la polemica non è un male, è solo una forma di confronto crudo sincero, diciamo tutto quello che pensiamo fuori dai denti, e vediamo se riusciamo a far venir fuori le capacità di cui siamo portatori e spenderle per il Bene Comune.
Produrre, organizzare, trovare soluzioni,
impegnarci a far rete, razionalizzare e mettere in comune, attingere alle nostre risorse. CUI PRODEST?
Pensa cchiu' a chi o' dicè ca' a chello ca' dice
L'albero della storia è sempre verde
L'albero della storia è sempre verde
"Teniamo ben ferma la comprensione del fatto che, di regola, le classi dominanti vincono sempre perché sempre in possesso della comprensione della totalità concettuale della riproduzione sociale, e le classi dominate perdono sempre per la loro stupidità strategica, dovuta all’impossibilità materiale di accedere a questa comprensione intellettuale. Nella storia universale comparata non vi sono assolutamente eccezioni. La prima e l’unica eccezione è il 1917 russo. Per questo, sul piano storico-mondiale, Lenin è molto più grande di Marx. Marx è soltanto il coronamento del grande pensiero idealistico ed umanistico tedesco, ed il fondatore del metodo della comprensione della storia attraverso i modi di produzione. Ma Lenin è molto di più. Lenin è il primo esempio storico in assoluto in cui le classi dominate, sia pure purtroppo soltanto per pochi decenni, hanno potuto vincere contro le classi dominanti. Bisogna dunque studiare con attenzione sia le ragioni della vittoria che le ragioni della sconfitta. Ma esse stanno in un solo complesso di problemi, la natura del partito comunista ed il suo rovesciamento posteriore classistico, individualistico e soprattutto anti- comunitario" Costanzo Preve da "Il modo di produzione comunitario. Il problema del comunismo rimesso sui piedi"
giovedì 30 luglio 2015
I Fratelli Musulmani che ruolo hanno, dove gli islamisti, in tutto il mondo, cercano di infiltrarsi nelle comunità musulmane?
Il problema del radicalismo islamico è in parti dell’Islam, e noi ci stiamo girando intorno
Perugia ─ “Il problema è nell’Islam”. Sono parole forti,
complicate e complesse, pericolose. Di quelle che sono sempre a grosso
rischio di strumentalizzazione ─ figurarsi in un momento storico di
questo Paese dove l’eccentricità porta un ex ministro (“per la
Gioventù”), Giorgia Meloni, a scartare l’ipotesi (bizzarra e
improbabile, va detto) sulla candidatura a prossimo presidente della
Regione Sicilia del giornalista Pietrangelo Buttafuoco
perché è un convertito all’Islam e sarebbe un messaggio sbagliato, «un
cedimento culturale ai quei fanatici che vorrebbero sottomettere noi
infedeli», precisa Meloni. (Quando siamo arrivati così in basso?).
Dunque quelle parole d’apertura, sono del genere da spiegare, da
articolare per la lunghezza di un intero articolo, per inquadrare la
questione senza correre il rischio di fare da spalla a certe strampalate
posizioni di qualche politico italiano. Un brutto rischio, che quasi
non si vorrebbe correre (per non finire impelagati in qualche
involontaria complicità). E invece, vale comunque la pena di parlarne
(oltre al dovere di cronaca, diciamo), perché questi che viviamo sono
giorni contemporanei alla data che forse segnerà il nuovo corso nel
rapporto tra stati occidentali e società islamica.
Esattamente dieci giorni fa, il 19 luglio, alla Ninestiles School di
Birmingham, il primo ministro inglese David Cameron ha tenuto un
discorso che può essere considerato lo spartiacque nella trattazione dei
rapporti Occidente-Islam: senza giri di parole, Cameron ha accusato la
comunità musulmana in Gran Bretagna di non fare abbastanza per bloccare i
reclutatori dello Stato islamico e per allontanare i giovani inglesi
dal fascino della narrativa del Califfato.
La Gran Bretagna ha un serio problema con l’estremismo islamico: dai
dati raccolti dall’intelligence, sarebbero circa seicento i giovani
partiti per combattere il jihad in Siria e in Iraq dal 2012. Alcuni di
loro sono diventati dei preoccupanti simboli: su tutti Mohamed Emwazi,
meglio conosciuto come “Jihadi John”, capo del gruppo di sequestratori
“Beatles” interno allo Stato islamico, e boia degli occidentali
decapitati nei video dell’IS. Emwazi è di origine kuwaitiana, ma è
cresciuto a Londra. Uno dei tanti: nell’ultimo anno sembra che la
polizia inglese abbia arrestato una persona al giorno con l’accusa di
terrorismo. Soprattutto giovani. Ragazzi e ragazze, affascinate dalla
possibilità di andare a far parte di un mondo in cui finalmente “puoi
contare qualcosa”, sanare ingiustizie storiche e fantomatiche avversità,
uscire dalla povertà, indottrinati dalle solite idee cospirative di
quella visione del mondo che Cameron definisce «malata» e di cui Daniele
Raineri sul Foglio ha fornito una sintesi efficace:
«L’Occidente è cattivo e la democrazia sbagliata, le donne sono
inferiori e l’omosessualità è un male, la legge religiosa prevale sulla
legge dello stato e il Califfato prevale sullo stato nazione, e la
violenza è giustificata – anzi incoraggiata e richiesta – per vincere». E
ancora, gli ebrei e i poteri malevoli occidentali, che operano in
concerto per umiliare i musulmani con l’obiettivo ultimo di distruggere
l’Islam. «Non è così» dice il premier inglese: «Vi useranno e vi
butteranno via». «Se sei un ragazzo, ti faranno il lavaggio del
cervello, ti metteranno addosso una bomba e ti faranno esplodere. Se sei
una ragazza, ti schiavizzeranno e abuseranno di te» continua: «Questa è
la realtà malata e brutale dello Stato islamico». Parole accorate,
verso quello che ha definito lo «struggle» di una generazione: combattere il jihadismo interno al Paese.
Oltre al quando, al come e al che cosa, anche il dove del
discorso di Cameron ha un grosso valore rappresentativo. Se c’è una
realtà simbolo della società multiculturale, multirazziale e
multireligiosa inglese, quella è Birmingham ─ più di Londra, simbolo
globale e per questo meno “locale-britannica”. E da Birmingham che
Cameron trova lo spunto per la “One Nation”, lo slogan sulla società
unita che lo ha portato a rivincere le elezioni: sconfiggere insieme
l’estremismo e costruire una società più forte e coesa, che Cameron
definisce un «elemento vitale di quest’unione».
Birmingham una delle città che ha “contribuito” più di qualunque
altra in quei 600 jihadisti partiti dal suolo inglese. Ospita la più
grande comunità musulmana del Regno Unito, e ha un rapporto storico con
il radicalismo islamico. Lo scorso anno fece piuttosto scalpore la
notizia diffusa dal Guardian
secondo cui in una delle scuole della città, fu proiettato agli
studenti un video di propaganda jihadista. Si scoprì in seguito che si
trattava di un’operazione denominata “Cavallo di Troia” con cui alcuni
alcuni gruppi islamici integralisti volevano “prendere il controllo”
delle scuole.
Una scuola, come quella da cui ha parlato Cameron: e la questione torna di nuovo d’attualità. Sky Newsha pubblicato
in questi giorni un’inchiesta che racconta come all’Institute of
Islamic Education ─ che si trova all’interno della Markazi Masjid, una
delle più grandi moschee del Regno Unito ─ di Dewsbury, nei pressi di
Leeds (Inghilterra del nord), siano previste sanzioni e punizioni per
gli studenti che frequentano compagnie non musulmane. L’istituto
imporrebbe un codice di comportamento ispirato alla sharia: niente Tv e
giornali, solo abiti islamici, ascolto della musica limitato,
segregazione culturale e via dicendo. Nota a latere: secondo quanto rivelato da Sky News, l’Ofsted, dipartimento del governo che ispeziona le scuole e ne valuta la qualità, avrebbe giudicato “buono” l’istituto.
La parte focale del discorso di Birmingham è proprio quella in cui
Cameron pone l’obiettivo su un problema molto importante, che si
aggancia ai fatti di Dewsbury. Dice il premier: «Non c’è bisogno di
sostenere la violenza per sottoscrivere alcune idee intolleranti che
creano un clima in cui l’estremismo può fiorire. Idee che sono ostili ai
valori liberali di base come la democrazia, la libertà e la parità
sessuale. Idee che attivamente promuovono la discriminazione, il
settarismo e la segregazione». Ed è vero: il processo di
radicalizzazione avviene molto spesso in luoghi in cui la violenza non è
praticata, ma tuttavia è tollerata. La Markazi Masjid, per esempio è la
sede europea della Tablighi Jamaat, un movimento islamista con
connotati estremisti.
Per far fronte all’estremismo islamista, occorre allora contrastare
sia il volto violento che quello non apertamente violento, e per questo
sostiene Cameron serve di occuparsi anche di quelle realtà che pur
condannando la violenza apparentemente, sostengono altre posizioni
estreme come le teorie cospirative secondo cui l’Occidente vuole
eliminare l’Islam, o posizioni illiberali, o il settarismo, la
discriminazione, la segregazione; e di quelle moschee in cui si leggono
versi che inneggiano al jihad e dove si racconta che Maometto era un
conquistatore e in questo occorre seguirlo. Posizioni su cui c’è stato
un “condoning quietly” da parte della società britannica (anche in nome
del buonismo e del politically correct) e soprattutto della comunità
islamica. Un’ipocrisia che è finita per spalancare la porta alla
narrazione estremista, e poi a dipingere il radicalismo come rivincita e
infine dato un tocco glamour al jihad.
Il discorso di Cameron potrebbe segnare il passo, dunque. Si tratta
della prima volta che un leader occidentale parla di un problema
esistente con settori della comunità musulmana ─ «Si è spinto
coraggiosamente dove nessun altro leader europeo aveva osato prima» ha
scritto in un op-ed sul Times Ayaan Hirsi Ali, intellettuale di
origini somale finita nel mirino dei terroristi islamici per aver
partecipato alla produzione del documentario “Submission” sul fanatismo
islamico, costato la vita al regista assasinato Theo Van Gogh. «Non
posso essere più d’accordo. In tutto il mondo gli islamisti si
infiltrano nelle comunità musulmane e dicono loro: “Gli infedeli sono in
guerra con la tua religione”» scrive ancora Ali, a sostegno di una tesi
piuttosto diffusa secondo cui gli unici persecutori dei musulmani nel
mondo sono i musulmani stessi, quelli radicali e violenti, che
colpiscono gli altri per la moderazione.
Cameron ha certamente esposto il fianco alle strumentalizzazioni e al rischio di «generalizzazione su base religiosa» (Raineri, Foglio).
Ma quella segnata alla Ninestiles School è anche la linea della futura
traccia politica. Da settembre partiranno una nuova serie di misure
messe in campo dal governo inglese contro l’estremismo interno e che
copriranno l’iniziativa dell’esecutivo per i prossimi cinque anni.
Bloccare i passaporti (e l’invito rivolto dal premier anche ai genitori
che pensano che il proprio figlio stia per partire per il jihad);
eliminare i predicatori radicali fornendo sostegno ai moderati per
rafforzarne la voce; sostenere istituzioni islamiche che aiuteranno il
governo a tenere i giovani lontani dal fanatismo. Cameron ha un piano
operativo, che mette in pratica la lezione di Birmingham, per affrontare
quello che in questo momento è uno dei più grossi problemi del Regno
Unito.
Nessun commento:
Posta un commento