regionali
Tarchi: «Legge elettorale,
giochi già fatti. E l’elettore diserta»
Il politologo e l’astensionismo: «Non ci
sono solo delusi. Il Rossi-bis può scoraggiare chi è stanco di vedere
che qui non cambia nulla, ma può motivare ex Pci-Pds-Ds che non vedono
bene la svolta renziana»
di Claudio Bozza
FIRENZE - Domenica il voto delle
Regionali, ma in pochi sembrano saperlo. Il premier Renzi è conscio che
un forte astensionismo porterebbe ad una vittoria mutilata anche se i
candidati Pd si affermeranno in 6 regioni su 7. Tanto da lanciare un
appello: «Domenica non fate i bischeri e andate a votare, perché tante
persone hanno dato la vita per acquisire questo diritto».
Professor Marco Tarchi, politologo alla
Cesare Alfieri, l’astensionismo dipende solo da fattori nazionali o c’è
anche un aspetto locale, toscano? Andrà meglio o peggio rispetto alle
altre Regioni?
«Il fenomeno dell’astensionismo travalica
di gran lunga il contesto toscano. Nemmeno le formazioni di protesta di
maggiore successo riescono ad arginarlo. Malgrado il Movimento Cinque
Stelle, Syriza e Podemos, gli elettorati italiano, greco e spagnolo
hanno fatto registrare diserzioni dalle urne fra il 35 e il 40 per
cento. La delusione e la disaffezione nei confronti della politica si
estende, anche perché si ha la sensazione che le decisioni che contano
vengano prese altrove: negli ambienti economico-finanziari, soprattutto,
o negli uffici di Bruxelles. In Toscana potrebbe pesare la certezza che
la partita, come sempre, sia già segnata prima di aprirsi. Ma è
difficile fare ipotesi sul confronto con altre regioni».
Quanto può pesare il senso di continuità rappresentato dalla presidenza Rossi?
«Molto, ma sia nel bene che nel male. Nel
senso che può scoraggiare chi è stanco di vedere che, in questa regione,
ben poco cambia da una legislatura all’altra, ma motivare al voto
quella parte di elettorato ex-Pci-Pds-Ds che vede la svolta renziana con
ben poco simpatia».
Conta anche la frammentazione del centrodestra diviso in tre-quattro pezzi?
«Al contrario. La differenziazione
dell’offerta potrebbe attrarre un elettorato di per sé molto eterogeneo.
Ad indurre i simpatizzanti del centrodestra a starsene a casa potrebbe
essere semmai la scarsa combattività che i loro rappresentanti da molto
tempo dimostrano nel loro ruolo fisso di oppositori. A livello locale,
questa regione è sempre stata data per persa a priori da Berlusconi e
dai suoi, che poco o nulla hanno fatto per riguadagnare terreno».
Ha un ruolo anche la legge elettorale regionale pensata per un bipolarismo che è sparito del tutto?
«Tutte le leggi elettorali non puramente
proporzionali inducono una parte degli elettori a non recarsi alle urne,
perché ne frustrano le speranze di una corretta rappresentanza. I dati
che sono stati registrati dal 1993 in poi in tutta Italia lo dimostrano.
La normativa toscana non corregge questo dato di fatto. La tendenza a
costruire sistemi elettorali che hanno un effetto da “asso pigliatutto”,
squilibrando numericamente il peso dei perdenti rispetto ai vincenti, è
uno dei fattori fondamentali della crescita delle astensioni, non solo
nel nostro paese».
In Toscana saranno le prime elezioni in cui
i candidati si contenderanno la poltrona con le preferenze, senza gli
eletti decisi a tavolino. La politica ha svoltato troppo tardi o no?
«Se troppo, non so, ma tardi sicuramente.
Lo strapotere degli apparati di partito nel decidere le candidature, in
un periodo in cui la diffidenza nei confronti del ruolo dei partiti è
dilagante, è stata da molti vista come l’ennesimo atto di arroganza, il
tentativo sfacciato di difendere le antiche prerogative. La critica dei
“nominati” è ormai moneta corrente nella pubblica opinione».
Rossi è della sinistra Pd, ma strizza l’occhio a Renzi. Crede che questo profilo rischi di perdere i suoi elettori storici?
«Il problema di Rossi, da questo punto di
vista, non è che il riflesso di quello di più di una delle componenti
“di sinistra” del Pd a livello nazionale. Da quando Renzi ha vinto anche
la partita per la presidenza del Consiglio, la voglia di opporsi alla
sua svolta al centro si è molto infiacchita in buona parte dei suoi
oppositori. Il Pd rimane forse l’unico partito italiano in cui, per
molti dirigenti e rappresentanti, la politica è una professione a tempo
indeterminato. È ovvio che ciò induca molti ad accomodamenti e a
digestioni di rospi. A taluni dei suoi elettori tradizionali la cosa
potrà dispiacere, ma a molti di loro regalerà, se non altro, un
simulacro di continuità con una antica storia. È la logica bersaniana
della fedeltà alla Ditta».
Sarà la prima volta del M5S in Regione, cabina di regia delle Grandi opere, cosa c’è da aspettarsi?
«Bisognerà vedere con quale forza i
grillini approderanno a Palazzo Panciatichi. Se, cioè, saranno costretti
a limitarsi a disturbare il manovratore e a far le pulci ai suoi conti,
o se troveranno spazi e sponde per pesare davvero».
A Palazzo Chigi si sta preparando un
rimpasto di governo. Sarà più o meno radicale, in base al risultato
delle Regionali. In questo modo Renzi potrebbe puntare al monocolore Pd,
evitando il voto nazionale. È una strategia corretta o no?
«Dipenderà da quanto peseranno, nelle urne,
il Pd da un lato e i suoi alleati dall’altro. Un ulteriore
ridimensionamento del già piccolo Ncd potrebbe lasciare a Renzi mani
ancora più libere, ma non potere addebitare ad altri la responsabilità
di eventuali ritardi o passi falsi dell’azione governativa è un fattore
di rischio, non un punto di forza. E su Renzi già pesa l’accusa di voler
essere l’uomo solo (anche se attorniato da un nugolo di gregari) al
comando…».
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