Groviglio perfetto?
di Leonardo Mazzei
Quattro
scenari per il dopo voto sulle (contro)riforme costituzionali di
settembre: 3 sono (quale più, quale meno) sfavorevoli a Renzi, il quarto
potrebbe essergli fatale
Renzi
ostenta sicurezza. Glielo impongono tanto le regole della comunicazione
politica, quanto l’innato bullismo. Ma questa volta la situazione
appare davvero complicata. Il segretario del Pd ha voluto troppo, per i
suoi interessi di potere come per le sue spicciole esigenze di
propaganda. La risultante è che adesso i nemici sono davvero tanti, e
potrebbero coalizzarsi.
Il
decisivo passaggio che si approssima all’orizzonte è ovviamente quello
delle (contro)riforme costituzionali. Originariamente il voto del Senato
era previsto per luglio, poi ladebacle elettorale di maggio ha imposto lo slittamento a settembre, alla ripresa dell’attività parlamentare dopo la pausa estiva.
Il
momento della verità è dunque assai vicino. La notizia di venerdì è che
la minoranza del Pd ha annunciato che i senatori a favore del Senato
elettivo – e dunque contrari al progetto renziano – avrebbero raggiunto
quota 170, ben al di là della soglia di maggioranza di 160. Tra questi
gli appartenenti al gruppo Pd sarebbero 28. Un bel campanello
dall’allarme. Rilanciato con grande evidenza da la Repubblica, che ha dedicato alla questione le prime quattro pagine dell’edizione di ieri.
Il
giornale enfatizza nei titoli il gran numero di emendamenti proposti –
mezzo milione in commissione, mentre ne vengono annunciati addirittura 6
milioni in aula – ma è chiaro come il problema per il governo non è
l’ostruzionismo, bensì la convergenza tra le opposizioni e la minoranza
Pd su un punto ben preciso: il ripristino dell’elettività popolare del
Senato. Un punto sul quale anche la demagogia populista di Renzi avrà le
sue difficoltà a spiegare agli italiani il perché di un’assemblea di
nominati.
Naturalmente
i giochi sono ancora aperti. Tante volte la minoranza Pd si è
disgregata al momento decisivo. Tante altre sono arrivati in soccorso i
voti di una parte di Forza Italia. Ma questa volta anche il supporto
esplicitamente garantito dalla pattuglia dei verdiniani potrebbe non
essere sufficiente. Lo vedremo a settembre, ma intanto proviamo ad
immaginare i possibili scenari.
Gli scenari
Scenario n. 1: la controriforma passa senza modifiche sostanziali
E’
ovviamente lo scenario preferito da Renzi. Quello su cui mostra a
tutt’oggi di puntare. La scommessa è che la minoranza Pd rivelerà al
dunque il coraggio di sempre, mentre altri senatori cederanno alla fine
di fronte alla prospettiva dello scioglimento anticipato delle Camere.
E’ la ben nota teoria craxiana del “tacchino”, in base alla quale così
come il gallinaceo dal collo bitorzoluto teme il Natale, i parlamentari
tendono ad avere identico terrore delle elezioni. Il fatto è che questa
volta i “tacchini” sono comunque in un cul de sac.
Da un lato la prospettiva elettorale, che certo non gradiscono;
dall’altra la loro drastica riduzione numerica, dai 315 attuali ai 100
del progetto governativo. Una scelta comunque non facile. C’è dunque da
dubitare che Renzi riesca nel suo intento, ma anche se ce la facesse i
problemi sarebbero solo rimandati (vedi più avanti).
Scenario n. 2: la controriforma passa con modifiche concordate con la minoranza del Pd
Il
capo del governo si mostra schifato davanti a questa possibilità. Che
pure, a ben vedere, potrebbe rappresentare per lui il male minore. La
minoranza del suo partito chiede il Senato elettivo, ma possono esserci
vari modi (e vari trucchi) per dire che il Senato è elettivo. Si
discute, ad esempio, di un “listino” da abbinare alle elezioni
regionali. In questo modo il Senato non sarebbe davvero elettivo (né la
sua composizione proporzionale), ma l’elettore conoscerebbe i nomi dei
papabili legati ad ogni lista regionale. Un marchingegno inqualificabile
dal punto di vista costituzionale, una cosa degna del peggior
azzeccagarbugli di provincia, e tuttavia il massimo che i “riformatori”
del cerchio magico renziano sembrano disposti a concedere. Basterà alla
minoranza Pd? Non lo sappiamo. Roberto Speranza dice che questa volta
sono «determinati ad andare fino in fondo»,
ma i precedenti lasciano dei dubbi. Più realisticamente, è ben
possibile che Speranza ed altri non si facciano convincere, ma è
altrettanto possibile che una parte dei senatori dissidenti scelga di
rientrare nei ranghi. In ogni caso – ed è questo che qui interessa – per
ricompattare il Pd il suo segretario dovrà fare delle concessioni,
mostrando così la sua attuale debolezza. Un prezzo da pagare per portare
in porto la controriforma, salvando al tempo stesso il governo.
Scenario n. 3: la controriforma passa con un nuovo accordo con Berlusconi
Come
da manuale andreottiano, Renzi ha infatti un altro forno presso il
quale acquistare il pane. Ed è un forno che il fiorentino ha mostrato in
passato (ma anche recentemente sulle nomine Rai) di preferire. E’ il
forno del suo grande ispiratore. Il problema è che il fornaio Berlusconi
è tutto fuorché un fesso. O meglio, un po’ fesso nei mesi scorsi lo è
stato (per quali ragioni solo lui lo sa), ma proprio per questo ora vuol
correre ai ripari. La “fesseria”, probabilmente motivata da chissà
quale promessa del suo giovane imitatore, è consistita nell’approvazione
della legge elettorale (Italicum)
nella versione più favorevole a Renzi. Più esattamente
nell’accettazione del premio di maggioranza alle singole liste anziché
alle coalizioni. Ora però, tanto più dopo i risultati delle elezioni
regionali, Berlusconi ha ben chiaro l’obiettivo da perseguire. Come
ricorda il fido Toti, sempre su Repubblica, se Renzi vuole i voti di Forza Italia sulla controriforma costituzionale, si deve modificare l’Italicum per
tornare al premio di coalizione. Questo lo scambio che certo andrebbe
bene dalle parti di Arcore, ma che sarebbe assai pesante per il
presuntuoso inquilino di Palazzo Chigi.
Scenario n. 4: la controriforma non passa
L’arroganza
di Renzi ci porta a non escludere questo scenario. Apparentemente la
cosa sembra un po’ folle. Perché mai rifiutare ogni compromesso? E
ancora: perché mai battere la testa contro il muro, quando basterebbe
separare esplicitamente le sorti del governo da quelle della
controriforma? In fondo le modifiche costituzionali sono (più
esattamente, dovrebbero essere) tipica materia parlamentare, come gli
ricorda continuamente la minoranza del suo partito. E Renzi potrebbe pur
sempre recitare la parte del “riformatore” tradito dagli infidi
parlamentari, ma costretto dal senso di responsabilità a restare in
sella. In realtà questa via d’uscita non sembra troppo probabile. Il
fatto è che, alla lunga, la propaganda si paga. E un Renzi sbeffeggiato
dai senatori che lui voleva abolire, meglio ancora “rottamare”, sarebbe
per lui un prezzo troppo alto da pagare.
Ricapitoliamo
Negli
scenari 2 e 3 Renzi, venendo meno alla sua nomea di decisionista ed
“asfaltatore” va alla mediazione. Nel primo caso con la minoranza del
suo partito, accettando l’elettività del Senato; nel secondo con
Berlusconi, concedendogli l’agognata modifica dell’Italicum.
In entrambi i casi (ma di più nel secondo) Renzi ne uscirebbe senza
dubbio indebolito. Per questo cercherà in ogni modo di non scendere a
compromessi, aprendo così la strada ad una scommessa per lui assai
rischiosa. Una scommessa che ammette due soli risultati: o la vittoria
piena o la sconfitta aperta.
Paradossalmente,
ognuno di questi due esiti – dunque anche quello vittorioso –
presenterà a Renzi scenari assai pericolosi. Mentre la sconfitta aperta
ci porterebbe ad una sorta digroviglio perfetto, la vittoria piena a settembre 2015 potrebbe rivelarsi fatale nel referendum confermativo dell’anno dopo.
Infatti,
una cosa è approvare una “riforma” costituzionale, per quanto orribile,
con un’ampia maggioranza. Altra cosa approvarla in pratica con i voti
di un solo partito, e per giunta neppure tutto. Un partito del 25%,
sovra-rappresentato in parlamento solo grazie ad una legge elettorale
dichiarata incostituzionale dalla Consulta…
Ovvio
che, in caso di compromesso, le forze coinvolte nel voto parlamentare
si schiererebbero a favore nel referendum. Altrettanto ovviamente,
queste forze si pronuncerebbero per il no in caso di mancato accordo.
Aggiungiamo poi che se Renzi raggiungesse la maggioranza dei due terzi
in entrambe le camere il referendum non sarebbe più previsto (art. 138
della Costituzione). E’ vero che il Bomba ha promesso comunque il suo svolgimento, ma si può sempre cambiare idea…
Dunque,
qualora non vi sia un accordo capace di allargare la maggioranza,
l’eventuale vittoria di Renzi a settembre potrebbe rivelarsi la classica
vittoria di Pirro un anno dopo. Ma cosa succederebbe, invece, nel caso
di una sconfitta parlamentare di Renzi a settembre? Abbiamo già parlato
di groviglio perfetto. Vediamo il perché.
Groviglio perfetto
Molti
dicono che, secondo un classico schema populista – quello in base al
quale il leader si rivolge direttamente al popolo –, a Renzi non
parrebbe vero di avere la possibilità di andare rapidamente alle
elezioni per chiedere un mandato per asfaltare definitivamente i suoi
avversari. Non sottovalutiamo affatto l’efficacia di un simile
messaggio, ma le cose non sono così semplici.
Intanto
si andrebbe a votare per entrambe le camere, in un sistema che
resterebbe bicamerale perfetto. Da qui l’esigenza, per governare, di
vincere anche al Senato. Ma l’Italicum è
stato pensato per una sola camera, e comunque la sua entrata in vigore è
prevista dalla legge per il primo luglio 2016. In teoria, se davvero si
volesse andare alle urne in autunno, o al più la prossima primavera, si
dovrebbe votare con il Consultellum sia per la Camera che per il Senato. Il Consultellum non
prevede premi di maggioranza, e dalle elezioni scaturirebbe comunque un
governo di coalizione. Che non necessariamente vedrebbe Renzi alla
guida. E’ davvero così allettante la prospettiva elettorale per il
fiorentino?
Resta
però un’altra possibilità, quella di una crisi di governo che conduca
ad un Renzi 2, ovviamente con una maggioranza di “larghe intese”
includente Forza Italia. A quel punto, però, Berlusconi tornerebbe a
porre come pregiudiziale la richiesta della modifica dell’Italicum. Per ilBomba un
vero e proprio incubo. Per dirla con il suo linguaggio da bambinone,
anche ieri ripetuto dalla replicante Serracchiani a proposito dell’amata
controriforma: «Sarebbe come a Monopoli, quando sei costretto ad andare a Vicolo Stretto senza passare dal via».
Davvero non sappiamo come l’eventuale groviglio perfetto verrebbe
sbrogliato. E’ chiaro comunque come a quel punto entrerebbero in gioco
tutti i poteri forti interessati alla partita. Da quelli nazionali, a
quelli europei, a quelli d’oltreoceano. Domanda: per costoro Renzi è
ancora insostituibile? A giudizio di chi scrive sì, per il momento lo è.
Altro non fosse che per l’attuale inesistenza di alternative
altrettanto efficaci dal punto di vista degli interessi strategici del
blocco dominante. Una (momentanea) mancanza di alternative che rende
ancor più difficile la risoluzione del problema. Sempre che si realizzi
lo scenario n. 4.
Conclusioni
In
ogni caso, se quel che abbiamo fin qui sostenuto è fondato nella
sostanza, inizia per Renzi una stagione di guai. Ma sbaglieremmo a
pensare che il suo ciclo sia già destinato all’esaurimento per
l’esplosione delle contraddizioni interne del sistema. Queste
contraddizioni ci sono, sono forti, e rese acute dal pressappochismo
della banda renziana. Ma tutto questo non basta. Occorre la rinascita
del protagonismo sociale, la scesa in campo della maggioranza (per ora
troppo silenziosa) di chi è colpito dalla crisi. Occorre la lotta al
potere delle oligarchie, in particolare a quelle di matrice eurista.
Occorre la proposta di un’alternativa politica e sociale. Ed alla fine
ci vorrà una decisiva sollevazione popolare.
A
molti questi obiettivi sembreranno di certo lontani ed utopistici. Tra i
nemici da battere uno dei più insidiosi è infatti il pessimismo. Una forma mentis perniciosa
che tende a vedere il nemico come invincibile anche quando questo è
invece in difficoltà. Proprio per questo non bisogna mai stancarsi di
cogliere i punti deboli dell’avversario, senza però mai illudersi che le
sue contraddizioni interne siano sufficienti ad assicurare la vittoria.
Tornando
al tema di questo articolo, vedremo ben presto come andranno le cose,
ma la vicenda della controriforma costituzionale, e l’incipiente crisi
politica che trascina con sé, ci dimostra ancora una volta come nella
crisi generale in corso si intreccino in realtà tre più specifiche
crisi: quella economica, quella sociale e, appunto, quella politica.
Chi
pensava che almeno quest’ultima fosse stata risolta dall’uno-due
renziano (legge elettorale truffa più controriforma costituzionale), il
tutto condito con la costruzione di un mono-partitismo perfetto di marca
Pd (il Partito della Nazione), è destinato a restare deluso. E questa è già una buona notizia.
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