Scuola
Buona Scuola e alcune questioni di dignità e comunicazione
Dopo l’approvazione definitiva della Buona Scuola di Renzi,
un colpo di mano degno di un Paese che non conosce democrazia, avvenuta
senza consenso parlamentare e -soprattutto – con il netto dissenso
della maggior parte dei lavoratori della scuola, l’estate è stata
monopolizzata dal cosiddetto piano straordinario per il precariato,
mistificato e pompato dalla costante e pressante comunicazione del
Governo, volta a legittimare la forzatura e a nobilitare una delle più
indecenti imposizioni che il Paese abbia subito.
La strategia comunicativa è stata messa in atto con le armi pedestri alle quali ormai siamo allenati: gli auguri di Ferragosto del “Premier”,
naturalmente dalla sua pagina FB (“Buon ferragosto a tutti. Un
ferragosto speciale per quei 71.643 nostri connazionali che vivono
un’estate diversa perché grazie alla legge 107, c.d. buona scuola,
possono superare dopo anni e anni la condizione di precariato”); il
controcanto, da parte della sbiadita figura che siede a Viale
Trastevere, il ministro Giannini, che, qualche giorno
dopo l’approvazione definitiva, senza alcun rispetto per le centinaia di
migliaia di docenti che si erano mobilitati e che si sono visti imporre
una norma irricevibile ed inemendabile, ha affermato che “il prossimo
sarà un anno affascinante”. Il potere delle parole e la
rozzezza delle azioni vanno di pari passo: in entrambe le esternazioni
c’è una grande assente, la verità dei fatti. Quei fatti che
costringeranno molti docenti stabilizzati a sopportare – a fronte di una
irrisoria manciata di euro – una precarizzazione ulteriore del proprio destino, in attesa che le sedi di assegnazione vengano definitivamente destinate dalla freddezza di un algoritmo.
Sia detto chiaramente: molte professioni richiedono mobilità.
Tra quelle “intellettuali”, però, nessuna è caratterizzata da una
sproporzione tanto diretta tra titoli di studio conseguiti e
femminilizzazione, da una parte, ed esiguità del salario, dall’altra;
nonché da una impressionante serie di diritti maturati durante gli
spesso numerosissimi anni di precariato, che vengono spazzati via con il
passaggio dalle graduatorie provinciali (che consentivano una mobilità
interna alla provincia) a quelle nazionali. Provate a spostarvi – ad un’età media da ultraquarantenne e pertanto con condizioni di vita potenzialmente definite – dalla Calabria in Lombardia: può essere un’impresa che i 1300 euro del salario di una docente neoassunta non sono in grado di sostenere.
Mentre scrivo ho in mente il viso della mia amica Marcella Raiola,
donna coltissima e spiritosa, animatrice di battaglie significative a
Napoli, referente del comitato Lip di quella città, che ha recentemente
scritto una lettera carica di dignità e rigore a Repubblica,
per spiegare i motivi del proprio rifiuto della assunzione a tempo
indeterminato alle bizzarre (per usare un eufemismo) condizioni cui il
Governo ha costretto migliaia di precari, già provati da anni di
instabilità occupazionale coatta. Si tratta di una scelta clamorosa, ma
comprensibile.
Di una scelta di dignità e consapevolezza, motivata
in modo ineccepibile e ficcante. Al viso di Marcella – che ha 44 anni,
un dottorato in Filologia, abilitazione e 13 anni di supplenza sulle
spalle – mi viene allora da associare quello dei nuovi animatori della
scena politica, quelli che hanno fatto il bello e il cattivo tempo
proprio per determinare il destino di Raiola e di molte come lei,
scegliendo – in ogni caso – per la precarizzazione non solo del posto di
lavoro, ma di relazioni, affetti, condizioni; scegliendo insomma per la
violazione di diritti acquisiti. Costoro sono giovani quanto se non più
di Marcella, ma non ne possiedono la raffinatezza che solo una profonda
pratica della cultura e della democrazia può fornire.
Sotto il vestito però – come più che mai accade in questo periodo nel
nostro Paese – niente. Hanno facce arrembanti ed arroganti, sono quelli
che “ci hanno saputo fare”, vuoi perché capaci di intessere relazioni
“utili”, vuoi perché introdotti da genitori blasonati. Inutile dirlo:
sono i più implacabili sostenitori del “merito”. Sono i
più fieri e severi celebranti del nuovo corso, e i più intransigenti
profeti della mistificazione delle parole con cui il Governo sta
tentando di convincere della bontà delle sue iniziative sulla scuola.
Tentativo vano e persino patetico, dal momento che sin dal primo giorno
di scuola confermeremo la nostra più assoluta contrarietà alla Buona
Scuola, che ostacoleremo con tutti i possibili mezzi.
Sono tutti della generazione di Marcella, ma quale spazio li separa:
dalla meglio alla peggio gioventù! I principali officianti all’altare
del Giovane Capo, i massimi sicofanti della comunicazione capziosa sono
loro.
Ci sono i commentatori che sono diventati cantori, come Mila Spicola,
che da implacabile pasionaria anti-Gelmini si è trasformata in
entusiasta sostenitrice acritica della Buona Scuola dalla poltrona del Miur.
Ci sono i figli d’arte, come Marco Campione, attuale capo segreteria di Faraone, recente protagonista di una irresponsabile sequenza di accuse e ritrattazioni a “sedicenti insegnanti”. L’attuale capo della segreteria di Faraone, si è espresso in questi giorni
come censore sia del contenzioso probabilmente conseguente alle
procedure di stabilizzazione sia dell’attuale stato giuridico degli
insegnanti. Non male per uno che non ha mai lavorato a scuola nemmeno un
giorno…
La nostra battaglia è difficile, ora più che mai: non lasciarsi
imbrigliare nei tecnicismi né abbattere dalla aggressività arrogante dei
nostri interlocutori, abituati alle telecamere e avvezzi
all’intenzionale manipolazione demagogica, è difficile. Far passare la
costanza della nostra ragione all’opinione pubblica è però oggi più che
mai necessario.
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