Le
manovre sul destino del sito
Expo, la grande sfida è il futuro dell'area
Daniela
Fassini
13
ottobre 2015

Sono ore cruciali per il dopo-Expo. Non c’è solo l’eredità immateriale
dell’Esposizione universale, rappresentata cioè dalla Carta di Milano e dai sei
mesi di incontri e dibattiti per combattere la fame nel mondo e contrastare i
paradossi alimentari del millennio. Governo, istituzioni e società civile sono
chiamati infatti a decidere sul futuro dell’area che oggi ospita i padiglioni
di 140 Paesi. Il rischio che Palazzo Italia (l’unico edificio, insieme a
Cascina Triulza, a rimanere sul sito dopo il 31 ottobre) si trasformi in una
cattedrale nel deserto è quello che nessuno vuol correre in questo momento. Ma
sono in molti a temerlo. Sulla partita del dopo Expo, il futuro cioè di quel
milione di metri quadrati (pari a circa 184 campi di calcio) spalmati fra i comuni
di Rho e Milano, si è infatti già ai tempi supplementari. «Pubblico e privato
devono iniziare subito a lavorare insieme» sollecita il Commissario unico,
Giuseppe Sala, che, già diversi mesi fa, addirittura prima ancora di iniziare a
costruire i padiglioni, aveva incalzato tutti a prendere «in fretta» una
decisione sulla seconda vita di quell’area. Ora è arrivato il momento. C’è così
un’altra sfida da giocare, a Milano. Sul piano progettuale, forse più
importante di quella che fra due settimane chiuderà i battenti. Perché l’area
su cui sorgono oggi i padiglioni «può diventare un’occasione per l’Italia e per
Milano».
«È uno spazio tra i più tecnologicamente avanzati d’Europa e dobbiamo farlo
diventare un luogo in cui praticare innovazione», è convinto il ministro per le
politiche agricole e delegato del governo per Expo, Maurizio Martina. «In
questo contesto il governo deve certamente fare la sua parte, accanto alle
altre istituzioni, al mondo universitario e a quello delle associazioni
d’impresa». Intanto sul tavolo ci sono già due progetti. Uno dell’Università
Statale di Milano, per realizzare un nuovo polo scientifico con tanto di
cittadella (che includa residenze, campus sportivo e mensa) e trasferire lì
parte degli edifici oggi situati a Città Studi, in centro città. Il secondo
progetto, portato avanti da Assolombarda, riguarda invece la creazione di
un’area destinata alle giovani imprese. Start-up tecnologiche e all’insegna
dell’innovazione. Una sorta di Silicon Valley che dialoghi con il polo
universitario. I due progetti infatti si interfacciano e possono dialogare.
L’uno con fondi pubblici e l’altro con l’intervento di aziende private. Il
futuro dell’area, così disegnato, piace a tutti. E a Roma «stanno studiando
bene il dossier» perché anche il governo entrerà in Arexpo, la società
costituita nel 2013 per l’acquisizione dei terreni su cui si sta svolgendo l’Esposizione
universale. Arexpo oggi è compartecipata di Regione Lombardia (35%), Comune di
Milano (35%), Fondazione Fiera di Milano (28%), Città metropolitana (2% -
ereditato dalla Provincia) e Comune di Rho (1%).
L'ipotesi che si fa strada è quella che il governo rilevi la quota di
Fondazione Fiera e faccia un aumento di capitale per raggiungere le stesse
quote societarie di Comune e Regione. Sul piatto ci sono però investimenti
importanti: il progetto per la riqualificazione dell’intera area ha un costo che
si aggira intorno al miliardo di euro, che dovranno essere coperti in parte con
soldi pubblici e in parte con investimenti privati. La società deve anche
rientrare dell’investimento di 300 milioni per l’acquisto delle aree. Per il
governo, il veicolo finanziario potrebbe essere quello della legge di
stabilità, che giovedì approda in Consiglio dei ministri.
Comune e Regione tirano un sospiro di sollievo: dopo l’investimento già oneroso
per l’acquisizione dei terreni, il progetto di sviluppo futuro dell’area
rischiava infatti di rimanere al palo. L’ingresso del governo, secondo il
presidente di Regione Lombardia, Roberto Maroni, rappresenta «un passaggio
fondamentale per trasformare la società, che oggi è di gestione immobiliare, in
una società che dovrà realizzare progetti, opere e infrastrutture».
In attesa però che il governo definisca il suo ingresso (oggi a Roma è prevista
una riunione con Comune e Regione per fissare le modalità) sul progetto futuro
dell’area, alcuni 'paletti' fissi ci sono già. Come quello ad esempio che il
56% di quei terreni sarà destinato a verde pubblico: un grande parco tematico,
con aree attrezzate per i più piccoli e itinerari ciclo-pedonali.
Magari sarà realizzato anche un percorso-salute e tracciati per i runner.
L’area sarà facilmente raggiungibile da tutti. Non c’è che l’imbarazzo della
scelta. Perché quello che sarà, l’ex sito espositivo di Expo rimarrà comunque
l’area più infrastrutturata del Milanese: collegata con l’alta velocità, la
metropolitana, due autostrade e l’aeroporto di Malpensa poco distante.
Sull’area resteranno in piedi solo due degli oltre 100 edifici attualmente
presenti sul sito espositivo: Cascina Triulza e Palazzo Italia. Dopo il 31
ottobre, quando cioè calerà il sipario sull’Esposizione universale, oltre
duemila persone si dovranno rimboccare le maniche e iniziare a smantellare
tutto il resto (i padiglioni dei Paesi partecipanti e le strutture di servizio
- bar, ristoranti, conference centre, centro stampa e tv). Solo Palazzo Italia
e Cascina Triulza resisteranno alle ruspe. Il Padiglione del Belpaese e quello
che oggi ospita la società civile e il mondo dell’associazionismo hanno infatti
una seconda vita, già decisa.
E se per il primo, Palazzo Italia, c’è anche la tentazione di prolungare la
mostra espositiva al suo interno fino almeno all’Epifania (sono in molti a
chiederlo, a partire dalla commissario di padiglione, Diana Bracco, ai
sindacati) per il secondo ormai già tutto è deciso: dopo l’Expo Cascina Triulza
rimarrà al Terzo settore. L’antico edificio di proprietà del Comune (l’unico
già esistente sul sito espositivo prima dell’Expo e ristrutturato per
l’occasione) sarà infatti assegnato all’associazionismo per dar vita a nuovi
modelli di sviluppo tra pubblico, privato e Terzo settore.
Palazzo Italia, inoltre, una volta smantellata la mostra al suo interno, è
destinato a rimanere anche nel periodo post-Expo come polo dell’innovazione
tecnologica al servizio della città. Ma, ad oggi, a soli due settimane dal
sipario che calerà il prossimo 31 ottobre, rischia di rimanere solo su quel
milione di metri quadrati, almeno per i prossimi 4/5 anni. Rischia così di
trasformarsi in un edificio, molto bello e costoso, che però non serve a
niente, fintanto che non sarà realizzato il progetto definitivo, quello futuro.
«Abbiamo tutti la responsabilità di lavorare perché in quel sito rimanga un
progetto forte, ambizioso, nazionale, all’altezza di questi sei mesi
strepitosi» ripete come un mantra il ministro Martina.
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