di Gabriella Schina - Tra pochi giorni ricomincerà la scuola, tutti ne parlano, la si guarda con disprezzo, con apprensione, con attesa, si fanno dotte dissertazioni
Ma avete idea cosa voglia entrare a scuola ogni mattina (insegno da 35 anni in un liceo romano) e incontrare un ragazzo o una ragazza di quattordici anni che non ha mai aperto un libro, che passa la maggior parte del suo tempo in rete, che negli anni, le uniche ricerche le ha scaricate da internet, che spesso non sa neanche tenere la penna in mano, che non sa riassumere tre righe. Questo vi parrà strano ma è verità quotidiana. E come si rimedia a questa barbarie perpetuata da anni? La colpa è dei professori? Riduttivo, comodo ma soprattutto non affronta il problema nella sua verità. E quali sono i rimedi che vengono propugnati per risolvere un danno così grave perpetrato da anni verso la nostra gioventù?
L’unico rimedio è risvegliare l’amore per il Sapere, per la Conoscenza, e sono molti i professori che a dispetto di tutto chiudono le sgangherate aule ed aprono il libro con la passione di farlo e che sanno che il loro compito vero è generare quel “Nuovo” che porterà l’alunno a se stesso, che lo condurrà a riflettere, che gli permetterà la prossima volta di trovarli già pronti in classe per lavorare insieme, perché si è creato tra loro ed il professore un circuito amoroso che solo l’amore per la conoscenza può agire. Il Sapere si costruisce con ore di lavoro insieme, viso a viso, di silenzi, di sospensioni, di gesti, di sguardi, d’incertezze, di risate e questo nessun computer potrà mai darlo, un legame, una trasmissione fatta d’inciampo come condizione per la ricerca (Recalcati).
Bisogna ripensare e riconsiderare la scuola, veramente come il primo luogo di cultura, non come una azienda. La Scuola va ripensata con amore e cura, va portata nel cuore di un paese perché è l’esistenza futura di una comunità, perché è il luogo dove accanto ad un vero sapere non possono essere disgiunti una moralità del pensare e la solidarietà, il luogo dove s’insegna a pensare, dove ogni ragazzo può ricercare la propria individualizzazione, dove il professore non vive di schemi, né pretende la copia di sé, ma rischia ogni giorno attraverso la parola portata con amore, dove preserva il non detto, come spinta alla conoscenza, dove spera di vedere quel miracolo che molti di noi vedono, il togliersi i veli dagli occhi del ragazzo, ed in quel momento veder uscire fuori la gioia dell’alunno che si percepisce come un essere pensante in grado di vivere, un giovane che vada per il mondo con le sue azioni e i suoi sentimenti; vi assicuro che questo è uno dei doni più grandi che la vita possa offrire. Viene fatto nel nostro Belpaese?
Si guarda alla tecnologia didattica, destinata a fallire. Questa nasconde la pigrizia del pensare dell’insegnante ed il possibile rischio che può conseguire all’uso della parola, crea peggiori insegnanti e peggiori alunni. Internet cancella l’Eros della trasmissione, il desiderio, il transfert della relazione didattica. Ed è il trionfo della banalità e del sonno della ragione: le “slaid o la sonnolenza del sapere”, colorate, seducenti oggetti del delirio di possedere un potere illimitato di conoscenza, proiettate su pareti smozzicate e sporche, o sulle quattro Lim che abbiamo in dotazione. Si impazza con le le slaid, i voti in centesimi, le griglie, gli assi delle competenze. Ma il processo di apprendimento cos’è? Non esiste didattica fuori dalla relazione tra esseri umani. Ma allora perché continuare a mentire come in un matrimonio consunto dove i partner sono il potere economico e la scuola? Il tradimento è noto a tutti, ed è il tradimento dell’insegnamento, del sapere nella Scuola in nome dell’economicismo. Ma perché i professori hanno paura di urlarlo e molti tacciono? Quanti hanno abnegato alla vera funzione dell’insegnante?
La realtà è che la scuola è diventato un pozzo senza fondo di associazioni varie che vendono di tutto, è il mercato del terzo mondo italiano dove si butta il rifiuto tossico della cultura massificata, trita e ritrita di pseudo pedagogie già masticate e fallite (il cognitivismo imperante nella nostra società) e di qui a poco la situazione peggiorerà con il proliferare di associazioni sedicenti metodologiche create da qualche moglie di ispettore o sottosegretario all’istruzione, che pasticceranno, obbligandole nelle scuole, con le new entry della docimologia, delle nuove strategie di apprendimento, conosciute girando in internet qua e là, o in qualche viaggio estivo in un civilissimo paese, dove si investe veramente nella scuola, e che cercheranno di piantare qui come un fuscello che fallirà perché non ha quell’humus necessario, una triste Rivolta napoletana. Ecco, siamo dei Masaniello della scuola, si parte dietro idee strapazzate e copiate qua e là, il problema c’è, ma non genera riflessioni, né azioni adeguate.
Ma guarda un po’ora però siamo giunti ad un momento in cui, proprio dal mondo economico, arrivano nuove richieste, non da quello culturale. E’ un mondo è complesso, con attivi processi occulti anche per gli specialisti. Si è capito che la Borsa è imprevedibile come il meteo, occorrono individui “nuovi”, creativi, flessibili, con competenze. Ecco tutti si riempiono la bocca delle competenze, per chi ci lavora si ha la nausea di questa parola. Eppure sono molte le voci che si sollevano in questo panorama europeo a difesa e rifondazione della scuola. Vi fa pensare a niente una scuola che insegni a vivere? Un possibile serio riattraversa mento della funzione docente, una rivisitazione del rapporto docente -alunno, docente-docente, docente-genitori. Chi se le chiede queste cose? Chi le vive e chi si addolora ogni mattina vedendo lo scempio che aumenta.
Per la scuola-azienda tutto ciò è vera zavorra; in una società di narcisi, di perdita di valori umani “viene a mancare l’interesse per l’ambiente, per la qualità della vita”(Lowen). La mentalità economica contemporanea ha voluto coinvolgere la pedagogia, creando così sempre più narcisi superefficienti, privi di sentimento e pensiero critico, “competenti, l’iperattivismo cognitivista ha ingoiato tutto”, funzionale alla produttività. La logica economica che stringe nelle spire la vita pedagogico, ha come ineludibile specificità l’eliminazione di ogni creatività, di ogni capacità di giudizio. Ne consegue la scuola delle “Eccellenze”, eccellenze di che? Non è difficile intuirlo. Penso che chi abbia scelto d’insegnare queste realtà debba considerarle profondamente.
Chi non ci sta dentro non sa cosa sia piombato o dir meglio ‘gettato’ sulla scuola, una sorta di kermesse di inutili progetti che piombano da fuori che devono creare le competenze del nuovo cittadino europeo. Di quale Europa? Si esenta l’alunno da ogni rapporto impegnativo col sapere, e chi sta da tanto nella scuola questo processo camuffato lo rintraccia perfettamente. Si vuole veramente ridurre i professori a compagni di giochi un po’ sfigatelli e fancazzisti? (non dicono questo molti giornalisti?), da una parte l’economicismo e il culto dell’ efficienza, dall’altra un edonismo fatuo e senza responsabilità. Una esaltazione spasmodica quanto insulsa e vuota di pseudo metodologie dell’apprendimento, una burocrazia che stringe l’insegnante con un cappio del nulla. E gli allievi? Chi se ne preoccupa?
Ma in tutto questo non dobbiamo dimenticarci che pur nelle difficoltà nelle quali li abbiamo messi, i ragazzi sono molto sensibili e sentono subito se c’è unità tra quanto il maestro dice e quanto fa. Hanno la nostalgia che il maestro abbia competenza non solo sociale ma di se stesso.
Sono la prima a dire che nella scuola che nella Scuola esistono purtroppo docenti imboscati, che frodano ragazzi e stato, che non conoscono nulla della loro materia, che sono ignoranti, che sono parassiti. Meno male che non sono tanti, questi sono la vera zavorra ma non ci vorrebbe molto ad individuarli con un buon sistema di valutazione e non con quanto si prevede con il Dl della Buona scuola, dove saranno valutati, da due alunni qualche collega livoroso e qualche genitore che nulla sa. Ma facciamole seriamente queste valutazioni! (so che con ciò mi tirerò dietro le ire di molti colleghi).
Che fare? Intanto buttare via tutto questo ciarpame cognitivista, liberare la scuola da una burocratizzazione inutile, dare risorse alle scuole e dignità agli insegnanti, anche economicamente (europeisti in tutto dunque), forse ridare ai Dirigenti Scolastici un volto garante del buon funzionamento DIDATTICO della scuola, e non menager di un’azienda.
E poi bisogna aver coraggio e dire: questa non è la scuola che ho sognato, questa è una scuola che non voglio per i miei ragazzi, basta con l’ipocrisia e gli interessi mascherati, proviamo a porci domande, è dalla domanda che si riparte.
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