la polemica non è un male, è solo una forma di confronto crudo sincero, diciamo tutto quello che pensiamo fuori dai denti, e vediamo se riusciamo a far venir fuori le capacità di cui siamo portatori e spenderle per il Bene Comune. Produrre, organizzare, trovare soluzioni, impegnarci a far rete, razionalizzare e mettere in comune, attingere alle nostre risorse. CUI PRODEST?
L'albero della storia è sempre verde
L'albero della storia è sempre verde
"Teniamo ben ferma la comprensione del fatto che, di regola, le classi dominanti vincono sempre perché sempre in possesso della comprensione della totalità concettuale della riproduzione sociale, e le classi dominate perdono sempre per la loro stupidità strategica, dovuta all’impossibilità materiale di accedere a questa comprensione intellettuale. Nella storia universale comparata non vi sono assolutamente eccezioni. La prima e l’unica eccezione è il 1917 russo. Per questo, sul piano storico-mondiale, Lenin è molto più grande di Marx. Marx è soltanto il coronamento del grande pensiero idealistico ed umanistico tedesco, ed il fondatore del metodo della comprensione della storia attraverso i modi di produzione. Ma Lenin è molto di più. Lenin è il primo esempio storico in assoluto in cui le classi dominate, sia pure purtroppo soltanto per pochi decenni, hanno potuto vincere contro le classi dominanti. Bisogna dunque studiare con attenzione sia le ragioni della vittoria che le ragioni della sconfitta. Ma esse stanno in un solo complesso di problemi, la natura del partito comunista ed il suo rovesciamento posteriore classistico, individualistico e soprattutto anti- comunitario" Costanzo Preve da "Il modo di produzione comunitario. Il problema del comunismo rimesso sui piedi"

sabato 29 marzo 2014
solo degli imbecilli non puntano sul South Sream, il gas Russo
il demagogo Pd non riesce neanche a fare gli interessi del Capitalismo italiano nel mondo
140,6 miliardi
CINA: ACCORDO CON BUNDESBANK, FRANCOFORTE DIVENTA CENTRO PER RENMINBI
(Il Sole 24 Ore Radiocor) - Milano, 28 mar - Le Banche centrali di Cina e Germania - PboC e Bundesbank - hanno siglato un dichiarazione di intenti per cooperare nel 'clearing' e il regolamento di pagamenti denominati in renminbi, la valuta cinese. La piazza di Francoforte diventa cosi' il secondo centro finanziario fuori dall'Asia per questo tipo di pagamenti al fianco di Londra. Deutsche Boerse ha, inoltre, reso noto di aver concluso un accordo di cooperazione strategica con la banca pubblica cinese, Bank of China, sulla base del quale emittenti e investitori cinesi avranno accesso diretto ai mercati dei capitali tedeschi ed europei. Gli accordi sono stati siglati nel corso della visita ufficiale del premier cinese, Li Kequiang, a Berlino. La Bundesbank, ha commentato Joachim Nagel, consigliere della Banca centrale tedesca, "guarda con favore alla creazione di una piattaforma per il 'clearing' in renminbi a Francoforte. La citta' e' uno dei principali centri finanziari europei e ospita due Banche centrali. Tutto questo la rende una location particolarmente favorevole" per questo tipo di progetti. "Siamo molto grati alla Cina - ha detto il cancelliere tedesco, Angela Merkel, durante una conferenza stampa congiunta con il premier cinese - per gli sforzi sostenuti durante la crisi europea per credere nella stabilita' dell'euro. La Cina non ha mai messo in dubbio la sua fiducia nell'euro e ritengo che questo sia molto importante". La Bundesbank ha sottolineato che questi accordi, che prevedono anche la creazione di una banca di clearing in partnership, favoriranno gli scambi tra i due Paesi: Pechino e' stata l'anno scorso il terzo partner commerciale della Germania con un import/export totale di 140,6 miliardi.
red-mir-
(RADIOCOR) 28-03-14 18:31:39 (0565) 5 NNNN
sanato il processo di produzione Ilva deve andare alla Comunità di Taranto
Ilva, ok al Piano ambientale ‘misterioso'

Come raggiungere il risultato? Con il Piano delle misure di risanamento dell'impianto, approvato lo scorso 14 marzo per decreto del Consiglio dei ministri, che integra le prescrizioni dell'Autorizzazione Integrata Ambientale dell'ottobre 2012. Il Piano prevede di adottare le migliori tecniche disponibili nella produzione del ferro e dell'acciaio ed una drastica riduzione delle emissioni di benzo(a)pirene, precisando il massimo dell'attenzione al tema sanità ed agli effetti dell'impianto sull'ambiente e sulla salute delle persone.
Il decreto approvato è la formalizzazione del Piano proposto dal comitato di tre esperti (istituito con la legge 89/2013) e pubblicato sul sito ministeriale, al fine di acquisire, nell'arco di 30 giorni, osservazioni da valutare.
Ma, appena approvato, è già velato da mistero: il testo definitivo del Piano non è infatti consultabile, dal momento che non è ancora stato pubblicato sul alcun sito istituzionale. Una circostanza denunciata dal portavoce nazionale dei Verdi Angelo Bonelli che ha parlato di "mistero del Piano", sottolineando, tra le altre cose, anche un ritardo di due settimane, nei tempi di approvazione, rispetto a quanto prescritto da legge.
Secondo Bonelli, la spiegazione della mancata pubblicazione del Piano approvato e del ritardo nei tempi di approvazione, "sta tutta nei commi 5 e 6 dell'art.1 del decreto Ilva 61/2013", che stabiliscono il termine massimo di 30 giorni tra l'approvazione del Piano ambientale e la presentazione del Piano industriale (da sottoporre anch'esso al Consiglio dei ministri). Rallentando il primo, il Governo avrebbe dato più tempo all'azienda per il secondo. Starebbero lì, infatti, le principali difficoltà. Il commissario governativo del gruppo Ilva Enrico Bondi è attualmente alle prese con la ricerca del finanziamento ponte da 4-500 milioni di euro per attuare l'80% delle misure ambientali previste dall'Aia. Il problema liquidità è stato confermato dallo stesso sub commissario dell'Ilva Edo Ronchi che nei giorni scorsi ha rivelato di essere in difficoltà con i fornitori, le imprese terze e anche nell'avanzamento degli ordini connessi al programma di ambientalizzazione. L'Ilva si deve procurare subito 3 miliardi di euro - 1,8 miliardi per l'Aia e 1,2 miliardi per l'innovazione - da spendere entro agosto 2016.
// Il Piano ambientale
Il Piano ambientale approvato stabilisce le azioni e i tempi necessari per garantire il rispetto delle prescrizioni di legge e dell'Autorizzazione Integrata Ambientale (Aia). Modifica l'Aia relativamente ai tempi di attuazione delle relative prescrizioni, in modo da consentire il completamento degli adempimenti non oltre 36 mesi dopo l'entrata in vigore della legge n. 61/2013 sul Commissariamento dell'Ilva, il 3 agosto scorso.
Tutte le prescrizioni previste dall'Aia dovranno dunque essere ultimate entro agosto 2016.
Qui l'Aia nel dettaglio
Qui la proposta di Piano ambientale del Comitato di tre esperti
Il testo definitivo del Piano approvato non è ancora disponibile on line.
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e la Spagna non aveva il debito pubblico alto ... ma aveva e ha l'Euro
Spagna: la deflazione è già realtà, prepariamoci al peggio
28 marzo 2014
la violenza sottile di Israele
Israele toglie l'acqua al campo profughi di Shoafat

SHOAFAT (PALESTINA) - Ancora una volta Israele approfitta della debolezza della popolazione palestinese per colpirli nei bisogni primari. E così nel campo profughi di Shoafat dai rubinetti non sgorga più acqua, al massimo un sottile filo quando non poche gocce.
venerdì 28 marzo 2014
ancora sull'Ucraina
La rivolta ucraina “puzza” di shale gas amerikano

e ci sarà un perché
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E' UN CORO DI NOBEL: VIA L'ITALIA DALL'EURO. SETTE TRA LE MENTI ECONOMICHE PIU' BRILLANTI AL MONDO NON HANNO DUBBI.
venerdì 28 marzo 2014Non vi chiediamo - cari lettori - di credere in modo fideistico a chi inneggia all'uscita dell'Italia dall'euro. Vi chiediamo di leggere cosa pensano dell'euro sette persone premiate col Nobel per il valore dei loro studi d'Economia, per l'intelligenza espressa, per le capacità d'analisi che hanno dimostrato.
Iniziamo da Paul Krugman che ci spiega perche’: “L’euro è campato in aria”
"Penso che l’euro fosse un’idea sentimentale, un bel simbolo di unità politica. Ma una volta abbandonate le valute nazionali avete perso moltissimo in flessibilità. Non è facile rimediare alla perdita di margini di manovra. In caso di crisi circoscritta esistono due rimedi: la mobilità della manodopera per compensare la perdita di attività e soprattutto l’integrazione fiscale per ripianare la perdita di entrate. Da questa prospettiva, l’Europa era molto meno adatta alla moneta unica rispetto agli Stati Uniti. Florida e Spagna hanno avuto una stessa bolla immobiliare e uno stesso crollo. Ma la popolazione della Florida ha potuto cercare lavoro in altri stati meno colpiti dalla crisi. Ovunque l’assistenza sociale, le assicurazioni mediche, le spese federali e le garanzie bancarie nazionali sono di competenza di Washington, mentre in Europa non è così. L’Europa sarà sempre fragile. La sua moneta è un progetto campato in aria e lo resterà fino alla creazione di una garanzia bancaria europea. Ricordiamoci però una cosa: l’Europa non è in declino. È un continente produttivo e dinamico. Ha soltanto sbagliato a scegliersi la propria governance e le sue istituzioni di controllo economico, ma a questo si può sicuramente porre rimedio".
Passiamo a Milton Friedman, che gia’ nel 1998 spiegava che "la Moneta Unica e’ un Soviet e Bruxelles e Francoforte prenderanno il posto del Mercato".
"Niente di sbagliato, in generale, a volere un’unione monetaria. Ma in Europa c’e’ gia’ ed e’ quella esistente di fatto tra Germania, Austria e Paesi del Benelux. Niente vieta che, se ci tiene, l’Italia aderisca a quella. Il resto e’ una costruzione non democratica. Piu’ che unire, la moneta unica crea problemi e divide. Sposta in politica anche quelle che sono questioni economiche. La conseguenza piu’ seria, pero’, e’ che l’euro costituisce un passo per un sempre maggiore ruolo di regolazione da parte di Bruxelles. Una centralizzazione burocratica sempre piu’ accentuata. Le motivazioni profonde di chi guida questo progetto e pensa che lo guidera’ in futuro vanno in questa direzione dirigista. Ma non vedo la flessibilita’ dell’economia e dei salari e l’omogeneita’ necessaria tra i diversi Paesi perche’ sia un successo. Se l’Europa sara’ fortunata e per un lungo periodo non subira’ shock esterni, se sara’ fortunata e i cittadini si adatteranno alla nuova realta’, se sara’ fortunata e l’economia diventera’ flessibile e deregolata, allora tra 15 o 20 anni raccoglieremo i frutti dati dalla bendizione di un fatto positivo. Altrimenti sara’ una fonte di guai. Cosa prevedo succedera’? Una riduzione della liberta’ di mercato. A Francoforte siedera’ un gruppo di banchieri centrali che decidera’ i tassi d’interesse centralmente. Finora, le economie, come quella italiana, avevano una serie di liberta’, fino a quella di lasciar muovere il tasso di cambio della moneta. Ora, non avranno piu’ quell’opzione. L’unica opzione che resta e’ quella di fare pressione sulla Ue a Bruxelles perche’ fornisca assistenza di bilancio e sulla Banca centrale europea a Francoforte perche’ faccia una politica monetaria favorevole. Aumenta cioe’ il peso dei governi e delle burocrazie e diminuisce quello del mercato. Sarebbe meglio fare come alla fine del secolo scorso, quando, col Gold Standard, l’Europa aveva gia’ una moneta unica, l’oro: col vantaggio che non aveva bisogno di una banca centrale. Quello che c’e’ da dire sul mercato unico, piuttosto, e’ che e’ reso piu’ complicato proprio dall’Unione monetaria che rende piu’ difficili le reazioni delle economie, toglie loro strumenti e le rende piu’ dipendenti dalle burocrazie”.
Ora è la volta di Joseph Stiglitz, che ci spiega che l’Euro o cambia oppure è meglio lasciarlo morire.
"Il progetto europeo, per quanto idealista, è sempre stato un impegno dall’alto verso il basso. Ma incoraggiare i tecnocrati a guidare i vari paesi è tutta un’altra questione, che sembra eludere il processo democratico, imponendo politiche che portano ad un contesto di povertà sempre più diffuso. Mentre i leader europei si nascondono al mondo, la realtà è che gran parte dell’Unione europea è in depressione. La perdita di produzione in Italia dall’inizio della crisi è pari a quella registrata negli anni ’30.La realtà tuttavia è che la cura non sta funzionando e non c’è alcuna speranza che funzioni; o meglio che funzioni senza comportare danni peggiori di quelli causati dalla malattia. L'Europa ha bisogno di un maggiore federalismo fiscale e non solo di un sistema di supervisione centralizzato dei budget nazionali. E’ poi necessaria un’unione bancaria, ma deve essere una vera unione con un unico sistema di assicurazione dei depositi, delle procedure risolutive ed un sistema di supervisione comune. Inoltre, sarebbero necessari gli Eurobond o uno strumento simile. I leader europei riconoscono che senza la crescita il peso del debito continuerà a crescere e che le sole politiche di austerità sono una strategia anti-crescita. Ciò nonostante, sono passati diversi anni e non è stata ancora presentata alcuna proposta di una strategia per la crescita sebbene le sue componenti siano già ben note, ovvero delle politiche in grado di gestire gli squilibri interni dell’Europa e l’enorme surplus esterno tedesco che è ormai pari a quello della Cina (e più alto del doppio rispetto al PIL). In termini concreti, ciò implica un aumento degli stipendi in Germania e politiche industriali in grado di promuovere le esportazioni e la produttività nelle economie periferiche dell’Europa. Quello che non può funzionare, almeno per gran parte dei paesi dell’eurozona, è una politica di svalutazione interna (ovvero una riduzione degli stipendi e dei prezzi) in quanto una simile politica aumenterebbe il peso del debito sui nuclei familiari, le aziende ed il governo (che detiene un debito prevalentemente denominato in euro). I leader europei continuano a promettere di fare tutto il necessario per salvare l’euro. La promessa del Presidente della Banca Centrale Europea, Mario Draghi, di fare “tutto il necessario” ha garantito un periodo di tregua temporaneo. Ma la Germania si è opposta a qualsiasi politica in grado di fornire una soluzione a lungo termine tanto da far pensare che sia sì disposta a fare tutto tranne quello che è necessario. E’ vero, l’Europa ha bisogno di riforme strutturali come insiste chi sostiene le politiche di austerità. Ma sono le riforme strutturali delle disposizioni istituzionali dell’eurozona e non le riforme all’interno dei singoli paesi che avranno l’impatto maggiore. Se l’Europa non si decide a voler fare queste riforme, dovrà probabilmente lasciar morire l’euro per salvarsi. L’Unione monetaria ed economica dell’UE è stata concepita come uno strumento per arrivare ad un fine non un fine in sé stesso. L’elettorato europeo sembra aver capito che, con le attuali disposizioni, l’euro sta mettendo a rischio gli stessi scopi per cui è stato in teoria creato".
Passiamo ad Amartya Sen, con la sua recente intervista “Che orribile idea l’euro”
"Mi preoccupa molto di più quello che succede in Europa, l’effetto della moneta unica. Era nata con lo scopo di unire il continente, ha finito per dividerlo. L’euro è stato un’idea orribile. Lo penso da tempo. Un errore che ha messo l’economia europea sulla strada sbagliata. Una moneta unica non è un buon modo per iniziare a unire l’Europa. I punti deboli economici portano animosità invece che rafforzare i motivi per stare assieme. Hanno un effetto-rottura invece che di legame. Le tensioni che si sono create sono l’ultima cosa di cui ha bisogno l’Europa. Quando tra i diversi Paesi hai differenziali di crescita e di produttività, servono aggiustamenti dei tassi di cambio. Non potendo farli, si è dovuto seguire la via degli aggiustamenti nell’economia, cioè più disoccupazione, la rottura dei sindacati, il taglio dei servizi sociali. Costi molto pesanti che spingono verso un declino progressivo. È successo che a quell’errore è stata data la risposta più facile e più sbagliata, si sono fatte politiche di austerità. L’Europa ha bisogno di riforme: pensioni, tempo di lavoro, eccetera. E quelle vanno fatte, soprattutto in Grecia, Portogallo, Spagna, Italia. Ma non hanno niente a che fare con l’austerità. È come se avessi bisogno di aspirina ma il medico decide di darmela solo abbinata a una dose di veleno: o quella o niente. No, le riforme si fanno meglio senza austerità, le due cose vanno separate. La Germania ha sicuramente beneficiato della moneta unica. Oggi abbiamo un euro-marco sottovalutato e una euro-dracma sopravvalutata, se così si può dire. Ma non credo che ci sia uno spirito del male tedesco. Non ci sono malvagi in questa cosa terribile che sta succedendo. È che hanno sbagliato anche i tedeschi. E si è finiti con la Germania denigrata".
E’ il turno di James Mirrless, che nel suo intervento a Venezia all’Auditorium Santa Margherita per il ciclo "Nobels colloquia 2013" dell’Università Ca’ Foscari, ha testualmente detto che “all’Italia conviene uscire dall’Euro subito”.
"Non voglio suggerire politiche per mutare la situazione attuale e mi sento a disagio nel fare raccomandazioni altisonanti, perché non ho avuto il tempo di valutarne le conseguenze. Però, guardando dal di fuori, dico che non dovreste stare nell’euro, ma uscirne adesso. L’uscita dall’euro non risolverebbe in automatico i problemi dell’Italia, visto che, ad esempio, rimarrebbero le questioni derivanti dalle politiche adottate dalla Germania. Ma non è comunque corretto collegare le conseguenze di un’eventuale uscita da Eurolandia al venir meno della lealtà e fedeltà come membri dell’Unione europea. Finché l’Italia resterà nell’euro non potrà espandere la massa di moneta in circolazione o svalutare: ecco perché si impone la necessità di decidere se rimanere o meno nella moneta unica, questione non facile da dirimere, perché la gente toglierà il denaro dai conti in banca prima che questo accada. Probabilmente, dovreste sostenere il costo di un’eventuale uscita, come avvenuto in Gran Bretagna (che non ha mai abbandonato la sterlina), ma dovete essere pronti a pagare questo prezzo. Se l’Italia tornasse in grado di svalutare ci sarebbe sicuramente la possibilità di arricchirsi per chi togliesse in tempo i soldi dalle banche; ma, per la Gran Bretagna, è valsa la pena, perché poi ha avuto un andamento economico soddisfacente”. ”Tutto ciò non comporta automaticamente l’aumento o la riduzione della pressione fiscale. Però, in una certa misura, raccomanderei misure di sostegno ai redditi, per aumentare il potere d’acquisto della popolazione. Ma solo temporaneamente”. ”Se l’Italia dovesse uscire dall’euro alcuni grossi problemi continuerebbero ad esistere, perché la Germania continua a mantenere i livelli dei prezzi troppo bassi. E, se la Germania continuerà questo atteggiamento, cosa che non intende cambiare, anche per l’Italia continuerebbero le difficoltà di oggi. Uscire dall’Euro significa fuggire, la crisi si può affrontare resistendo ad essa e combattendo, ma i Paesi che scelgono di combattere lo facciano considerando anche l’opzione della fuga. Mi sento però a disagio, come persona esterna, nell’offrire soluzioni, anche perché mi chiedo se abbiate abbastanza manager economici in grado di mettere in atto e gestire l’espansione che potrebbe esserci".
E passiamo ora a Christopher Pissarides, nobel per l’economia nel 2010, presidente del new Centre for Macroeconomics che dichiara “Abbandonare l’Euro” dopo esserne stato nel passato un fautore e acceso sostenitore.
"L’Unione Monetaria ha creato una generazione persa di giovani disoccupati e dovrebbe essere dissolta. Sono completamente stato ingannato. Allora, l’euro sembrava una grande idea, ma ora ha prodotto l’effetto contrario di quello che si aveva in mente ed ha bloccato crescita e la creazione del lavoro. In questo momento sta dividendo l’Europa e la situazione attuale non è sostenibile. L’Euro divide l’Europa e la sua fine e’ necessaria per ricreare quella fiducia che le nazioni europee una volta avevano l’una all’altro. Non andremo da nessuna parte con l’attuale linea decisionale ed interventi ad hoc sul debito. Le politiche perseguite ora per salvare l’euro stanno costando all’Europa lavori e stanno creando una generazione persa di giovani laureati. Non certo quello che i padri costituenti avevano in mente".
Ma anche James Tobin, nobel per l’economia nel 1981, nel 2001 disse in un’ intervista allo Spiegel quanto segue:
"Per come la vedo io, l’Euro non è stato precisamente un grande successo, tale da potere essere considerato come un modello per altre regioni del mondo. I paesi dell’Euro soffrono perché l’economia europea è in una cattiva situazione. La responsabilità di questo è della banca centrale europea, perché non persegue nessuna politica. Il presidente della banca centrale europea mi ha detto una volta che lui non ha niente a che fare con la vera economia, con la crescita e le attività. Il suo compito è controllare rigidamente i prezzi, in altre parole lottare contro l’inflazione. Se questo è tutto quello che ha da offrire la politica monetaria europea, non sorprende che l’economia sia debole in Europa".
Speriamo vivamente che dopo avere sentito cosa pensano sette tra le menti più brillanti di questa epoca, vi siate resi conto che far uscire l'Italia dall'euro non è un'idea politica, non è connessa ad una campagna elettorale, non è una fanfaronata per carpire il vostro voto alle elezioni europee. E' una questione di vita o di morte. Di tutti noi.
max parisi
Si ringrazia il blog economico ScenariEconomici.it per il materiale di questo articolo.

http://www.ilnord.it/c-2747_E_UN_CORO_DI_NOBEL_VIA_LITALIA_DALLEURO_SETTE_TRA_LE_MENTI_ECONOMICHE_PIU_BRILLANTI_AL_MONDO_NON_HANNO_DUBBI
il popolo italiano è pronto vuole la Nuova Lira il Pd demagogo rema contro
SONDAGGIO DATAMEDIA: IL 58,1% DEGLI ITALIANI VUOLE IL RITORNO ALLA LIRA. SOLO IL 35,8% NON VORREBBE RINUNCIARE ALL'EURO!
venerdì 28 marzo 2014Il dato più eclatante che emerge dal sondaggio di Datamedia Ricerche condotto per Il Tempo è che il 58,1% degli italiani vuole tornare alla Lira dicendo NO all’Euro. La maggioranza dei cittadini italiani, quindi, vuole uscire dall’Euro, convinta che lasciare la moneta unica rappresenti un fatto positivo per l’economia italiana.
Solo il 35,8% degli italiani non vorrebbe rinunciare all’Euro ma la crisi prolungata che ha investito l’Italia e dipesa da tante cose e non soltanto dall’Euro.
Ormai, però, la percezione che gli italiani hanno della crisi è che la causa del malessere che stiamo vivendo economicamente dipenda prevalentemente dalla moneta unica e questo dato acquista un dato sempre più rilevante con l'avvicinarsi di maggio e delle elezioni europee.
Nel sondaggio di Datamedia emerge che gli Italiani incolpano l'Euro della crisi e alle prossime elezioni europee a ottenere più voti saranno proprio i partiti euroscettici.
Il sondaggio di Datamedia Ricerche è stato realizzato secondo i comuni criteri statistici, e quindi non è suscettibile di forzature. D'altra parte, la maggioranza per il ritorno alla lira è così ampia da inglobare anche l'errore statistico (variabile indipendente che più spostare il risultato in un verso o nell'altro del 3%) senza per questo modificare la sostanziale bocciatura italiana della valuta unica europea.
E' la prima volta che un sondaggio mostra in modo netto il disamore degli italiani per l'euro. E si noti che la campagna elettorale delle europee 2014 non è neppure iniziata. Quindi, non è da addebitare ai toni sempre accesi ed esasperati, il giudizio dei cittadini contrario all'euro.
Redazione Milano.
compito del Pd è continuare a svendere l'Italia

L’internazionale socialista, Renzi e la zia di Cosimo
Nuvola rossa
A sentir parlare ministri/e e sottosegretari/e, un condominio di Trastevere sembra la camera dei lord. E i giudizi dei condomini esercitazioni di alta politica (nell’interesse della collettività). Ivan Scalfarotto (riforme costituzionali): “Io primo gay al governo, chissà ora Giovanardi”. L’interrogativo è veramente tormentoso. Maria Elena Boschi (stesso ministero): “Al referendum sull’acqua ho votato no”. Davvero un buon auspicio per le riforme.Gian Luca Galletti (ambiente) “Io dico sì al nucleare”. Come sopra (e come il resto che segue). Dario Franceschini (Beni culturali): “Patrimonio d’arte e privati? Per me nessun problema”. Federica Guidi (Sviluppo economico): “La vicenda Fiat di Pomigliano ci porta un orizzonte di speranza”. Questo è il rinnovamento di Renzi, bellezza. Il giovane in movimento che tiene ben salde le redini del comando, tanto stimato dall’azzardoso Serra, dal paninaro postmoderno Farinetti e dallo psichiatra Crepet. Oltre che dalla zia di Cosimo Ferri, come ci fa sapere il sottosegretario berlusconiano alla giustizia in odore di P3. Ma, dice, l’economia è governata dal super esperto Pier Carlo Padoan, lunga mano di D’Alema nel governo. Errore: Padoan, secondo il quale “il dolore sta producendo risultati”, è il master addestrato dal Fondo monetario internazionale e D’Alema l’apprendista stregone che da lui ha introiettato i rudimenti del liberismo.
Così assistiamo a un altro giro di valzer sulla pelle degli italiani. Dopo aver rottamato D’Alema e Bobbio, e fattosi scudo di Blair, a sua volta contestato adesso da D’Alema e dai socialdemocratici tedeschi, il rottamatore liberista fiorentino è diventato un dirigente del “socialismo europeo” nel momento stesso in cui esenta dalle tasse le multinazionali della rete. Per guadagnare qualche voto hanno ridotto la politica a un vergognoso gioco di bussolotti. Prima gli ex Pci hanno cancellato persino la parola sinistra. Adesso i liberisti ex Dc si dichiarano socialisti. E criticano l’antipolitica mentre praticano la più sfacciata antipolitica. L’avventurismo dei giovani può produrre danni ancora più gravi del conservatorismo dei vecchi, come la storia d’Italia ci insegna.
http://www.sinistrainrete.info/articoli-brevi/3539.html
Marco Carrai 8 e il suo amico Renzi chi?
http://altracitta.org/2014/03/27/firenze-parcheggi-carrai-danno-erariale-per-520-000-euro-sponsorizzazioni-elargite-senza-criteri-oggettivi/
giovedì 27 marzo 2014
6 agosto 1945 Hiroshima tre giorni dopo Nagasaki: civili

Altre tre osservazioni sull'Ucraina
di Piero Pagliani

Incominciamo osservando che quasi sempre i termini che vengono contrapposti non sono simmetrici, bensì del tipo "Usa vs Putin" o "Comunità Internazionale vs Russia".
Nel primo caso c'è una nazione (considerata fiaccola della democrazia) che si contrappone a un individuo (considerato una sorta di aggressivo autocrate), mentre nel secondo caso c'è un ristretto club di nazioni che si autodefinisce rappresentante di tutte le nazioni del mondo e che si contrappone a un singolo Paese considerato "paria" (se non fosse così potente, in questo momento sarebbe classificato come "rogue state" senza tanti complimenti).
Questa retorica da guerra (calda o fredda non fa qui differenza) ci vorrebbe far credere che comunque la "forza della ragione" sta ad Occidente. Possiamo dubitarne, ma non è questo il punto, perché nelle relazioni internazionali durante i periodi di caos sistemico, l'idea stessa di "ragione" è sfidata da quella, per l'appunto, di "caos" nel quale concetti come "democrazia", "diritto" e, infine, "ragione" devono lasciare il posto al concetto principe di "forza".
Chi dimostra quindi più "forza"? Obama o Putin? Gli Usa o la Russia?
Io francamente non lo so, perché in questo momento sto osservando la parte centrale di una partita a scacchi ben lontana dall'essere definita, le mosse e le contromosse degli opponenti. La mia speranza è che questa partita finisca prima di uno scacco matto, perché tale situazione potrebbe spingere l'opponente in difficoltà a ribaltare la scacchiera con una mossa, ovviamente, fuori dalle regole. Penso che ci siamo spiegati.
Per ora possiamo constatare che gli Usa in Europa hanno catturato un pezzo molto importante, diciamo una torre.
Questo di per sé indica che gli Usa siano i più forti? Non penso che sia una conclusione così immediata, anche se è evidente che essi sono da tempo passati all'attacco. Lo hanno fatto nei Balcani, in Medioriente, in Nord-Africa, in Sudan. E' fuori di dubbio che in Ucraina la mossa sia stata "brillante" ed estremamente destabilizzante: oltre all'Europa, UE compresa, ha destabilizzato tutto il mondo, come vedremo nell'ultima osservazione. Ma la superiorità presunta dovrebbe essere analizzata attraverso vari parametri. Ne accenno alcuni: A) I mezzi impiegati, B) La capacità di prevenire dirompenti contromosse, C) Il significato strategico complessivo del risultato della mossa localmente vincente.
Nona osservazione. L'analisi dei mezzi impiegati dagli Usa in Ucraina è complessa. Essi pertengono a ciò che viene chiamato "Soft Power", o che potremmo meglio chiamare "Soft Power 2.0". Infatti operazioni come queste non sono novità assolute. Si pensi solo all'operazione "Valuable" con cui alla fine degli anni Quaranta i servizi segreti statunitensi e inglesi, col supporto di Grecia, Italia e Germania Occidentale, cercarono di suscitare una guerriglia anticomunista in Albania. Il tentativo finì in un disastro per almeno due motivi. Il primo è che i guerriglieri albanesi infiltrati erano ideologicamente troppo reazionari per ottenere la collaborazione della popolazione, che infatti rimase indifferente. Occorre sottolineare che proprio su questo punto ci fu una discussione tra i responsabili statunitensi e quelli inglesi che si opponevano all'utilizzo di leader albanesi dichiaratamente fascisti come invece pianificato dai primi. Il secondo fattore fu Kim Philby, agente segreto inglese da sempre comunista e al servizio dei sovietici, le cui informazioni permisero di intrappolare subito gli anticomunisti infiltrati. Un'operazione simile fu anche quella organizzata contro la Cuba castrista da John Kennedy in collaborazione con la mafia cubana e finita anch'essa in un disastro, alla Baia dei Porci.
Una grande differenza quindi tra il Soft Power 1.0 e quello 2.0. Estremamente più elaborato il secondo, esso si giova, in Occidente, anche della virtuale scomparsa di ogni forma di opposizione politica e ideologica al capitalismo e al suo centro di raccordo internazionale, cioè gli Usa.
Eppure, come ho già cercato di argomentare, proprio qui si nota una certa debolezza nella mossa ucraina, ed essa riguarda la necessità di aver dovuto affidare le piazze a forze neonaziste inquadrate militarmente, non riuscendo l'Occidente ad esercitare quella composita attrazione ideologica, comportamentale, valoriale, economica e sociale, sulla classe media ma anche salariata, che invece si era vista in azione in varie occasioni, ad esempio durante la "Primavera di Praga" o nel movimento Solidarność in Polonia, persino nel movimento di Piazza Tienanmen a Pechino o in quello di Teheran Nord in Iran, o anche durante la "Glasnost" di Mikhail Gorbaciov nella stessa Unione Sovietica (e si dovrebbe cercare di capire come la Russia di Putin e la Cina da Jiang Zemin in poi abbiano risposto alle spinte della classe media e come lo stia facendo oggi l'Iran). Un discorso analogo credo si possa applicare alla "primavera" egiziana mentre è particolare il mix di sovversione eterodiretta e di tensioni sociali nell'America Bolivariana la quale finora ha fortunatamente dimostrato grande capacità di tenuta e di reazione.
In Ucraina quel tipo di attrazione non si è vista, o la si è vista molto mediata da urgenze d'altro tipo derivanti da fratture di carattere storico, linguistico-culturale e anche religioso. Quali esigenze sociali avrebbero infatti richiesto di preferire la Tymo?enko a Janukovyč, perfettamente intercambiabili in quanto a corruzione e incapacità? In base a ciò non riesco a condividere fino in fondo analisi come quella di Lorenzo Adorni pubblicata sul blog di Aldo Giannuli, che a mio avviso mette in campo un fattore reale, cioè il grande potere culturale degli Stati Uniti, ma in un luogo e in un momento errati, dove cioè la dimensione finanziaria, logistica e militare del Soft Power ha avuto un ruolo maggiore e decisivo rispetto a quella culturale-sociale, così come è avvenuto in Libia, anche se su scala diversa, e così come sta succedendo in Siria.
Decima osservazione. L'analisi del significato strategico complessivo della mossa ucraina e delle contromosse ci porta a diversi ordini di considerazioni.
Il primo riguarda le modalità di conduzione dei conflitti moderni. Il fatto che non ci sia una esplicita e conclamata contrapposizione militare tra le grandi potenze non significa che non siamo già molto in là con quella che possiamo considerare la prima fase della III Guerra Mondiale. Lo svolgimento dei conflitti in questa fase era stato previsto per tempo dagli strateghi della Rand Corporation1:
«Le modalità della guerra dell'ultimo quarto del XX secolo potrebbero finire per somigliare a quelle del Rinascimento italiano o degli inizi del XVII secolo, prima dell'emergere di eserciti nazionali e di guerre più organizzate - con conflitti armati continui e sporadici, privi di chiari confini temporali e spaziali, intrapresi a diversi livelli da un'ampia schiera di forze nazionali e subnazionali» (Brian M. Jenkins, "New modes of conflict", 1983, p. 17).
«È come se il moderno sistema di dominio, dopo essersi esteso spazialmente e funzionalmente fin dove possibile, non abbia altro luogo dove andare se non "in avanti", verso un sistema di dominio completamente nuovo, o "all'indietro", verso modelli di formazione dello stato o di conduzione della guerra propri della prima età moderna o addirittura premoderna» (Giovanni Arrighi, "Il lungo XX secolo denaro, potere e le origini del nostro tempo", Il Saggiatore, 1996, pp. 112-113).
Il primo e più immediato impatto si ha in Europa, questo è evidente. E in Europa in prima linea c'è la Germania sulla quale gli esiti della mossa ucraina sono abbastanza differenziati e non uniformi. Ne parlerò in un articolo sull'Europa che spero di pubblicare tra pochi giorni, ma in linea di massima la mossa statunitense ribadisce che ogni politica ad Est dell'Europa è subordinata alle ragioni strategiche degli Usa, per quanto caotiche possano essere: "Fuck the EU!".
Ma gli effetti di destabilizzazione non finiscono in Europa. Se dal nostro continente ci spostiamo in Asia, vediamo che la crisi ucraina ha messo sotto impasse l'India.
In linea con gli storici legami tra questo Paese e la Russia (Unione Sovietica) il consigliere della sicurezza nazionale, Shivshankar Menon, ha parlato di «interessi legittimi» della Russia, pur nel contesto di «altri interessi» da negoziare, con l'auspicio di «una soluzione soddisfacente per tutti». Tuttavia l'imbarazzo del governo è confermato da un atteggiamento che è stato paragonato a quello dello struzzo «con la testa ben ficcata nella sabbia in attesa che la crisi a Kiev si possa chissà come dissolvere»2.