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Terminato ieri il convegno "Agriculture in an Urbanizing Society"
Pierre Rabhi: l’urbanizzazione si affronta con l’agroecologia
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di Lorenzo Marinone
Per
il contadino e filosofo padre dell’agroecologia è necessario tornare ad
una agricoltura di piccola scala per sovvertire un sistema basato sul
denaro
(Rinnovabili.it) – Se in Italia la parola “ecocidio”
è associata all’economista americano Jeremy Rifkin, le sue radici
vengono invece dall’Algeria. Da Kenadsa, un piccolo centro abitato
vicino al confine con il Marocco, dove 77 anni fa è nato Pierre Rabhi. Agronomo e contadino, pioniere dell’agricoltura biologica e delle pratiche biodinamiche ben prima che pensatori come Serge Latouche le integrassero nella loro idea di “decrescita felice“. Di recente è stato invitato ad aprire i lavori del convegno Agriculture in an Urbanizing Society, che si è tenuto a Roma dal 14 al 17 settembre nell’ambito del programma Lazio Expo 2015.
Se
l’obiettivo del convegno era riconnettere l’agricoltura e le catene
alimentari ai bisogni della società, Rabhi mette sotto la lente
d’ingrandimento proprio la natura di questi bisogni.
«Siccome i miei esperimenti nella
regione francese dell’Ardèche dimostravano che si può produrre senza
distruggere la terra, il governo del Burkina Faso mi ha assunto come
consulente – esordisce Rabhi – Lì, come in molti altri Paesi del sud del
mondo, l’agricoltura funzionava e funziona così: i contadini vengono
incentivati alla monocoltura, arachidi e cotone. Per guadagnarci, devono
usare concimi chimici e pesticidi.
Siccome non hanno soldi, si indebitano per acquistarli e impegnano
parte del futuro raccolto. Ma questo ciclo non finisce mai. E siccome
restano indebitati, fuggono in massa verso le città».
Un sistema malato
È l’intero sistema che impedisce di
sviluppare un’agricoltura che tenga davvero in considerazione i bisogni.
Così che tipo di urbanizzazione nasce? E cosa ne è di quelle terre
abbandonate? Un problema ne genera altri correlati, argomenta Rabhi. Nel
suo Manifesto per la terra e per l’uomo,
come nelle sue altre opere (tutte pubblicate in Italia dall’editore
add), Rabhi ha messo in luce proprio questa dimensione sistemica che
dipende dalla scomparsa (o eliminazione) dell’agricoltura su piccola
scala. Come nel caso della desertificazione, dove le
piogge – violente, perché la terra abbandonata riflette le radiazioni
solari che scaldano l’atmosfera – non riequilibrano le falde freatiche
ma dilavano gli strati superficiali. O in quello dell’impiego di concimi
chimici, che rendono l’agricoltura una pratica in tutto e per tutto
indicizzata sul dollaro e quindi un metodo di produzione vulnerabile e
dipendente. E la lista è lunga: biodiversità a rischio, salinizzazione, scomparsa delle api, distruzione dei metabolismi naturali delle terre coltivabili…
«Stiamo sperperando un patrimonio
costruito in 12mila anni di storia dell’umanità», conclude Pierre Rabhi.
E invita a riflettere, allargando lo sguardo, su cos’è diventata oggi
l’agricoltura: «È il luogo dove si sono spostati i limiti del rapporto
fra uomo e natura». Se il problema è sistemico, la risposta deve agire
sullo stesso piano. Ma a scala ridotta, secondo il principio che
ciascuno deve fare la sua parte. E soprattutto senza aspettare le
iniziative politiche a livello globale. In altri termini, quando è stato
chiamato a scegliere su quale cavallo puntare, Rabhi ha sempre preferito la società civile alla politica.
Il motivo è semplice: è un grande laboratorio di idee che per sua
stessa natura si confronta con i problemi locali, là dove si sviluppa.
Un’oasi in ogni luogo
La soluzione? «Un’oasi in ogni luogo»:
piccole comunità dedicate all’agricoltura biologica e biodinamica.
Mobilitando la società civile, spingendo perché si formino associazioni
sul territorio, per disseminare le pratiche dell’agroecologia. La ricetta
non è nuova, anzi risale 20 anni fa. Qualche “discepolo” l’ha
guadagnato: il progetto “10.000 orti in Africa” che Slow Food ha
lanciato nel 2010, batte la stessa pista. Nel frattempo, Rabhi ha
moltiplicato le iniziative tramite la fondazione del movimento Colibris,
senza smettere di essere chiamato dalle Nazioni Unite come consulente
per la desertificazione nel Sahara-Sahel. Continua a sostenere la
necessità di un’iniziativa della società civile europea, cui fece
appello nel 2013 insieme a Susan George e Edgar Morin per bloccare
l’ecocidio in Europa. E continuerà in futuro sulla stessa lunghezza
d’onda: Rabhi si candiderà alle elezioni presidenziali francesi del 2017.
Senza l’ambizione di occupare qualche poltrona, ma per animare in
Francia un forum civile che metta in comunicazione tutte le realtà che,
nel loro piccolo, condividono gli obiettivi dei Colibris.
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