In questa situazione appassionarsi ai decimali sarebbe assurdo, tanto
più che il Fiscal compact incombe. E così, poco alla volta, ma oramai
con una evidente accelerazione, una verità va facendosi strada nei
pensatoi del blocco dominante. Di cosa si tratta? Della consapevolezza
che il debito pubblico italiano ha raggiunto ormai la soglia
dell'insostenibilità, che non è più possibile affrontarlo con le
ordinarie politiche austeritarie, che dunque misure eccezionali si
impongono.
Breve digressione. Il concetto di «insostenibilità», che qui adopero,
non ha ovviamente un valore assoluto. Ce l'ha invece nel quadro dato del
«capitalismo-casinò» ed in assenza di sovranità monetaria. Non è dunque
un concetto scientifico, ma solo una valutazione realistica rispetto
alla concreta configurazione dell'attuale situazione italiana.
Come hanno rilevato Michele Fratianni, Paolo Savona ed Antonio Maria
Rinaldi, in uno studio dell'aprile 2013, c'è discussione su quale sia la
soglia della «sostenibilità». C'è chi ritiene che debba situarsi al 90%
nel rapporto con il Pil, chi addirittura al 60% (come l'UE), chi
predilige valori intermedi. In ogni caso i tre economisti citati non
mostrano alcun dubbio sul fatto che tale soglia esista e che l'Italia
l'abbia superata da tempo.
L'affannosa ricerca di una via d'uscita sistemica
Ecco perché nei palazzi della finanza, come in quelli della politica, si
lavora alacremente alla ricerca di una via d'uscita. Ma non di una vera
via d'uscita, che porterebbe a mettere in discussione troppe cose:
dall'Ue all'euro, dalle politiche liberiste alla logica mercatista che
presiede ad ogni scelta politica di governi fatti con lo stampino del
pensiero unico.
No, la via d'uscita di lorsignori ha da essere di tipo sistemico. Non
deve mettere in discussione gli assetti del potere, e non deve neppure
scalfire gli interessi economici delle oligarchie finanziarie. Una via
d'uscita che non fuoriesca dai meccanismi che hanno prodotto la crisi,
ma che - ancora una volta - privatizzi i guadagni e socializzi le
perdite.
E' questo lo scopo del cosiddetto «Fondo Tagliadebito» di cui si discute
in queste ultime settimane. Un fondo da 300 miliardi secondo Marco
Carrai, l'amicuccio presta-casa di Renzi, quello che ama viaggiare
sull'asse Tel-Aviv - Firenze - New York. Da 400 miliardi secondo l'ex
presidente dell'Eni, Roberto Poli, di cui ci siamo occupati nell'
articolo già citato. Addirittura da 1.000 miliardi (mille) secondo l'ineffabile Paolo Savona.
Per capire di che cosa si tratti diamo la parola proprio a Savona, l'ex
ministro dell'industria del governo Ciampi che siede anche nel Comitato
scientifico dell'associazione bagnaianaA/simmetrie. Intervistato dal Corriere della Sera del 10 agosto, ecco la sua ricetta:
«Bisognerebbe
infilare in quel fondo tutti gli immobili dello Stato, ma anche quelli
degli enti locali. E conferirgli anche le partecipazioni azionarie,
perché no? Un unico strumento, una "New.Co." con un patrimonio che a
quel punto superebbe i mille miliardi di euro, da mettere a garanzia
dell'operazione di sistemazione del debito. Il ricavato della cessione
delle quote del Fondo servirebbe per riacquistare i titoli di Stato».
Ora, Savona la spara un po' grossa, spostando l'asticella dai 400 ai
1.000 miliardi, ma ha il merito di dirla tutta. Se svendita ha da
essere, egli dice, la si faccia fino in fondo, mettendo nel paniere la
parte più succulenta (le partecipazioni azionarie) e non solo il meno
appetitoso patrimonio immobiliare.
Ecco che cosa è davvero in gioco: la svendita integrale di quel che resta di un patrimonio pubblico già largamente saccheggiato.
Lorsignori sanno benissimo che la via dell'austerità non può funzionare.
Sanno anche che l'unica vera via d'uscita sarebbe quella della
riconquista della sovranità monetaria, unica via per ridurre in maniera
consistente il debito con un mix fatto di monetizzazione/inflazione e
default controllato. Ma tutto ciò non si può fare restando nella gabbia
dell'euro. E in quella gabbia loro ci stanno piuttosto bene.
Ecco allora la loro proposta. Una misura eccezionale, questo sì, ma
ritagliata su misura sui loro interessi. Tutto dunque già deciso? No,
perché c'è un problema. Lorsignori non sono così sicuri che il Fondo
possa davvero funzionare.
Funzionerà?
«Si fa, si fa», questo l'entusiastico incipit dell'articolo di Milano Finanza del
9 agosto che annuncia la lieta novella. Lieta, ovviamente, soprattutto
per il mondo degli speculatori ai quali il giornale si rivolge. Carrai,
che proprio su MF era
già intervenuto qualche giorno prima per lanciare la sua proposta, lo
denominerebbe «Fondo Patrimonio Italia». Ma già qualcuno lo vorrebbe
chiamare invece «Fondo degli italiani». Un nome che piacerà senz'altro a
Renzi.
Le cose, tuttavia, non sono così semplici. Abbiamo già detto all'inizio
che quello in corso è un vero e proprio dibattito. Una discussione tutta
interna al blocco dominante. Tra i sostenitori di una misura shock
c'erano anche i fautori di una maxi-patrimoniale, ma oggi costoro sono
in palese ritirata. E così la via del «Fondo» ha preso quota. Non tutti,
però, scommettono sui suoi effettivi risultati. Anzi.
Clamoroso è il caso del ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan. Costui, intervistato dalSole 24 Ore del 6 agosto, mostra tutto il suo scetticismo. Leggiamo: «ma
qual è il patrimonio di cui parliamo? Che cosa spinge a immaginare che
sia marketable (vendibile, ndr) così com'è un patrimonio che invece
richiederebbe lavori di riqualificazione importanti e onerosi?».
Nella sua intervista Padoan ribadisce la strada delle privatizzazioni.
Un obiettivo che è già nel programma di governo e che non richiede alcun
fondo particolare. I dubbi di Padoan si incentrano invece sul fondo
immobiliare, ed hanno probabilmente due motivazioni: una tecnica,
l'altra politica.
Quella tecnica affonda le sue radici nell'esperienza. Tante volte è
stata ipotizzata la valorizzazione del patrimonio immobiliare ed
altrettante volte il buco nell'acqua è stato clamoroso. L'ultima
esperienza è quella dell'Invimit Sgr, fondo costituito nel maggio 2013
dal governo Letta proprio a tale scopo. Ora, a 15 mesi di distanza, e
dopo che sono confluiti in questo fondo gli immobili dell'Inail,
dell'Inps, della Regione Lazio, delle Università e della Difesa, siamo
ancora nella fase di selezione per stabilire quali siano quelli
vendibili e quelli da dismettere. Se tutto andrà liscio la fase di
vendita inizierà tra un anno. Valore ipotizzato: 1 miliardo. Campa
cavallo! Da 1 a 400 la distanza è enorme, da 1 a 1.000 giudicate voi.
Se il dubbio tecnico è facilmente spiegabile, quello politico è forse
più importante. Padoan probabilmente sa che l'Europa non la berrebbe.
Certo, gli eurocrati sarebbero ben felici di avere uno strumento in più
per accelerare le privatizzazioni, ma non crederebbero mai alle cifre
sparate da Carrai, Poli e Savona. Sicuramente Juncker direbbe
«bravissimi, ma non basta», disegnando una situazione non troppo agevole
per il governo italiano.
La furbata
Dunque, si farà o non si farà questo fondo?
Tra il non far niente ed il fare qualcosa di risolutivo c'è
evidentemente una via di mezzo. Che questo fondo possa risolvere la
questione del debito pubblico, rendendolo «sostenibile», lo possiamo
tranquillamente escludere. Che con questa trovata l'Europa allenti i sui
vincoli idem. C'è però un'altra possibilità, che essendo di gran lunga
quella peggiore ha purtroppo buone possibilità di realizzazione.
In breve, il risultato potrebbe essere quello di una s(vendita)
colossale, e pur tuttavia incapace di ridurre in maniera significativa
il debito. Ai 400 miliardi annunciati ne potrebbero corrispondere alla
fine magari 50. In ogni caso una cifra assai modesta, rispetto ai 2.168
miliardi di debito certificati proprio oggi da Bankitalia. Modesta anche
perché l'operazione vendita avrà comunque bisogno di un certo numero di
anni.
E tuttavia questa operazione un senso ce l'ha. Anzi ne ha due. Il primo è
quello di far felici gli avvoltoi di tutto il mondo, quelli ad esempio
amici del sig. Carrai, ma non solo quelli. Il secondo è quello di
offrire un qualche margine di manovra a Renzi. Stretto nella morsa tra
la sua propaganda (l'austerità è finita...) e i vincoli europei che
chiedono lacrime e sangue più di prima, Renzi potrebbe fare del fondo la
sua mossa del cavallo. Di certo una mossa non risolutiva, anzi
sostanzialmente una furbata, ma che potrebbe consentirgli di prendere
tempo. Che ad oggi, vista la pressione di Draghi e di quel che
rappresenta, è forse il massimo al quale il berluschino fiorentino può realisticamente aspirare.
Nessun commento:
Posta un commento