L’Unione Europea e l’eurogruppo sono di fronte a
decisioni che sollecitano profondi cambiamenti di metodo e di politica
economica.
La Grecia ha un debito pubblico di 310
miliardi di euro pari a circa il 175% del suo pil. Prima del 2007 era
dell’89%. Nella zona euro era del 66% prima della crisi finanziaria
globale, oggi si aggira intorno al 93%.
Negli anni
passati per salvarsi dalla bancarotta Atene ha chiesto e ricevuto dalla
Ue e dal Fondo Monetario Internazionale due bailout per 240 miliardi di
euro. In cambio ha dovuto sottoporsi ad una “terapia shock” fatta di
tagli dei budget statali, di drastiche riduzioni delle spese pubbliche e
di aumenti delle tasse richiesti e imposti dalla Troika.
Di
conseguenza oggi l’economia greca è in ginocchio. Dopo 6 anni di
compressione economica, gli investimenti sono stati ridotti del 63,5%,
la sua produzione industriale è scesa di un terzo, il pil si è ridotto
del 26%. La disoccupazione è salita a oltre il 25% della forza lavoro e
quella giovanile al 62%.
D’altra parte è noto che dei
240 miliardi di “aiuti” (l’Italia vi ha contribuito con 41 miliardi di
euro) solo il 10% è andato a sostegno della spesa pubblica o del reddito
dei cittadini greci. Il resto di fatto è stato una partita di giro.
Sono stati acquistati titoli di stato greco detenuti dalle grandi banche
private europee ed internazionali che premevano per disfarsene,
minacciando quindi di accelerare il processo di bancarotta dello Stato. E
una parte è andata a pagare gli interessi sul debito pubblico cresciuti
a dismisura.
In una simile situazione la cosiddetta
ripresa economica non ci può essere, è uccisa ancora prima di iniziare.
Riteniamo che sia una scelta suicida sia per Atene che per Bruxelles.
Perciò
la richiesta della ristrutturazione del debito greco all’interno di una
specifica conferenza europea sul debito è l’unica mossa razionale
possibile che va ben al di là del colore politico del governo pro
tempore. Infatti la Spagna, l’Irlanda e il Portogallo mostrano un grande
interesse per tale proposta. Anche l’Italia lo dovrebbe fare.
Anche
importanti analisti economici di differenti scuole di pensiero
economico, e persino il Financial Times, giudicano la politica europea
nei confronti della Grecia completamente fallimentare. Osservano che se
fossero concessi nuovi aiuti finanziari, indispensabili per tenere in
vita lo Stato e il debito della Grecia, e fossero usati come nel
passato, l’economia e la società comunque sprofonderebbero nella palude
della depressione.
La Bce sta già acquistando titoli di
stato dei Paesi europei nella prospettiva di creare maggiore liquidità
per nuovi investimenti nell’economia reale. La stessa banca inoltre
potrebbe acquistare sui secondary bond market, i cosiddetti mercati
obbligazionari secondari, titoli di stato, detenuti dai privati, della
Grecia e non solo. Naturalmente ciò comporterebbe una rivoluzione
copernicana sia nella Bce che nell’Ue in quanto si potrebbe
unilateralmente rinviare indefinitamente le scadenze di tali titoli
mantenendo tassi di interesse irrisori.
In sintesi
Atene chiede un trattamento non dissimile a quello concesso alla
Germania dopo la Seconda Guerra mondiale. Lo si decise alla Conferenza
di Londra del 1953 che fu guidata dagli Stati Uniti e coinvolse 20
nazioni, tra cui la Grecia. Alla Germania fu concessa la cancellazione
del 50% del debito accumulato dopo le due guerre mondiali e l’estensione
per almeno 30 anni del periodo di ripagamento del restante.
Inoltre
dal 1953 al 1958 la Germania avrebbe pagato soltanto gli interessi sul
debito. Fu concordato in particolare che tali pagamenti non superassero
il 5% del surplus commerciale della Germania.
Tale
accordo permise all’economia tedesca di ripartire. Il Piano Marshall di
sostegni economici fu poi determinate per lo sviluppo dell’economia.
Molti Paesi creditori furono interessati a sostenere l’export della
Germania permettendole così di pagare i debiti e gli interessi.
Naturalmente l’allora geopolitica, che assegnava alla Germania il ruolo
di baluardo nei confronti dell’Unione Sovietica, fu decisiva.
E’
importante sottolineare che l’Accordo del 1953 affermava di voler
“rimuovere gli ostacoli alle normali relazioni economiche delle Germania
Federale con gli altri Paesi e quindi di dare un contributo allo
sviluppo di una prosperosa comunità di nazioni”. Un concetto che
meriterebbe di essere proposto anche oggi per l’intera Europa.
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