Economia di Mosler (ME-MMT) o Teoria della Moneta Moderna (Modern
Money Theory, MMT) è una teoria economica di stampo keynesiano
sviluppata a partire dagli anni ’70 dall’economista statunitense Warren
Mosler. Affonda le sue radici nel cartalismo (chartalism in lingua
inglese, dal latino “charta” cioè “carta”, in attinenza alla natura
della moneta cartacea prevista nel sistema della moneta a corso legale e
in contrapposizione con la teoria monetaria del metallismo) e con esso
si fa riferimento a una teoria economica che intende descrivere nel
dettaglio le procedure e le conseguenze dell’utilizzo della moneta a
corso legale rilasciata dallo stato. La teoria economica è sostenuta da
alcuni economisti post-keynesiani.
La teoria cartalista fu presentata per la prima volta dall’economista
tedesco Georg Friedrich Knapp nel 1895, con l’importante contributo di
Alfred Mitchell-Innes. Per alcuni autori la teoria monetaria moderna non
fa altro che descrivere il sistema monetario in vigore sin
dall’abolizione, avvenuta nel 1971, del sistema aureo.
La teoria ME-MMT viene formulata inizialmente dall’economista
americano Warren Mosler, e affonda le sue radici nel cartalismo, del
quale è considerata il corpo moderno. Il cartalismo viene elaborato alla
fine del XIX secolo dall’economista tedesco Georg Friedrich Knapp, poi
ripreso da John Maynard Keynes nel suo Trattato sulla moneta.
Il cartalismo nasce come teoria complementare al circuitismo in
quanto in origine essa è pensata per spiegare le cosiddette “interazioni
verticali”, ovverosia da settore pubblico a privato e viceversa, mentre
la teoria del circuitismo nasce invece per illustrare le cosiddette
“interazioni orizzontali”, ovverosia da privato a privato. Nell’ambito
di queste ultime è compreso il concetto, derivante dalla scuola
orizzontalista, di moneta-credito ossia di moneta sotto forma di
credito.
Nello specifico il termine di modern money theory (MMT) viene
successivamente coniato dall’economista australiano Bill Mitchell in
riferimento a una frase contenuta nel trattato di Keynes. Per queste sue
origini, la teoria monetaria moderna è anche definita con il nome di
“neo-cartalismo”.
Il principale luogo da dove parte il rilancio moderno della teoria è
l’Università del Missouri-Kansas City, ove insegnano Randall Wray,
Stephanie Kelton, William Black, Michael Hudson, e dove ha sede il
Centro per la Piena Occupazione e la Stabilità dei Prezzi di Warren
Mosler.
James Kenneth Galbraith è uno dei più celebri sostenitori della
teoria e nel 2010 scrive la prefazione del libro di Mosler intitolato
Seven Deadly Innocent Frauds of Economic Policy (it. Le sette innocenti
frodi capitali della politica economica).
In Italia
La teoria assume fama internazionale nel 2011, dopo che il giornalista
italiano Paolo Barnard inizia a diffonderla sul suolo nazionale sotto il
nome originale, ovvero Mosler’s Economics – Modern Money Theory. La
ME-MMT diventa così un fenomeno culturale che si traduce nella creazione
di diverse associazioni di divulgazione economica presenti in ogni
regione, tra cui l’Ass. Naz. ME-MMT, Economia per i Cittadini (Epic),
MMT – Alza il Pugno, Rete MMT e diverse altre.
Nel febbraio 2012 il giornalista organizza quello che sarà il più
grande convegno di economia della storia, cioè oltre 2.180 partecipanti
paganti. La conferenza è stata fatta all’interno del Palazzo dello Sport
di Rimini e hanno partecipato accademici MMT dell’Università del
Missouri Kansas City, ovvero Mathew Forstater, Stephanie Kelton, Michael
Hudson, Marshall Auerback. Hanno partecipato anche l’italiano Nino
Galloni e il francese Alain Parguez.
Dopo il lavoro iniziale di Barnard la ME-MMT inizia a diffondersi anche in altri Paesi europei, ad esempio in Bulgaria.
Negli Usa
Nel 2014 la ME-MMT ottiene un successo inaspettato con la nomina
dell’economista Stephanie Kelton alla carica di Economista Capo della
Commissione Bilancio del Senato Usa.
Secondo la teoria monetaria moderna, una nazione dotata di sovranità
monetaria, ossia di moneta a corso legale che è in libera fluttuazione
sul mercato valutario e la cui facoltà di emissione è nella pertinenza
esclusiva di istituzioni nazionali controllate dallo stato in modo
diretto o indiretto e di debito denominato integralmente in tale moneta,
non può mai essere costretta a fallire in quanto la sua “capacità di
pagamento” (“ability to pay” in inglese) è illimitata parimenti a come è
illimitata la sua capacità di stampare moneta. Di conseguenza, non ci
sono tetti razionali al deficit e al debito sostenibili da parte di una
nazione, poiché essa ha un potere illimitato di finanziare questi
disavanzi stampando moneta.
In tale sistema la tassazione non svolge pertanto il ruolo di
finanziare la spesa pubblica, bensì di rendere effettivo il controllo
dello stato sulla moneta, sulla quantità di massa monetaria circolante e
sulla velocità di circolazione della moneta. Potendo così lo stato
emettere la propria moneta a volontà, la teoria monetaria moderna
sostiene che il livello di tassazione, in specie rispetto alla spesa
pubblica, è primariamente non un mezzo di finanziamento delle attività
della cosa pubblica bensì uno strumento politico che di fatto regola
l’inflazione e la disoccupazione. Pertanto la creazione di deficit o di
surplus nel bilancio pubblico è il frutto di una decisione eminentemente
di natura politica e non economica da parte dello stato.
Secondo la teoria monetaria moderna, il denaro entra in circolazione
attraverso la spesa pubblica. In altre parole, la moneta è prima creata e
spesa dallo stato, e solo successivamente avviene l’esazione delle
imposte. La tassazione viene impiegata per rendere effettiva l’adozione
della moneta a corso legale, conferendole valore mediante la creazione
di domanda sotto forma dell’obbligo dell’imposizione fiscale che può
essere soddisfatto solo con la valuta nazionale. L’obbligo di pagamento
delle imposte con la valuta nazionale, unito alla fiducia e
all’accettazione della moneta da parte anzitutto dei cittadini,
contribuisce in modo determinante alla conservazione del valore della
divisa nel corso del tempo ovverosia al controllo sull’inflazione.
L’affermazione che la moneta è dunque “creatura dello stato” comporta
sia che non esiste alcuna ragione affinché la spesa pubblica debba
essere coperta da un corrispettivo prelievo fiscale sia che lo stato può
spendere senza prima avere incamerato gettito fiscale e che perciò può
impiegare tutte le risorse necessarie a incrementare l’attività
economica e l’occupazione. Ne consegue che secondo gli economisti della
teoria monetaria moderna, tra cui James Kenneth Galbraith, l’emissione
di moneta veicolata all’aumento della produzione consente allo stato di
fare deficit di bilancio, quasi senza limiti, senza un apprezzabile
pericolo di inflazione, sin quando non si arriva al pieno impiego. Essi
argomentano inoltre che, durante le fasi di contrazione economica, la
sottrazione di massa monetaria circolante, causata da politiche
finalizzate all’ottenimento del surplus nel bilancio statale, comporta
un impoverimento del sistema produttivo, dei cittadini e delle imprese,
che si vedono sottrarre moneta che altrimenti verrebbe usata per
alimentare l’economia. Il surplus nel bilancio pubblico rende lo stato
un risparmiatore netto e parallelamente rende il settore privato un
debitore netto. L’effetto delle politiche statali atte al perseguimento
del surplus di bilancio è quindi di forzare il settore privato a
indebitarsi riducendo di conseguenza la ricchezza dei cittadini.
Viceversa, il deficit nel bilancio statale contribuisce ad alimentare e a
garantire la ricchezza del settore privato, e il debito pubblico
risultante da questo deficit è pertanto l’espressione del miglioramento
delle condizioni economiche dei cittadini. Il deficit e il debito
pubblici sono dunque strumenti, a disposizione dello stato, finalizzati
al raggiungimento della massima capacità occupazionale e produttiva di
una nazione.
La teoria monetaria moderna descrive il risparmio privato come
funzionale all’incremento del reddito nazionale. All’aumento del reddito
nazionale corrisponde l’incremento del risparmio privato. La spesa
statale in deficit ha pertanto il fine di stimolare l’attività economica
incrementando così sia il prodotto interno lordo sia il reddito
nazionale e perciò anche il risparmio privato. L’attività del settore
creditizio nell’ambito della concessione dei prestiti varia in funzione
della richiesta di credito da parte dei privati. In situazione di
deficit pubblico, lo stato dotato di sovranità monetaria immette moneta
nel sistema economico onde finanziare l’acquisto di beni e servizi dai
privati e dalle aziende private le quali di conseguenza pagano i loro
dipendenti con questo denaro creando perciò un effetto a catena che
condiziona la massa monetaria circolante e la velocità di circolazione
della moneta. Questo processo tende a ridurre la richiesta di prestiti
nei confronti del settore del credito. Si abbassano così anche i tassi
di interesse richiesti dal settore del credito per la concessione di
prestiti ai privati.
La capacità di emettere moneta onde finanziare il settore pubblico
comporta che non vi sia la necessità, da parte del governo, di chiedere
denaro in prestito ai sottoscrittori privati di titoli di stato. Di
conseguenza, non è affatto necessario che lo stato sia soggetto ad
accettare i tassi di interesse imposti dal mercato sulle obbligazioni di
debito pubblico. Secondo la teoria monetaria moderna è pertanto una
misura facoltativa, e non obbligatoria, il mantenimento del mercato dei
titoli pubblici in una nazione dotata di sovranità monetaria.
La teoria monetaria moderna definisce ogni transazione tra il settore
pubblico e il settore non pubblico con il termine di “transazione
verticale”. All’interno del settore pubblico sono inclusi sia il tesoro
sia la banca centrale, mentre il settore non pubblico comprende tutti i
soggetti privati tra cui il sistema delle banche commerciali, le
aziende, i cittadini. Il settore estero comprende compratori e venditori
stranieri.
In qualsiasi periodo di tempo dato, il budget statale può essere o in
deficit o in surplus. Un deficit si ottiene quando lo stato spende più
di quanto tassa; un surplus si ottiene quando lo stato tassa più di
quanto spende. Pertanto, secondo la teoria monetaria moderna, ne
consegue che il deficit del bilancio pubblico aggiunge un corrispondente
attivo finanziario al settore privato in quanto la presenza di un
deficit nel bilancio pubblico segnala che lo stato ha depositato più
denaro all’interno dei conti correnti bancari dei privati rispetto a
quello che ha sottratto in tasse. Un surplus invece significa l’opposto:
in totale, lo stato ha prelevato attraverso le tasse più denaro dai
conti correnti bancari dei privati rispetto a quanto ne abbia speso.
Dunque, per definizione, i deficit di bilancio sono equivalenti ad
aggiungere beni finanziari al netto nel settore privato, mentre i
surplus di bilancio rimuovono beni finanziari dal settore privato.
Questo è rappresentato dalla formula:
(G-T) = (S-I) – NX
dove G rappresenta la spesa pubblica, T sono le tasse, S sono i risparmi, I gli investimenti e NX è l’esportazione netta.
Di conseguenza, la conclusione tracciata dalla teoria monetaria
moderna sulla base di questo assunto è che il risparmio netto dei
privati è possibile solo se lo stato realizza deficit di bilancio; in
caso contrario, il settore privato è obbligato a fare un “risparmio
negativo” (dissaving), cioè a ridurre i propri risparmi, quando lo stato
adotta un surplus di bilancio.
La teoria monetaria moderna quindi non sostiene il concetto,
supportato invece da alcuni keynesiani, che i surplus di bilancio siano
sempre necessari in periodi di alta domanda. In accordo con il sistema
delineato sopra, i surplus di bilancio rimuovono i risparmi al netto e,
durante un periodo di elevata domanda effettiva, ciò può provocare una
dipendenza dal settore del credito, da parte dei privati, al fine di
finanziare le proprie abitudini di consumo.
Più precisamente, la teoria
monetaria moderna suggerisce che una situazione di persistente deficit
di bilancio è necessaria onde conseguire una crescita economica costante
nel tempo evitando contemporaneamente il pericolo deflativo. La teoria
monetaria moderna afferma altresì che solamente nel caso in cui
l’economia disponesse di una eccessiva domanda aggregata e si trovasse
in una situazione di effettivo rischio inflazionistico (in caso, cioè,
di boom economico) sarebbe dunque indispensabile ridurre il deficit
pubblico perseguendo una politica di surplus.
La teoria monetaria moderna ritiene che l’analisi e la comprensione
dell’uso delle riserve contabili sia cruciale per capire le interazioni
tra settore pubblico e privato. Per questo la teoria monetaria moderna
presta particolare attenzione alla realtà operativa delle interazioni
tra il governo, la banca centrale e il settore bancario commerciale.
In una nazione dotata di sovranità monetaria, di solito il tesoro
detiene un conto corrente presso la banca centrale. Tramite questo conto
corrente il tesoro spende, riceve tasse e altri afflussi. Inoltre tutte
le banche commerciali hanno similarmente un conto corrente all’interno
della banca centrale. Questo permette al settore bancario commerciale di
gestire le proprie riserve, che sono la quantità di denaro disponibile a
breve termine detenuta da ciascuna banca commerciale.
Sicché, quando lo stato spende, la banca centrale addebita il
corrispettivo sul conto corrente del tesoro. A sua volta, il tesoro
deposita questo denaro all’interno dei conti correnti dei privati e
perciò all’interno del sistema bancario commerciale. Questo afflusso va
quindi ad incrementare le riserve totali del settore bancario poiché
l’emissione di questo debito pubblico corrisponde a una equivalente
immissione di moneta nel sistema economico privato. La tassazione,
invece, lavora esattamente al contrario: si drenano risorse e perciò i
conti correnti dei privati vengono gravati di un debito verso la
pubblica amministrazione, facendo di conseguenza scendere le riserve del
sistema bancario commerciale.
Virtualmente tutte le banche centrali impostano un target per il
tasso di interesse. Per conseguire tale obiettivo una banca centrale non
ha alcun’altra scelta, secondo la teoria monetaria moderna, se non di
intervenire attivamente all’interno delle operazioni bancarie
commerciali.
Nella maggior parte delle nazioni le riserve delle banche commerciali
depositate presso la banca centrale devono avere un bilancio positivo
alla fine di ogni giorno; in altre nazioni la quota soggetta a tali
requisiti è denominata in proporzione ai passivi detenuti da una banca
(ad esempio i depositi dei clienti). Reserve requirement (obbligo di
riserva) è il nome usato per definire questi requisiti. Alla fine di
ogni giorno, una banca commerciale deve esaminare la situazione
finanziaria delle riserve presenti nei propri conti correnti. Quelle
banche che sono in deficit hanno l’opzione di chiedere in prestito, alla
banca centrale, i fondi richiesti al mantenimento del reserve
requirement, alla quale pagano un tasso di interesse attivo (talvolta
chiamato anche tasso di sconto) sulla cifra prestata. D’altro canto, le
banche che hanno riserve eccedenti possono semplicemente lasciare tali
eccedenze all’interno della banca centrale e guadagnare un tasso di
sostegno (support rate) da questo deposito. Qualche nazione, come il
Giappone, ha un tasso di sostegno pari a zero.
Quando una banca ha più riserve di quelle necessarie a sostenere il
reserve requirement, essa cerca di vendere queste sue riserve extra a
banche che sono in deficit. Questo atto di compravendita è conosciuto
come prestito sul mercato interbancario. La banca in surplus cerca di
guadagnare un tasso più alto rispetto al tasso di sostegno che la banca
centrale paga sulle riserve; d’altra parte le banche in deficit vogliono
pagare un tasso più basso rispetto al tasso di sconto che le banche
centrali richiedono per il prestito e che è notoriamente alto. Così si
presteranno riserve tra di loro finché ogni banca avrà raggiunto il
reserve requirement. In un sistema bilanciato, dove cioè vi sono
abbastanza riserve totali disponibili per tutte le banche onde fare
fronte alle richieste di prestito dei privati, il target a breve termine
per il tasso di interesse è a metà tra il tasso di sostegno e il tasso
di sconto.
D’altra parte la teoria monetaria moderna sottolinea che la spesa
governativa ha un effetto su questo procedimento. Se, in un certo
giorno, lo stato spende più di quanto tassa, gli attivi finanziari al
netto sono di conseguenza inseriti all’interno del sistema bancario.
Questo porta a un surplus delle riserve all’interno di tutto il sistema.
In questo caso, il tentativo di vendere le riserve eccedenti forza il
tasso di interesse a breve termine verso il basso in direzione del
tasso di sostegno (o a zero, nel caso in cui il tasso di sostegno non
sia previsto). Ciò comporta che quando c’è un surplus nel sistema, e
tutte le banche possono sostenere il proprio obbligo di riserva, non ci
sarà domanda per queste riserve in surplus. Il tasso di interesse che le
banche applicano sulle riserve cadrebbe quindi verso il tasso di
sostegno: a questo punto le banche in surplus manterrebbero le riserve
all’interno della banca centrale e ne guadagnerebbero il tasso di
sostegno. La teoria monetaria moderna ritiene pertanto che la teoria
tradizionale del crowding out (cosiddetto effetto spiazzamento ma più
letteralmente “sfollamento”), secondo la quale la spesa governativa è
considerata causa del rialzo dei tassi di interesse, è necessariamente
sbagliata. La spesa governativa, secondo la teoria monetaria moderna ,
porta il tasso di interesse a breve termine ad abbassarsi. La teoria
monetaria moderna sottolinea tuttavia che obbligazioni a lungo termine
come i titoli pubblici a lunga scadenza possono influenzare la struttura
temporale, cioè il termine, dei tassi di interesse. In situazioni di
incertezza economica, ad esempio, il debito a lungo termine può non
essere desiderato dal mercato, e ciò può comportare che per questo
particolare tipo di debito vengano richiesti alti interessi influenzando
di conseguenza la curva dei rendimenti. Per ovviare a questo fenomeno,
gli economisti della teoria monetaria moderna argomentano dunque che è
preferibile che lo stato eviti totalmente di emettere titoli pubblici a
lungo termine e pertanto che lo stato possa anche limitarsi unicamente
alla emissione di obbligazioni a breve termine. Oppure, in alternativa,
al fine di eliminare ogni possibile rischio connesso all’utilizzo di
tali strumenti finanziari, lo stato può altresì decidere di smettere del
tutto di effettuare qualsiasi nuova emissione di titoli e obbligazioni.
Il caso opposto si verifica quando lo stato riceve più tasse in un
particolare giorno rispetto a quanto spende. In questa circostanza
l’eventualità che un deficit di riserve si manifesti in tutto il sistema
diviene concreta. Come risultato, i fondi in surplus saranno richiesti
sul mercato interbancario e di conseguenza il tasso di interesse a breve
termine salirà verso il tasso di sconto. Quindi, se la banca centrale
vuole mantenere un tasso di interesse a metà tra il tasso di sostegno e
il tasso di sconto, essa deve intervenire regolando la liquidità
complessiva presente nel sistema onde assicurarsi che la giusta quantità
di riserve nel sistema bancario sia sempre mantenuta.
La banca centrale può fare questo tramite una transazione verticale,
ad esempio comprando e vendendo titoli pubblici all’interno del mercato
aperto. Il giorno in cui le riserve presenti nel sistema bancario sono
in eccesso, la banca centrale può dunque intervenire emettendo moneta
anche sotto forma di titoli pubblici, e quindi anche vendendo titoli di
stato, rimuovendo di conseguenza riserve dal sistema bancario
allorquando i singoli privati muovono i loro fondi per pagare l’acquisto
di tali titoli. Il giorno in cui, viceversa, le riserve presenti nel
sistema bancario sono insufficienti, la banca centrale può acquistare
titoli pubblici detenuti dai singoli privati aggiungendo di conseguenza
riserve al sistema bancario. È importante notare che la banca centrale
può acquistare titoli semplicemente creando moneta senza ricevere in
alcun modo finanziamenti. Si tratta di una iniezione di riserve
direttamente all’interno del sistema bancario. Come risultato, la teoria
monetaria moderna implica che la banca centrale di una nazione sia
incapace di influenzare le decisioni inerenti alla spesa pubblica. Se
una banca centrale vuole conseguire il proprio target nei confronti del
tasso di interesse, essa può quindi comprare e vendere titoli di stato
all’interno del mercato aperto per mantenere la giusta quantità di
riserve nel sistema.
La teoria monetaria moderna definisce ogni transazione endogena al
settore privato, incluso il sistema bancario commerciale, con il termine
di “transazione orizzontale” descrivendo così il ruolo del prestito
anche all’interno del sistema bancario.
Per la teoria monetaria moderna, i prestiti bancari creano sempre un
debito e un deposito di uguali dimensioni. Di conseguenza, la quantità
al netto dei beni finanziari (depositi e passività) non può essere
modificata attraverso operazioni bancarie. Ovviamente i depositi creati
attraverso l’attività bancaria del prestito aumentano la disponibilità
di moneta. Successivamente questi depositi possono defluire da una banca
all’altra e ciò deve essere bilanciato alla fine della giornata per
soddisfare l’obbligo di riserva. Tuttavia è bene ribadire che le banche
commerciali non possono creare beni finanziari senza creare una
corrispondente passività in quanto solo il settore pubblico – nello
specifico, la banca centrale – è capace di fare questo. (Vedasi, in
proposito, le transazioni verticali)
Come conseguenza, la teoria monetaria moderna rifiuta la nozione
tradizionale del moltiplicatore monetario secondo la quale la capacità
creditizia bancaria è completamente vincolata sia ai depositi bancari
sia ai requisiti di capitale. La teoria monetaria moderna non afferma
che la disponibilità di asset monetari della singola banca sia
completamente irrilevante e non influenzi le sue decisioni in merito
alla concessione del credito; ovviamente ciascuna banca pondera i
possibili effetti, in termini di rapporto costi – benefici, nel prestare
denaro al di là delle proprie riserve creditizie anche in relazione
all’onere da corrispondere per prendere a prestito tali fondi dal
mercato interbancario o dalla banca centrale al fine di rispettare i
necessari requisiti di capitale. In questo ambito il netto contrasto tra
le teorie economiche mainstream e la teoria monetaria moderna si
evidenzia nel fatto che essa afferma che la capacità creditizia di una
banca è potenzialmente infinita. Le decisioni riguardanti la concessione
di credito da parte delle banche commerciali si basano quindi
esclusivamente sulle previsioni inerenti alla capacità pagatoria del
richiedente e alla redditività – i requisiti di capitale sono solo uno
dei fattori condizionanti la redditività generabile dall’operazione.
La teoria monetaria moderna considera le importazioni e
l’esportazioni all’interno dell’ambito delle transazioni orizzontali,
sostenendo che una esportazione rappresenta la volontà della nazione
esportatrice di acquistare valuta della nazione importatrice. Il
seguente esempio ipotetico è coerente con ciò che accade nel mercato
valutario FX e può essere utilizzato, per illustrare le basi della
teoria, sull’import-export:
“Un importatore australiano (A) deve pagare per alcuni beni
giapponesi. L’importatore andrà in banca e chiederà di trasferire 1000
yen sul conto corrente giapponese della azienda giapponese (B)
dell’importatore rivolgendosi al mercato valutario FX. Troverà un
individuo (C) che vuole scambiare 1000 yen per 100 dollari australiani.
Così trasferisce i 100 dollari australiani a C. Poi prende i 1000 yen e
li trasferisce sul conto corrente bancario dell’azienda giapponese
esportatrice.”
In questa maniera, la transazione è completa. Chi ha reso la transazione
possibile (ossia con un prezzo accettabile per l’importatore) è stato C
in qualità di mediatore per lo scambio valutario. Quindi la teoria
monetaria moderna deduce che l’importazione sia stata resa possibile
dalla richiesta di valuta straniera ossia dal desiderio del possesso di
tale valuta, e ne conclude che le importazioni sono un beneficio
economico per la nazione importatrice poiché le vengono consegnati beni
reali consumabili che in altra maniera non sarebbe stato possibile
ottenere.
Le esportazioni sono, d’altro canto, un costo economico per la
nazione esportatrice in quanto essa cede beni reali che, viceversa,
avrebbe potuto consumare. La teoria monetaria moderna non trascura,
comunque, il fatto che la nazione importatrice ha dato parte della sua
moneta in mano straniera, e il possesso di questa moneta rappresenta un
futuro diritto sui beni della nazione importatrice. Questo diritto
futuro è, in pratica, una opzione d’acquisto sui beni della nazione
importatrice che pertanto può in avvenire ritrovarsi a cedere beni
propri. Cessioni, queste, che come sottolineato più sopra sono un costo.
Inoltre la teoria monetaria moderna non sottovaluta che importazioni di
merci a basso prezzo possano causare il fallimento di aziende locali
che realizzano beni simili ma a costi più alti generando di conseguenza
disoccupazione.
Una buona parte degli economisti della teoria monetaria moderna
etichettano questa considerazione come facente parte di un discorso
soggettivo basato sul valore e non sull’economia: sta alla nazione, in
altri termini, decidere di considerare i benefici di un import a basso
costo per merci di uno specifico settore piuttosto che la conseguente
perdita d’impiego nazionale in quel particolare settore. La teoria
monetaria moderna non ignora, altresì, l’effetto di una sovrabbondanza
di beni disponibili con una domanda estremamente poco elastica quali il
petrolio ad esempio, ed è coerente con la teoria monetaria moderna che
una nazione, in gran parte dipendente dalle importazioni, possa esperire
uno shock causato dalla carenza di beni se il livello di interscambio
commerciale diminuisce in maniera significativa. Uno dei compiti delle
banche centrali può e deve quindi essere lo scambio monetario sul
mercato valutario FX al fine di evitare ripercussioni eccessive sui
tassi di cambio tra le divise.
Pertanto una importazione al netto crea il possesso straniero della
propria moneta. Tuttavia è importante rilevare come in realtà la moneta
non lasci mai effettivamente la nazione importatrice. Il possessore
straniero della moneta locale può sia spenderla nell’acquisto di beni
locali sia depositarla nel sistema bancario locale. In ambedue queste
prospettive, il denaro finisce nel sistema bancario locale. Alla stessa
maniera, e concordemente con quanto già illustrato precedentemente,
anche nel caso in cui il possessore straniero della moneta locale
acquisti titoli pubblici denominati in tale moneta e rilasciati dalla
nazione emettente questa stessa moneta, il denaro versato alla
maturazione del titolo pubblico non può che ritornare, in ultima
analisi, nella nazione di emissione come se fosse ivi sempre rimasto.
(Le banche possono tuttavia concorrere tra loro al fine di attrarre
questo denaro emettendo strumenti finanziari, quali obbligazioni e
titoli, rivolti al mercato estero. Questo fenomeno è definito con il
termine di offshore funding.)
È da evidenziare come l’assunzione, da parte dello stato, di debito
denominato in divise estere sia, secondo la teoria monetaria moderna, un
effettivo rischio economico per la nazione così indebitata giacché essa
non può creare valuta straniera. Di conseguenza, per riuscire a pagare
questo debito entro la sua maturazione, è necessario assicurarsi che
durante tale periodo la domanda estera della propria moneta sia sempre
elevata e costante. Un collasso del tasso di cambio valutario potrebbe
potenzialmente moltiplicare il debito più volte in maniera asintotica,
rendendone impossibile l’estinzione.
La difficoltà nel pagamento di questo debito può portare la nazione
al fallimento. Lo stato può anche tentare l’adozione di una strategia
basata sull’export oppure di effettuare un aumento del tasso di
interesse onde attrarre investitori stranieri verso la propria moneta.
Ognuna di queste scelte comporta ripercussioni negative sull’economia.
La crisi del debito, iniziata nel 2009 nelle nazioni denominate
“PIIGS”, riflette questo rischio in quanto Portogallo, Irlanda, Italia,
Spagna, Grecia hanno emesso debito in una moneta praticamente a loro
straniera – l’euro – che sono impossibilitati a creare essi stessi.
Sulla base degli aspetti descrittivi esposti, autori e fautori della
teoria monetaria moderna indicano una serie di metodologie per gestire
l’economia. Queste indicazioni spaziano lungo tutto il panorama
politico, dalle garanzie sul lavoro appoggiate dalla sinistra ai tagli
delle tasse tradizionalmente appoggiati dalla destra.
I cartalisti sostengono che il sistema della moneta a corso legale
sia preferibile al sistema della moneta merce. Nel sistema della moneta a
corso legale è possibile per il governo spendere a deficit stimolando
il mercato in modo altrimenti impossibile in un sistema basato sulla
moneta merce. Essi affermano inoltre che i sistemi a moneta unica, come
ad esempio l’euro, creano squilibri commerciali determinanti instabilità
economica che alla fine sfocia in un sistema monetario impraticabile.
Per i cartalisti la garanzia occupazionale è il metodo migliore di
conseguire il pieno impiego e la stabilità dei prezzi. In altri termini
lo stato si fa carico di assicurare, tramite l’offerta di posti di
lavoro solitamente a salario minimo nel settore pubblico, una
occupazione a tutti i cittadini di modo tale che questo sistema funga da
misura tampone di stabilizzazione automatica per l’economia nel suo
complesso. La garanzia occupazionale difatti agirebbe in modo elastico e
anticiclico, pertanto alla sua diminuzione si ridurrebbe il deficit
rallentando la corsa di una economia in piena accelerazione e alla sua
espansione si aumenterebbe il deficit stimolando le economie depresse.
Alcuni tra i principali sostenitori della teoria monetaria moderna,
come Warren Mosler, propongono ampie riduzioni fiscali o una completa
sospensione delle tasse (tax holiday) in caso di alta disoccupazione e
bassa crescita economica. Secondo la teoria monetaria moderna, ridurre
la pressione fiscale può favorire la ripresa sia dell’economia che dei
consumi aumentando così produzione e occupazione.
La teoria ha ricevuto ampie critiche da una vasta gamma di scuole di
pensiero economico. L’economista neo-keynesiano e premio Nobel Paul
Krugman ritiene che la visione, propugnata dalla teoria monetaria
moderna, secondo cui il deficit non sia importante fino a quando si ha
una propria valuta è “semplicemente non corretta”.
Gli economisti che sostengono la teoria monetaria moderna hanno
risposto sottolineando come le posizioni critiche tradiscano una
incomprensione della teoria. Sebbene i critici rappresentino spesso la
teoria monetaria moderna come sostenitrice dell’idea che “i deficit non
contano”, gli autori cartalisti hanno espressamente affermato che questo
non è un principio contenuto nella teoria.
L’economista della scuola austriaca Robert P. Murphy afferma che
“l’immagine del mondo descritta dalla teoria monetaria moderna non è
all’altezza delle aspettative” e che tale descrizione sembra essere
“totalmente sbagliata”. Daniel Kuehn, ricercatore associato del Centro
Lavoro, Servizi Umani e Popolazione presso l’Urban Institute di
Washington D.C., manifesta piena sintonia con l’opinione di Murphy,
affermando che “l’economia non è la contabilità” e che “confondere
pareggio di bilancio e leggi comportamentali è cattiva economia”.
In specie la critica di Murphy è illustrata con un esempio ipotetico
nel quale Robinson Crusoe vive in un mondo senza sistema monetario,
dimostrando come sia possibile per Crusoe risparmiare tramite entrate
precedenti e accertando così che, nonostante ciò che gli economisti
della teoria monetaria moderna sostengono, il deficit pubblico non è
necessario al risparmio. Gli economisti cartalisti hanno però
sottolineato che i principii cardine della teoria monetaria moderna
hanno come scopo fondamentale quello di descrivere l’economia di un
stato dotato di sovranità monetaria.
Murphy inoltre contesta la teoria monetaria moderna in quanto egli
ritiene che i titoli pubblici non siano patrimonio netto per il settore
privato nel suo complesso dal momento che il titolo potrà essere
riscattato solo alla sua maturità cioè solo dopo che il governo “avrà
raccolto i fondi necessari provenienti dallo stesso gruppo di
contribuenti in futuro”.
In risposta a questa osservazione i proponenti della teoria monetaria
moderna evidenziano come il pagamento degli interessi sui titoli
pubblici non debba necessariamente derivare dalle tasse, poiché gli
acquisti di questi titoli possono avvenire attraverso la creazione di
moneta piuttosto che per mezzo della tassazione.
Brad DeLong, ex membro della presidenza Clinton e professore di
economia alla Berkeley, ha suggerito che la teoria monetaria moderna non
sia una teoria bensì una tautologia, cioè un’affermazione vera per
definizione, quindi fondamentalmente priva di valore informativo.
Alcuni critici hanno dichiarato che la teoria monetaria moderna “ignora le lezioni della storia” ed è “fatalmente imperfetta”.
Eladio Febrero Paños, professore di economia presso l’Università di
Castiglia-La Mancia, sottolinea come la moneta moderna tragga il suo
valore intrinseco dalla sua capacità di annullare l’indebitamento
privato delle banche, in particolare in qualità di moneta a corso
legale, piuttosto che nel pagamento dell’imposizione fiscale. Tuttavia
non è chiaro se questa sia una critica, dal momento che le banche fanno
completo affidamento sul servizio monetario offerto dallo stato e sulla
moneta da esso scelta come divisa attraverso il sistema bancario
centrale.
fonte wikipedia