La strada (senza rischi) dei tassi zero
Anche la Banca centrale inglese (Boe), dopo la Banca
centrale americana (Fed), ha annunciato che per il momento non innalzerà
il tasso di interesse. Le banche centrali che avrebbero dovuto
riportare alla normalità il ciclo monetario hanno invece iniziato un
gioco al ribasso, che alla lunga potrebbe accrescere l’instabilità reale
e finanziaria, invece che ridurla. Le ragioni hanno a vedere poco con
l’economia, e tanto invece con la psicologia e la politica.
Il cosiddetto Super Giovedì della politica monetaria inglese
ha generato una sorpresa, ma non nel senso atteso: invece di avere
conferme su di un innalzamento dei tassi di interesse entro l’anno, la
Boe ha ribadito un atteggiamento attendista, per cui i tassi resteranno
fermi. La giornata di ieri era stata battezzata come Super Giovedì alla
luce del fatto che la Boe avrebbe inaugurato una nuova strategia
comunicativa, dato contemporanea comunicazione delle decisioni sui
tassi, delle ragioni di tali decisioni, nonché della massa di
informazioni monetarie legate allo sviluppo dell’inflazione, e in
generale della congiuntura.
Una nuova era della comunicazione della politica monetaria? È
meglio evitare facili entusiasmi. Aumentare le informazioni in tempo
reale sulla politica monetaria non significa assolutamente aumentare
automaticamente la conoscenza sui meccanismi decisionali della politica
monetaria. Perché le decisioni di politica monetaria sono fatte da
uomini, che si riuniscono e decidono tramite comitati, e quindi
ascoltano certo le ragioni dell’economia, ma possono essere sensibili
anche a quelle della politica, per non parlare dei propri interessi e
sentimenti personali.
Un esempio? Proprio quello che è successo ieri: sorprendendo
i mercati - la sterlina ha reagito alla notizia deprezzandosi - la Boe
si è comportata “da colomba”, mentre era diffusa l’aspettativa che ci
sarebbero segnali di un cambiamento verso un atteggiamento più “da
falco”.
Non basta: si prevedeva, che in assenza di tali segnali,
sarebbe aumentato il dissenso rispetto ad un atteggiamento prudente sui
tassi, con due o tre voti contrari.
Invece non è successo nulla di tutto questo. La politica
monetaria inglese rimarrà espansiva fino a nuovo ordine, cioè sarà una
politica monetaria “dipendente dai dati”, senza specificare quali. Ecco
che la Boe sposa la stessa strategia inaugurata negli ultimi tempi dalla
Fed della presidente Yellen. Inoltre la decisione è stata presa con la
quasi unanimità: solo un voto contrario.
Cosa è accaduto? L'economia inglese sta rallentando? Non
sembrerebbe. Anzi: le previsioni della Boe sono migliorate: la crescita
economica dovrebbe essere del 2,8%, invece del 2,5% della precedente
stima. La domanda aggregata sarà trainata da una crescita dei consumi e
degli investimenti. Non solo: cresceranno i salari, ma anche la
produttività, con un effetto più che benefico sull’efficienza
produttiva. Quindi si escludono rischi recessivi della politica fiscale
di austerità che il governo inglese intende proseguire, anche dopo il
successo elettorale ottenuto centrando il suo programma proprio sui
successi ottenuti grazie all’austerità fiscale. Anche la disoccupazione
continua a calare, ancorché senza effervescenze, come pure rimane bassa
l’inflazione, la cui stima scende dallo 0,6% allo 0,3%, allontanando nel
tempo il ritorno all'obiettivo del 2%.
Ma basta questo rischio disinflazione a spiegare tanta
prudenza? E perché, nonostante un quadro i cui elementi di normalità di
gran lunga prevalgono su quelli straordinari, la banca centrale non
pensa lontanamente a tornare a una politica monetaria normale, fatta di
regole, basate su obiettivi macroeconomici?
La spiegazione è che ai banchieri centrali può piacere la
discrezionalità, invece delle regole. Con la discrezionalità, una
potente burocrazia tecnica - come la banca centrale è - ha le mani più
libere ex ante, ed è meno chiamata a rispondere ex post. Gli anni della
Grande Crisi hanno visto, soprattutto negli Stati Uniti e in Gran
Bretagna, il ritorno della discrezionalità del banchiere centrale.
Durante le fasi più profonde della Crisi la politica monetaria ha dovuto
occuparsi di ridurre i danni da instabilità e da recessione provocati
dallo scoppio della bolla finanziaria, che per inciso aveva contribuito a
creare con un eccesso di liquidità negli anni precedenti. Quindi le
regole di politica monetaria, che legano le mani ai banchieri centrali,
sono state abbandonate. La regola monetaria è stata invece sostituita
dalla politica dei tassi zero, incondizionata e illimitata. La politica
dei tassi zero è gradita ai mercati finanziari, è gradita ai politici,
se il Paese è in recessione. Il banchiere centrale aumenta la sua
popolarità, ed entra in un invidiabile status quo. Ma da uno status quo
eccezionale si deve prima o poi uscire. Ma se il banchiere centrale è a
suo agio, meglio poi che prima. La difficoltà ad abbandonare un
(gradevole) status quo è un atteggiamento comportamentale comune; perché
dovrebbero esserne immuni i banchieri centrali, soprattutto se non ci
sono regole da seguire? Certo definire una strategia di uscita dalla
politica dei tassi zero comporta dei rischi economici, ma soprattutto
dei rischi personali: meno consenso, nei mercati come nella politica.
Perché assumersi dei rischi, se il non fare è più conveniente? Allora
niente politica delle regole, ma azione monetaria “dipende dai dati”.
Quali dati? Vedremo. Quando? Vedremo. Finché l’inflazione è bassa, e
altri squilibri finanziari, o di asset reali, non devono essere
guardati, tutto va bene. Esattamente quello che si scriveva nel 2006.
Perché la politica monetaria non ha la volontà, o la capacità, o la
possibilità di guardare agli squilibri diversi dall’inflazione. Ma non
c’è problema: lo farà quel simpatico fantasma della politica economica
che si chiama supervisione macro prudenziale. Carneade, chi era costui?
http://www.ilsole24ore.com/art/commenti-e-idee/2015-08-07/la-strada-senza-rischi-tassi-zero-073424.shtml?uuid=ACPljMe
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