«L'italian
food? È un mondo popolato da campioni e furbetti. Tra questi c'è
sicuramente Natale (Oscar) Farinetti, il sedicente inventore di Eataly».
Ci sono storie che prima o poi vanno raccontate, altrimenti c'è il
rischio di scrivere la storia sbagliata.
E Celestino Ciocca, manager esperto di brand strategy , ha
deciso di scrivere addirittura un libro per svelare le origini del
progetto alimentare più dirompente degli ultimi anni, «un brand che oggi
vale 300 milioni di euro». Il libro, edito da Lupetti, ha un titolo
sibillino: «Eataly mi piace, ma preferisco gli Eatalians». Sì perché è
importante, scrive Ciocca, partire dall'inizio, cioè da quell'inglesismo
accattivante che ha contribuito non poco al successo della catena
inaugurata al Lingotto di Torino per poi espandersi in tutto mondo, da
New York a Tokyo, ultima tappa Expo 2015.
«Eataly è un marchio che
ho inventato io e che ho registrato il 23 febbraio del 2000, tre lustri
fa; era il nome di un grande progetto-Paese che avevo studiato e
pianificato per sostenere l'intero comparto agroalimentare italiano nel
mondo, con lo scopo di farne un volano per lo sviluppo del turismo e del
prodotto Italia». Tutto quello che è accaduto dopo, il manager romano
lo racconta passo dopo passo nel suo libro, una spy-story
all'amatriciana nella giungla delle strategie aziendali, tra copyright ,
alleanze, gentlemen agreement e pugnalate alla schiena. «La peggiore di
tutte è stata la damnatio memoriae in cui mi ha relegato Farinetti il
quale, dopo essersi fatto cedere con astuzia i diritti, mi ha voltato le
spalle disconoscendomi perfino la paternità del nome». Malgrado il
titolo sornione («Eataly mi piace...») e il tono ironico solo a tratti
amarognolo, l'intero pamphlet sprigiona il sapore di una grande beffa
all'eat...aliana. Anche se, ci tiene continuamente a sottolineare
l'autore, tutto si è svolto pienamente entro i confini del diritto.
«Eataly
era un progetto ampio e ambizioso che per essere realizzato aveva
bisogno di partner privati e pubblici», racconta Ciocca che dopo una
carriera in Texas Instruments e importanti società di consulenza, ha
sviluppato per venti anni progetti di brand strategy nel settore
agroalimentare. «Un bel giorno venni contattato da un'emissaria di
Farinetti che mi chiese di vendere il marchio Eataly. Risposi che non
era in vendita, ma lui volle ugualmente incontrarmi». Il faccia a faccia
avvenne in un circolo di tennis. «Farinetti mi parlò del suo progetto
che aveva qualche affinità con il mio ma che, trattandosi
sostanzialmente di una catena commerciale in grande stile, differiva
profondamente per le motivazioni strategiche». Da lì ebbe inizio un
corteggiamento che, sulle vivide pagine del libro, ricorda molto quello
del gatto con il topo. «Farinetti - dice - aveva le idee ben chiare e
d'altra parte ben sapeva di avere dalla sua le ampie risorse economiche
che a me mancavano. Mi offrì di collaborare insieme, ma a quel nome
vincente, Eataly, non intendeva rinunciare. Era molto più bello di
quello a cui aveva pensato lui, che era Eat-Italy». Quale sarebbe stata
la «collaborazione» emerge dai capitoli successivi del libro. «Il
progetto-Paese, quello che io avevo studiato per rilanciare un comparto
made in Italy assolutamente sottovalutato, Oscar lo scartò definendolo
troppo complicato. Con la sua verve comunicativa mi convinse a cedergli
il marchio, in cambio avrei partecipato all'avventura Eataly come
consulente; mi sarei occupato della brand strategy : «Se mi dai il
marchio - disse - entri dalla porta principale». Accettai forse troppo
generosamente dietro la promessa di ampliare assieme le finalità di
quella che ai miei occhi era solo una catena di negozi».
Ben
presto però, Ciocca inizia a sentirsi un personaggio scomodo e i
rapporti si incrinarono allorché, «durante una presentazione pubblica,
Farinetti si attribuì la paternità del marchio senza neppure nominarmi.
Quando glielo feci notare, mi aggredì dandomi del fallito».
Oggi
Ciocca ci riprova e, dopo essersi tolto i sassolini dalla scarpa, mette
nuovamente in pista il suo «Progetto-Paese» cambiando lui, sia pur di
poco, il nome: da Eataly a Eatalians. Anche stavolta cerca partner
pubblici e privati. «Perché? Con la sua catena di supermercati Farinetti
ha fatto bingo, ma non ha certo risolto i problemi endemici
dell'agroalimentare italiano: che sono soprattutto la scarsa
imprenditorialità, la difficoltà dell'export e l'assenza di una politica
di sistema. Un esempio: negli ultimi 10 anni l'export delle nostre
aziente è cresciuto dell'80 per cento, ma l'«italian sounding», ovvero
la domanda di prodotti italiani, è cresciuto del 180 per cento. Il
risultato è che nel mondo circola il parmigiano olandese e il salame di
Bangkok, mentre negli Stati uniti il 90 per cento dei sughi di pomodoro
in scatola sono italiani solo nel logo...». Il logo appunto.
http://www.ilgiornale.it/news/politica/cos-loscar-dei-furbetti-si-impadronito-eataly-1157141.html
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