
Resto fermo nella convinzione che
un’efficace lotta contro il sistema di dominazione e sfruttamento
europide, tassello importante della globalizzazione neoliberista, potrà
avvenire solo se gruppi politici con un piede dentro il sistema si
ribelleranno, rischiando l’osso del collo, e scardineranno il sistema
dall’interno. Rivoluzioni “di popolo”, dalla Grecia alla Danimarca
passando per l’Italia, in questo momento storico sono altamente
improbabili. Tanto meno potranno bastare le elezioni, per un parlamento
come quello europoide che ha una semplice funzione di controllo “di
democraticità” sulla famigerata commissione – organo esecutivo di prima
importanza che promuove le leggi – che deve esaminarne le proposte
legislative, approvare il bilancio con il consiglio unionista e
istituire, se del caso, le commissioni d’inchiesta. Essendo molto
ottimisti, il parlamento in questione è al più “colegislatore”. Più
realisticamente, un ausiliario della commissione in ambito legislativo.
Questo parlamento monco di funzioni non può fare cose d’importanza
vitale, come modificare i trattati-capestro e nominare la commissione,
la cui “proposta” di nomina, nella persona del presidente che poi nomina
i commissari, spetta al consiglio europeo ed è sottoposta alla
(scontata) approvazione parlamentare. Fra l’altro, anche il presidente
della bce – l’organo europide importante almeno quanto la commissione – è
nominato dal consiglio europeo.

Il vero problema che abbiamo davanti non è
“cambiare l’Europa” tenendo in vita il sopranazionale, perché il
sistema è immodificabile e funziona a dovere così com’è. Essendo stato
concepito dalla grande finanza che diventava egemone nel mondo e voleva
imporre i suoi interessi privati. Attivato una prima volta il 1°
novembre 1993 (entrata in vigore del trattato di Maastricht), ha
conosciuto un grande sviluppo nei decenni successivi con bce, moneta
unica e trattati per fottere i popoli europei e mettere sotto gli stati
nazionali (soprattutto quelli con evidenti “debolezze” come l’Italia).
Il vero problema è semplicemente questo:
scardinare le porte dell’eurolager, facendo collassare tutto l’impianto
di potere unionista, per consentire ai popoli di uscirne e salvarsi.
Scritto quanto precede, è bene sottolineare una volta di più che non si arriverà mai alla liberazione dei popoli d’Europa:
(1) Semplicemente grazie agli esiti
elettorali per il rinnovo del parlamento di Bruxelles, Strasburgo e
Lussemburgo, sempre che non siano assolutamente clamorosi.
(2) Fidando su un’improvvisa
rivoluzione “dal basso”, scatenata dagli effetti delle politiche di
austerity, perché questa dovrebbe riguardare non un popolo isolato, ma
una pluralità di popoli che dovrebbero agire in modo coordinato e
organizzato, contro il mostro sopranazionale, sulla base di programmi
politico-strategici coerenti.
La chiave del problema può essere la
comparsa sulla scena di gruppi e personalità politiche antagoniste, ma
(almeno) parzialmente interni ai sistemi politici liberal-democratici,
che si oppongano con chiarezza, durezza e determinazione – non solo in
campagna elettorale – al complessivo progetto europoide. Questo deve
accadere non in un solo paese, per quanto importante possa essere (come,
ad esempio, la Francia), ma in un buon numero di stati soggetti
all’euro, o comunque inglobati nell’unione. Se l’affermazione del
socialismo è stata possibile in un solo paese, la Russia sovietica
isolata e assediata (prima che diventino socialcomuniste anche la
Mongolia e poi la Cina), in questo passaggio storico non è possibile
un’affermazione anti-europoide in un solo paese. Le tessere del mosaico
devono cadere rapidamente una dopo l’altra, altrimenti il paese
“ribelle” potrà essere isolato con un ferreo cordone sanitario,
destabilizzato e punito severamente (com’è accaduto per l’Iraq, la
Serbia, la Libia, la Siria).
Si dirà, a tal proposito, che in Francia
c’è Marine Le Pen con il suo FN in costante ascesa, in Ungheria Viktor
Orban e la Fidesz al momento imbattibili, in Inghilterra Nigel Farage
con il suo UKIP sulla strada del successo elettorale. Eccetera,
eccetera. Ma trovare un minimo comun denominatore politico fra questi
gruppi, molto legati alle specificità e alle istanze delle nazioni di
appartenenza, pare un’impresa difficile. Anche per una grande statista
del calibro di Marine Le Pen – per quanto “figlia d’arte” inserita nel
sistema liberaldemocratico dei mediocri. Nonostante la comune avversità
all’euro e all’unionismo elitista, le vecchie differenze di ordine
politico-ideologico fra questi gruppi sembrano riproporsi ancora.
Ovviamente ci sono, previsti in crescita di consensi, anche i falsi
oppositori, collusi con l’unionismo e favorevoli alla permanenza
nell’euro, come le liste “di sinistra” che si richiamano al greco
Tsipras. Una sorta di quinta colonna nell’”euroscetticismo”, che produce
liste civetta per scongiurare il pericolo di una rottura dei patti
unionisti. Poi c’è Grillo, in Italia, che in vista delle europee sfrutta
sapientemente i temi dell’Europa unita, dei trattati e dell’euro, anche
se questi non sono i suoi cavalli di battaglia originari. Il punto è
che procedendo in ordine sparso, con l’orizzonte rigorosamente limitato
alla dimensione nazionale, non si andrà da nessuna parte, perché il
nemico è troppo potente e ancora ben saldo.
Grandi attese e grandi timori si
diffondono, in vista dell’esito elettorale di maggio. Oltre al segnale
dato da un buon incremento degli “euroscettici”, nei recenti
appuntamenti elettorali in Francia e Ungheria, c’è però ben poco d’altro
da segnalare. Costoro, pur con decine di deputati (poniamo sessanta o
settanta, o anche di più) saranno isolati in un parlamento che manterrà
una maggioranza assoluta euroserva. Se il parlamento europide conta
quasi un cazzo – avendo al più la funzione di controllare e approvare
quello che altri, non eletti dal popolo, hanno deciso – i parlamentari
euroscettici conteranno meno di un cazzo. Questa è la triste realtà.
Bisognerà attendere che le forze cui fanno riferimento dilaghino nei
paesi d’origine, vincendo le elezioni politiche nazionali (le
presidenziali francesi si terranno nel 2017), mettendo in minoranza gli
euroservi, e che da lì parta la demolizione effettiva dell’impianto di
sfruttamento europoide. Data la situazione socioeconomica e le urgenze
che questa pone, si potrebbe dire, sconfortati, campa cavallo che l’erba
cresce! Ma i tempi richiesti dalla storia, per produrre cambiamenti di
rilievo, non rispettano le nostre attese e i nostri desideri. L’unica
possibilità è una clamorosa quanto improbabile vittoria, nelle elezioni
di maggio, dei vari Farage e Orban, e delle varie Le Pen. Clamorosa fino
all’inverosimile, conquistando ben oltre la metà dei 751 seggi in
palio. In quel caso, ma solo in quel caso, i suddetti potrebbero mettere
i bastoni fra le ruote della commissione e tentare di sfiduciarla,
anche se per questo è prevista una maggioranza qualificata quasi
bulgara.
Che nessuno si faccia troppe illusioni, perché non mancano meno di due mesi al collasso dell’unione e dell’euro!
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