella sua mediocrità, ma è accaduto che la crisi italiana, pesantissima dal 1990, si è saldata e confluisce nella grande depressione mondiale, che esplode nel dicembre 2007 e determina una situazione insostenibile: il nemico di B. non si chiama Veltroni o Prodi, ma Grande Depressione e per “Silviuccio” sono cavoli amari. Il suo elettorato, che sino ad allora gli aveva chiesto di salvarlo dalle tasse, facendo ricadere il peso delle lacrime e del sangue sui “coglioni comunisti”, davanti ad una situazione devastante gli chiede di intervenire. Il fatto è che lo sport di caricare tutto su salari, stipendi e pensioni sta bloccando i consumi, l’economia italiana è in caduta libera , i salari reali sono erosi, i consumi pure, si torna a livello di 20 anni fa, i negozi sono vuoti e falliscono, non si vendono case e auto e tutto va a rotoli.
Sembra proprio che se i “coglioni comunisti” non consumano anche “lor signori” se la passino male136.
Accade allora che le organizzazioni padronali, dalla Confindustria alla Confcommercio, scoprono che le tasse sul lavoro sono pesantissime e devono calare, assieme ovviamente a quelle delle imprese, dimenticando il piccolo particolare che le imprese evadono sfacciatamente137. Occorre ovviamente che il debito pubblico cali e che l’economia riprenda con tutti i costi che ciò comporta. Naturalmente tutto questo va fatto tenendo i conti in ordine; come dire botte piena, moglie ubriaca e uva nella vigna.
Nel frattempo l’evasione fiscale rimane elevatissima e non si pagano nemmeno le cartelle esecutive: chi ha scassato i conti con la propria evasione insultante, chiede di ridurre le tasse, rilanciare l’economia e salvare gli equilibri di bilancio, richieste che tenendo conto di quello che hanno fatto “lor signori” negli ultimi decenni sa di provocazione. Emblematico è quello che riferisce nel 2013 il quotidiano di Genova “Il Secolo XIX” dell’8/6/13 sul rifiuto del governatore ligure Burlando di andare ad un convegno degli industriali: avrebbe detto “non vado ad ascoltare chi da 20 anni non ha fatto un cazzo”.
Ciò che non è del tutto esatto poiché negli ultimi 20 anni (ed anche prima) qualcosa lor signori hanno fatto: tasse evase, soldi nei paradisi fiscali, imprese delocalizzate, cartelle esattoriali non pagate, tasche dei lavoratori dipendenti vuotate etc. Purtroppo Burlando è l’unico che risponda a costoro come meriterebbero, il centrosinistra dialoga e ascolta come sempre e del resto ha dialogato anche con B. come risulta dall’intervento di Violante nel 2002, la capacità di sdegnarsi, questi signori l’hanno persa da tempo, poiché, come è noto, sarebbe moralismo.
In altre parole il “popolo di Silvio” gli chiede di fare quello che Silviuccio non è mai stato, uno statista a livello di Roosevelt che affrontò la grande crisi; il guaio è che B. è un imprenditore che è entrato in politica solo per fare i fatti suoi e attorno a lui, al posto del “brain trust” che circondava Roosevelt, ha Verdini, Tremonti e la Santanché; inoltre negli anni ’30 una via di uscita dalla crisi era possibile e adesso non si vede. Si noti poi che un recente studio della CGIA di Mestre ha evidenziato che questa crisi è stata, per l’economia italiana, peggiore di quella del 1929, il che significa la peggiore di sempre: nel periodo 1929/34 il PIL cala del 5,1% e gli investimenti del 12,8%, nel periodo 2007-2012 il calo del PIL è del 6,9% e quello degli investimenti del 27,6%, il che significa che “Silviuccio” ed il suo formidabile “brain trust” dovrebbero confrontarsi con questa realtà. Da ridere.
Il poverino affoga, lo “spread” si impenna, forse manovrato, ma le manovre hanno successo sui mercati quando la sfiducia verso un’impresa o un governo sono a mille e nel caso di B. lo sono (o meglio sono solo a 550 il livello massimo raggiunto dallo “spread”).
Silviuccio deve andarsene sostituito da un tecnico nominato senatore a vita ed accolto come un liberatore o il salvatore della patria, di barzellette sulle mele che sanno di culo, di marocchine minorenni, e di politiche economiche fallimentari non se ne poteva più.
Le elezioni del 2013 sanciscono la fine di B.: perderà 6,3 milioni di voti e 16 punti percentuali. La Lega lo appoggia solo a patto che sia chiaro che non è leader della coalizione, ma la stessa Lega passerà dall’8,3% dei voti al 4,1%. Un disastro.
Il cavaliere è bollito , quello che avverrà dopo e che tutti sanno è solo il coronamento dell’opera: condanna definitiva, ineleggibilità etc. mentre all’orizzonte si delineano altri processi da affrontare con la prescrizione lontanissima , per uno di essi rimedia in primo grado una condanna a 7 anni con interdizione perpetua dai pubblici uffici.
La parabola è finita.
B) Il mancato decollo del PD e del nuovo centro
B. , dunque, è finito ma il PD non vince e perde 3 milioni di voti, doveva limitarsi a fare l’avvoltoio cibandosi del cadavere del nemico ma neanche di questo è capace. Se fossi Scalfari direi che nel PD prosperano gli allocchi, ma sarebbe ingiusto: il gruppo dirigente di quel partito brilla per mediocrità ed ignoranza, ma il problema vero, l’ho detto un istante fa, è che nel capitalismo attuale via di uscita dalla crisi non ce ne sono , e questo favorisce l’emergere di una classe dirigente di incapaci e di mediocri, non si può essere all’altezza del compito quando il compito, cioè l’uscita dalla crisi, è impraticabile, e questo accade anche a livello mondiale, dove di Roosevelt in giro non se ne vede neanche uno.
Analogo discorso per il nuovo centro di Monti, partito con l’obiettivo del 20% alle elezioni del 2013, calato al 15% , poi al 12% per finire ad un modesto 10% dei consensi elettorali, in un paese dove un terzo circa dell’elettorato non si esprime.
Il centro non decolla e non esalta e questo perché puoi governare un paese al centro se c’è lo sviluppo (la DC degli anni ’45-’70) , se lo sviluppo è finito e la situazione economica è marcescente (più che nel resto d’Europa) ci vogliono soluzioni nuove e radicali che vadano al di là di un sistema ingovernabile, cosa che è al di fuori delle possibilità di un economista tradizionale ed ottocentesco che esprime la vecchia classe dirigente. Monti nel suo anno di governo ha fatto le stesse cose degli ultimi 20 anni: lacrime e sangue senza sviluppo, con provvedimenti a volte ridicoli come le srl costituite dai giovani con un solo euro di capitale, che avrebbero dovuto aprire il mercato alla concorrenza battendosi con le IM presenti in Italia, i cui AD avranno passato notti insonni davanti al nuovo pericolo creato dal professor Monti; stendiamo poi un velo pietoso sulla gaffe vergognosa e drammatica degli esodati138.
L’uomo poi (il prof. Monti) è la negazione vivente di un leader, dice cose banali in un modo soporifero, cerca (durante la campagna elettorale del 2013) di essere accattivante ed è semplicemente ridicolo, come quando si fa regalare un cagnolino durante una trasmissione de LA7. Due persone intelligenti come Vittorio Zucconi e Carlo Freccero sghignazzeranno su di lui durante una trasmissione televisiva, ma il problema per Monti come per il PD è sempre e solo lo stesso: non hanno nulla da proporre contro la crisi perché, all’interno del sistema, non c’è nulla da proporre139.
Chi guadagna dalle sconfitte altrui è il M5Stelle, che ha un programma elettorale non meno penoso degli altri140, con l’unica connotazione originale di un forte accento sull’economia verde. Il movimento non critica radicalmente il capitalismo, ma il sistema italiano dei partiti, qualificato con la realtà sordida e putrescente, davanti alla quale esplode in una gigantesca pernacchia che sembra evocare la celebre battuta “una risata vi seppellirà”141.
Un quarto degli italiani che va ancora alle urne , stanchi della vacuità della sinistra, del conformismo surgelato di Monti e delle barzellette orripilanti di B., decide di votarli. Un voto di protesta certo, ma la protesta è una cosa seria, gabellarla come qualunquismo è da imbecilli o da struzzi che non vogliono vedere la frana che rovina a valle. Un capitalismo ingovernabile produce un sistema politico ingovernabile gestito da omuncoli e mezze tacche.
8) L’epilogo in terra. La depressione mondiale ed i funerali dell’ “autonomia del politico”. L’impotenza senza ritorno degli Stati
A) L’evoluzione recente della crisi mondiale
Se questa è la situazione italiana quella mondiale, fatte le debite differenze, è tendenzialmente simile, nel senso che dappertutto gli Stati pur con i caratteri specifici dei differenti sistemi politici, sono impotenti davanti ad una depressione sorda ed invincibile. L’economia mondiale malgrado qualche squillo di tromba sempre meno convinto, continua nel suo corso irreversibile. Se consideriamo le due più significative aree economiche (USA ed Eurozona nel periodo 20082012) vediamo che il PIL evolve in USA in questa maniera: 2008 – 0,3%, 2009 –3,1%, 2010 + 2,4%; 2011 +1,8%, 2012 + 2,8%; nell’Eurozona abbiamo: 2008 + 0,4%, 2009 -4,4%, 2010 +2%, 2011 + 1,4%, 2012 -0,4%142.
In USA, dunque, durante la recessione si perde circa il 3,4% del PIL e si recuperano 7 punti nei tre anni della ripresa, la crescita media del quinquennio è dello 0,7% l’anno, un evidente ristagno pagato però a carissimo prezzo poiché a fine 2007 il rapporto debito federale –PIL era al 65,24%, mentre a fine 2012 è al 104,8% con una crescita del 39,6%, superiore 11 volte alla crescita del PIL durante il quinquennio considerato; durante gli anni di crescita positiva (2010-2012) la crescita del debito è solo 3-4 volte quella del PIL, che sarebbe tantissimo ma la media dell’intero quinquennio è quella indicata, semplicemente deprimente. Gli USA di fatto sono un paese fallito. Ancora peggio l’Eurozona che non ha ancora recuperato i livelli precrisi e per reggere ha dovuto anch’essa indebitarsi pesantemente come è noto: i parametri di Maastricht (60% debito pubblico-PIL) sono ormai un ricordo da libro dei sogni e il rapporto debito pubblico-PIL in media ha superato il 90%143. Ancora, a settembre 2013 l’OCSE dirama le stime per la crescita del 2013 che non sono per nulla esaltanti.

Come si vede i principali paesi capitalistici sono in netta decelerazione con le sole eccezioni di Francia e Canada per pochissimi decimali di punto, l’India è in netto calo, solo il Regno Unito segna una discreta performance, ma comunque a un livello modesto e inferiore alle previsioni del 2010. Un quadro globale decisamente depresso.
Non meno grave è la situazione occupazionale che non accenna a migliorare, qualche piccola limatura al ribasso in paesi come gli USA ma si tratta di un miracolo statistico buono per gli struzzi. L’OCSE segnala che a fine giugno 2012 il tasso di attività (percentuale occupati sulla popolazione attiva), è del 56,5% in Italia, del 54,6% in Spagna mentre in USA stiamo al 58,7%, due punti in meno del periodo pre-crisi145, ed analogo a quello americano è il tasso di attività giapponese, eppure in Giappone la disoccupazione supera di poco il 4%, in America siamo attorno all’8% (fine 2012) , in Italia all’11% ed in Spagna al 25% (sempre alla fine del 2012). Con tassi di attività molto vicini abbiamo sbalzi del 4% al 25% , il che sembrerebbe inspiegabile. La risposta a questo arcano è semplice: le statistiche spagnole chiamano i disoccupati con il loro nome, altri preferiscono chiamarli, inattivi, inoccupati, “missing men” (uomini che si sono persi o che sono scoraggiati e non cercano più lavoro): come dico da anni statistiche per struzzi. In realtà in un paese come gli USA, considerando gli scoraggiati, la disoccupazione raddoppia e tra gli occupati il 40% lavora ad orario o a salario ridotto146; in Italia i lavoratori a tempo pieno e indeterminato sono in calo e sono poco più della metà147, in Germania dove la disoccupazione ufficiale supera di poco il 5% ci sono 8 milioni di lavoratori (un quarto della forza lavoro globale) che lavorano ad orario e salario ridotto guadagnando 450 euro mensili148, i sottoccupati a livello mondiale sono il 50% della forza lavoro nel 2005 (ILO) cifra cresciuta negli anni della recessione. Nel complesso anche nei paesi industriali avanzati ormai la forza lavoro è formata in prevalenza da disoccupati, scoraggiati, inattivi o sottoccupati. Davanti a questo panorama desolante il FMI nel marzo 2013 ammoniva contro i facili ottimismi , la strada della ripresa è “sconnessa” e non esistono soluzioni ottimali al problema del debito ed al ristagno dei consumi, a settembre l’OCSE osserva che l’economia mondiale è caratterizzata da “occupazione debole, crescita globale a rilento, permanenti squilibri”149.
In altre parole si continua ad affondare senza che nessuno sappia come uscire dalle sabbie mobili. Ne è il caso di consolarsi con la crescita di paesi emergenti poiché anch’essi sono in decelerazione netta ed una crescita del 7,5% della Cina significa quasi sempre collocarsi sotto al livello 50 dell’indice PMI che segna lo spartiacque tra sviluppo e ristagno o recessione150, e gli altri paesi emergenti si collocano decisamente sotto il livello cinese.
B) Crisi mondiale e mancanza di un potere mondiale. I funerali della “autonomia del politico”
Ormai è pacifico che per fronteggiare una crisi così radicale e così generalizzata prodotta da meccanismi mondiali, occorrono risposte mondiali, i vari G (siano essi 7,8 o 20) che si susseguono dovrebbero servire a questo, ma al G8 di giugno tenuto nel Regno Unito il padrone di casa Cameron riconosce che i G precedenti hanno prodotto solo un “cimitero di documenti”. Ma indipendentemente dalla candida ammissione di Cameron è chiaro che nessuno dei vari G che ogni anno si tengono , è riuscito ad ottenere un qualche risultato, le ammissioni di OCSE e FMI prima citate sono indicative, affondiamo più o meno lentamente, a seconda dei paesi, e nessuno riesce a capire come si possa uscire dal pantano.
Prendiamo due punti nodali: mentre il G8 si riunisce il Tax Justice Network diffonde i dati sull’evasione fiscale a livello mondiale, un volume di oltre 3.100 miliardi di dollari tasse evase ogni anno, nulla di scandaloso la commissione europea valuta in mille miliardi di euro le tasse evase nella sola UE151, se si proietta a livello mondiale il dato della UE si potrebbe pensare che forse la valutazione del Tax Justice Network è anche troppo ottimistica. Il G8 raggiunge un accordo sullo scambio di informazioni tra i paesi membri sul problema dell’evasione fiscale che diventerà operativo nel 2015, un risultato epocale, dal momento che l’evasione è galoppante ed ha raggiunto i livelli di cui sopra, possiamo attendere fino al 2015 perché cominci uno scambio di informazioni tra i paesi interessati , problema che esiste e si trascina da quando mi occupo dell’evasione fiscale cioè da una quarantina d’anni. Il Ministro delle Finanze austriaco davanti a questi risultati si è messo a ridere e ha affermato che le dichiarazioni trionfalistiche del suo collega inglese Osborne sono incomprensibili. Personalmente concordo con le opinioni della gentile signora che ricopre la carica di Ministro delle Finanze in Austria e ciò perché, come scrivo da anni, nessuno dei paesi interessati vuole veramente combattere l’evasione fiscale dal momento che ospita e protegge sul proprio territorio illustri e famosi paradisi fiscali, dagli USA all’Inghilterra, dalla Francia alla Cina. Tali paradisi servono per attirare investimenti in concorrenza con gli altri paesi. Si noti poi che lo scambio di informazioni si ferma sulla soglia dei paradisi fiscali, che notoriamente sono parchi nel fornire le stesse informazioni, a cominciare dal libro dei soci, che spesso è riservato, e spesso le azioni sono al portatore sicché è impossibile scoprire chi ha compiuto determinati movimenti di capitali. Non occorre poi alcuna informazione per sapere che le IM mettono la loro sede dove pagano meno tasse, sono cose di dominio pubblico e di recente la stampa italiana ed internazionale se ne è occupata in rapporto a giganti come la Fiat e al Apple, il problema non è l’informazione ma la volontà e l’interesse politico ad agire contro l’evasione fiscale.
È emblematico, a tal proposito, quelle che avvenne nel 2009 quando Obama attaccò la Svizzera cercando di ottenere il rientro dei capitali americani in fuga verso la Svizzera; in realtà però l’America è un grande paradiso fiscale al cui interno esistono autentiche oasi per evasori come il Nevada, Puerto Rico, o il Delaware, per cui Obama chiedeva semplicemente ai capitalisti americani di riportare in patria i loro soldi, dove avrebbero potuto continuare ad evadere ma patriotticamente152.
Non meno rilevante è il problema del lavoro poiché questo sistema produce sempre meno lavoro mentre la popolazione aumenta ed i meccanismi di recupero della forza lavoro esuberante sono usurati irreversibilmente. Che fare? Nessuno lo sa e al più si propone di ridurre il costo del lavoro per rendere più appetibili le assunzioni dimenticando che il capitale può contrarre l’occupazione aumentando la produzione e dimenticando che la flessibilità salariale attuata in un mercato del lavoro stagnante o calante, è solo “flessibilità cattiva” che produce sottoccupazione e sottosalario, questo perché i lavoratori e le loro istituzioni si trovano in una situazione di debolezza contrattuale e devono accettare quello che passa il convento.
In una simili situazione si producono solo lettere di intenti che esprimono desideri privi di strumenti attuativi, documenti destinati al cimitero o al massimo annunci di carattere propagandistico.
Un tempo non era così: il XIX secolo fu caratterizzato da grandi conflitti tra due ipotesi di sviluppo il protezionismo e il libero scambio, entrambe queste ipotesi erano ipotesi di sviluppo capitalistico alternative come notò Marx153. Si trattava di scelte alternative ed incompatibili tra loro che portarono a conflitti terribili il più grave di tutti fu la guerra di Secessione americana, che fu la prima guerra dell’era industriale, la cui causa fu la ribellione del Sud alla tariffa protezionistica decisa dall’amministrazione Lincoln154. Lo Stato si muoveva nelle coordinate e nei parametri del capitalismo ma in quell’ambito faceva delle scelte che erano delimitate dalle esigenze dello sviluppo capitalistico: il capitale determinava il campo delle scelte del potere politico ma in quel campo il potere sceglieva e la scelta aveva un peso e delle conseguenze notevoli: senza il protezionismo non possiamo immaginare lo sviluppo degli USA dopo la tariffa Morril, del Giappone dopo la rivoluzione del 1868, dell’Italia dopo la tariffa del 1887, della Germania da Bismark in poi etc.
Lo stesso discorso può farsi per quello che avviene dagli anni ’30 in poi: i tentativi di pianificare il capitalismo (New Deal, nazismo e fascismo) fallirono, nessuno riuscì a realizzare il sogno di un capitalismo dallo sviluppo prevedibile e pianificabile, capace di dominare il ciclo economico e le crisi, epperò nacque il welfare state, che garantì uno sviluppo miracoloso fino al 1970 anche se con costi, contraddizioni, pause recessive.
Il fatto è che allora il capitalismo si sviluppava sia pure tra tensioni e contraddizioni per cui gli Stati, il potere politico, avevano alternative di scelta tra le varie ipotesi di sviluppo. Oggi non più perché lo sviluppo non c’è più, al massimo si ha un ristagno asfittico con un indebitamento crescente ed insostenibile accompagnato da grandi masse di occupati e sottoccupati. I problemi sul tappeto sono insolubili e nessuno Stato può inventarsi soluzioni di sviluppo inesistenti. In altre parole gli Stati non sanno più che pesci pigliare perché non ci sono più pesci da prendere.
C) Gli USA
Quanto sosteniamo può essere ulteriormente verificato analizzando i principali paesi o le aree dell’attuale capitalismo: ovunque lo Stato è impotente davanti alla “Grande Depressione” che viviamo.
In USA il PIL, come si è visto, ristagna, ed il debito federale cresce in modo esplosivo. Il prof. Roubini osserva che, potenzialmente, il PIL USA potrebbe crescere del 2,5-3% l’anno, ma l’attuale crescita è molto più bassa155; in realtà potrebbe crescere molto di più poiché nel 2011 il PIL USA cala di un -1,3% nel primo trimestre per impennarsi del 4,9% nell’ultimo trimestre, nel 2012 siamo ad un + 3,7% nel primo trimestre cui segue uno striminzito 1,2% nel secondo, nel 2013 siamo a 1,1% nel primo trimestre e a 2,5% nel secondo (dati su base annua). Come si vede l’economia USA può crescere anche del 5% circa in un trimestre, il guaio è che subito dopo il ritmo non tiene e si affloscia, ci troviamo in presenza di tipici rimbalzini da inventario passati i quali si ritorna al grigiore precedente156. Questo implica che il tasso di utilizzo degli impianti rimane inadeguato o basso con conseguente perdita degli investimenti che rimangono improduttivi157.
Quanto alla disoccupazione ad agosto 2013 sarebbe calata al 7,4%, secondo i dati ufficiali che abbiamo poc’anzi criticato considerandoli irreali, ma qui voglio aggiungere ulteriori considerazioni. Frugando tra i miei articoli passati sulla crisi ho scoperto che nel febbraio 2005, in USA, vengono creato 266.000 nuovi posti di lavoro e la disoccupazione cresce dello 0,2%158. Nel 2012 la disoccupazione cala lentamente ma si creano mediamente solo 183.000 posti di lavoro al mese159; nel giugno 2013 si creano 195.000 posti di lavoro e la disoccupazione è ferma al 7,6% il mese dopo 162.000 posti di lavoro e la disoccupazione cala al 7,4%, ad agosto 169.000 nuovi posti e siamo al 7,3%. Dati assurdi e misteriosi formalmente incomprensibili che si spiegano col fatto che gli scoraggiati (“missing men”) che hanno perso il lavoro e non lo cercano più non sono considerati disoccupati ma semplicemente scompaiono dalle statistiche del lavoro USA.
Come dico da anni queste statistiche sono fatte da struzzi per altri struzzi, le persone serie a cominciare dai Nobel Phelps e Krugman (o al prof. Rifkin) le trattano con sovrano disprezzo. C’è di più, i dati di luglio 2013 evidenziano anche che l’orario settimanale è ancora calato in USA si lavora solo per poco più di 34 ore settimanali160, il che significa che mediamente un lavoratore americano lavora per poco più di 4 giorni a settimana, in altre parole c’è chi lavora 44 ore settimanali e chi 20, 22, 25 etc. , la media è poco più di 34 ore, la forza lavoro è sottoutilizzata come sottoutilizzati sono gli impianti e questo avviene nel paese più ricco del mondo con la massima potenza tecnologica esistente.
Parallelamente il debito pubblico si impenna, abbiamo visto il dato del 2012 ma il sig. Lew, nuovo ministro del tesoro USA, dice che a ottobre 2013 raggiungeremo il tetto di 16.700 miliardi di dollari di debito federale, per cui bisognerà chiedere al Congresso una nuova autorizzazione per sforarlo, e questo malgrado Obama abbia fatto negli ultimi anni manovre lacrime e sangue161, l’ultima a febbraio di quest’anno con tagli generalizzati di ogni genere dalle spese militari ai parchi pubblici162.
È accaduto inoltre che in una pubblica manifestazione del 20.9.13 Obama abbia attaccato apertamente i repubblicani ricordando loro che l’America non è una repubblica bananiera che possa andare in default . In realtà varie entità pubbliche (municipalità, contee e sinanche uno Stato, il Minnesota) sono andate in default in USA ed uno Stato che non sia in grado di onorare i propri impegni fallisce, si chiami Nicaragua o USA; ciò che però, Obama voleva dire era che un default degli USA avrebbe conseguenze catastrofiche e si passerebbe da un 1929 strisciante e nascosto ad uno palese e devastante. Se il governo USA non paga più i buoni pasto o le indennità di disoccupazione assieme ai debiti che ha verso i propri fornitori, se taglia drasticamente le commesse che eroga all’industria, le conseguenze sarebbero immediate e disastrose. Il guaio è che in questa contesa i due contendenti hanno contemporaneamente ragione e torto. Ha ragione Obama nel dire che l’America non può fallire, sarebbe un disastro, la fine di un impero con ricadute su tutta l’economia mondiale; ma hanno ragione anche i repubblicani perché un debito di 16.700 miliardi che cresce di anno in anno come un torrente in piena, con un ritmo enormemente più elevato della crescita del PIL, è come un cancro irreversibile le cui metastasi si diffondono anno dopo anno, sicché la vita del paziente è sempre più a rischio.
Entrambi , però, hanno torto perché non propongono soluzioni valide al problema sul tappeto, soprattutto sul tema nodale dell’occupazione: la ricetta di Obama è fallita e quella dei repubblicani è la solita minestra riscaldata di stampo monetarista: meno spese pubbliche in modo da dilatare gli investimenti privati che rilanceranno produzione, occupazione e benessere. Romney durante la campagna elettorale del 2012 ha promesso agli americani milioni di posti di lavoro sin dai primi mesi del suo ipotetico governo, e questo più che un libro dei sogni ci sembra un delirio da ospedale psichiatrico: i repubblicani dimenticano che gli investimenti ormai non producono più occupazione ma disoccupazione e sottoccupazione e dimenticano, altresì, che la spesa statale non è uno spreco ma un sostengo all’economia capitalistica: i buoni pasto di 4,45 dollari al giorno e a persona significano domanda e consumi per cifre annue molto consistenti e lo stesso dicasi per le indennità di disoccupazione, se tagli queste spese tagli i consumi e quindi la dinamica dell’economia, lo stesso si può dire per i consumi pubblici come le spese per la scuola che si traducono in stipendi degli insegnanti e quindi in consumi, ed in commesse per le industrie fornitrici. In sostanza i repubblicani propongono una politica che avrebbe gli stessi effetti di un default e che è stata già sperimentata e sconfitta: nel 1981 Reagan cercò di tagliare la spesa ma siccome l’economia non reggeva si convertì, nel 1982, ad una politica opposta di spesa a sostegno dell’economia e come tutti sanno il rapporto debito federale-PIL si impennò dal 31,9% del 1981 al 50,99% del 1988; lo stesso avvenne con G. W. Bush e con Greenspan sotto la cui direzione il rapporto debito federale-PIL passò dal 57,34% del 2001 al 73,31% del novembre 2008163.
Un ulteriore nodo di contraddizioni dell’economia USA si colloca nell’ambito della politica della Fed che è uno dei capisaldi del governo dell’economia in USA. Da anni essa persegue una politica di sostegno che consiste anche nell’acquisto massiccio di bonds pubblici o collegati al mercato dei mutui al fine di sostenere l’economia: in altre parole si stampa carta moneta e si acquistano titoli, siano essi del debito pubblico che di imprese private; in questo modo si garantisce la copertura delle emissioni dei titoli pubblici a prezzi e a rendimenti accettabili e si sostiene l’economia privata in particolare il settore delicato dei mutui. Negli ultimi mesi nella Fed si è delineata una spaccatura tra coloro che intendono continuare il piano di acquisti (fino a 85 miliardi di dollari al mese) e chi vorrebbe contenerlo. In realtà la Fed può continuare ad acquistare i titoli che il mercato non acquisterebbe o acquisterebbe a prezzi molto più bassi, ma avendone già in portafoglio alcune migliaia di miliardi c’è il rischio alla lunga si trovi con un portafoglio titoli non collocabile sul mercato se non a prezzi stracciati. In Italia qualcosa di simile capitò alla Banca d’Italia nel 1931 che , dopo aver acquistato per anni titoli spazzatura , al fine di sostenere l’economia, si trovò con il portafoglio pieno di titoli che erano carta straccia, per cui correva il rischio di essere tecnicamente fallita. Il problema fu risolto con la creazione dell’IRI che acquistò a buon prezzo (per la Banca d’Italia) i titoli in questione, naturalmente qualcuno pagò per l’operazione: il contribuente italiano dalle cui tasche uscirono i soldi per costituire la dotazione dell’IRI. Ma è possibile in USA una soluzione simile alla nostra del 1931?
Assolutamente no. Un simile piano implicherebbe un costo di alcune migliaia di migliaia di dollari che si scaricherebbe sul consumatore americano già oberato di debiti164 e quindi implicherebbe una contrazione dei consumi già poco dinamici, in sostanza un rimedio peggiore del male; inoltre i repubblicani che controllano uno dei rami del Congresso (e condizionano il Senato) farebbero le barricate, ciò che poteva fare Mussolini non può fare Obama.
C’è di più il 20.9.13 la Fed ha spiazzato tutti affermando che il piano di lento e graduale rientro della politica degli acquisti e bonds (che tutti si attendevano) era rinviato a data da destinarsi, evidentemente l’economia americana non può fare a meno di una stampella di sostegno di 85 miliardi di dollari mensili. Questa posizione ha suscitato però le critiche di Warren Buffet famosissimo finanziere che però non è privo di atteggiamenti liberal, il quale ha rilevato che la Fed si comporta come un fondo speculativo ad altissimo rischio: il suo portafogli titoli è passato da 879 miliardi nel 2007 ai 3.600 attuali, ma i titoli in questione potrebbero devalorizzarsi esponendo la Fed a perdite anche di 500 miliardi poiché i tassi di interesse dei bond americani tendono a salire e per contro i loro prezzi tendono a deprimersi165. La preoccupazione di Buffet è tutt’altro che infondata poiché la situazione dell’indebitamento globale dell’economia americana è pesantissima: già nel 2009 tale indebitamento era vicino al 400% del PIL166 e da allora la situazione si è incancrenita, inoltre la concorrenza sul mercato mondiale per accaparrarsi i capitali necessari al finanziamento del debito pubblico dei vari paesi si sta acuendo per cui è prevedibile una crescita della concorrenza tra i paesi fondata sulla crescita dei tassi di interesse, è probabile quindi che titoli con tassi di interesse ritenuti bassi si devalorizzino. Come si vede la situazione dell’economia americana è un intrico di contraddizioni quanto mai esplosivo ed insolubile davanti al quale il governo, l’opposizione e la Fed sono del tutto impotenti, si procede per palliativi perché soluzioni strutturali, ipotesi di sviluppo praticabili non ne esistono.
D) Eurozona ed UE
La situazione in Europa, come arguibile dai dati sulla crescita del PIL, dopo il 2008 è sempre più pesante. A marzo 2013 l’ILO rileva che la disoccupazione nella UE a 27 è a 26 milioni contro i 10,2 milioni del 2008, e ancora una volta dobbiamo ricordare che questi dati sono pesantemente sottostimati. La disoccupazione giovanile a gennaio 2013 è al 24,4% nell’Eurozona e al 23,5% nella UE a 27 (Eurostat). Il debito e il deficit non accennano a calare, siamo a fine 2012 al 90,6% nella media dell’Eurozona per ciò che attiene il rapporto debito PIL mentre la media del rapporto deficit-PIL annuo è al 3,7%, ma anche i ricchi paesi del nord Europa o l’Inghilterra, estranea all’Eurozona, sono in una situazione difficile, la Germania, il paese più forte della UE ha un rapporto debito-PIL all’81,9% cresciuto di 1,5% rispetto al 2011 (Eurostat). Gli squilibri sono enormi e l’Eurostat riferisce che fatta base 100 il PIL procapite della UE a 27 siamo al 98 per l’Italia contro 108 (media Eurozona), 121 per la Germania, 271 per il Lussemburgo e il 47 per la Bulgaria (giugno 2013).
L’evasione fiscale è insultante: il commissario europeo Bailly afferma pubblicamente che le tasse evase sono pari a 1000 miliardi l’anno di euro167, cifra confermata da Barroso davanti al Parlamento europeo168.
Il fatto è che nessuno riesce a mettere in piedi una politica antievasione per i problemi che abbiamo già visto in precedenza parlando del G8, infatti il peso delle IM è immenso, secondo una recente indagine 387 colossi controllano 12.206 miliardi di dollari di fatturato con 32 milioni di addetti169, inimicarseli significa subire delocalizzazioni o sabotaggi delle aste dei bonds e gli Stati fanno a gara per ingraziarseli proprio dal punto di vista fiscale, così a maggio 2103 vari giornali pubblicano che la Fiat e la Apple mettono le loro sedi a Londra, dove si pagano meno tasse e tutti ricordano come quando Hollande minacciò la tassa del 75% sui redditi più elevati, altri paesi europei, dall’Inghilterra al Belgio si offrirono come rifugio ai poveri capitalisti espropriati da Stalin-Hollande. Avviene inoltre che la Tobin tax, che avrebbe dovuto partire nel 2013, viene rinviata di 6 mesi per mancanza di accordo tra i governi, qualcuno dice che è una tassa morta ancor prima di nascere170.
Ora se i bilanci soffrono (e tutti soffrono) a causa dell’evasione fiscale non hai mezzi per fare una politica seria e consistente, per sostenere i consumi, per aumentare i posti di lavoro etc.171; si delinea anzi un circolo vizioso, siccome i bilanci sono in deficit sei ricattabile e non puoi lottare contro gli evasori fiscali, che potrebbero non sottoscrivere le emissioni dei bonds, per cui finisci all’arrenderti all’evasione fiscale.
E se l’evasione fiscale dilaga , dilaga anche la corruzione che è la sua sorella gemella: a fine 2012 la Commissione europea pubblica i dati sul peso della corruzione e dell’economia sommersa nei principali paesi dell’Eurozona172.

Come si vede la tesi che l’Italia sia un paese eccezionalmente corrotto è campata in aria, la corruzione è un fenomeno generale e la UE impotente contro di essa come contro l’evasione fiscale. Degli Stati deboli, ricattabili finanziariamente e cioè a sovranità economica limitata, non possono fare una politica forte contro la corruzione, ammesso che questo nel capitalismo sia possibile173.
Ma chi non ha soldi non può fare nessun tipo di politica economica autonoma nel campo del lavoro e nella lotta agli squilibri: senza carburante non ti muovi. Così alla UE non rimane che fare l’unica politica che può fare: porre vincoli di bilancio “austeri” ai singoli paesi senza proporre alcuna soluzione positiva; eppure questa politica folle viene sempre più criticata sinanche il capo economista dell’OCSE prof. Padoan ne rileva l’assurdità174. Con i conti in ordine non crei posti di lavoro ma al massimo avrai la soddisfazione di affondare con i conti in ordine come capitò ad Hoover nel 1932, e c’è il rischio che alla fine neanche i conti siano in ordine perché se la ripresa non riparte e l’economia continua a ristagnare, le entrate fiscali si contraggono e i conti possono ritornare in rosso, cosa che sta accadendo nella UE.
Anche nella UE gli Stati e quel minimo di potere sovrannazionale creato con i vari trattati europei sono paralizzati ed impotenti, nessuno opera scelte di alternative di sviluppo perché alternative non ce ne sono.
E) Cina e Giappone
La Cina è chiaramente in fase di decelerazione, al punto più basso degli ultimi 13 anni la tabella che segue illustra chiaramente la tendenza in atto175

I dati si commentano da sé e alle anime candide per cui un 7% è tanto, ricorderò che per la Cina il 7% è poco: infatti l’indice PMI che monitora lo sviluppo di industria e servizi contiene un dato spartiacque che è 50, al di sopra c’è lo sviluppo al disotto il ristagno o la recessione, ebbene nel corso del 2012 e nella prima metà del 2013 questo indice si è collocato nella maggior parte dei casi sotto 50176, in altre parole l’1 % di sviluppo americano o tedesco ha ben altro valore di un 5-6% cinese177. La Cina, dunque, è vicinissima al ristagno e le previsioni di un rapporto fatto per conto del governo cinese dicono che negli anni prossimi saremo ad un tasso di sviluppo del 6,5%178 il che significa ristagno stabile, sempre che il paese non abbia una frenata di tipo indiano che non può escludersi, peraltro siamo lontanissimi dal picco del 14,2% del 2007. E questo ragionando sempre e solo in termini quantitativi poiché è noto che la qualità cinese è molto bassa spesso formata da falsi grossolani179, e questo è normale per un paese che ha una produttività media pari al 5% di quella dei paesi avanzati, con punte massime di appena il 15%180. E qui si pone il nodo insolubile dell’economia cinese: raggiungere l’occidente significa produrre con la nostra produttività, ma farlo, lo rilevo da anni, significherebbe rendere “esuberanti” 700 milioni di lavoratori cinesi181. Impensabile.
Inoltre il debito delle famiglie e delle imprese è al 207% del PIL182 ed è altresì in crescita il debito pubblico183, in altre parole la situazione debitoria della Cina si avvicina a quella dei paesi di capitalismo avanzato pur avendo la Cina stessa un PIL procapite molto più basso di quello dei paesi ricchi.
Anche qui ci troviamo ad un groviglio di contraddizioni assolutamente inestricabili per il governo cinese che non è meno impotente dei governi democratici. Cambia solo la fenomenologia della crisi: in Occidente assistiamo a conflitti e lacerazioni e ad un’instabilità estrema (le fibrillazioni della nostra politica, oppure Obama che deve vedersela con l’ostruzionismo repubblicano al Congresso), mentre in Cina un governo autoritario siede immobile sui propri problemi senza sapere come affrontarli e senza affrontarli: cambia la fenomenologia ma l’impotenza è la stessa.
Infine il Giappone. Paese che viene da 15 anni di ristagno di cui 5 con sviluppo negativo. Il premier Abe lancia la politica delle massicce iniezioni di liquidità e della sottovalutazione dello yen per sfondare sui mercati mondiali. Il prof. Sachs, consulente del segretario generale dell’ONU, è un estimatore del premier giapponese, ma la sua speranza nella politica di Abe ci sembra decisamente malriposta. Innanzitutto il fine di Abe è uno sviluppo dell’1-2% nei prossimi 10 anni e cioè una crescita modesta e moderata e le stime OCSE per il 2013 non sono esaltanti mentre il debito pubblico è arrivato al 240% del PIL (record mondiale)184. Inoltre puntare sui mercati mondiali mentre l’economia ed i consumi globali ristagnano non sembra una soluzione esaltante (il calo del PIL cinese sbilanciato verso le esportazioni è indicativo), anche perché se tieni lo yen basso riduci anche le potenzialità dei consumi interni dei lavoratori giapponesi, e quindi perdi all’interno quello che potresti guadagnare all’estero185.
C’è poi da considerare che per essere competitivi all’estero devi potenziare la tecnologia, che nel capitalismo deprime l’occupazione, oppure puoi imporre salari da fame come in Cina ma anche questa soluzione deprime i consumi interni. Nel caso di un paese tecnologicamente avanzato come il Giappone, la soluzione più logica è quella della competitività fondata sulla tecnologia e sulla produttività; il guaio è che però una simile soluzione urta con la necessità di espandere l’occupazione, in Giappone infatti, come già abbiamo notato, la disoccupazione supera di poco il 4% semplicemente perché c’è una massa enorme di donne (18-20 milioni) che viene chiamata pudicamente “inattiva”. Un paio di anni fa la Banca mondiale attribuì al Giappone il 74° posto nel mondo per l’occupazione femminile, sinanche dietro all’Italia (il che è tutto dire) e nell’intervista al prof. Sachs l’intervistatore gli fa notare che per quel che concerne il rapporto pari opportunità uomo-donna il Giappone è al 101° posto nel mondo su 135 paesi censiti186. Il prof. Sachs osserva che però le donne sono una risorsa se, infatti, la loro occupazione si avvicinasse ai livelli maschili, il PIL giapponese crescerebbe del 15%187.
Verissimo, anche da noi se l’occupazione femminile fosse a livello di quello maschile avremmo lo stesso risultato; a livello mondiale se il 50% della forza lavoro non fosse sottoccupata potremmo raddoppiare il PIL e così via elencando. Diceva Gaetano Salvemini: “Se mia nonna avesse avuto il trolley sarebbe stata un tram”. In altre parole se dai per scontato che i problemi si possano risolvere e trasformi la possibilità in realtà hai risolto il problema, chi però avanza queste ipotesi dovrebbe avere l’accortezza di spiegare come queste ipotesi possono concretamente realizzarsi: se in Giappone l’occupazione femminile è depressa, qualche motivo ci sarà e presumibilmente ciò sarà dovuto, in Giappone come in altri paesi, al carattere estremamente capital intensive e labour saving della produzione, sostanzialmente le donne pagano il prezzo di un sistema che produce sempre di più con meno addetti, che è un problema mondiale. Nel caso del Giappone poi la scelta di essere competitivi a livello mondiale puntando sulle esportazioni non può che spingere quel paese ad esasperare l’uso della tecnologia e della competitività. Anche nel caso del Giappone le politiche proposte sono armi spuntate prive di qualunque prospettiva. In occidente come in oriente gli Stati hanno esaurito le munizioni e rimangono seduti sulla loro impotenza.
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