Guerra,
terrorismo
Mali: un pantano insidioso
Continuano in Mali i problemi relativi al terrorismo
sudsahariano

Dakar – Il 19 luglio è
stata completata la ricostruzione di otto mausolei di Timbuctù andati distrutti
nella ribellione dei Tuareg del 2012. Numerose reliquie della locale
tradizione sufi, le
tombe stesse dei marabutti, l’antico mausoleo dedicato ad Alpha Moya e le sepolture di Sidi Mahmud, Sidi
el-Mukhtar, Sidi Elmety, Mahamane Elmety e
Shaykh Sidi Amar sono andati distrutti. Sono mausolei che
risalgono al tredicesimo secolo e sono il simbolo dell’Islam tollerante, molto
diverso da quello professato dai jihadisti che li hanno demoliti.
Il Mali è improvvisamente assurto all’onore delle
cronache l’11 gennaio 2012,
quando la Francia ha deciso di lanciarvi una campagna militare (Operazione Serval) a sostegno
del Governo di Bamako contro i ribelli islamisti del nord. Oltre a essere la
più grande ricaduta nell’anarchia generata dalla fine del regime libico, questa crisi ha portato alla luce una crescente
instabilità che negli ultimi anni sta caratterizzando il Sahel. Mauritania, Niger, Costa
d’Avorio, Mali e Guinea dal 2008 a ora sono stati teatri di una serie di colpi
di Stato. Inoltre il prosperare delle cellule
qaediste preoccupa la Comunità Internazionale che vede nell’instabilità del
Sahel, al centro della ridistribuzione delle sfere d’influenza
tra gli attori internazionali per il possesso delle ricchezze minerarie
presenti, il rischio che questi Paesi,
sopratutto il Mali, si trasformino in
un nuovo hub per le rotte dei traffici illeciti utili al mantenimento delle
cellule jihadiste.
L’Azawad
è un’area di 80mila km quadrati che si estende tra il deserto del Sahara e la
regione del Sahel abitata, e l’interesse
geostrategico di questa regione deriva dalla presenza nel sottosuolo di riserve
di gas, oro, uranio e petrolio; inoltre è il passaggio delle
rotte del traffico illecito di armi, droga (la cocaina
parte dalla Colombia e passa dal Mali prima di essere imbarcata nel Golfo di
Guinea per poi essere venduta in Europa).
Dall’indipendenza a oggi, la politica del Paese è sempre stata appannaggio degli
esponenti dei gruppi subsahariani del sud del Paese. La parte
settentrionale è formata in maggioranza dai Tuareg che nei decenni hanno dovuto
trovare il modo di far sentire la propria voce. Con
l’indipendenza del Mali nel 1960 è iniziato il
risentimento dei territori del nord (Azawad), e diversi movimenti
autonomisti tuareg hanno dato vita a rivolte contro il
Governo di Bamako (1963; 1990 – 1995; 2006-2008; 2012) lamentando la
marginalizzazione delle regioni settentrionali e un’amministrazione decentrata.
Con la scoperta del petrolio nel 2006 nella regione e un intensificarsi
della guerra
al terrorismo con la presenza di Forze Speciali statunitensi nell’ambito
della Trans-Sahara Counter Terrorism
Partnership (Operation Flintlock) a causa della presenza del
movimento chiamato al-Qāʿida nel Maghreb islamico (AQMI, ex Gruppo Salafita per la
Predicazione e il Combattimento), i rapporti sono peggiorati e hanno aperto una
crisi tra il Governo del Mali e i ribelli tuareg.
L’ultima ribellione, quella del 2012 (la quarta) è
esplosa a causa del mancato rispetto degli Accordi
di Algeri del 2006, che avevano momentaneamente posto fine alla
terza ribellione. Questa ribellione ha dato i natali al Movimento Nazionale di liberazione dell’Azawad (MNLA) che, il 6 aprile 2012, ha proclamato
l‘indipendenza dello Stato dell’Azawad,
non riconosciuto dalla Comunità Internazionale.
La sua struttura politica comprendeva un Comitato Esecutivo, un Consiglio
Rivoluzionario e un Consiglio Consultivo; gli obiettivi militari erano
demandati all’Esercito di Liberazione e al suo Quartier Generale; mentre il
vasto consenso riconosciutogli dalla popolazione deriva anche dall’attività di
diversi Uffici regionali.
L’offensiva tuareg si è avvantaggiata della
confusione istituzionale e politica causata dal golpe militare guidato dal Capitano Sanogo, che ha destituito
il Presidente in carica: Amadou
Toumani Tourè. Inoltre il ritorno dei combattenti che avevano
servito Gheddafi e il flusso di armi in uscita dalla Libia hanno dato modo
all’MNLA di intensificare la sua azione e di prendere progressivamente il
controllo dei principali centri della regione. Parallelamente si sono inseriti i gruppi integralisti che hanno
affiancato i Tuareg nel combattere l’Esercito maliano. Essi
sono: il gruppo salafita Ansar al–Din
guidato da Iyad Ag Ghaly,
ex capo della rivolta tuareg degli anni ’90 ed ex console maliano a Gedda
(Arabia Saudita); il Movimento per
l’Unicità della Jihad in Africa Occidentale (Mujao), gruppo
islamico d’ispirazione qaedista del mauritano Mohammed Al Kery, responsabile dei diversi sequestri
tra cui quello del console di Algeri e di altri sei diplomatici nella città di
Gao; e il AQIM di Mokhtar Belmokhtar e degli emiri Abu Zeid e Abdel Karim Targui.
Questi gruppi hanno l’obiettivo di applicare la shar’ia nelle città liberate e
controllare le rotte dei traffici illeciti nell’area e il business dei
sequestri di occidentali e a un certo punto hanno preso il sopravvento militare
sul MNLA. A Gao fu segnalata anche la presenza di un centinaio di combattenti
del movimento integralista islamico nigeriano Boko Haram. I
tuareg sono stati incolpati di questa guerra, ma la situazione è ben più complessa perché
il mondo tuareg è composto da numerose tribù e famiglie, e si è ulteriormente
spaccato con l’infiltrarsi di gruppi terroristici che ne hanno cavalcato le
rivendicazioni e la spinta per l’indipendenza.
Il sogno di un Azawad indipendente, però, è durato
meno di due mesi perché i combattenti dell’MNLA sono stati esclusi dal potere
dai tre gruppi islamisti che hanno introdotto una rigorosa interpretazione
della shar’ia e hanno distrutto moltissimi monumenti e biblioteche,
sopratutto a Timbuktù. Nel gennaio 2013, con l’avanzare dell’Operazione Serval dell’Esercito
francese, l’MNLA ha lavorato con la Francia per sradicare i gruppi
terroristici. L’MNLA ora controlla solo le aree rurali e quelle desertiche
dell’Azawad e sta intavolando degli accordi con il governo di Bamako sulla base
della concessione di un’ampia autonomia, per affrontare la comune minaccia
islamista.
Il conflitto non è ancora terminato, il Paese è
ancora in guerra, anche se l’Esercito francese ha aiutato il Governo maliano a
riprendere il controllo dalla maggior parte della regione settentrionale,
militarizzandola. Ci sono, però, ancora delle eccezioni inquietanti, come per
esempio la città di Kidal,
dalla quale proveniva parte della famiglia di Gheddafi,
dove sono ancora presenti i pick-up armati con le bandiere dei diversi gruppi
terroristici, e dove i militari francesi hanno delle difficoltà a stabilizzare
la città. La situazione della
sicurezza delle regioni settentrionali e dell’intera fascia
saheliana si sta deteriorando sempre
più a causa della crescente volontà di rivalsa dei gruppi jihadisti
che si stanno riorganizzando e riarmando, e che nel Paese hanno intrapreso la
strada degli attentati.
Che la guerra continua lo dimostra l’eclatante attentato nella notte tra il 6 e il
7 marzo nella capitale Bamakò,
al ristorante ‘La Terrasse‘,
dove sono rimasti uccisi da un commando di tre persone cinque maliani, un
francese e un belga. L’attentato è stato rivendicato
dal gruppo jihadista algerino Al-Murabitun, capeggiato da Mokhtar Belmokhtar.
La situzione è difficilissima e, a sottolineare il malcontento della popolazione
locale, soprattutto nella regione settentrionale, è il gruppo di pressione ‘Negocies Pas En Mon Nom!‘ che
negli ultimi mesi sta riscuotendo grande successo su Facebook, Twitter e
Instagram, grazie a una campagna virale per manifestare la frustrazione nei
confronti dei gruppi che, sedendo al tavolo dei negoziati, si ostinano a
parlare in nome di tutta la gente del Nord. Il gruppo ha invaso la rete di
fotografie di gente comune ritratta con il cartello #NegociesPasEnMonNom.
Un altro
fattore di destabilizzazione sono i legami pericolosi che intercorrono fra alcune componenti dei gruppi presenti ai
negoziati di pace e i gruppi jihadisti, soprattutto fra l’Alto
Consiglio per l’Unità dell’Azawad (Hcua) e Ansar Addin, la dissidenza jihadista
dell’indipendentismo tuareg guidata dal temibile Iyad Ag Ghali, ricercato dai servizi
segreti di mezzo mondo. Secondo molti attori presenti ai negoziati di Algeri,
infatti, i rapporti personali fra i vari leader dei gruppi armati renderebbe
impossibile quanto necessario distinguere fra ribelli e terroristi. Ultimamente
sulla fronteira con la Costa d’Avorio
e la Guinea sono state fermate diverse persone che cercavano di introdurre armi
per allargare lo scenario della guerra. I due Paesi, che stanno
affrontando diversi problemi interni – la Costa d’Avorio arriva da una lunga
guerra civile e in Guinea a ottobre ci saranno le elezioni politiche – stanno
militarizzando la frontiera con il Mali e intensificando i controlli. E il
problema non è da poco, in Mali come altrove.
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