di Giuseppe Consiglio
La schiacciante vittoria di Tsipras alle politiche del 25 gennaio costituisce,
come oramai ampiamente assodato, una limpida bocciatura del programma
“lacrime e sangue” imposto alla Grecia dalla cosiddetta Troika e un
chiaro mandato al nuovo governo eletto dal popolo ellenico: interrompere
le politiche di austerità e ridiscutere gli accordi con i creditori
internazionali attraverso una riduzione dei tassi di interesse e una
ristrutturazione del debito. Quella che ha portato SYRIZA al governo è
una proposta quanto mai ambiziosa che a più riprese si è scontrata con
la dura realtà dei negoziati che Atene conduce a denti stretti oramai da
sei mesi. Abbandonati i toni accomodanti –
salvo sprazzi di insofferenza più dettati da esigenze propagandistiche e
di consenso interno che da una reale visione di lungo periodo –
dell’esecutivo guidato da Antonis Samaras, per trascinare la Grecia
fuori dalla crisi il governo Tsipras ha elaborato una tattica che si
sviluppa su due fondamentali direttrici: da un lato le trattative con
l’Eurogruppo dove il Primo Ministro ed il suo Ministro delle Finanze
Yanis Varoufakis, adottando plasticamente l’approccio Mutt and Jeff
con il professore nel ruolo del “poliziotto cattivo”, cercano di
convincere Banca Centrale Europea (BC), Commissione europea e Fondo
Monetario Internazionale (FMI), dell’efficacia delle riforme strutturali
proposte per garantire un maggiore controllo della spesa ed una
sostanziale salubrità dei conti pubblici. Dall’altro la ricerca di altri
partner internazionali capaci di sostenere l’economia ellenica: oltre
alla Cina, già ampiamente coinvolta nell’ultimo biennio nei processi di
privatizzazione dei settori infrastrutturali e dell’energia, la Russia
si presenta come un possibile alleato per l’uscita dalla crisi e il
rilancio dell’economia greca. Il vantaggio sarebbe in ogni caso
reciproco: isolata per effetto della crisi ucraina, nonostante le
sanzioni economiche Mosca individua nel rafforzamento della partnership
con la Grecia lo strumento per rompere il fronte europeo. Il sodalizio
minerebbe nell’ottica del Cremlino la credibilità di un’Europa che
abbandonerebbe al proprio destino i suoi popoli e segnerebbe una
straordinaria vittoria per Putin che consoliderebbe una già forte leadership ed un appeal verso il blocco euroscettico sempre più massiccio nel vecchio continente.
I negoziati con i creditori internazionali –
Il primo terreno di scontro su cui Alexis Tsipras ha affrontato la
Troika riguarda la proroga di 4 mesi degli aiuti economici per ottenere
la quale Varoufakis ha predisposto svariati pacchetti di riforme di
volta in volta giudicati insufficiente e lacunosi dagli interlocutori.
Le principali riforme proposte da Atene riguardano l’istituzione di un
Consiglio fiscale par la definizione dei tagli alla spesa pubblica, la
stesura di un nuovo metodo per la predisposizione della legge di
bilancio, un pacchetto di misure per la lotta all’evasione, riforma e
riduzione della burocrazia ed interventi in favore dei cittadini provati
dalla crisi.
Ma
facciamo un passo indietro: le varie liste presentata da Tsipras a
partire da aprile, inalterate nei contenuti rispetto alla precedente ma
decisamente più dettagliate, annunciavano misure per 6 miliardi di euro.
Accanto all’ottimistica previsione di un recupero di circa 900 milioni
di euro dalla lotta all’evasione fiscale da realizzarsi rendendo più
stringente le attività di audit riguardanti le operazioni finanziarie
effettuate da “soggetti offshore”, venivano ribaditi gli impegni
in tema di privatizzazioni. Sistema pensionistico e liberalizzazione del
mercato del lavoro, temi scottanti e particolarmente cari ai creditori,
non venivano però affrontati. Dopo estenuanti negoziati e contrastanti
dichiarazioni da parte di tutti i soggetti coinvolti che a slanci di
ottimismo alternavano le più cupe previsioni che davano per certo il default
greco, si arriva alla scadenza del 30 giugno, data ultima entro cui
Atene avrebbe dovuto restituire al FMI il debito contratto.
L’obiettivo di Tsipras è quello di persuadere l’UE ed ottenere l’ultima tranche
d’aiuti pari a 7,2 miliardi di euro, da utilizzare in parte per
ripianare il debito di 1,6 miliardi con il FMI. L’intransigenza dell’FMI
nel determinare la tabella di marcia per il rientro dei prestiti, ha
messo all’angolo il governo ellenico costringendolo a trattare, evitando
di far saltare il tavolo e di “indispettire” ulteriormente i
plenipotenziari dei dicasteri di economia e finanza europei. A ciò va
anche sommata la difficoltà incontrate dallo stesso Varoufakis
nell’interfacciarsi con i colleghi europei: Tsipras ha infatti deciso
nelle scorse settimane di rimuoverlo dal team che conduce la
trattativa con i creditori internazionali, sostituendolo con il vice
Ministro delle Relazioni Internazionali Euclid Tsakalotos, affiancato
dal Presidente del consiglio economico Giorgios Houliarakis che
rappresenta Atene nel confronto con i creditori.
Il
nodo centrale della trattativa risiede in particolare nei rapporti con
il FMI. L’ennesimo documento contenente le riforme presentate da Tsipras
il 23 giugno ai creditori è stato completamente demolito. Su due
aspetti le istituzioni sembrano non transigere, come già era emerso
negli scorsi mesi: riforma delle pensioni e aumento dell’IVA da un lato,
cancellazione dell’imposta del 12% sulle società con profitti superiori
al mezzo milione di euro. Le Istituzioni hanno inoltre bocciato la
tassazione sui proventi del gioco d’azzardo e la detassazione per i
residenti nelle isole. Contravvenendo decisamente ai dettami
dell’Eurogruppo, il governo Tsipras ha riassunto i 2.413 insegnati
licenziati dal governo precedente e predisposto un piano d’aiuti
umanitari per le fasce più povere della popolazione che dovrebbe entrare
a regime in tempi stretti. L’ennesima bocciatura del pacchetto di
riforme presentate all’Eurogruppo, e la forte opposizione interna, hanno
pertanto spinto Tsipras a compiere una mossa che potrebbe in qualche
modo consentirgli di districarsi in questa complicata situazione. Le
proposte dei creditori circa un incremento del prestito di ulteriori 8
miliardi di euro (rispetto ai 7,2 iniziali) e un estensione dello stesso
fino a tutto il 2015 in cambio di una riforma immediata del sistema
pensionistico, di un aumento dell’IVA superiore rispetto a quello
proposto da Atene e di una detassazione dei profitti, sono state
definite inaccettabili dal governo greco. Nonostante un’ultima apertura a
negoziare un nuovo piano, il Premier ha indetto per il prossimo 5
luglio una consultazione popolare mirata all’opportunità di accettare o
meno le controproposte dei creditori più che a decretare la permanenza
nell’area euro. Certamente il modo più efficace per sedare l’opposizione
interna che potrebbe però ulteriormente compromettere il rapporto con i
creditori.
Il fronte interno
– La posizione di Tsipras non è certo delle più semplici. L’esigenza di
tenere unito il fronte interno con l’ala estrema di SYRIZA che mostra
chiari segnali di insofferenza per una linea eccessivamente morbida
dell’esecutivo e persino contraria alla proposta del Premier considerata
come foriera di provvedimenti antisociali, potrebbero spingere Tsipras a
tirare troppo la corda con creditori rischiando di far saltare il
tavolo.
A
cinque mesi dalle elezioni comunque, nonostante le più che prevedibili e
numerose difficoltà nel mantenere il consenso interno, l’opinione
pubblica greca (non solo dunque l’elettorato di SIRYZA) sembrerebbe,
sulla base degli ultimi sondaggi, sostenere l’azione del governo. Il
54% dei cittadini greci ritiene sostanzialmente condivisibile la linea
del governo nelle trattative con le istituzioni internazionali. Il 59%
ritiene che il governo non debba accettare le imposizioni della Troika.
Tuttavia, il 71% del campione è del parere che Atene debba restare
nell’euro e che un ritorno alla dracma avrebbe un effetto negativo sulle
finanze pubbliche. Quasi il 90% dei cittadini greci è del tutto
contraria ad ulteriori misure di austerità.
I mercati finanziari e rischi per i Paesi creditori – Il
riflesso sui mercati finanziari delle questioni elleniche sono palesi.
Piazza Affari in particolare ha fatto registrare delle perdite
importanti principalmente per via dei titoli bancari. Ma l’indicatore
che più di tutti evidenzia l’inestricabile interconnessione che lega
reciprocamente i Paesi europei, e nel caso di specie l’Italia alla
Grecia, è l’andamento del mercato obbligazionario: a fine maggio il
rendimento dei titoli di Stato decennali italiani, sfondavano la soglia
del 2%, cosa che non accadeva da dicembre, allargando a 139 il
differenziale con i Bund tedeschi (il cui rendimento è di circa lo
0,60%). Ad avere un peso determinante nella definizione di un simile
quadro in cui si assiste alla progressiva erosione della fiducia dei
creditori che rievoca i fantasmi del 2011 con lo spread che sfiorava i
700 punti è certamente l’esposizione per 40 miliardi di euro che
l’Italia ha nei confronti di Atene. Eppure l’Italia non è il Paese
maggiormente esposto ad un eventuale default greco: la Francia ad
esempio è creditrice per 46 miliardi di euro, la Germania per 60.
L’incapacità della Grecia ad onorare i propri debiti nei confronti degli
altri Paesi, rischia di travolgere questi ultimi in un circolo vizioso
che costringerà i creditori di Atene a pagare degli interessi sempre più
elevati sui debiti che hanno a loro volta contratto.

La posizione degli USA – L’endorsement
di Washington a favore di Atene, palesatosi nelle dichiarazioni del
segretario del Tesoro Usa Jack Lew che non ha usato mezzi termini nel
definire come disastrosa un’eventuale uscita dall’euro della Grecia, è
stato accolto con una certa freddezza dai Ministri europei. E se per il
titolare del Dicastero di Economia e finanza italiano Padoan, una Grexit
comporterebbe degli effetti assai limitati nei mercati finanziari
internazionali, il tedesco Wolfgang Schaeuble boccia come del tutto
incompatibile la pretesa di Tsipras di ottenere ancora dei prestiti
senza implementare le riforme strutturali chieste dall’UE. La posizione
del governo americano, riflette in questo frangente tutta la
preoccupazione per un avvicinamento di Atene a Mosca che rischierebbe di
compromettere la tenuta del fronte occidentale nella sfida con il
Cremlino. In ballo non c’è dunque solo l’uscita della Grecia dall’euro
con tutte le implicazioni politiche di carattere regionale ed interne
all’UE, ma un la ridefinizione degli equilibri globali e degli interessi
strategici e di sicurezza europei ed atlantici. L’evoluzione di un
partenariato economico tra Grecia e Russia in un’alleanza strategica che
trascenda le semplici questioni commerciali e che coinvolga anche
quelle energetiche e di sicurezza, potrebbe portare a degli scenari del
tutto inediti, con una presenza diretta della Russia nel suolo europeo.
L’asse Atene – Mosca
– Una carrellata degli eventi succedutisi negli ultimi mesi dalla
vittoria di Tsipras alla scadenza del 30 giugno, è fondamentale per
comprendere a fondo la tensione tra Bruxelles ed Atene e del perché la
Grecia abbia avviato un intenso lavorio per edificare, rafforzare e
ravvivare l’asse con Mosca. Un legame, quello tra Russia e Grecia, che
porterebbe reciproci giovamenti trasformando l’una nel grimaldello
dell’altra per spezzare il cordone di scetticismo e diffidenza nel quale
entrambi i Paesi al momento si trovano.
L’incontro
tenutosi l’8 aprile nella capitale russa tra Tsipras e Putin ha avuto
una valenza politica di grande portata. Il Premier ellenico, come capo
di un governo europeo, è stato il rappresentante di una categoria di
soggetti istituzionali particolarmente rara a Mosca soprattutto negli
ultimi tempi, e certamente il primo che si è astenuto dal fare pressioni
sulla questione ucraina.
Il
primo punto in agenda dell’incontro, non poteva che riguardare le
forniture di gas, lo strumento più efficace, maneggiato sapientemente da
Putin, per plasmare lo spazio geopolitico in ragione degli interessi
strategici della Russia. Accantonato – almeno per il momento – il
progetto South Stream, che avrebbe dovuto condurre il gas russo verso
l’Europa occidentale attraverso il Mar Nero e bypassando l’Ucraina, Atene potrebbe esser promossa al ruolo di hub energetico
regionale: diventando parte del progetto alternativo Turkish Stream, il
gasdotto turco-russo che dovrebbe sostituire il Trans-Balkan Pipeline
(a cui è affiancato Blue Stream) approdando ad Ipsala e poi in Grecia,
il Paese ellenico assumerebbe un ruolo preminente come centro di
distribuzione energetica in Europa. Sul fatto che il South Stream sia
stato del tutto accantonato è però più che legittimo avere delle
riserve: il progetto da 2,4 miliardi di euro, almeno nel tratto iniziale
sotto il Mar Nero, coincide con quello del Turkish Stream. L’annuncio
con cui Saipem (società del gruppo ENI incaricata della realizzazione
del gasdotto) ha dichiarato di aver ricevuto la sospensione della revoca
dei lavori dalla South Stream Transport BV, il committente dell’opera,
lascia ancora dei margini per la realizzazione del progetto iniziale
anche se a ben vedere, solo nei prossimi mesi sarà possibile capire
quale dei due progetti verrà alla fine realizzato.
L’accordo
per la costruzione del Turkish Stream non è più solo un’idea. La
sessione plenaria del Forum economico di San Pietroburgo del 18 giugno,
nel corso del quale Tsipras e Putin hanno ostentato ottimismo e
sicurezza sull’uscita dalla crisi che entrambi gli Stati, per differenti
motivi, stanno attraversando, è stata sostanzialmente il preludio per
la firma dell’intesa preliminare per la realizzazione del Turkish Stream
siglata dal Ministro dell’Energia greco Panagiotis Lafazanis e dal
collega russo Aleksandr Novak.
Se
realizzato, il Turkish Stream attraverserà anche la Grecia e, sulla
base dell’accordo preliminare, la proprietà della porzione che correrà
lungo la penisola verrà divisa tra la russa Veb (Vneshekonombank), la
Banca di Stato dedicata allo sviluppo e la Grecia. I capitali per la
realizzazione dell’opera, che in base alle stime saranno pari a circa 2
miliardi di dollari, verranno messi interamente a disposizione da Mosca.
Il
tentativo di disancorare le questioni di politica internazionale dagli
interessi energetici ed economici dei singoli Paesi emergerebbe anche da
un altro progetto che Gazprom ha in cantiere di realizzare, e cioè un
doppio collegamento, in prossimità del North Stream dal Mar Baltico alla
Germania. Progetto subito stoppato dalla Commissione europea.
Le tempestive obiezioni sollevate da Bruxelles alla realizzazione del Turkish Stream, interamente imbastite sul modello di quelle che hanno condotto al blocco del South Stream e
concernenti la sostanziale incompatibilità con la normativa europea
sulla proprietà tanto del gas che dei vettori per esportarlo e
distribuirlo, si sono scontrate con l’evidenza del fatto che la quota
russa della proprietà del gasdotto sarà interamente della Veb, un
soggetto differente da Gazprom. Il progetto, verrà avviato nel 2016 e
sarà ultimato entro il 2019, anno di scadenza del contratto di transito
del gas russo dall’Ucraina.
L’intreccio
russo-ellenico di interessi economici e commerciali, non è però
confinato alla sola realizzazione del gasdotto. Mosca è fortemente
interessata ad entrare nel mercato europeo, e nello specifico in quello
greco attraverso massicci investimenti anche in altri settori. Tra le
mire del Cremlino, rientra Trainose, l’operatore ferroviario greco,
gravato da un debito di oltre 800 milioni. Vladimir Yakunin, Presidente
della Russian Railways, già dal 2013 ha mostrato un fortissimo interesse
nei confronti del sistema di trasporto ferroviario greco, sottolineando
però che il pesante debito della compagnia costituisce un ostacolo
difficile da superare per avviare investimenti o acquisizioni di quote
societarie. La strategia russa di penetrazione del mercato del trasporto
multimodale nel Mediterraneo ha delle implicazioni geopolitiche non
indifferenti: Mosca potrebbe in buona sostanza ridimensionare la
dipendenza dal Bosforo e dai Dardanelli come porta d’ingresso per il
Mediterraneo. E in quest’ottica, bisogna anche interpretare il forte
interessamento per il porto di Salonicco.
Le
sanzioni reciprocamente comminate da Russia e UE hanno creato non poche
difficoltà a produttori e consumatori europei e russi. Nell’ottica di
una strategia di riavvicinamento con Atene, Putin non ha esitato a
metter sul piatto della bilancia anche una parziale riapertura delle
importazioni dei prodotti agricoli greci. Con un interscambio che nel
2014 è sceso a 4,2 miliardi di dollari, ben il 40% in meno rispetto al
2013, la Grecia è il 33° partner commerciale russo al quale fornisce
principalmente prodotti della frutticoltura (fragole e kiwi),
fondamentali per la Russia. Quello della riapertura ai prodotti greci
sarebbe un toccasana per le imprese del comparto ortofrutticolo ellenico
le cui perdite, per via delle sanzioni, si aggirano attorno ai 30-35
milioni di euro.

La crisi economica che attanaglia anche Mosca non consentirà comunque a Putin di farsi carico del debito greco come era pronto a fare per Cipro.
E al tempo stesso Tsipras non aspira ad ottenere prestiti da Mosca.
Putin coltiva un prezioso alleato in grado di opporsi ad eventuali nuove
sanzioni, mentre Tsipras farà leva su questa rinvigorita alleanza per
ammorbidire l’intransigenza delle istituzioni europee e, nella sua
ottica, di Berlino. La propaganda anti-austerità di SYRIZA tra l’altro,
ben si sposa con quella russa particolarmente critica nei confronti
della Germania.
Al
di là del voto referendario, è lecito supporre che l’accordo tra
l’Eurogruppo e Atene possa essere trovato nel breve-medio termine. Un default della Grecia, non converrebbe, in primis,
ai sui creditori. Un segnale che potrebbe avvalorare un simile lettura,
risiede nell’incremento di oltre 1 miliardo di euro del tetto dell’ELA l’Emergency Liquidity Assistance,
la liquidità d’emergenza prevista dalla BCE ed erogata a beneficio
delle banche elleniche tramite la Banca nazionale greca su
autorizzazione di Francoforte, per far fronte alla corse agli sportelli
dei correntisti. Se verrà siglato, sarà comunque un accordo su delle
riforme che difficilmente potranno esser definite strutturali e che con
ogni probabilità avranno un impatto depressivo sull’economia reale. Il
primo punto riguarderà un aggiustamento dell’1,5% dei conti pubblici per
l’anno corrente, e del 2,9% per il 2016. Oltre ai tagli sarà previsto
un aumento dell’imposizione fiscale che dovrebbe garantire maggiori
entrate, anche se spesso l’effetto di misure simili a quelle descritte è
molto blando se non addirittura di segno opposto a quello sperato.
La
questione cruciale è capire se e per quanto tempo il popolo greco potrà
tollerare il depauperamento della propria ricchezza e l’inevitabile
abbassamento della qualità della vita legato alla mancanza di servizi
che lo Stato non è più in grado di offrire.
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