Gli Stati Uniti hanno fatto sì che il Fondo Monetario Internazionale (FMI) e i creditori americani
avviassero una ristrutturazione del debito dell’Ucraina, e un congelamento dei
versamenti per quattro anni, per evitarne il fallimento. Quello che era stato
negato alla Grecia. Ma ormai gli USA non potranno fare molto più di questo. La
partita che hanno avviato in Ucraina, causando la caduta del governo
regolarmente eletto dell’ex presidente Viktor Yanukovich, e poi la guerra con i
filo-russi nell’est del Paese, è per loro praticamente perduta.
I consiglieri neo-conservatori della Casa Bianca – ferocemente
anti-russi sull’onda del loro maestro esule anticomunista Zbigniew Brzezinski (consigliere
per la sicurezza nazionale durante la presidenza di Jimmy Carter, dal 1977 al 1981, ndr) – hanno sbagliato i conti su fattori
decisivi. Avevano pronosticato una reazione prudente della Russia, come
accaduto dopo la caduta dell’URSS, e speravano di poter schiacciare rapidamente
una eventuale resistenza dell’est. Inoltre, credevano che la Cina avrebbe
mantenuto la sua cautela in politica estera e si sentivano rassicurati dal
fatto che avevano sferrato l’attacco mentre la Russia era già esposta in Siria.
Ma questa volta la Russia, minacciata direttamente, ha reagito
all’istante riprendendosi la Crimea, mentre i russi dell’est, coordinati dalla
capillare rete del Partito Comunista Ucraino, si sono da
subito organizzati e armati per difendere la propria autonomia dal governo
instaurato a Kiev, dove è forte la pressione e la presenza di partiti e milizie
para-nazisti.
L’intervento della
Cina e la perseveranza degli USA
La Cina, nel momento cruciale in cui in Europa si insisteva su
un intervento della NATO, ha apertamente manifestato il proprio appoggio alla
Russia utilizzando uno slogan semplice ma molto efficace: “chi tocca loro tocca
anche noi”. Questo appoggio diretto, con le correlate conseguenze economiche
per chi non ne avesse tenuto conto, e la cruciale e definitiva sconfitta subita
a Debaltsevo dall’esercito ucraino,
hanno raffreddato la speranza europea di annessione dell’Ucraina. L’Inghilterra
si è sfilata dall’avventura, mentre Germania e Francia hanno immediatamente
trattato con la Russia fissando il secondo accordo di Minsk. Gli USA, che erano
rimasti fuori dall’accordo, hanno continuato a giocare la loro partita iniziata
con il “Fuck the EU” di Victoria Nuland, indifferenti da oltreoceano alle conseguenze
di una escalation del conflitto.
Anziché insistere con l’esercito – i cui quadri superiori si
sono formati in Russia, e le cui truppe non hanno mai voluto comprendere le
ragioni di una guerra fratricida – hanno puntato su una nuova Guardia Nazionale,
formata da elementi della destra nazionalista e da loro addestrata e armata. Ma
qui hanno sbagliato i conti con la natura sociale e politica di un paese di cui
loro avevano privilegiato la posizione geografica, nella pancia della Russia, e
la folta presenza di manovalanza nazionalista anti-russa.
Gli oligarchi e le
milizie armate
Persa la possibilità della vittoria – che avrebbe portato il
controllo delle industrie, del gas e del carbone del Donbass – l’apparente
unità politica che sosteneva l’attuale presidente Petro Poroshenko si è sfaldata. Gli oligarchi che già
regnavano negli Oblast hanno usato le milizie, da ognuno costituite per la
guerra, per rafforzare il proprio potere locale e imporre a Kiev i propri
interessi. Nel contempo decine di miliziani non più impiegati nel conflitto
sono passati – come è sempre avvenuto nella storia – all’attività criminale,
oppure si sono impegnati direttamente nelle dispute di potere locale.
Come è accaduto nel luglio scorso nella città di Mukachevo,
importante snodo nella rete dei gasdotti ucraina, dove le locali milizie di Pravij Sektor hanno ingaggiato uno scontro con
mitragliatrici e lanciagranate con la polizia, giunta a impedire che
attaccassero un complesso del ras locale Mikhail Lanio. Dopo i morti e feriti
causati dallo scontro, è saltato agli occhi il pericolo rappresentato da queste
milizie. Come per l’ISIS e i terroristi jihadisti in Siria, prima appoggiati e
poi temuti. In conseguenza dello scontro i vertici Pravij Sektor – allertate le
unità armate a Kiev e richiamato dal fronte il suo 5° Battaglione – hanno
accusato il ministero degli Interni e l’SBU (i servizi di sicurezza ucraini) di
volerle distruggere, ordinando quindi alle proprie milizie di aprire il fuoco
nel caso di tentativi di arresto o disarmo e di prepararsi all’insurrezione
armata in tutta l’Ucraina contro “il regime criminale-oligarchico” di
Poroshenko.
A quel punto NATO e USA si sono allertate e adesso tutti gli
Stati membri dell’alleanza vogliono vedere scomparire gli estremisti dalle forze
armate dell’Ucraina il più rapidamente possibile. Intanto, le milizie di Pravji
Sektor si sfaldano e gruppi di miliziani passano da una parte a un’altra. Non
pochi aumenteranno quelli già dediti al crimine, per conto degli oligarchi o in
autonomia. Gli affari in gioco, d’altronde, sono tanti: accaparramento dei
finanziamenti e aiuti esteri, traffico di armi, prostituzione, contrabbando e
smaltimento di rifiuti tossici che arrivano soprattutto dalla Germania.
I rischi dello
sbando delle milizie
Ma se finora queste attività criminali restavano confinate nel
paese – già prima della guerra ad altissimo tasso di incastro tra politica,
corruzione e criminalità – ora potrebbero tentare di sconfinare per uscire da
un territorio in preda alla miseria e guadagnare mercati più ricchi in
Germania, Austria, Nord Europa. Se fino a ora si erano dedicati a fornire
prostitute alle organizzazioni locali, ora potrebbero tentare di gestire in
proprio il business espatriando in altri Paesi d’Europa.
Anche all’est si era posto il problema della deriva criminale di
milizie inattive. Nella specificità del Donbass, soprattutto nel traffico
d’armi. Il Donbass in guerra è gestito dall’esercito russo e dal suo
potentissimo servizio segreto (GRU), e finora era stato chiuso un occhio sulle
piccole quantità di armi trafficate. Poi il GRU, mai tenero dove è in gioco la
tenuta militare della Russia, è passato alle maniere dure quando gli
avvertimenti sono stati disattesi e i quantitativi di furti di armi aumentati.
Nel contempo le milizie erano state sostituite da soldati arruolati in Russia,
che meglio rispondevano alla necessaria rapidità di comunicazione ed esecuzione
degli ordini indispensabili in battaglia.
E fino a Debalstevo si possono approssimare 2.500 caduti di
parte russa. Così il GRU, che può agire motu proprio
rispetto al Cremlino, ha unito al repulisti anche quello di milizie di
comunisti eccessivamente nostalgici, e quindi potenzialmente fuori dal
controllo, e dagli interessi, della Russia. Se per il Donbass si potrà forse sapere
a fine ostilità cosa ne è stato delle milizie fuori controllo, per quelle
ucraine è più immediato l’effetto centrifugo e di ulteriore decadimento
socio-politico del loro passaggio alla criminalità. Nonché il rischio di
esportazione.
Il conto finale
Alla luce di tutto ciò,
la destabilizzazione dell’Ucraina perseguita dagli USA non ha ottenuto
l’effetto sperato di indebolire la Russia. Ha invece ridotto sul lastrico e in
preda a un aumento di corruzione e criminalità un paese già al di sotto dei
limiti di legalità. Ha distrutto la più produttiva delle regioni ucraine
innescando un conflitto costato la vita di migliaia di militari e di civili.
L’Ucraina attuale è un paese con un governo che non ha pieni
poteri neanche a Kiev, del tutto sostenuto da capitali esteri, in preda al caos
politico e agli interessi degli oligarchi, con traffici di droga, armi e
prostitute in costante espansione. Un paese non a caso definito dal presidente
russo Vladimir Putin Bakkanalia.
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