La ERI prevede un aumento temporaneo della presenza militare americana in Europa orientale, maggiore partecipazione nell’addestramento e nelle esercitazioni dei Paesi coinvolti – Polonia in primis -, invio di consulenti militari e dispiegamento di unità navali nel mar Nero e nel mar Baltico. Obama ha inoltre annunciato il sostegno degli Stati Uniti a Georgia e Moldavia per il potenziamento delle rispettive capacità militari.
La decisione statunitense di agire in solitaria appare ad ogni modo un’ingerenza negli affari europei che – sebbene necessaria – potrebbe avere due ripercussioni: inasprire i rapporti con Mosca, che molto probabilmente percepirà l’aumento della presenza americana come un affronto diretto e sottolineare, ancora una volta, la condizione di subalternità dell’UE, che nel lungo periodo potrebbe causare problemi anche agli stessi Stati Uniti. L’UE non si è ancora pronunciata sulla nuova iniziativa statunitense. Qualora non dovesse criticare questo modo di agire di Washington, sarebbe però essa stessa responsabile della propria posizione di subordine, oltre che del logorio della propria credibilità interna.
Le relazioni in ambito sicurezza e difesa con gli Stati Uniti e con la NATO, hanno sempre visto i Paesi europei in una condizione di inferiorità, data anche la mancanza di volontà politica unitaria da far pesare sui tavoli decisionali. Una certa animosità europea si era registrata già in occasione del conflitto in Iraq nel 2003. Secondo Vittorio Emanuele Parsi, ordinario di Relazioni Internazionali all’Università Cattolica di Milano, nonostante la relazione transatlantica abbia conosciuto una fase critica di riassestamento a seguito dell’intervento in Iraq, è ancora possibile pensare all’Occidente come ad un sottosistema internazionale fondato sulla democrazia e sul mercato. Un sottosistema altamente istituzionalizzato e pacificato che rappresenta una vera e propria comunità di sicurezza libera da prospettive di guerra interna o regolazione violenta di possibili controversie.
Le relazioni UE-USA-NATO, dunque, sono da salvaguardare non tanto per le conseguenze pratiche che esse implicano, ma soprattutto per la condivisione di valori considerati da tutti i cittadini occidentali come inalienabili, su tutti libertà e democrazia. L’UE però non può continuare ad accettare passivamente un’alleanza che la subordina palesemente agli Stati Uniti, attore sempre più scomodo a causa della sua politica estera dissennatamente assertiva.
Il fatto, poi, che oggi gli Stati Uniti siano maggiormente impegnati in Asia e nel Pacifico doveva costituire la possibilità per l’UE di rinegoziare i propri rapporti con l’alleato, garantendo contestualmente dei vantaggi anche a Washington: se gli Stati Uniti ricalibrassero le proprie pretese nei confronti dell’Europa, sorpassando le “3D” del Segretario di Stato Madeleine Albright, di certo troverebbero nell’UE un alleato meno succube e si libererebbero della responsabilità di intervenire in Europa nei momenti di difficoltà.
La costruzione, in sostanza, di una nuova NATO basata su due grandi attori, gli Stati Uniti e l’UE, sarebbe un vantaggio per tutto l’Occidente. Gli Stati Uniti dovrebbero capire che solo responsabilizzando l’UE potrebbero spingerla ad investire di più in ambito militare, destinando invece le proprie risorse ad altri settori. Se nel lungo periodo vorranno tenere ancora in piedi la NATO, dovranno necessariamente concedere maggiori poteri all’Europa, che dovrebbe finalmente cominciare a camminare con i propri piedi. Se un bastione europeo nella NATO deve esistere, il suo centro decisionale deve essere Bruxelles, non più Washington.
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