Alla luce del trattamento umiliante riservato dal regime di
Francoforte, Berlino e Bruxelles al governo democraticamente eletto in
Grecia, l'AntiDiplomatico ha intervistato Lidia Undiemi, studiosa di diritto ed economia ed autrice de "Il ricatto dei mercati", che
ci ha aiutato a comprendere quali scenari attendersi per il futuro. Con
l’umiliazione volutamente imposta a Tsipras un dato è ormai certo: il
progetto della zona euro e dell’Unione Europea è di fatto finito: da
oggi in poi si parlerà di smembramento e non di integrazione.
Finito, allo stesso tempo, anche l’ipocrisia di chi sostiene di voler
modificare l’Europa restando nell’euro: il terzo Memorandum imposto alla
Grecia dimostra senza possibilità di smentita alcuna che austerità ed
euro siano due facce della stessa medaglia. Il sogno europeo è oggi
quello di trovare una via per il ripristino delle libertà, dei diritti e
delle Costituzioni dei singoli paesi che sia il più indolore possibile.
E su questo l'exit dall'euro è solo un primo, significativo, passo. “Sinceramente
credo che la questione vada affrontata valutando la governance
economica nel suo complesso e non soltanto l'uscita dall'euro. Negli
ultimi anni sono stati realizzati diversi trattati internazionali che
attribuiscono al capitale e agli stati più forti un potere politico di
cui la moneta rappresenta un tassello. Certamente occorre mobilitarsi
per uscire al più presto da questo sistema di governo, ma non sarà
facile”. Occorre un piano B che debba partire con un'azione che sia il più condivisa possibile tra i paesi dell'Europa del sud.
- Domani il Parlamento greco ratificherà la seconda tranche di
riforme imposte per i nuovi aiuti. Che fase inizia per la zona euro con
il terzo Memorandum?
Più che iniziare una fase nuova prosegue quella “dura” della Troika che trae forza dalle difficoltà finanziarie di un paese che è costretto ad accettare le sue imposizioni.
- L'ex ministro delle finanze greco Yanis Varoufakis ha definito
il nuovo Memorandum un nuovo trattato di Versailles - trattato che come
sappiamo ha significato l'ascesa del nazismo ed un nuovo suicidio
dell'Europa pochi anni dopo la conflagrazione del primo conflitto
mondiale. Cosa rischiamo in questa fase?
Rischiamo che si consolidi un sistema di governo sovranazionale che antepone logiche puramente finanziare al benessere dei popoli europei e alle democrazie dei singoli paesi.
- L'umiliazione della democrazia da parte della Troika contro la
Grecia ha comunque segnato un punto di non ritorno per quel che riguarda
il progetto della zona euro e dell'Unione Europea. Da adesso in poi non
si parlerà più di integrazione ma di smembramento ed è finita per
sempre l'ipocrisia di chi non giudicava austerità ed euro come due facce
della stessa medaglia. Non crede che lo scenario migliore a questo
punto non sia l'uscita dalla Grecia come continua a ripetere il ministro
delle finanze tedesco, ma uno smembramento che parta dalla Germania con
i paesi dell'Europa del sud che possono mantenere nella prima fase la
moneta unica?
Come sostengo da molto tempo, lo smembramento è palesemente in atto dal 2012
quando sono andati a regime i nuovi trattati internazionali extra UE –
Fiscal Compact e MES (Troika) – mediante cui è stata avviata una nuova
governance europea, quella della crisi, che ha riscritto le regole
comuni attribuendo al capitale un potere politico spropositato
indebolendo al contempo quello degli Stati. Tutto questo con la
collaborazione del FMI.
- Una Gerexit, in altre parole, sarebbe la soluzione più indolore per tornare a diritti e Costituzioni?
Sinceramente credo che la questione vada affrontata valutando la governance economica nel suo complesso
e non soltanto l'uscita dall'euro. Negli ultimi anni sono stati
realizzati diversi trattati internazionali che attribuiscono al capitale
e agli stati più forti un potere politico di cui la moneta rappresenta
un tassello. Certamente occorre mobilitarsi per uscire al più presto da
questo sistema di governo, ma non sarà facile.
- Il caso Syriza dimostra anche che rompere le catene della Troika
oggi è molto complesso per un paese singolo. Crede che la nuova banca
di sviluppo dei Brics e, in generale, la nuova architettura finanziaria
formalizzata nell'ultimo vertice di Ufa in alternativa all'egemonia del
dollaro possa offrire una sponda importante da questo punto di vista?
Ho spesso utilizzato il caso “Cipro” per spiegare come i mercati,
la Troika, riescono a piegare un governo con il pretesto dell'emergenza
finanziaria. Ricordiamoci che a Cipro la richiesta di prelievo forzoso
era stata respinta dal Parlamento, poi costretto a cedere dietro le
pressioni della BCE e dei mercati. Il modus operandi adottato in Grecia è
lo stesso. Domani a chi toccherà?
La nuova Banca dei BRICS rappresenta un'alternativa, ma è ancora
troppo presto per poterne valutare gli effetti. Di certo nell'accordo di
Fortaleza, dove viene sancita la volontà di percorrere questa strada,
si intravede la possibilità di invertire rotta, di potere ritornare ad
una comunità internazionale rispettosa degli Stati e delle loro
Costituzioni.
- In questa fase, inoltre, non crede giunto il momento per i paesi
dell'Europa del sud, in particolare quei partiti e movimenti non
delegittimati da anni di potere e di commistioni con le logiche
corporativo-finanziarie che dominano le scelte dell'Europa oggi, di
iniziare a pensare ad una nuova organizzazione solidale che sappia
dialogare con i Brics e che offra uno strumento realmente in grado di
rompere con il neo-liberismo dell'UE e di gestire in modo appropriato
quando avverrà la dissoluzione della zona euro?
Certo che è giunto il momento, però non mi illudo che i BRICS
rappresentino certamente un sistema di governance diversa, mi concedo il
beneficio del dubbio, tenendo conto del fatto che stanno dimostrando di
volersi opporre a questo stato di cose. Quello che voglio dire è che
non bisogna abbassare la guardia. E' con questo spirito che i movimenti
politici di opposizione dovrebbero affrontare questa grande sfida. Il capitale internazionale non ha radici, si insedia dove può.
- Nella nuova lotta di classe tra lavoro nazionale e capitale
finanziario internazionale, che lei ha recentemente descritto ne “Il
Ricatto dei mercati”, che strumenti sono rimasti in mano alla politica
anche alla luce del trattamento riservato al governo democraticamente
eletto in Grecia?
La guerra tra stati e mercati che stiamo vivendo oggi cela un aspro
conflitto fra capitale e lavoro di portata internazionale. Non è un caso
che una delle priorità della governance politica è l'abbattimento dei
diritti dei lavoratori. La democrazia presuppone il ripristino di un
certo equilibrio di forze fra capitale e lavoro, così come avvenuto nel
secondo dopoguerra. Occorrono leggi a tutela dei lavoratori, dello stato
sociale e di una economia democraticamente sostenibile. L'esatto
opposto di quello che il governo Renzi sta portando avanti con le sue
"riforme" del mondo del lavoro.
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