Transnistria e Armenia: i prossimi focolai

La Transnistria ha proclamato la sua indipendenza alla fine del 1990 provocando un conflitto locale, conclusosi nel 1992 con un accordo tripartito tra la stessa PMR, la Moldavia e la Federazione Russa, garantito dallo schieramento di una forza di interposizione a leadership russa.
Successivamente, nel 1993, i negoziati sono ripresi con la partecipazione anche di OSCE ed Ucraina, quest’ultima in veste di garante assieme alla Russia, fino ad arrivare alla situazione attuale, sostanzialmente basata sul mantenimento del precario status quo originario.

Lo status quo, come si è detto, include la presenza di una forza di interposizione russa attualmente di circa 1.300-1.500 uomini che vengono turnati ogni 6 mesi. Data la posizione geografica della Transnistria, il loro mantenimento e la loro rotazione avveniva, fino a poco tempo fa, con il transito attraverso i territori o gli spazi aerei di Moldavia o Ucraina. Ora non più.
Come riporta il sito “Eurasianet” , le autorità moldave hanno cominciato a frapporre ostacoli insormontabili. Attenendosi alla lettera degli accordi del 1992, ritengono che i militari russi effettivamente appartenenti alla forza d’interposizione (“Joint Control Commission”) siano meno di 400 e che gli altri 1.000, pur operando di supporto all’operazione, non godono di tale status e quindi non hanno titolo al transito.

Sul versante ucraino la situazione si presenta ancora peggiore.
Con una legge promulgata lo scorso 8 giugno, il Presidente ucraino Petro Poroshenko ha formalmente annullato cinque preesistenti accordi con la Russia ed in particolare quello relativo al transito dei militari della “Joint Control Commission”.
Inoltre ha autorizzato il dispiegamento di batterie di missili anti-aerei S-300 nella regione di Odessa, in grado di interdire ai russi la possibilità di collegare la Transnistria con ponte aereo.

Divenuto Presidente nel 2004 dopo una “Rivoluzione delle Rose”, è rimasto in carica fino al 2013 per poi trasferirsi negli USA e giungere finalmente in Ucraina, dove è stato di recente nominato dal Presidente Poroshenko governatore della regione di Odessa (la città in cui nel 2014 è avvenuta la tristemente nota strage di civili filo-russi). Contestualmente ha ottenuto la cittadinanza ucraina, eludendo così la richiesta di estradizione spiccata nel frattempo contro di lui dalla Georgia per reati di abuso e malversazione. Saakashvili, figura certamente controversa, è comunque personalità di spicco, tant’è che è insignito della Legion d’Onore francese ed onorificenze di vari paesi (Serbia, Kazakistan, Moldavia, Polonia, Estonia).
La sua attuale nomina non poteva quindi passare inosservata tanto più che il Presidente Poroshenko ha esplicitamente ammesso, secondo quel che riporta “The Moscow Times”, che “Saakashvili torna utile per la sua esperienza in un contesto analogo, quello con l’Ossezia del Sud, nonché per la sua capacità nel rapportarsi con i media internazionali sia prima che durante l’attacco georgiano”.

Nonostante la serietà della situazione, in quest’ultimo periodo il livello di guardia si è alzato ancora di più. Secondo quanto riporta l’agenzia di stampa russa “Sputnik” , l’Ucraina starebbe infatti trasferendo truppe e armamento pesante ai confini della Transnistria, ipotesi in qualche modo indirettamente confermata dal neo-Governatore Saakashvili, che ha parlato in termini riduttivi di pattugliamenti militari lungo i confini allo scopo di combattere il contrabbando.
Per ora Mosca ancora tace. Del resto la situazione in prossimità delle sue frontiere è decisamente in evoluzione come dimostra quel che accade attualmente nella “amica” Armenia con l’ennesima “rivoluzione colorata”, ( foto sotto) che segue quella “delle rose” di Saakashvili in Georgia, quella “arancione” di Julija Tymošenko in Ucraina e quella di Zoran Zaev in Macedonia,ed a cui si potrebbero aggiungere quelle altrettanto simili di “Piazza Taksim” ad Istanbul o quella “degli ombrelli” a Hong Kong.
Si tratta di manifestazioni anti-governative che hanno luogo nella capitale, in una particolare piazza che ne diviene simbolo, e che sfociano in sommosse permanenti fino all’occupazione del palazzo del governo. In modo molto sbrigativo vengono definite “rivoluzioni spontanee”, nonostante sia ben difficile che una partecipazione di massa possa svilupparsi senza una mobilitazione, un coordinamento ed una leadership di riferimento.

Il Primo Ministro armeno Ovik Abramyan (FOTO 6) parla apertamente di una piano per destabilizzare il paese, ed in modo ancora più esplicito Leonid Slutsky (presidente della commissione della Duma per la “Comunità degli Stati Indipendenti” associati alla Russia) riferisce addirittura della presenza di “istruttori stranieri” allo scopo di provocare una situazione in stile Euro Maidàn. A suo avviso questo non si verificherà, grazie anche ai severi interventi delle forze dell’ordine, riguardo i quali è intervenuta l’Ambasciata degli Stati Uniti che, in una nota, ha espresso “preoccupazione per l’uso eccessivo della forza contro i dimostranti”.
Foto: RIA Novosti e AFP
http://www.analisidifesa.it/2015/07/transnistria-e-armenia-i-prossimi-focolai/
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