Rassegna Stampa: Una Maggioni è per sempre Rai a tempo
indeterminato
336.000 all’anno, lo
stipendio sommato al gettone da consigliere. Così su Il Fatto Quotidiano.
Rassegna Stampa: Il
Fatto Quotidiano, di Stefano Feltri e Carlo Tecce
Una Maggioni è per sempre Rai
a tempo indeterminato
336.000 all’anno
Lo stipendio
sommato al gettone da consigliere
Viale Mazzini ha smontato
il tetto agli stipendi con un espediente, l’emissione di un titolo di debito
quotato. Come vi abbiamo raccontato la settimana scorsa sul Fatto, nonostante
una delibera approvata nel Consiglio di amministrazione di giugno da Luigi
Gubitosi che fissava il limite di 240.000 euro agli ingaggi dei vertici, il
direttore generale Antonio Campo Dall’Orto e la presidente Monica Maggioni sono
tornati agli antichi fasti e dunque agli antichi importi.
Il direttore generale ha
una retribuzione di 650.000 senza ulteriori premi legati ai risultati e un
accordo di tre anni, meno di un omologo in una società quotata controllata dal
Tesoro, circa la stessa somma che percepiva l’u lt imo dg Luigi Gubitosi a
inizio mandato nel 2012.
MA IL VERO COLPO di
genio è la soluzione trovata dalla Maggioni: non soltanto ha mantenuto la busta
paga da direttore (era a Rainews fino a due mesi fa) da 270.000 euro e vi ha
aggiunto il gettone da consigliere da 66.000, ma è riuscita a conservare anche
il contratto a tempo indeterminato. La soluzione è relativamente economica,
avrebbe potuto chiedere molto di più, visto che con l’emissione di un bond
quotato sono saltati tutti i tetti. Scegliendo questa formula, la Maggioni,
però, ha protetto il suo futuro. Quando finirà la sua esperienza in Cda, potrà
sempre rimanere in azienda. Non è una novità in Rai che i top manager, che
hanno un mandato a termine, si facciano anche assumere come dipendenti, così da
avere anche un paracadute e una liquidazione se i successori li vogliono
congedare. Anche Lorenza Lei, dipendente da oltre dieci anni, diventò direttore
generale senza rinunciare al contratto protetto. Ma appena la Lei ha perso
l’incarico a Rai Pubblicità, proprio Gubitosi ha cercato di licenziarla.
Perché, secondo l’ex dg, i top manager non possono restare a vita.
La posizione della
Maggioni di oggi ricorda quella di Lorenza Lei di qualche anno fa. Ma da Viale
Mazzini fanno sapere che sarebbe assurdo pretendere che la Maggioni si dimetta
da dipendente. Però così già mugugnano i nemici interni all’azienda. Il presidente
di un Cda, sostengono, è una figura di garanzia fra la minoranza e la
maggioranza e di equilibrio e imparzialità per l’azienda che l’ha nominato:
s’insedia con gli altri consiglieri e decade assieme dopo tre anni. Nel caso
specifico, la Maggioni è stata selezionata e promossa in Rai grazie al patto
del cavallo morente fra le truppe di Matteo Renzi e Silvio Berlusconi,
mediatori il ministro Maria Elena Boschi e l’eterno sensale Gianni Letta.
La Maggioni, poi, non è
una dipendente qualsiasi, è l’ex direttrice di una testata giornalistica che
sta per essere accorpata al Tg3 e che sopravvive con il lauto sostegno
dell’azienda, nonostante gli ascolti minimi: le decisioni di oggi del
presidente Maggioni possono influenzare il suo lavoro di domani. Il cortocircuito
è talmente evidente che gli uffici Rai già sono in allarme e tentano di trovare
qualche strategemma legale per mettersi al riparo dalle critiche. Chissà se
l’azionista, il ministero del Tesoro, si è accorto del problema. La spiegazione
difensiva che circola da viale Mazzini, cioè che la Maggioni vive dello
stipendio della Rai a differenza di altri consiglieri che continuano a lavorare
in proprio, può giustificare l’entità della retribuzione ma non il tempo
indeterminato del contratto.
DI CERTO,
così blindata, la Maggioni risulta ancora più forte. Anche per questo Campo
Dall’Orto indugia sul fronte nomine e non provoca strappi. Aspetta, sornione,
che la Camera ratifichi la riforma che gli consente di assumere i poteri di un
amministratore delegato. Adesso sugli appalti o sugli ingaggi fino a 10 milioni
di euro senza passare per le forche caudine del Cda, il direttore generale non
delibera, ma propone al presidente che deve avallare.
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