EXPO 2015/ 1. Sapelli: questo sviluppo non ci dà il
pane quotidiano
Pubblicazione:
sabato 2 maggio 2015
Infophoto
“E’ un Expo in cui prevalgono l’ideologia bio
e la retorica compassionevole sulla fame nel mondo, ma in cui mancano la
valorizzazione della nostra industria e la proposta di un modello di sviluppo
differente”. E’ l’osservazione di Giulio Sapelli, professore di Storia
economica all’Università di Milano, sulla grande esposizione universale
inaugurata ieri. “Oggi comincia il domani dell'Italia - ha detto il presidente
del Consiglio, Matteo Renzi, durante la cerimonia -. Dimostriamo con l'Expo che
l'Italia è orgogliosa delle sue radici, delle sue tradizioni. Il nostro
vertiginoso passato ci invita a costruire e non soltanto a ricordare. Venite a
scoprire che sapore ha l'Expo dell'Italia”
Al di là del
tema “Nutrire il pianeta, energia per la vita”, che cos’è veramente questo
Expo?
Incomincerei
da quello che non è. L’Expo 2015 è un’occasione mancata per parlare di quello
che è veramente l’Italia. Il fatto che come tema si sia scelta l’alimentazione
di fatto ha riproposto nell’arena mondiale l’immagine stereotipata dell’Italia
spaghetti e mandolino, facendo dimenticare che siamo il secondo Paese
manifatturiero d’Europa e uno dei sette Paesi più industrializzati al mondo. E’
una conferma dell’incapacità degli italiani di parlare bene di se stessi.
Agroalimentare
e industrializzazione sono davvero in contrapposizione?
No, anche se
la vera contraddizione culturale di questo Expo è il fatto che tra gli sponsor
ci siano McDonald’s e la Coca Cola, ma non il simbolo Ogm. Concordo con il
ministro francese, Segolene Royal, che ha parlato di “valorizzare l’ambiente
puntando sull’industria”. Condivido meno la filosofia del biologico alla Carlin
Petrini, su cui si fonda questo Expo, soprattutto perché non è coniugata con
una difesa delle popolazioni contadine.
Pur con questi
limiti, l’Expo può aiutare la ripresa dell’Italia?
Spero che non
ci saranno solo turisti e visitatori, ma anche delegazioni commerciali e
industriali. Per aiutare la ripresa sarebbe però stato necessario prevedere un
“dopo Expo”, rispetto a cui siamo del tutto latitanti. C’è un coacervo di
muscolarismo architettonico fatto di cemento e acciaio, ma manca la capacità
strategica di pensare al dopo.
In molti
lamentano il fatto che non si riesca a sfruttare un’opportunità come Expo. E’
un approccio moralistico?
Molto dipende
dal fatto che questo Expo è nato senza un gioco di squadra. Ci ricordiamo tutti
le polemiche tra la Moratti e Formigoni. Del resto anche quando si trattò di
votare tra Smirne e Milano a sostenerci furono soprattutto i Paesi africani,
che non possono certo darci un aiuto significativo a livello industriale. Expo
è una grande opportunità, ma francamente non ho mai sentito un discorso che
enunci come si possa passare dalla potenza all’atto.
Abbiamo
visto tutti i black bloc. Chi contesta Expo ha qualche ragione?
Se lo
facessero senza violenza avrebbero molte ragioni. Mettiamoci nei panni di un
giovane il quale crede che sia possibile dare da mangiare a tutto il mondo
senza gli Ogm, ma solo attraverso l’agricoltura bio. Nel momento in cui vede
che tra gli sponsor ci sono McDonald’s e la Coca Cola, ma che poi la narrazione
di Expo è tutta basata sul biologico, posso capire che un ragazzo si senta
preso in giro. Il modo in cui l’esposizione è presentata è una grande opera di
mistificazione.
Esiste un
messaggio culturale dell’Expo?
E’ un amalgama
di vari messaggi. La Carta di Expo parla di verità sacrosante come il diritto
all’alimentazione per tutti. La “retorica compassionevole” con cui questi
valori sono però declinati raccoglie certamente molti consensi, ma se vogliamo
dare da mangiare a tutti dobbiamo affrontare il tema della proprietà
capitalistica della terra. Ciò che occorre fare è coniugare l’industria e una
proprietà della terra che non è quella oggi in vigore nel mondo, con forme di
tipo no profit e cooperativo. Tutto questo nel messaggio di Expo invece manca e
mi sembra una carenza gravissima.
L'auspicio del
Papa è che Expo “non resti solo un tema" e che “sia sempre accompagnato
dalla coscienza dei volti: i volti di milioni di persone che oggi hanno fame”.
Condivide questo invito?
Sono
completamente d’accordo. Il Papa ci sbatte i volti di chi ha fame sulle facce
di noi occidentali che abbiamo riempito il mondo di edonismo nichilistico. Per
evitare che quei volti rimangano affamati bisogna cambiare modello di sviluppo,
e io questo all’Expo non l’ho sentito. Mi sembra una grande fiera commerciale,
neanche fatta troppo bene. Non nego che l’ad Giuseppe Sala, e insieme a lui
migliaia di operai, abbiano fatto miracoli. Però rimane un po’ l’amaro in
bocca.
Per Papa
Francesco “non si può parlare dei poveri senza parlare di Dio: dacci oggi il
nostro pane quotidiano”…
E’ un’accusa
terribile a chi il pane non lo dà. Quello del Papa è un attacco enorme al
meccanismo capitalistico internazionale. Non alle multinazionali in sé, ma a un
certo modello di sviluppo. E’ un secolo che questo modello di sviluppo non ci
dà il “pane quotidiano”, anzi le cose peggiorano. E’ vero che la povertà
assoluta è diminuita, ma oggi abbiamo delle capacità tecnologiche grazie a cui,
con una distribuzione dei diritti di proprietà diversa, avremmo potuto dare da
mangiare a tutto il mondo.
(Pietro
Vernizzi)
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