Eco - PPN/ Intervista al Professori Valori. Attenta analisi sui problemi economici del Paese
Roma, 20 set (Prima Pagina News)
Presidente Valori, come ritiene si debbano affrontare i problemi economici attuali?
Ripensando tutte le questioni sul tappeto. Oggi abbiamo ancora in
giro troppo “pensiero vecchio”. Mi riferisco a un certo keynesismo
ingenuo, ad un ancor più pericoloso monetarismo pseudomatematico, alla
inconcludenza e all'impreparazione delle classi politiche, palesemente
inadeguate.
Il fatto è che dobbiamo stabilire un concetto che sembra ovvio, ma non
lo è più: le economie moderne sono tutte una fusione di Stato e Mercato.
L'uno e l'altro, da soli, fanno solo danni. L'Economia Sociale di
Mercato, come l'hanno chiamata gli studiosi della Scuola di Friburgo, è
insieme la realtà effettuale del mondo economico e la sua norma
migliore. Tutto il resto è sogno accademico.
Quindi, qual'è l'approccio più utile per ricostruire entrambi, lo Stato e il Mercato?
La Dottrina Sociale della Chiesa Cattolica e, in particolare, quello
straordinario testo che era il Codice di Camaldoli. L'uomo non è un
tool making animai, un “animale che fa strumenti”, come diceva Benjamin
Franklin, ma una entità spirituale che attraversa il mondo verso
l'Aldilà. Non è un concetto fumoso, è una analisi correttissima, valida
anche per i non credenti, della complessità spirituale dell'uomo, che è
riflessa sempre e comunque nella sua economia e nella sua vita
materiale.
Tutt'altro. Che l'uomo sia una entità infinitamente complessa lo hanno
scoperto perfino gli economisti attuali.
Un ritorno all'antico, quindi, Presidente Valori?
con i loro modelli, spesso inutili e inadatti alla previsione. Il Codice
di Camaldoli, glielo ricordo, fu lo strumento per ricostruire l'Italia e
preparare, con sapienza tecnica e spirito umanitario, quello che tutti,
nel mondo, chiamarono “miracolo italiano”. E tale davvero fu, anche dal
punto di vista spirituale e culturale.
Senza il Cardinal Montini, il futuro beato Paolo VI, che era figlio di
un deputato del Partito Popolare di Don Sturzo, il Codice, che riunì la
migliore tecnocrazia italiana, da Pasquale Saraceno a Ezio Vanoni e a
Giuseppe Capograssi, per dirne solo alcuni, non sarebbe stato possibile.
E non sarebbe stata nemmeno possibile la ricostruzione del Paese, che fu
una particolare sintesi, ripeto, tra Stato e Mercato, sotto l'egida
della Dottrina Cattolica sull'equilibrio tra le classi e la
sottomissione dell'economia alla crescita materiale e spirituale degli
uomini.
E voglio qui ricordare con affetto due uomini straordinari che
collaborarono con Don Montini: Aldo Moro, da sempre nel cuore del futuro
Papa, e Giulio Andreotti, figura di cui scopriremo presto tutte le
doti, che non riguardavano solo la piccola politica quotidiana. Loro
sono stati il cuore politico della Ricostruzione. Noi, i “boiardi di
Stato” che hanno seguito i principi di Camaldoli, siamo stati l'anima
tecnica e economica.
Quindi, Lei mi sembra critico verso la “moda” delle
privatizzazioni che ha caratterizzato la cosiddetta “Seconda Repubblica”?
Gestire bene una impresa non dipende essenzialmente dalla sua
composizione proprietaria. Abbiamo avuto, nell'Italia del boom, società
pubbliche che erano modelli di management, per questo studiati in tutte
le più importanti università. Mentre c'erano aziende private, anche
grandissime, che vivevano di “proprietà assenteista”, per dirla con
Veblen, e che chiedevano illeciti aiuti di Stato, magari aizzando
estremisti e sindacati, che pure erano d'accordo con la cattiva
gestione, guadagnandoci. E ci sono state aziende private straordinarie,
che hanno, per esempio, costruito il primo computer portatile, ma sono
state comprate da società estere al solo fine di farle scomparire. Senza
una idea geopolitica e strategica anche l'economia ne risente. E oggi
manca anche quella.
Niente privatizzazioni, dunque, caro Presidente?
Detto fuori dai denti, le privatizzazioni italiane sono state o svendite
a aziende estere, come accadde con il grande polo alimentare di Stato,
che qualcuno voleva far comprare a un terzo del suo valore, e meno male
che Bettino Craxi accettò la mia linea, minacciando il carcere per
altri, oppure un modo per fare plusvalenze da dividere tra i partiti
politici. Tertium non datur. Le privatizzazioni in Italia erano
necessarie in alcuni casi ma folli in altre, e tutti ne abbiamo visto i
risultati. E immagino che, presto, anche l'ENI sarà attaccata dai suoi
concorrenti globali. Io, per esempio, ho dovuto vendere i supermercati
GS per permettere una plusvalenza a chi mi aveva ordinato di farlo.
Spero che il nostro polo petrolifero rimanga in Italia e gestisca, per i
nostri interessi, una parte della politica estera nazionale, che non è
collegata a quella dei concorrenti globali dell'ENI. E intanto la crisi
avanza a grandi passi. So, per esempio che almeno due catene di
supermercati estere se ne vogliono andare dall'Italia.
Che ne direbbe di una nuova IRI?
Un passaggio da meditare bene. No ad un nuovo Ente economico pubblico
che fa da ospedale per le aziende che i privati non sanno o non possono
gestire, certamente si ad un progetto geoeconomico che rinnovi e
aggiorni il nostro apparato produttivo e tecnologico. Non possiamo
permetterci il lusso di una radicale finanziarizzazione della nostra
economia, la crisi attuale è strutturale e occorrono capitali da
investire in beni, servizi e tecnologie, altro che chiacchiere
finanziarie per allungare il brodo della crisi. Il Presidente Renzi
vuole evidentemente utilizzare la CDP, Cassa Depositi e Prestiti, per
fare da volano per la ripresa. Ci vuole ben altro! E, soprattutto,
occorre un Ente che faccia cassa, certamente, ma che abbia il
management, le tecnologie, il potere e anche la capacità di sostituirsi,
quando occorre, ad una classe politica spesso o imbelle o ignorante.
Quindi, Presidente Valori, quali sono i problemi che deve risolvere il nostro Paese per ripartire?
Sburocratizzare pesantemente tutto. Se c'è un punto in cui il
liberalismo laicista e il Codice di Camaldoli coincidono, è quello della
disintermediazione sociale. Mai più apparati da Kombinat sovietico,
basta con i costi infiniti della intermediazione burocratica. Ho
calcolato che, con una sburocratizzazione seria e generalizzata, le
spese dello Stato, calcolate a valori attuali, scenderebbero del 18,2%,
mantenendo fissi i servizi e i loro costi medi. Poi, occorre abbattere
la piovra del fisco. Anche qui, tra tasse non dovute, cervellotiche e
distruttive, si è realizzata una vera e propria crisi economica indotta
dal costo dello Stato e dalla sua inefficienza strutturale. Troppo fisco
per mantenere troppa burocrazia. Ma questo non vuol dire che il mercato
sia di per sé più efficiente. Fisco e Sburocratizzazione, due cose da
fare subito.
Come pensa che si potrebbero aggredire i problemi italiani che ora ha sollevato?
Per il fisco, si tratta di eliminare molte tasse. Una fiat tax
non sarebbe una cattiva idea, ma va calibrata bene, per evitare i soliti
furbi, che non mancano mai. Ricordo che la Thatcher ci perse il potere,
su questo tema. Accorpare tutto il fisco in quattro-cinque tipologie,
allungare i tempi della riscossione, stabilire per legge che il Fisco
non può superare una certa soglia per le imprese e le persone fisiche.
Per sburocratizzare, riprendere un vecchio principio del Codice di
Camaldoli: l'autonomia non statalista dei corpi intermedi e delle libere
associazioni. Si può socializzare senza statalizzare. E' la Dottrina
Sociale della Chiesa, non
l'anticapitalismo guevarista di certi sacerdoti.
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