Ttip: che cos'è il trattato transatlantico di libero scambio
Da un anno USA e UE studiano un trattato di libero scambio che si propone di alimentare in maniera massiccia la crescita economica. Ma a quale prezzo?
Europa e Stati Uniti un giorno potrebbero essere la più grande area di libero commercio del mondo. "Ecco cosa fanno gli eurodeputati a Bruxelles, lavorano al trattato" potrebbe pensare chi si chiede in che cosa consista il lavoro del Parlamento Europeo. No, niente di tutto questo: il cittadino curioso può continuare a domandarsi cosa succeda in Belgio o a Strasburgo, perché il TTIP (Transatlantic Trade and Investment Partnership) è messo a punto in tutt'altra sede, dove si incontrano tecnici e lobbisti.
In estrema sintesi il TTIP si prefigge di abbattere le barriere doganali, unificare gli standard e in generale liberalizzare al massimo il mercato tra le due maggiori potenze occidentali: USA e Unione Europea. Le imprese al di qua e al di là dell'Atlantico potrebbero, grazie al trattato, vedere aumentare a dismisura la clientela potenziale in numerosi ambiti che oggi sono preclusi gli uni alle altre. I più ottimisti (come
Matteo Renzi e Confindustria che hanno entusiasticamente promosso il progetto) prevedono punte di crescita economica oltre il 4% (per la Germania per esempio) e in ogni caso individuano nel TTIP il "programma congiunturale meno caro che si possa immaginare" come ha detto il presidente uscente della Commissione Europea Barroso. Il trattato potrebbe essere l'antidoto definitivo alla crisi?
I dubbi sono così tanti che ci viene voglia di rispondere, già ora, di no. Innanzitutto i lavori preparatori finiranno nel 2016 e l'accordo dovrà poi essere ratificato dai Parlamenti statunitense e europeo: la crisi va risolta il prima possibile, aspettare altri due-tre anni potrebbe essere esiziale per certe economie deboli (come quella italiana). In secondo luogo sembra piuttosto illogico che una crisi generata dalla deregulation più sfrenata (seppur riferita all'ambito finanziario) possa essere risolta da un'ulteriore accelerazione nella direzione del liberismo. In terza istanza, il "benessere transatlantico" ha bisogno di democrazia, sempre celebrata dai governi quando si tratta di sostenerla a casa degli altri (vedi Siria, Ucraina, Hong Kong): purtroppo il TTIP è allo studio tra attori per nulla investiti del mandato popolare, per giunta durante sessioni di trattative segrete.
Le controindicazioni politico economiche non sono le sole sollevare sospetti nei confronti del TTIP: le
ragioni sanitarie-ambientali creano molto più allarme e, in certi casi, lasciano sconcertati. Valga su tutti l'esempio della carne statunitense, prodotta "pompando" il bestiame con ormoni vietati in Europa e sterilizzata con sostanze che da noi non sono ammesse: l'eventuale entrata in vigore del TTIP ci obbligherebbe di fatto ad accogliere le bistecche americane nei nostri supermercati. L'unica difesa che a quel punto potrebbe sfoderare il consumatore è non comprarle. Ma si sa che il mercato è molto convincente, quando vuole.
Si potrebbe obiettare, a rigor di logica, che un trattato commerciale non può modificare la legislazione di un singolo stato, né dell'intera Unione Europea (il tutto vale in senso opposto anche nei confronti degli USA, che non vorremmo fossero interpretati come i cattivoni che vogliono obbligarci a comprare i loro prodotti: le banche europee, oggi molto più aggressive di quelle Usa, guardano fameliche i grandi capitali a stelle e strisce). E' qui che casca l'asino: il TTIP sarà (sarebbe) un trattato internazionale, avrebbe insomma dignità massima come fonte di diritto, superiore a quella delle singole Costituzioni. Se uno stato si opponesse a un punto del trattato o se viceversa fosse un'impresa a "trascinare in tribunale" un entità statuale, i due contendenti si troverebbero di fronte a un tribunale arbitrale, un collegio di giudici "privati" nominati dalle due parti (magari temperati da qualche altro membro probabilmente individuato dalla Banca Mondiale o dal WTO). Insomma a decidere cosa finirà nei banchi del supermercato dove facciamo la spesa tutti i giorni potrebbero essere dei signori che risponderebbero a interessi parziali e che soprattutto non avrebbero alcuna legittimazione democratica come quella che le Costituzioni garantiscono alla magistratura.
Quello che le tecnocrazie (mai termine fu più appropriato, stavolta) di Bruxelles e Washington stanno cercando di propinarci è un mondo dove l'ultima parola ce l'ha il soggetto (di solito una multinazionale) più ricco. Finora è stato così di fatto. Da domani potrebbe esserlo di diritto.
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