Se i sostenitori
dell’ideologia gender sono gli stessi che dicono che non esiste
Ottobre 6, 2015 Aldo
Vitale
Per
un verso richiedono l’esaltazione della diversità dall’eterosessualità, ma per
altro verso richiedono l’equiparazione esatta di questa diversità
«Carneade!
Chi era costui?»: così, con una simile concisa formula interrogativa divenuta
un “marchio” della letteratura, Manzoni, tramite il suo grigio personaggio di
don Abbondio, celebra il filosofo scettico del II secolo a.C. come in una sorta
di contrappasso: la storia non sarà tenuta a conoscere chi non ritiene di dover
conoscere la verità.
Carneade,
infatti, era uno scettico, cioè un pensatore che seguiva l’idea di Gorgia da
Lentini secondo il quale la verità non esiste, se esiste non è conoscibile, se
è conoscibile non è comunicabile.
Come
ricorda lo storico Eusebio di Cesarea, inoltre, Carneade era rinomato poiché
riusciva a sostenere sia una prospettiva sia quella opposta, in omaggio alla
migliore scuola del pensiero relativista che sfocia poi in quello nichilista:
«Praticava le argomentazioni in un senso e nell’altro e sovvertiva tutte le
altrui affermazioni».
Qualcosa
di analogo accade oggi nell’agone culturale e antropologico che si sta
consumando intorno all’ideologia gender, proprio a causa degli stessi
sostenitori di una tale ideologia che affermano tutto e tutto il contrario.
I
casi esaminabili sarebbero molteplici, ma se ne possono individuare almeno tre
principali.
In
primo luogo: l’esistenza o meno dell’ideologia gender. Da parte dei sostenitori
del gender si continua ad affermare che l’ideologia gender non esiste, ma che
semmai esistono solo gli studi di genere.
Si
dimentica, tuttavia, che anche gli studi genere possono essere fondati da una
visione ideologica, così come nei primi anni ’20 e ’30 del XX secolo gli studi
sulla razza erano portati avanti da una precipua visione ideologica dell’uomo e
dell’esistenza.
I
sostenitori del gender, inoltre, se da un lato professano la inesistenza
dell’ideologia gender, dall’altro, invece, propagano proprio quel tipo di
pensiero che non può essere definito in altro modo che ideologico, poiché tenta
di cancellare la differenza sessuale della dicotomia maschile-femminile con il
dato psico-socio-culturale del genere.
Nota
in merito, lucidamente, il filosofo marxista, dunque laicissimo, Diego Fusaro:
«Ogni ideologia – Marx docet – si regge esattamente sul tentativo di negare il
proprio carattere ideologico: ossia sul tentativo di mostrare la propria
“naturalezza” […]. L’odierno monoteismo del mercato sta invece riuscendo, per
ironia della storia, a realizzare la società senza sessi: la società asociale
degli atomi unisex interscambiabili, dotati di una sola identità, quella del
consumo. Se Marx invitava alla rivoluzione orientata alla riappropriazione dei
mezzi di produzione, oggi siamo giunti al paradosso di dover lottare per la
riappropriazione dei mezzi di riproduzione!».
In
secondo luogo: i sostenitori dell’ideologia gender da un lato propugnano il
valore della differenza, la differenza dall’eterosessualità, la differenza
dalle norme imposte dalla natura, la differenza dai ruoli imposti dalla cultura
e dal periodo storico, dall’altro però si avvalgono di un pensiero che è teso
all’indifferenza.
Negando,
infatti, rilevanza normativa e strutturale alla dicotomia naturale della
sessuazione maschile-femminile, cioè alla differenza unica e per eccellenza, i
sostenitori dell’ideologia gender diffondono l’idea dell’indifferentismo
assoluto, come del resto spiega bene una delle principali teorizzatrici del
pensiero gender, cioè Judith Butler: «Il genere stesso diventa un artificio
fluttuante, con la conseguenza che termini come uomo o mascolinità possono
significare con la stessa facilità un corpo di sesso sia femminile sia
maschile, e termini come donna e femminilità un corpo di sesso sia maschile sia
femminile».
In
terzo luogo: altra tipica contraddizione dell’ideologia gender è insita
nell’uso del principio di uguaglianza da parte dei suoi sostenitori.
I
sostenitori dell’ideologia gender, infatti, professano un egualitarismo
assoluto, da un lato negando le diversità tra maschile e femminile, e
dall’altro affermando che tutto ciò che non è eterosessuale (non è ormai in
gioco solo l’omosessualità, che anzi diventa sicuramente marginale
nell’economia del pensiero genderista) deve essere equiparato, perfino per
legge, a ciò che è eterosessuale: dignità della relazione amorosa, rapporto di
coniugio, diritto alla vita familiare, filiazione, diritti successori ecc.
Come
tutti coloro che prospettano secondo una tale declinazione il principio di
uguaglianza, i sostenitori dell’ideologia gender dimostrano la loro poca
dimestichezza con le categorie del pensiero.
Il
principio di uguaglianza, infatti, non è un monolite solido e autoreferenziale,
ma qualcosa di più. Il principio di uguaglianza è una manifestazione del
principio di giustizia, e per essere giusti, come si sa dall’alba dei tempi,
occorre dare a ciascuno il suo.
In
quest’ottica, che i sostenitori del pensiero gender ignorano per la rozzezza
dei propri strumentari filosofici, dare a ciascuno il suo significa che il
principio di uguaglianza si viene a delineare come fondato su altri tre
principi: quello di identità (devo restituire la stessa automobile che mi è
stata prestata dal mio amico, rendendogli ciò che gli è dovuto); quello di
equivalenza (devo restituire al mio amico la somma di danaro che mi ha
prestato, ma non le medesime banconote, bensì il loro valore equivalente,
rendendogli ciò che gli è dovuto); quello di proporzionalità (tutti i malati
devono essere curati, ma non tutti allo stesso modo, bensì ciascuno con una
terapia diversa in ragione della propria patologia, rendendo loro ciò che gli è
dovuto).
Ebbene, su tale articolata premessa, si può affermare che il principio di
uguaglianza richiede di trattare allo stesso modo casi uguali, ma in modo
differente casi differenti, come si sa perfettamente sia nel mondo degli studi
filosofici che in quello degli studi giuridici (la Corte Costituzionale ha più
volte riaffermato questa banale verità).
Ecco
allora che non si può reclamare l’egualitarismo assoluto tra l’unione
eterosessuale e gli altri tipi di unione ai quali si potranno pur riconoscere
delle tutele giuridiche di varia natura (sebbene si debba valutare con molta
accuratezza e prudenza giuridica di volta in volta), ma sicuramente non le
identiche tutele che si riconoscono all’unione tra uomo e donna.
Del
resto, la stessa Corte Costituzionale che più volte ha sollecitato il
legislatore in questo senso, ha anche costantemente riconosciuto
l’impossibilità di un egualitarismo assoluto; come, per esempio tra i tanti,
tramite l’ordinanza n. 4/2011 in cui sancisce: «Le unioni omosessuali non
possono essere ritenute omogenee al matrimonio».
Insomma,
i sostenitori dell’ideologia gender, per un verso richiedono l’esaltazione
della diversità dall’eterosessualità, ma per altro verso richiedono
l’equiparazione esatta di questa diversità all’eterosessualità stessa in nome
di un egualitarismo assoluto.
Si
palesano così alcune delle principali contraddizioni logiche e concettuali
strutturali dell’ideologia gender e di cui cadono ingenuamente preda tutti i
sostenitori di una simile impalcatura ideologica, cominciando proprio da coloro
che la sostengono dubitando che esista, come Don Abbondio con Carneade e come
quest’ultimo con la verità.
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