Perché Obama si fissa col Ttp? Il commento di Alberto Forchielli
È raro vedere coalizioni di così ampio spettro nel sistema
bipartitico statunitense: Democratici e Repubblicani aderiscono
tipicamente ai dogmi classici del partito e alla retorica, in un clima
congressuale sempre meno cooperativo. Tuttavia, giugno ha ospitato una
disputa politica senza precedenti per conto del presidente Obama, che,
trascendendo i confini democratici, a sua volta si è affidato al
sostegno dei leader repubblicani per assicurarsi il favore della Trade
Promotion Authority (TPA), un passo fondamentale per il perseguimento di
un accordo multilaterale di libero scambio nella zona del Pacifico, il
Partenariato Trans-Pacifico.
Forse la cosa più eccezionale di questa serie di eventi è il punto a
cui è arrivato il Presidente per conquistare la TPA, talvolta alienando
alcuni potenti attori nel suo partito e talvolta forgiando nuovi
rapporti con repubblicani tradizionalmente in contrapposizione alla
politica di Obama. Che cosa significa questo accordo per gli americani?
Cosa significa per il ruolo degli USA nel mondo? In particolare, perché
Obama persegue il TPP così ostinatamente?
Il TPP è un accordo multinazionale territoriale di libero scambio che
comprende 12 Paesi affacciati sull’Oceano Pacifico che collettivamente
compongono il 40% del PIL globale. Questi paesi sono gli Stati Uniti, Cile, Giappone, Brunei, Australia, Vietnam, Malaysia, Messico, Perù, Singapore, Nuova Zelanda e Canada.
L’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC) non è riuscita ad
aggiornare le sue regolamentazioni negli ultimi due decenni, e non ha
fornito i meccanismi necessari per garantire che le politiche per il
commercio equo venissero seguite da tutti i suoi aderenti. Qua si
inserisce l’impulso per una nuova serie di normative commerciali
mondiali, designate per promuovere la crescita economica, approfondendo i
legami politici in questo territorio delicato.
I fautori del trattato affermano che il TPP aumenterà la
competitività degli Stati Uniti e genererà benefici sul reddito globale,
stimati a $77 miliardi di euro all’anno nel 2025 nei soli Stati Uniti, e
$123,5 miliardi di euro addizionali di esportazioni americane.
Specifiche disposizioni mirano a espandere negli USA settori vitali come
quello dei servizi e dell’agricoltura, offrendo al contempo maggiori
protezioni nell’ambito della proprietà intellettuale. Tutto ciò sembra
favoloso, chi è dunque che non sarebbe d’accordo?
La divergenza ideologica all’interno di entrambi i partiti,
democratico e repubblicano, è stata talmente acuta da creare alcuni dei
più anticonvenzionali riallineamenti politici. La senatrice del
Massachusetts Elizabeth Warren è emersa come una delle
voci più critiche del TPP, e ha guidato l’opposizione al TPA. Dall’altra
parte, Obama ha trovato un insolito alleato nel senatore del Kentucky Mitch McConnell,
che ha raccolto i Repubblicani a sostegno del disegno di legge, un
fondamentale passo in avanti verso la TPP. Nonostante le fazioni
all’interno del partito Repubblicano che si oppongono categoricamente
alla concessione di qualsiasi altro potere al Presidente, il partito
sostiene in larga misura le iniziative che forniscono potenziali
benefici per il business.
I Democratici, storicamente più legati ai sindacati, sono restii a
votare una legislazione che potrebbe danneggiare i diritti dei
lavoratori e avere un impatto negativo sull’occupazione. I politici su
entrambi i lati sono usciti con argomentazioni abbastanza convincenti
contro grandi accordi di libero scambio come il TPP. In particolare, si
oppongono a disposizioni specifiche come l’Investor-State Dispute
Settlement, ossia un meccanismo di risoluzione delle controversie che
consente alle aziende di perseguire azioni legali contro i governi
stranieri, attraverso procedure di arbitrato internazionale. Data la
gravità della controversia e le legittime argomentazioni contro il TPP,
forse il problema più importante diventa, perché Obama persegue questo
trattato così ostinatamente?
Una veduta più cinica sostiene che Obama sia fortemente influenzato
dai suoi consiglieri, che costituiscono “l’élite” americana della
politica estera. In sostanza, gli Stati Uniti hanno adottato una
politica al termine della Seconda Guerra Mondiale che avrebbe consentito
al Giappone, e più tardi alle tigri asiatiche, l’accesso al mercato
statunitense e l’inclusione nella protezione della difesa USA, in cambio
di basi militari e sostegno geo-politico nella regione. Le ipotesi
sottostanti erano che il mercato americano sarebbe rimasto aperto mentre
i mercati asiatici sarebbero in gran parte stati chiusi o controllati,
con la speranza che gli USA avrebbero trasferito tecnologie e lavori in
Asia. E’ possibile che i responsabili di Washington abbiano
sottovalutato la futura capacità dell’Asia di competere economicamente e
tecnologicamente con gli USA, ma la prevalente dottrina della difesa ha
chiesto, e continua a farlo, che i conflitti militari debbano essere
mantenuti per quanto possibile lontani dal suolo americano. Questo
obiettivo ha sempre dominato le questioni economiche e commerciali.
Combinata con la dominante dottrina economica neoclassica secondo la
quale il libero commercio è sempre vantaggioso, anche quando non è
reciproco, queste convinzioni sono diventate una sorta di religione tra
l’élite della politica estera degli Stati Uniti, e si sono fuse in un
dogma. Con una ridotta esperienza internazionale, limitata a pochi anni
trascorsi in Indonesia da bambino, Obama si affida a questi consulenti
per delineare la politica estera e commerciale. Si potrebbe sostenere
che questi temi sono al centro del TPP: uno sforzo per preservare un
antiquato ordine mondiale basato sull’egemonia degli Stati Uniti nel
Pacifico. Le condizioni attuali in Asia sono incompatibili con le
precedenti configurazioni e richiedono una rivalutazione delle relazioni
internazionali. E mentre il TPP certamente preserverà la rilevanza
degli Stati Uniti in quei territori, otterrà tutto questo modificando il
quadro in cui i giocatori interagiscono invece di estendere antiquati
scenari. L’Asia si è sviluppata, e la politica estera degli Stati Uniti
dovrebbe maturare proporzionalmente, per evitare che il paese venga
sovrastato da una delle più vivaci zone economiche.
Dopo le due costose guerre in Iraq e in Afghanistan che sono durate
per oltre un decennio, negli Stati Uniti gli atteggiamenti prevalenti
vorrebbero rifocalizzare l’attenzione all’interno, lontano dai teatri
esteri. Ma questo è un atteggiamento sbagliato: gli Stati Uniti non
esistono nel vuoto, e coinvolgere i governi stranieri e le economie è
essenziale per preservare la qualità della vita americana. Non si tratta
di trascurare le questioni interne, riorientando le risorse verso il
pacifico; non solo la logica a somma zero non si applica, ma l’intreccio
delle economie nazionali in un mondo globalizzato eleva la necessità di
coinvolgere i paesi esteri al fine di preservare la stabilità interna.
Il TPP è l’ingresso degli Stati Uniti in Asia. Vogliono essere in prima
linea per la redazione delle nuove norme non solo per gli scambi
internazionali, ma anche per proiettare il loro soft power e promuovere i
valori americani.
Il ruolo dell’Asia nella comunità globale non può essere
sottovalutato. Fa da dimora a più di metà della popolazione mondiale, la
sua grandezza da sola attira l’attenzione. Inoltre, la sua rapidissima
crescita economica, azionata dalla Cina, l’ha spinta ad essere leader
del mercato globale ed ha sigillato la sua posizione nella supply chain
mondiale. C’è la più grande democrazia del mondo (India), nonché il
paese più popoloso a maggioranza musulmana (Indonesia). Ci sono la Cina e
il Giappone, che sono rispettivamente la seconda e la terza più grandi
economie del mondo, ma gli analisti prevedono che l’Asia ospiterà
quattro delle 10 maggiori economie entro il 2050 (Cina, India,
Indonesia, Giappone), che registreranno il 50% della produzione
mondiale. Inoltre, non possiamo ignorare la presenza di 7 dei 10 più
grandi eserciti. In una apatica economia globale afflitta da ambiguità,
le nazioni asiatiche incarnano le più promettenti opportunità di
crescita. Tuttavia, vanno commisurate con l’enorme potenziale dell’Asia
la sue profonde instabilità strutturali dovute a relazioni
internazionali volatili, alle tendenze espansionistiche, ai disastri
naturali e ad altre minacce alla sicurezza non tradizionali come la
tratta di esseri umani. Essendo la destinazione numero uno per le
esportazioni americane, è consigliabile per gli Stati Uniti
salvaguardare il benessere sociale ed economico della regione, con uno
sforzo di cui poi godranno gli americani stessi.
Lo scopo centrale del TPP è approfondire alleanze militari nel
tentativo di disinnescare i conflitti, mantenere l’accesso marittimo,
reprimere l’estremismo, e fornire assistenza umanitaria in caso di
calamità naturali. Obama sa che il successo dell’Asia dipende dal
l’influenza stabilizzante degli Stati Uniti; la presenza militare
americana ha rafforzato la stabilità nella regione per decenni, e
l’impegno per ampliare la sua presenza è necessaria per il benessere
dell’Asia. La concentrazione di navi da guerra americane deve essere
riorganizzata, ma ciò non può essere realizzato senza la buona volontà
dei governi locali. Un accordo commerciale multilaterale non solo aprirà
maggiormente il dialogo tra gli USA e i paesi firmatari del TPP, ma
favorirà un rapporto umano di alto profilo anche tra gli altri partner.
Migliorare la cooperazione tra paesi come il Giappone e la Corea del Sud
è fondamentale per calmare gli allarmanti atteggiamenti nazionalistici.
La più grande omissione del TPP è la Cina. Chiaro è l’obiettivo di
limitare l’influenza della Cina nel Pacifico e contrastare il suo
predominio economico. Nessun singolo giocatore può plausibilmente
sfidare la Cina, ma uniti da condizioni favorevoli e stimolanti sugli
scambi commerciali e sugli investimenti allora la partita cambia e
l’interesse generale è di gran lunga superiore a quello dei singoli
stati presi singolarmente. Pechino negli ultimi tempi ha avuto un
notevole successo diplomatico, e sta instancabilmente diffondendo
iniziative regionali e globali per sostenere il continuo sviluppo di
economie emergenti, in modo indipendente rispetto alle istituzioni
occidentali come la Banca Mondiale.
Per Stati Uniti restare inattivi vorrebbe dire accettare che il
proprio ruolo venga emarginato; il TPP offre la soluzione ideale per
raccogliere sostegno sotto le insegne degli ideali democratici in una
zona vulnerabile in quanto a diritti umani e abusi ambientali.
L’obiettivo finale non è dunque escludere Cina dal sistema
internazionale, ma creare un insieme di circostanze che incoraggia il
gigante ad adottare pratiche e politiche commerciali migliori in linea
con gli standard internazionali. In particolare, le gravi violazioni dei
diritti di proprietà intellettuale in Cina hanno bisogno di essere
sanate, e anche la gestione dei brevetti sono un importante punto focale
del TPP. Nonostante siano necessarie azioni di una certa portata per
correggere i gravi squilibri che tormentano la relazione economica tra
USA e Cina, il TPP è un passo importante per accrescere il sostegno
regionale di cui gli Stati Uniti necessitano per sfidare legittimamente
la Cina.
In fin dei conti, tutti gli Stati cercano di trarre beneficio dalla
stabilità e dai rinvigoriti scambi economici: la Cina, così come tutti
gli altri stati,hanno molto da guadagnare dal TPP. Un prospero Pacifico
farà di più per contribuire alla prosperità in tutto il mondo,
soprattutto visto il maggiore ruolo a livello internazionale che stanno
assumendo le nazioni asiatiche. La dipendenza dalle risorse naturali
estere aumenterà proporzionalmente ai guadagni e al miglioramento degli
standard di vita; una maggiore base di consumatori domestici accrescerà
la domanda di energia.
Gli USA devono allentare la loro presenza militare in Medio Oriente,
al fine di dedicare risorse all’Asia, ma questo non deve essere visto
come un abbandono per sconfitta, ma piuttosto come un’occasione per
mobilitare l’aiuto di nuovi alleati per prendere decisioni comuni volte a
stabilizzare il territorio, a vantaggio di tutti. I paesi asiatici
possono impegnare più risorse nella regione ed esercitare un’influenza
positiva, come il sostegno del Giappone per lo sviluppo della società
civile in Afghanistan.
In aggiunta, una zona Asia-pacifica coesa può costituire una leva
diplomatica per i negoziati critici, come ad esempio il nucleare
iraniano. Gli USA possono agire efficacemente su due diversi fronti per
perseguire un’armonia internazionale che abbraccia l’intero territorio
eurasiatico.
Un elemento chiave che non può essere ignorato è la centralità del
TPP per il”perno sull’Asia” dell’Amministrazione Obama. E’ diventato
un’eredità della presidenza Obama. La segretezza che avvolge i negoziati
del TPP non ha rafforzato la sua popolarità tra gli elettori o i leader
del congresso. Il fuggevole sostegno che ha ottenuto dai repubblicani è
superficiale, e non è probabile che vada a costituire delle relazioni
genuine e produttive, per il resto del mandato. Quindi, Obama, subirà
una significativa perdita di potere qualora non riesca a forgiare il
TPP. La più funesta conseguenza sarebbe la sensazione che il fallimento
sia uno degli indicatori che la potenza americana è in traiettoria
discendente. Tale credenza, in Cina, è contemporaneamente fonte e
nutrimento per un’allarmante recrudescenza nazionalista che possa
guidare la Cina oltre il “Secolo di umiliazioni.” La prospettiva di
perdere il potere così drammaticamente dentro e fuori il suo paese è
senz’altro una motivazione sufficiente per Obama per concentrare
l’attenzione nella salvaguardia di questo importante aspetto della sua
eredità.
Conclusione
I critici non hanno torto: alcuni settori soffriranno degli effetti
del TPP, ma sarà un sacrificio necessario per beneficiare di una
continua presenza americana nella regione economica più attiva del
mondo. Questa è la scelta fatta da Obama. Ben consapevole che una
politica di isolazionismo non è un’opzione fattibile nel mondo moderno,
ha preso la difficile decisione di salvaguardare il futuro dell’America,
investendo nell’accesso a un quadro vitale che continuerà a crescere di
importanza. Gli Stati Uniti avrebbero troppo da perdere se abdicassero
l’influenza sulla paternità di un nuovo ordine mondiale, e così molti
dei suoi alleati. Se tutto andrà per il verso giusto Obama riuscirà a
mettere in pratica un ribilanciamento del potere che riconosce nuovi
ruoli dei paesi asiatici nell’area internazionale. Il significato del
TPP deriva dal suo valore strategico e dal potenziale per rilanciare
l’influenza statunitense nel Pacifico.
Alberto Forchielli
Mandarin Capital Partners, Osservatorio Asia
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