L'albero della storia è sempre verde

L'albero della storia è sempre verde

"Teniamo ben ferma la comprensione del fatto che, di regola, le classi dominanti vincono sempre perché sempre in possesso della comprensione della totalità concettuale della riproduzione sociale, e le classi dominate perdono sempre per la loro stupidità strategica, dovuta all’impossibilità materiale di accedere a questa comprensione intellettuale. Nella storia universale comparata non vi sono assolutamente eccezioni. La prima e l’unica eccezione è il 1917 russo. Per questo, sul piano storico-mondiale, Lenin è molto più grande di Marx. Marx è soltanto il coronamento del grande pensiero idealistico ed umanistico tedesco, ed il fondatore del metodo della comprensione della storia attraverso i modi di produzione. Ma Lenin è molto di più. Lenin è il primo esempio storico in assoluto in cui le classi dominate, sia pure purtroppo soltanto per pochi decenni, hanno potuto vincere contro le classi dominanti. Bisogna dunque studiare con attenzione sia le ragioni della vittoria che le ragioni della sconfitta. Ma esse stanno in un solo complesso di problemi, la natura del partito comunista ed il suo rovesciamento posteriore classistico, individualistico e soprattutto anti- comunitario" Costanzo Preve da "Il modo di produzione comunitario. Il problema del comunismo rimesso sui piedi"

sabato 24 gennaio 2015

Titoli tossici e chi li ha introdotti nel bilancio dello stato italiano, facendoci perdere tanti tanti soldi

23/01/2015

La firma di Mario Draghi sui derivati di Stato

Quando era al Tesoro, negli anni ’90, ne sottoscrisse per centinaia miliardi. E ora sono un problema
Draghi quando era Direttore Generale del Ministero del Tesoro

Un immagine del 2001 che ritrae Mario Draghi, allora Direttore Generale del Ministero del Tesoro (Credits: LESLIE E. KOSSOFF/AFP/Getty Images)

«Molti errori sono stati fatti negli anni Novanta per far entrare l'Italia nell'euro e oggi si trasformano in più debito, nascosto dai conti ufficiali, in un'area molto grigia che al Tesoro solo poche persone sono in grado di comprendere e maneggiare». (Testimonianza resa da un funzionario governativo a Repubblica, 26 giugno 2013)

Dopo l'annuncio del Quantitave Easing di ieri, Mario Draghi è oggi su tutte le prime pagine, celebrato come il salvatore dell'Italia e dell'Europa. Nel passato di Draghi, tuttavia, c'è una vicenda che ancora fa sentire il suo peso nei nostri disastrati conti pubblici e che rischia di minare la ripresa della nostra economia. La storia è quella dei derivati sottoscritti tra il 1991 e il 2001 quando Draghi era Direttore Generale al Ministero del Tesoro.
È una storia scivolosa, quella dei derivati della Repubblica, e forse è meglio cominciare dall’inizio. Siamo nei primi anni ’90. A guidare il governo del Paese si succedono Carlo Azeglio Ciampi, Silvio Berlusconi, Romano Prodi. Ognuno di loro, soprattutto Prodi, si trova nella condizione di dover sistemare i conti pubblici per poter permettere all’Italia di entrare nell’Euro dalla porta principale.  Per poter partecipare alla nuova valuta, infatti, gli Stati dovevano infatti rispettare i cosiddetti parametri di Maastricht: un deficit inferiore al 3% del Pil e un rapporto debito/Pil inferiore al 60%., tra le altre cose.
La storia la conosciamo: l’Italia riuscirà ad adottare l’Euro sin da subito pur avendo un debito ben superiore al 60% del Pil grazie ad alcune misure che portarono a una consistente riduzione del deficit. Forse ricorderete l’Eurotassa, la vendita delle riserve auree alla banca centrale e le nuove tasse sugli utili. Misure una tantum, cosmesi contabile, secondo i tedeschi, per nulla convinti del nostro ingresso nell'Euro. Stando a quel che raccontò Der Spiegel in un interessante inchiesta su quel periodo, fu la reazione francese – «se sta fuori l’Italia stiamo fuori pure noi» – a convincere i tedeschi a chiudere un occhio. Non certo i nostri conti pubblici.
Quel che qualcuno sospetta – sebbene il Tesoro smentisca categoricamente questa supposizione - è che ci furono altre misure che furono poste in essere per sistemare i conti pubblici italiani. Chi sospetta, si riferisce al fatto che il ministero del Tesoro sottoscrisse in quegli anni una serie di strumenti finanziari derivati per consentire un flusso di anticipazioni di cassa, necessario anch’esso a migliorare i conti pubblici e a consentire all’Italia di entrare nella moneta unica.
Un piccolo e sommario ripasso su come funzionano questi strumenti è utile. Nella loro forma più semplice si tratta di interest rate swap, che come il termine inglese indica, non sono altro che uno scambio di flussi monetari: lo Stato ricevede dalle banche, ad esempio, un flusso variabile sufficiente a pagare le cedole di un certo numero di Cct (che non variabili nel tempo perché indicizzati al tasso dei Bot) e in cambio paga alle banche un flusso costante. Se i tassi dei Bot salgono durante la durata dello swap, allora lo Stato ha fatto un affare. Se scendo, lo Stato perde.
Lo swap è la forma più semplice, ma di derivati ce ne sono un sacco, ognuno dei quali con un’ingegneria talmente complicata da far venire il mal di testa. Il succo tuttavia è chiaro e le motivazioni che giustificano una scelta simile le spiega proprio una nota del Tesoro: « Bloccare attraverso derivati un tasso fisso “a pagare” in contropartita di un tasso variabile “a ricevere” rappresenta una protezione verso futuri shock sui tassi di interesse, situazione peraltro sperimentata dallo Stato italiano a più riprese e con un’evidenza particolarmente significativa a seguito della grave crisi monetaria e finanziaria del 1992». In altre parole, finché vanno bene i derivati sono un assicurazione. Quando cominciano ad andare male, diventano un rischio. A prescindere dall'uso che se ne può fare. Ad esempio, come sospetta la stampa tedesca, per manipolare e abbellire i risultati di bilancio di un certo anno, a danno del futuro.
Negli anni ’90 e nei primi anni 2000, le cose andavano bene. Come ha ben raccontato su Linkiesta Fabrizio Goria, «Nel 1998 la Repubblica italiana ha guadagnato l’equivalente di 3 miliardi di euro, mentre tra il 1999 e il 2001 le entrate provenienti da derivati creditizi sono state pari a 1,048 miliardi. Conto in verde anche per il 2002, con 1,924 miliardi di euro, e per il 2003 e 2004, rispettivamente 705 e 929 milioni di euro».
La crisi, tuttavia, ha drammaticamente cambiato le carte in tavola. Da geniali strumenti di copertura i derivati hanno iniziato a mostrare il loro volto tossico. L’Italia, insomma, ha cominciato a perderci: «L’ultimo anno in positivo fu il 2005 con 1,016 miliardi di euro, – racconta ancora Goria - poi un lento declino: meno 163 milioni di euro nel 2006, meno 337 milioni nel 2007, meno 392 milioni nel 2008».
Da quel momento in poi, si è abbassato il sipario e nessuno ha più saputo quanto l’Italia stesse perdendo sui derivati che aveva sottoscritto. La questione, tuttavia, si è riaccesa nel 2011. Anno in cui il Tesoro ha pagato pronto cassa circa 2 miliardi di Euro a Morgan Stanley per chiuderne anticipatamente uno, le cui perdite, si suppone, sarebbero state ben maggiori negli anni a venire. A seguito di un’interrogazione parlamentare, si scoprì finalmente l’entità dei derivati nella pancia dello Stato, pari a circa 160 miliardi di euro. Tuttavia, erano i giorni dello spread, della fine di Berlusconi, dell’arrivo Monti. Nessuno, insomma, ci fece troppo caso.
Ad aprile 2013, tuttavia, la questione esplode di nuovo. Stavolta, sono La Repubblica e il Financial Times a dare testimonianza di una relazione del Tesoro sull’andamento del debito pubblico, in cui si scopre che di queste chiusure anticipate, tra il 2011 e il 2012, lo Stato ne ha fatte parecchie. Ristrutturazione, la chiamano. Avere in pancia troppi derivati, per farla breve, avrebbe fatto schizzare l’interesse sui nostri titoli di Stato alle stelle. Da quella relazione, inoltre, si scopre che la stima relativa alla perdita potenziale sui soli derivati ristrutturati nel 2012 – circa 31 miliardi di valore nominale- era pari a circa 8 miliardi di euro.
Escono anche cose poco chiare sulle rinegoziazioni stesse. Un esempio su tutti, un contratto degli anni ’90 in cui lo Stato fa uno swap su 3 miliardi di debito pubblico. Swap che viene rinegoziato nel 2012, trasformandolo, racconta ancora La Repubblica, «in un nuovo scambio di tassi - sempre fisso contro variabile - su una scadenza inferiore (circa 6 anni) e su un controvalore triplicato a 9 miliardi». La cosa più curiosa è un’altra però: «Le elaborazioni indicano che quel derivato "prima versione" aveva un valore negativo per lo Stato di 900 milioni al momento del riassetto. E un valore negativo di 1.350 milioni nella versione rinegoziata». Perché mai, si chiede il giornalista - «rinegoziare un contratto aggiungendo 450 milioni di perdite attese per l'Erario?»
Mistero. Nel frattempo, tuttavia, le opposizioni - soprattutto il Movimento Cinque Stelle, che su questa partita sta dando battaglia sin da quando ha messo piede in Parlamento - chiedono conto al Governo. Che lo scorso 15 dicembre, a seguito di un interpellanza del deputato grillino Daniele Pesco - risponde per bocca del sottosegretario Cassano: «Le operazioni in derivati hanno generato nel 2013 un esborso netto pari a 3 miliardi di euro». E ancora: «Il valore di mercato, aggiornato al secondo trimestre del 2014, è negativo per 34,428 miliardi di Euro».
La Legge di Stabilità 2014 aggiunge un carico da novanta a una situazione già complessa di suo. L’articolo 33 afferma infatti che il Tesoro «è autorizzato a stipulare accordi di garanzia bilaterale sulle operazioni in strumenti derivati». In altre parole, se il derivato è in perdita, la banca che ha sottoscritto lo swap può chiedere al Tesoro di congelare sul conto della banca stessa una somma a garanzia dei suoi impieghi. Parola e onore non bastano più, insomma, quando il tuo rating è BBB-. Vale per noi, così com’è valso per paesi come Irlanda e Portogallo, che a suo tempo si sono visti costretti a ratificare la medesima norma.
Fermiamoci un attimo, e facciamo il punto della situazione. Negli anni ’90 vengono sottoscritti circa 160 miliardi in derivati. Tra il 2011 e il 2012 quei derivati vengono rinegoziati dallo Stato e molti di essi vengono liquidati in anticipo alle banche, per una quota parte delle perdite attese. Nel 2013 si scopre che il valore di quel che è rimasto nella pancia dello Stato è pari a una perdita potenziale di circa 34 miliardi di euro. In funzione di tale perdita, infine, le banche saranno autorizzate a ratificare accordi di garanzia che congeleranno qualche miliardo di euro nei conti delle stesse, pratica necessaria per poter emettere altri titoli di Stato senza che siano considerati spazzatura dai mercati. Forse, insomma, abbiamo capito a cosa serviranno i miliardi in più che ci arriveranno – se ci arriveranno – dal Quantitative Easing di Draghi. A pagare il prezzo delle spericolate operazioni finanziarie di cui, negli anni ’90, fu lo stesso Draghi uno dei principali artefici.

http://www.linkiesta.it/quantitative-easing-derivati-tesoro-mario-draghi

ebrei/Israele devono andare via dalle terre dei palestinesi

Cisgiordania, Israele approverà la costruzione di 2500 nuovi alloggi in insediamenti coloniali

unnamedImemc.Il governo israeliano approverà la costruzione di 2500 nuove unità abitative nell’insediamento di “Efrat” a sud-est di Betlemme, secondo quanto ha reso noto Khalil Tafakji, direttore del Dipartimento mappe dell’Associazione di studi arabi.
Secondo il network Palestinian News, al Tafakji ha osservato che le nuove unità occuperanno un’area di centinaia di dunum (1 dunum=1000mq) appartenenti a cittadini palestinesi di Kherbat Nakhla.
Al Tafakji ha detto che la decisione di espandersi è stata presa sebbene il caso sia ancora “all’esame” della corte israeliana.
Si stima che circa 500 mila coloni vivano oggi in insediamenti residenziali e avamposti in tutta la Cisgiordania occupata e a Gerusalemme Est, in violazione del diritto internazionale.
Traduzione di Edy Meroli

http://www.infopal.it/cisgiordania-israele-approvera-la-costruzione-di-2500-nuovi-alloggi-insediamenti-coloniali/

Islam, niente approssimazione

Papa Francesco: il dialogo con l'Islam esige pazienza e umiltà

Il pontefice all'udienza per i 50 anni del Pontificio Istituto di Studi arabi e Islamistica

Il dialogo islamo-cristiano "esige pazienza e umiltà che accompagnano uno studio approfondito, poiché l'approssimazione e l'improvvisazione possono essere controproducenti o, addirittura, causa di disagio e imbarazzo". Lo ha detto papa Francesco nell'udienza per i 50 anni del Pisai, il Pontificio Istituto di Studi arabi e Islamistica. "C'è bisogno di un impegno duraturo e continuo al fine di non farci cogliere impreparati nelle diverse situazioni e nei differenti contesti", ha affermato.
"L'antidoto più efficace contro ogni forma di violenza - ha aggiunto il pontefice - è l'educazione alla scoperta e all'accettazione della differenza come ricchezza e fecondità".
"I cinquant'anni del Pisai a Roma - dopo la sua nascita e i primi sviluppi in Tunisia, grazie alla grande opera dei Missionari d'Africa -dimostrano quanto la Chiesa universale, nel clima di rinnovamento post-conciliare, abbia compreso l'incombente necessità di un istituto esplicitamente dedicato alla ricerca e alla formazione di operatori del dialogo con i musulmani", ha ricordato il Papa. "Forse mai come ora si avverte tale bisogno - ha aggiunto -, perché l'antidoto più efficace contro ogni forma di violenza è l'educazione alla scoperta e all'accettazione della differenza come ricchezza e fecondità".
"Al principio del dialogo c'è l'incontro": "ci si avvicina all'altro in punta di piedi senza alzare la polvere che annebbia la vista". "Negli ultimi anni - ha detto -, nonostante alcune incomprensioni e difficoltà, sono stati fatti passi in avanti nel dialogo interreligioso, anche con i fedeli dell'Islam. Per questo è essenziale l'esercizio dell'ascolto".
"Questo Istituto è molto prezioso tra le istituzioni accademiche della Santa Sede, e ha bisogno di essere ancora più conosciuto. Il mio desiderio è che diventi sempre più un punto di riferimento per la formazione dei cristiani che operano nel campo del dialogo interreligioso, sotto l'egida della Congregazione per l'Educazione Cattolica e in stretta collaborazione con il Pontificio".

http://www.ansa.it/sito/notizie/politica/2015/01/24/papa-francesco-il-dialogo-con-lislam-esige-pazienza-e-umilta_2e56b07c-9c01-440e-bbdc-a448cafbbd45.html 

il Sud America continua la sua corsa di autonomia ed indipendenza


Grande festa in Bolivia per il terzo giuramento di Evo Morales

23 Gennaio 2015
La Paz (askanews) - Pugni chiusi alla cerimonia d'insediamento di Evo Morales che ha giurato per la terza volta da presidente della Bolivia. Il capo di Stato del Brasile, Dilma Rousseff, il venezuelano Nicolas Maduro e l'equadoregno Rafael Correa sono tra i rappresentanti di una quarantina di Paesi amici invitati a la Paz per omaggiare il leader socialista che guida il paese con un grande entusiasmo popolare."Lo sosteniamo incondizionatamente. Rappresenta tutti i settori sociali: contadini, operai, tutto il popolo", ha sottolineato questo minatore. "prima di lui la Bolivia non viveva questa crescita. Oggi tutti hanno da mangiare e da vivere in modo dignitoso", ha spiegato un artigiano.Da nove anni al potere, Morales è stato rieletto nell'ottobre del 2014 con il 61 per cento dei consensi. In quell'occasione si è anche assic urato il controllo del Congresso, con due terzi dei seggi assegnati al suo partito.(immagini Afp)
 

Basta un decreto contro le mafie, il governo corrotto Pd lo farà?

Gratteri, riforma antimafia pronta: condanne per associazione mafiosa da 5 anni a minimo 20
Polizia Penitenziaria - Gratteri, riforma antimafia pronta: condanne per associazione mafiosa da 5 anni a minimo 20


Notizia del 22/01/2015 - ROMA




Il procuratore aggiunto delle Procura Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria Nicola Gratteri, ha annunciato "La riforma antimafia è pronta, sono 130 articoli, l'80% dei quali può essere subito approvato con un decreto". Gratteri, a capo della Commissione nazionale per la revisione della normativa antimafia, voluta dal premier Matteo Renzi e insediata presso la presidenza del Consiglio dei ministri ha altresì precisato che vi è  "Un progetto di riforma a tutto campo per combattere le organizzazioni criminali.
Un esempio? C'è la proposta di alzare le pene per il 416bis (associazione a delinquere di stampo mafioso) dai 5 anni di carcere attuali a una pena tra i 20 e i 30 anni", prosegue Gratteri, che per combattere i reati contro la pubblica amministrazione propone una serie di misure, a partire dall'utilizzazione degli agenti sotto copertura, come per il traffico di droga e di armi.
"Da procuratore - prosegue poi, parlando dell'allarme terrorismo - mi preoccupa molto l'aspetto dell'approvvigionamento di armi. E il problema arriva dall'ex Jugoslavia, che dopo la guerra è diventata un grande supermercato di armi, dove un Kalashnikov costa 750 euro, dove io stesso ho fatto sequestrare quintali di plastico altamente esplosivo". "Lì - conclude Gratteri - è facile andare a comprare armi, non solo per le mafie, ma anche per le organizzazioni terroristiche. Ma di questo l'Europa non si occupa, non avendo una vera politica di sicurezza comune".

http://www.poliziapenitenziaria.it/public/post/gratteri-riforma-antimafia-pronta-condanne-per-associazione-mafiosa-da-5-anni-a-minimo-20-4405.asp 

solo chi non vuole vedere non vede che il Qe è un'altra pietra contro l'implosione dell'Euro

La mossa di Draghi aiuta Marine Le Pen e salva la Germania.

venerdì 23 gennaio 2015
Intanto, sarà bene sia chiaro a tutti che la colossale somma di mille e cento quaranta miliardi di euro stanziati dalla Bce per l'acquisto diretto di titoli di stato dei paesi dell'eurozona, per ciò che riguarda l'Italia si riduce a 125 miliardi circa. Dei quali, 100 li deve garantire la Banca d'Italia e solo 25 la Bce.
La ragione per la quale si tratta di solo 125 miliardi è presto detta. Deriva un calcolo molto semplice. Draghi ha annunciato l'acquisto di 60 miliardi al mese fino a tutto il 2016 a partire da aprile 2015, quindi si tratta di 19 mesi. Gli acquisti sono suddivisi a seconda del peso delle singole banche centrali nazionali nella Bce, e quindi poichè Bankitalia "vale" il 17,5% della Bce, ecco che il limite massimo di acquisto disponibile per l'Italia è il 17,5% di 1.140 miliardi di euro, a sua volta suddiviso in diverse tipologie di acquisto e finanziamento. Per ciò che attiene ai soli titoli di stato, che è l'aspetto più importante di questa operazione, la somma passa da 199 miliardi del calcolo percentuale appena detto, a 125.
Ma voglio abbandonare l'arida descrizione di calcoli e numeri, perchè la vera svolta impressa da Draghi all'euro non è rappresentata dalle conseguenze economiche o finanziarie del programma varato dalla Bce.
Il cambiamento epocale è un altro: Draghi - su evidente imposizione tedesca - ha gettato le fondamenta della scomposizione dell'euro in valute di nuovo nazionali e sovrane.
Perchè?
Semplice: grazie al programma di riacquisto di titoli di stato concepito com'è, ogni banca centrale nazionale acquista sul mercato i propri in circolazione. Ora, voi capite che se un investitore straniero avesse in portafoglio titoli di stato italiani, quale migliore occasione, se non questa, per avere la certezza di venderli senza rischiare le insidie del libero mercato obligazionario? Ma soprattutto: 1.140 miliardi di titoli di stato circolanti finora liberamente sui mercati, ritorneranno nelle casse dei rispettivi stati d'appartenenza. In buona sostanza, ciascuna nazione della zona euro riprenderà possesso dei "suoi" titoli e non solo, assumendosene l'80% del rischio di copertura.
In pratica, la condivisione delle ricchezze - o se si preferisce, dei rischi - nell'eurozona è finita. L'euro diventa una moneta solo nominalmente comune. Alla fine di questa operazione, nel 2016, scomporre l'euro in valute nazionali sarà molto ma molto più semplice di oggi. La Germania senza colpo ferire è riuscita a liberarsi dal rischio di dovere "rispondere" finanziariamente del debito di altre nazioni, perchè il debito è espresso in titoli di stato e i titoli di stato ora sono acquistabili direttamente dalle banche centrali degli stati, cosa fino a ieri vietatissima.
Non è un caso neppure la data di fine 2016. Infatti, l'averla fissata ha stupito molti operatori, ma ha molto senso. Questo tipo di iniziativa, già fatta dalla Fed, dalla Banca d'Inghilterra e da quella del Giappone, non prevede e non ha mai previsto una data di scadenza. Invece la Bce l'ha fissata nel 31 dicembre 2016. Dal 2017, fine del gioco.
Ma che accadrà, nel 2017? Ci siete arrivati? Ci saranno le elezioni in Francia e le probabilità che Marine Le Pen le vinca sono molto alte. Cosa farà la Le Pen insediatasi all'Eliseo non è un mistero: porterà la Francia fuori dall'euro.
Per allora, il programma QE sarà concluso e per allora il debito della Francia sarà nelle casse della Banca di Francia, e così il cerchio si chiude. E la Germania s'è parata definitivamente il culo.
max parisi

http://www.ilnord.it/f-190_La_mossa_di_Draghi_aiuta_Marine_Le_Pen_e_salva_la_Germania 

Deutsche Bank conferma, il Qe permetterà di vendere di più le merci tedesche, circo mediatico imbecile

DEUTSCHE BANK: ”LA DECISIONE DELLA BANCA CENTRALE EUROPEA PRESA OGGI AVRA’ UN EFFETTO LIMITATO” (PER NON DIRE BUFALA)



“La decisione della Banca centrale europea di oggi si e’ rivelata superiore delle aspettative che si erano gia’ riflesse nei prezzi del mercato finanziario. Dopo il primo entusiasmo iniziale, ci aspettiamo una certa tranquillita’ sui mercati al posto della speculazione rampante degli ultimi giorni e settimane”. Cosi’ Johannes Mueller del Gruppo Deutsche Bank, ha commentato il quantitative easing annunciato da Mario Draghi, che rischia comunque di essere “limitato”. “Dal punto di vista economico, siamo del parere che gli acquisti di titoli di Stato da parte della Bce non sara’ ne’ una panacea ne’ un male. Il duraturo effetto positivo sull’economia verra’ probabilmente dalla svalutazione dell’euro, che equivale a un piccolo programma di stimolo. In ogni caso, l’impatto complessivo del Qe rischia di essere limitato”, ha aggiunto.
In ogni caso, ha continuato Johannes Mueller, “siamo molto piu’ infastiditi dalla natura delle discussioni precedenti l’annuncio della Bce, che hanno visto anche politici di alto livello dare per scontate, come se fosse gia’ state prese, le decisioni che la Banca centrale indipendente non aveva ancora annunciato”.
Tornando alla mossa della Bce, ha proseguito, “possiamo aspettarci una temporanea battuta d’arresto per l’euro, ma soprattutto ci attendiamo che la valuta continui a deprezzarsi nei confronti del dollaro, un trend che sosterra’ i profitti delle imprese nella zona euro e quindi anche i mercati azionari”.
Per quanto riguarda, infine, i rendimenti obbligazionari, il loro calo “e’ stato guidato principalmente dai tassi decrescenti di inflazione e dalle aspettative di inflazione, cosi’ come dalle speculazioni sulla politica della Bce”, di conseguenza “non ci aspettiamo che le tendenze inflazionistiche si invertano molto presto, per cui crediamo che i rendimenti dai mercati obbligazionari continuino a essere interessanti nel breve termine”.
Resta comunque “tiepido” l’apprezzamento di Deutsche Bank del QE varato oggi da Draghi, ed è un atteggiamento che rispecchia in buona parte quello della politica tedesca, che temeva che la BCE mettesse in atto in vero QE, come fece la Fed negli Stati Uniti. Invece, l’operazione presentata da Draghi oggi a Francoforte avrà un impatto molto modesto per ciò che attiene alla lotta alla deflazione, e praticamente nullo per gli investimenti degli stati come l’Italia, travolti dalla crisi economica.

http://www.stopeuro.org/deutsche-bank-la-decisione-della-banca-centrale-europea-presa-oggi-avra-un-effetto-limitato-per-non-dire-bufala/?utm_campaign=Newsatme&utm_content=DEUTSCHE%2BBANK%3A%2B%27%27LA%2BDECISIONE%2BDELLA%2BBANCA%2BCENTRALE%2BEUROPEA%2BPRESA%2BOGGI%2BAVRA%27%2BUN%2BEFFETTO%2BLIMITATO%27%27%2B%28PER%2BNON%2BDIRE%2BBUFALA%29&utm_medium=news%40me&utm_source=mail%2Balert

venerdì 23 gennaio 2015

NoTav, istituzioni barcolanti sotto i pugni del realismo dei sindaci valsusini


Tav. I sindaci della Valle a Roma. Un muro pieno di crepe

Ma che non crolla perchè non può permetterselo.Tanta insicurezza dietro l'apparente inflessibilità ma i soldi ora non ci sono e i tempi stringono. In mancanza di realismo e in abbondanza di protervia, si rischia la soluzione peggiore: una cantierizzazione infinita. Perchè l'importante per la lobby è ottenere i soldi.

di Barbara Debernardi e Fabrizio Salmoni
Un pareggio senza goal ma con una squadra che mostra segni evidenti di logoramento. Cosi si potrebbe rappresentare l’incontro di mercoledi 21 Gennaio a Roma con i sindaci valsusini e i loro tecnici agguerriti (Luca Giunti, Alberto Poggio). Un’atmosfera di freddo imbarazzo, un Virano che ha quasi fatto scena muta, un dirigente del ministero apparentemente informato solo su scadenze e necessità finanziarie, un Lupi iper-intransigente a ripetere i mantra di sempre (L’opera è iniziata e quindi si deve finire…per voi ci sono le compensazioni…la sede di confronto è l’Osservatorio, ecc.) per nascondere dietro la sicumera del personaggio e la necessità politica i problemi, lo stato dei lavori, le difficoltà economiche. Proprio quelle che si stanno gonfiando, come da tempo hanno documentato i valsusini che seguono le vicende tav in Europa, e si stanno facendo sempre più pericolose per la lobby della Torino-Lione a tutti i costi.
Dall’altra parte, il tentativo di portarli al dunque, a fare i conti con la realtà, a ragionare sul fallimento dell’Osservatorio, fermi nel ribadire il rifiuto delle compensazioni e la richiesta di una sede di confronto reale con gli amministratori.
Questo lo scenario dipinto dal sindaco di Avigliana, Angelo Patrizio che con un apprezzato gesto di trasparenza ha voluto informare i cittadini convocando un’assemblea pubblica nel tardo pomeriggio di giovedi in Municipio, presenti Sandro Plano, Paolo Ghiro (sindaco di Caprie) e altri amministratori.
Hanno raccontato di un colloquio lasciato a mollo per mezz’ora da un Lupi che si assentava “per impegni istituzionali”, della breve comparsata  dell’abbronzatissimo Osvaldo Napoli mentre in un angolo sedeva il senatore Marco Scibona (M5S) ammesso come osservatore senza diritto di parola.
Hanno sottolineato la sensazione di forte insicurezza della controparte, insicurezza tradita da espressioni sfuggite come “Quest’opera, se mai si farà…” (Ing. Signorini) subito tarpata dall’unico intervento di un Virano abituato a mentire spudoratamente “Garantiamo che l’opera si farà nei tempi e con i costi previsti” salvo poi scivolare anch’egli su una mezza ammissione sul “superamento dell’Osservatorio” o sorvolare sui problemi contabili irrisolti, sulla permanente mancanza del progetto definitivo, sull’altrettanto mancante certificazione dei costi, sulla loro suddivisione con la Francia, sulle scadenze imminenti per presentare una richiesta di fondi all’Europa senza aver soddisfatto tutte le pre-condizioni.
L’impressione diffusa tra i sindaci è che sia ormai radicata anche nella controparte la quasi certezza che non ce la faranno a risolvere tutti i problemi: sanno già che l’opera non si farà o almeno che non si farà come hanno sempre dichiarato di volerla. “Erano preoccupati, a disagio, raffazzonati, senza certezze” – dice Patrizio (foto sotto) – “e sconcerta che dopo 20 anni da parte loro ci sia solo approssimazione”. “Il clima è favorevole a un cambio di marcia – dice Plano – ma anche noi non sappiamo bene come provocarlo se non con la compattezza degli amministratori, con le denunce e gli esposti, la pressione politica. Prima o poi qualcuno dovrà dire come stanno le cose e quello sarà il momento della verità“.  APatrizio
Loredana Bellone, sindaco di San Didero, con la schiettezza che le è solita, racconta al TG Vallesusa: “Cambiano gli interlocutori ma la solfa non cambia! E’ stato nuovamente un “pour parler”, direi un’azione dovuta, che si doveva fare ma che non ha cambiato una virgola del quadro generale. Non che ci aspettassimo un granché dopo tanti rifiuti o risposte disattese… Posso dire che ho trovato il Ministro “poco attento” alle argomentazioni di 20 amministratori e loro rappresentanti, di 2 tecnici di spessore che hanno sapientemente illustrato le criticità tecniche dell’opera e messo in difficoltà il tecnico Virano. Lupi mentre diceva di ascoltarci leggeva e rispondeva agli sms che riceveva o parlottava con il suo vicino, quindi direi poco educato e oserei dire anche poco delicato perchè ha interrotto spesso chi aveva preso la parola…Abbiamo chiesto un tavolo tecnico che non sia l’Osservatorio perchè è stato fallimentare, ma ci è stato risposto che l’Osservatorio aveva fatto un buon lavoro e non andava cambiato. Personalmente ho detto che se non si poteva cambiare l’Osservatorio almeno si poteva cambiare la ‘persona’. Lupi ha detto – continua la Bellone – ‘che la disponibilità di fondi a disposizione è sempre più ridotta, ma siccome l’opera è stata decisa…. è strategica…. è stata avvallata da accordi internazionali, devono farla, punto’. Ma ad oggi non sono chiari i costi, i metodi di valutazione sono discordi fra i due Stati, non è stata eseguita la certificazione dei costi da parte di un soggetto terzo perchè è andata deserta la gara. L’ing. Signorini ha dichiarato che ieri è stato individuato con ‘procedura ristretta’ (?) il soggetto terzo che certificherà. Infine, proprio perchè non ci sono i soldi, hanno ventilato la possibilità di farlo in due tranche rispettando prima un elemento di indirizzo politico e successivamente l’indirizzo amministrativo con cui si chiede il 40%:”
La Bellone ha chiuso la sua giornata romana con una stretta di mano a Lupi, l’ultimo ministro di turno incontrato in questi suoi lunghi anni di opposizione al Tav in veste di Sindaco. E così come aveva già detto agli allora ministri Di Pietro, Prodi e  Matteoli, ha ribadito una volta di più “Quest’opera non s’ha da fare” ben sapendo che i ministri cambiano ma i No Tav restano.
Ulteriori obiezioni dei sindaci hanno riguardato le infiltrazioni mafiose e infine è stata avanzata la richiesta di incontrare Renzi.
Francesca Frediani, consigliere regionale 5S, a fine incontro ha poi dichiarato: “La mia impressione è che la politica non abbia ancora trovato il modo di giustificare la rinuncia all’opera. L’irragionevolezza della scelta di proseguire è ormai evidente, ma ancora non si è  trovata la giusta motivazione che potrebbe giustificare la rinuncia senza ammettere che si sono commessi errori che sicuramente hanno portato danno ai cittadini. Lo spacchettamento dei finanziamenti inoltre è un’ipotesi molto pericolosa, che genera ulteriore incertezza e preannuncia una ‘navigazione a vista’ che non si addice assolutamente alla gestione di una grande opera e che serve unicamente a nascondere la mancanza di fondi.”
Il “convitato di pietra” suo malgrado all’incontro romano, Marco Scibona, ha diffuso in giornata un comunicato con il suo giudizio critico preoccupato: “L’affermazione di Lupi sull’irreversibilità dell’opera – ci dice- rispecchia esattamente la continuità con i precedenti ministri. Nessuno si aspettava nulla di diverso e credo anche che il ministero  non  sperasse in un avvicinamento delle diverse posizioni in campo. La risposta, però, risulta indicativa del livello di conoscenza dello stato di avanzamento del lavoro, infatti  il concetto espresso dal ministro cozza clamorosamente con la reale situazione di avanzamento lavori”.
L’ipotesi che si voglia procedere malgrado il frazionamento eventuale dei finanziamenti genera la preoccupazione prevalente di trovarsi in casa una Salerno-Reggio Calabria, una cantierizzazione infinita nel tempo, che procede a sprazzi parallelamente alle disponibilità economiche. Perchè una cosa è sempre più lampante: dell’opera non importa niente a nessuno. Tutte le belle parole di un tempo (progresso, Europa, strategico, crescita, interesse del Paese…) sono svanite. L’importante sono i soldi e non darla vinta ai valsusini. Bisognerà aiutarli – dice Plano – a trovare una formula che salvi loro la faccia. E allora forse molleranno“.

l'Islam non è contro le donne

L’Egitto potrà presto avere donne predicatrici nelle moschee

moschea-cairo L’Egitto potrà presto avere donne predicatrici nelle moschee. Lo ha annunciato il ministero degli Affari religiosi, che ha pubblicato un bando sul suo sito. Il ministero ha invitato tutte le donne interessate a “predicare e insegnare la medicina preventiva e lo sviluppo umano” a presentare la loro candidatura. Le predicatrici selezionate saranno destinate alle zone per sole donne all’interno di moschee e di altri contesti comunitari.
La figura della predicatrice già esiste in Egitto, dove molte donne, su base volontaria, guidano letture religiose all’interno delle moschee o insegnano il Corano ai bambini. Il provvedimento del ministero ora istituzionalizza questa figura.
Non è il primo intervento adottato dalle autorità egiziane per disciplinare la vita all’interno dei luoghi di culto. Già l’ex presidente ad interim Adly Mansour aveva rafforzato i controlli su imam e predicatori, con l’obiettivo di evitare la diffusione di idee estremiste. Le moschee sono state messe sotto il controllo del ministero degli Affari religiosi, è stato vietato di predicare a chi non ha un apposito permesso e i sermoni del venerdì sono stati unificati.

http://www.imolaoggi.it/2015/01/23/legitto-potra-presto-avere-donne-predicatrici-nelle-moschee/

La Germania ha distrutto l'europa e i governi italiani hanno concorso a far distruggere l'Italia

Moneta unica

Giordano: "Così la Merkel ha distrutto l'Europa"


Per questi motivi, il trionfalismo con cui è stato accolto il Qe, che ieri a leggere certi commenti sembrava più desiderabile di Jennifer Lopez in tanga, appare francamente esagerato. Qualche beneficio ci sarà, ci mancherebbe altro: abbiamo sparato la bomba atomica. Ma il fatto stesso di averla sparata ha portato alla luce i limiti clamorosi e evidenti di un’unione monetaria costruita in modo demenziale e criminale. I limiti di un euro che non funziona e non può funzionare. A questo punto, normalmente, ci rispondono: per forza l’euro non funziona, perché bisogna andare avanti verso l’unione economica. E a me, oggi, viene da ridere ancor più del solito: davvero pensano che sia possibile andare avanti verso l’unione economica, se la Banca centrale europea, nel momento più importante della sua storia, torna indietro alle banche nazionali? Come si possono condividere i bilanci dell’intera economia se non si riescono a condividere i rischi sull’acquisto di un po’ di bond? Davvero pensano che la Germania che ha imposto il diktat sul Qe, non continuerà a mettere diktat su tutto il resto? E allora di che unione stiamo parlando? Di che solidarietà fra Stati stiamo parlando?

di Mario Giordano

http://www.liberoquotidiano.it/news/opinioni/11747738/Giordano---Cosi-la-Merkel.html 


il franco svizzero ha giocato d'anticipo, l'indebolirsi dell'Euro per il Qe indeboliva artificialmente, torcendola, la propria moneta in maniera insopportabile creando bolla pericolossissima x la Svizzera


fatto quotidiano

Franco svizzero, la sottile linea tra protezione e bolla speculativa

di Alberto Bagnai

La decisione della Banca Nazionale Svizzera (BNS) di sganciare il franco dall’euro, determinandone un brusco rincaro, ha colto tutti di sorpresa. Gli industriali svizzeri già se ne lamentano: per valutare il significato di questa mossa è quindi utile ricordarne motivazioni e conseguenze.
Già a fine 2008 lo sconquasso causato dalla Lehman Brothers aveva spinto al rialzo la valuta svizzera, classico “bene rifugio”. Dopo una fase di relativa stabilità, nel 2010 lo scoppio della crisi dei debiti sovrani, che sembrava minacciare la sopravvivenza dell’euro, aveva alimentato gli acquisti di franchi, facendogli guadagnare un ulteriore 18 per cento fino all’autunno del 2011.
Nata come operazione difensiva, l’acquisto di franchi stava diventando una vera e propria bolla speculativa (la situazione in cui gli investitori acquistano uno strumento finanziario solo perché si aspettano che il prezzo salga, e domandandolo contribuiscono a farne crescere il prezzo, convalidando così le proprie aspettative). Con buona pace di chi vede nella Svizzera solo un paradiso fiscale, l’incidenza del manifatturiero sul valore aggiunto è più alta in Svizzera che in Italia (rispettivamente, 19 per cento e 15 per cento del valore aggiunto totale). Escludendo chi vede nella svalutazione una piaga biblica sempre e comunque, sarà facile agli altri capire che all’industria svizzera un franco così alto non faceva comodo, perché penalizzava le esportazioni. Da qui la decisione di arrestarne l’ascesa al livello di 0.80 euro per franco.
La situazione si è mantenuta stabile fino giovedì.L’annuncio della BNS che non avrebbe più “difeso” la parità ha spinto in apertura il franco ad apprezzarsi del 25 per cento sull’euro, per poi stabilizzarsi intorno a 0.96 euro per franco. Il fatto è che il mantenimento della parità, se da un lato tutelava le imprese svizzere, dall’altro aveva conseguenze negative sulla composizione del portafoglio di investimenti esteri del paese.  
Per mantenere il cambio stabile, la BNS doveva soddisfare la domanda di franchi, vendendoli in cambio di dollari ed euro. La Svizzera si era così trovata ad avere uno stock di riserve ufficiali spropositato, classificandosi quarta dopo Giappone, Cina e Arabia Saudita (paesi esportatori di ben altre dimensioni), con un rapporto riserve/Pil vicino all’80 per cento (negli altri paesi avanzati questo rapporto normalmente è a una cifra).
Nell’economia generale di un paese essere così ricchi di valute pregiate (o supposte tali) non è una cosa così buona come sembra, perché l’investimento in valute è meno redditizio di altri investimenti esteri. Inoltre, restando agganciato all’euro il franco ne stava condividendo il triste destino nei confronti del dollaro, perdendo quasi il 15 per cento rispetto a quest’ultimo nell’ultimo anno.   Si sostiene, credo con fondamento, che la BNS abbia voluto anticipare gli effetti del quantitative easing di Draghi, il programma di acquisto di titoli di Stato che ci si attende contribuisca a un ulteriore indebolimento dell’euro rispetto al dollaro. Le conseguenze sarebbero state una ulteriore flessione rispetto al dollaro (che avrebbe compromesso lo status di valuta “forte” del franco), e un’ulteriore fuga dall’euro verso il franco (che avrebbe costretto la BNS a imbottirsi ulteriormente di una valuta come l’euro, soggetta a una tendenza ribassista, e forse, chissà, a rischio di estinzione).
L’improvviso rincaro del franco è un segnale che dovrebbe scongiurare queste due eventualità. Sarà interessante seguire la vicenda.

La germania gode, il Qe svaluta l'Euro rendendo più competitive le merci tedesche, tutto il resto è noia

QUANTITATIVE EASING O QUANTITATIVE IBRIDUM? (di Nino Galloni)

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Il quantitavive easing (acquisto dei titoli pubblici da parte delle banche centrali) era nato (dopo il 2001) per sottrarre il livello dei tassi di interesse all’onnipotenza del “libero” mercato, dopo che ci si era resi conto del fatto che la piena sottrazione di sovranità monetaria agli Stati, decisa circa vent’anni prima, non funzionava così bene. Non si poteva dire: scusate tanto, abbiamo sbagliato tutto e, quindi, si coniò questo termine allo scopo.

Ciò che la BCE ha varato il 22 gennaio 2015, però, costituisce qualcosa di ibrido e contraddittorio che dovrebbe farci riflettere sulla effettiva situazione europea.

La BCE, infatti, comprerà titoli pubblici non solo sul mercato primario (quando gli Stati, privati di sovranità, emettono titoli per procurarsi moneta), ma anche su quello secondario, vale a dire dalle banche, allo scopo di contenere lo “spread” che si calcola sul fenomeno delle vendite di titoli decennali non ancora in scadenza (“maturi”). Il tutto, si badi bene, con acquisizioni nel portafoglio della BCE, ma con rischio all’80% in capo alle banche centrali dei singoli Paesi.

Si è detto, già nei telegiornali e dintorni del citato 22 gennaio pomeriggio, che questo consentirà agli Stati di destinare ad altri scopi le risorse risparmiate grazie al minor pagamento di interessi. Cosa teoricamente vera e positiva se, poi, non prevalesse, comunque, l’esigenza di contenere le spese stesse e tenere basso il livello del debito pubblico (il parametro ufficiale, come è noto, riguarda, per ciascun Paese, il 60% del suo PIL).

Lo stesso Mario Draghi, per accontentare Angela Merkel ed altri, ha ricordato che tutto si lega alla prospettiva di accelerare e consolidare le “riforme”. Così, da una parte, queste ultime – che hanno valenza recessiva – compenseranno i possibili effetti benefici del “quantitative ibridum”; dall’altra, viene introdotta nel sistema una logica per cui il controllo delle democrazie (e della spesa pubblica) non passa più per i capricci dei mercati, ma viene stabilito direttamente, anche nei particolari, entro sedi più tecniche che politiche come la BCE.

Ma potrebbe esserci di più: perché togliere alle banche degli attivi certi ed esigibili come i titoli di Stato che, a parte, forse, quelli greci, rappresentavano qualcosa di solido e con alti tassi rendimento per sostituirli con liquidità? Visto che le banche non sanno che farsene (a parte le richieste di cash dei loro clienti), banche che, nel corso del 2014 hanno addirittura comperato titoli di Stato sotto la parità in ben nove Paesi!

Il fatto che il credito scarseggi è verissimo, ma non per mancanza di liquidità, sibbene per mancanza di richieste ovvero per chiusura delle banche stesse a concederne: finché l’economia non si rianima, il credito è destinato a languire a prescindere dalle condizioni di liquidità del sistema. L’unico modo per far riprendere l’economia sarebbe l’aumento della spesa pubblica ovvero, al limite, una riduzione delle tasse senza pari riduzione della spesa stessa. Ma contro ciò sembrano tutti armati e, allora, nell’attesa di un vero cambiamento in meglio, non resta che trovare soluzioni provvisorie sul territorio con monete complementari, con l’emissione di moneta fiduciaria pubblica, ripristinando la netta separazione tra banche di credito e finanza che l’attuale corsa alla quotazione in borsa anche delle popolari renderà più difficoltosa.

Nino Galloni

http://scenarieconomici.it/quantitative-easing-quantitative-ibridum-nino-galloni/

Rodotà non sbaglia

Altro che Syriza italiana. Rodotà taglia le gambe a Fassina, Civati e Vendola

Il professore boccia i suoi "alunni": "Chi pensa di ricostruire un soggetto di sinistra guardando a Sel, Rifondazione e minoranza Pd sbaglia"


Il mentore che diventa critico. Il professore che boccia i suoi alunni. Il compagno che cambia posto.
Stefano Rodotà taglia le gambe alla sinistra italiana, quella che sta cercando di creare una nuova formazione politica che si ispiri al leader greco Tsipras. "Chi pensa di ricostruire un soggetto di sinistra o socialmente insediato guardando a Sel, Rifondazione, Alba e minoranza Pd sbaglia"Parole ferme e nette quelle del giurista, che poi rincara la dose: "Mentre capisco la scelta del papa straniero Tsipras, non condivido l’idea di una Syriza italiana. È una forzatura. In Grecia Syriza ha raggiunto l’attuale consenso perché durante la crisi economica ha svolto un lavoro effettivo nel sociale dove ha garantito ai cittadini diritti e servizi grazie a pratiche di mutualismo: penso alle mense e alle cliniche popolari, alle farmacie e alle cooperative di disoccupati. In Italia la situazione è differente". Come a dire: la sinistra nostrana è tutta chiacchiere e distintivo. Pochi fatti e tante parole. 
"Lo dico senza iattanza, ma hanno perduto una capacità interpretativa e rappresentativa della società, nulla di nuovo può nascere portandosi dietro queste zavorre. Rifondazione è un residuo di una storia, Sel ha avuto mille vicissitudini, la Lista Tsipras mi pare si sia dilaniata subito dopo il voto alle Europee. Ripeto: cercare di creare una nuova soggettività assemblando quel che c’è nel mondo propriamente politico secondo me è una via perdente". Boom. Ma Rodotà non risparmia nessuno dell'alveo della sinistra italiana, che per lui ha "alle spalle due fallimenti: la lista Arcobaleno e Rivoluzione Civile di Ingroia. Due esperienze inopportune nate per mettere insieme i cespugli esistenti ed offrire una scialuppa a frammenti e a gruppi perdenti della sinistra", spiega ancora Rodotà in una intervista a Micromega.
La ricetta del professore è quella di abbandonare la zavorra dei partiti e ripartire da "quel che definisco "coalizione sociale". Mettere insieme le forze maggiormente vivaci ed attive: Fiom, Libera, Emergency - che ha creato ambulatori dal basso - movimenti per i beni comuni, reti civiche e associazionismo diffuso. Da qui, per ridisegnare il nodo della rappresentanza".
Una doccia fredda per Paolo Ferrero, segretario di Rifondazione che ha sempre auspicato "la costruzione di un polo alla sinistra del centro-sinistra, una sinistra unita, non subalterna al programma del Partito Democratico". Una doccia gelata per esponenti della minoranza democratica, come Pippo Civati o come Stefano Fassina, che fino a qualche tempo si auspicava che Rodotà potesse diventare ministro "perché rappresenta un elemento di dialogo con una parte importante del Parlamento e dei cittadini''. Una stoccata per Sel e Vendola, sempre pronti a incensare l'operato e la rettitudine del giurista. Insomma, Rodotà adesso taglia le gambe a coloro che lo hanno fortemente sostenuto (chi nei fatti e con i voti, chi a parole) nella precedente corsa al Quirinale. Adesso bisognerà vedere se gli alunni ascolteranno ancora i consigli del professore. 

http://www.ilgiornale.it/news/politica/altro-che-syriza-italiana-rodot-taglia-gambe-fassina-civati-1085137.html

Il Presidente del consiglio, Renzi, favorisce la corruzione

Patto Renzi - Berlusconi, sul tavolo anche la prescrizione (e il destino del processo per corruzione)

Sul tavolo del patto poco occulto tra Renzi e Berlusconi, che prevede il soccorso azzurro di Forza Italia su riforme ed elezione del Presidente in cambio del famigerato articolo 19 bis che eliminerebbe gli effetti della condanna per frode fiscale a carico dell'ex premier, c'è altra merce di scambio. Come aveva confermato la retromarcia sulla depenalizzazione del falso in bilancio, le cui soglie di non punibilità restano le medesime imposte dal governo Berlusconi nel 2003. 
Ma se la delega fiscale è un colpo di spugna sul passato, la riforma della prescrizione incombe sul futuro dell'ex Cavaliere. In pochi lo ricordano, ma Berlusconi oggi è ancora sotto processo a Napoli. E non per un'accusa minore, ma per la presunta corruzione di senatori della Repubblica, nel periodo 2006-2007, gli anni in cui annunciava una volta a settimana la "prossima spallata" al claudicante governo di Romano Prodi. 
Il procedimento è nato dalle rivelazioni di Sergio De Gregorio, parlamentare eletto con l'IDV di Antonio Di Pietro e che passò subito all'opposizione di centrodestra, il quale ha dichiarato ai magistrati di essere stato 'comprato' con circa 3 milioni di euro. Gli inquirenti non escludono nella loro ipotesi di accusa che fosse una 'pratica' seguita in altre occasioni. Ma la prescrizione incombe sul processo: l'estinzione scatterà il prossimo ottobre. Impossibile dunque celebrare tre gradi di giudizio. Ma ci sarebbe ancora tempo per arrivare almeno ad una sentenza di primo grado. Perché dovrebbe impensierire l'ex Cavaliere?
Perché contestualmente in Parlamento giace la chiacchierata riforma della prescrizione annunciata dal governo Renzi. Un testo piuttosto blando, che si limita a bloccare la clessidra per 24 mesi in caso di sentenza di primo grado, trascorsi i quali le lancette dell'orologio tornano a correre. Non esattamente quello di cui avremmo bisogno nel paese che vede molti procedimenti spazzati via nel mezzo del dibattimento e che non riesce a prendere spunto dalle principali democrazie occidentali, dove un processo se inizia arriva a conclusione. Ma la riforma così com'è concepita potrebbe essere sufficiente a spaventare Berlusconi, che potrebbe ritrovarsi 'incastrato' dai tempi e con un processo che sopravvive ancora due anni, con i 'rischi' che questo comporta.   
Quando il testo venne annunciato dal CDM dello scorso 29 agosto, il Nuovo Centro Destra si affrettò a chiedere modifiche, in particolare su una riga che può fare per Berlusconi tutta la differenza del mondo: è la norma transitoria che, per salvare l'ex Cavaliere, deve prevedere che la riforma "non si applica ai processi in corso" come quello di B., decretando in sostanza la fine di ogni sua preoccupazione sul fronte penale. Naturalmente sia l'articolo 19-bis che la parziale riforma del falso in bilancio o la norma transitoria sulla prescrizione sono provvedimenti che non fanno sorridere solo l'ex Cavaliere, ma che si applicano a chi come Alessandro Profumo, ex ad di Unicredit oggi a MPS, è a giudizio per frode fiscale, e a tutti quei processi già in corso che cadranno in prescrizione perché non toccati dalla riforma. Si potrebbe parafrasare il detto di Mao e sostenere "Colpirne cento per salvarne uno".

L'Euro è stato svalutato con il Qe, ma si terrorizza x svalutazione della Nuova Lira una volta che si esce

Incontro a Siena con Claudio Borghi, ''Prof anti Euro''


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Claudio Borghi
Claudio Borghi, uno dei più noti "prof" anti Euro, docente all'Università Cattolica di Milano e responsabile economico federale della Lega Nord , legatissimo alla nostra città, contradaiolo dell'Aquila, incontrerà la popolazione senese sabato pomeriggio, 24 gennaio, alle ore 16.00 presso la sala del Nannini Conca d'Oro in via Banchi di Sopra a Siena.

"La rivoluzione economica della Lega": questo il titolo dell'incontro pubblico, al quale parteciperanno, oltre al Prof. Borghi, Manuel Vescovi, Segretario nazionale della Lega Nord Toscana, e Francesco Giusti, Segretario comunale di Siena della Lega Nord.

Temi caldi della serata: tassazione fissa al 15% per tutti ("flat tax") ed uscita dall'Euro, ma anche il provvedimento del Governo sulle Banche Popolari, ribattezzato "salva Mps". Su questo tema, infatti, proprio Borghi Aquilini ha recentemente affermato: "Serve a mettere le mani sulle Popolari e sprattutto su UBI per poi annegarci dentro il Monte dei Paschi".

Borghi ha già partecipato a due incontri della Lega in provincia di Siena: prima il 22 maggio, durante la campagna elettorale delle Europee, e poi, assieme a Matteo Salvini, al comizio in Piazza Salimbeni il 29 ottobre.

Sabato pomeriggio sarà di nuovo a Siena per un nuovo appuntamento con i militanti, i sostenitori, i cittadini senesi, gli imprenditori ed i lavoratori del territorio.

http://www.sienafree.it/economia-e-finanza/264-economia-e-finanza/68912-incontro-a-siena-con-claudio-borghi-prof-anti-euro

Equitalia, soprattutto in Sardegna, si è trasformata in Rapinaitalia

Geometra denuncia Equitalia per estorsio

Il professionista si è rivolto alla Procura: «Mi hanno ipotecato un terreno per poi chiedermi soldi che io non devo affatto» di Luigi Soriga
22 gennaio 2015



SASSARI. Ogni mese la pensione arriva puntuale. E questo è piuttosto strano, perché farebbe pensare che i contributi versati siano in regola. Eppure a parer di Equitalia le cose non stanno affatto così, e il geometra Alfonso Chessa dovrebbe ancora alla suo ente di previdenza 6 milioni di vecchie lire, cioè i contributi di 13 anni, dal 1987 al 2000. E convinta del fatto suo, l’ente di riscossione nel 2009 ha acceso un’ipoteca su un terreno di proprietà del geometra, senza preavvisarlo. «Me ne sono accorto quando sono andato in banca per chiedere un finanziamento – dice Alfonso Chessa – ero convinto di poter offrire una garanzia attraverso il terreno, ma dalle verifiche è emersa l’ipoteca giudiziaria». Solo l’anno successivo, nel 2010, assieme alle cartelle esattoriali Equitalia comunica al professionista l’esistenza dell’ipoteca. E dato che a tutt’oggi la proprietà non è stata liberata dai vincoli, ma soprattutto siccome Alfonso Chessa è strasicuro di aver versato sino all’ultima lira, ha raccolto tutta la documentazione e si è rivolto al Procuratore generale di Cagliari. E in quella sede ha denunciato Equitalia per estorsione e per abuso.
«Equitalia prima di procedere nei miei confronti – sostiene Chessa – avrebbe dovuto svolgere degli accertamenti accurati. Si sarebbe resa conto che io non solo ero in regola con i pagamenti, non solo non mi trovo in una posizione debitoria, ma è l’esatto contrario. Mi devono restituire circa due milioni e mezzo di lire, perché ho versato più del dovuto. Eppure mi ritrovo con un terreno ipotecato, con grave danno materiale, nel tentativo di indurmi a pagare una somma che io non devo affatto. Questa a casa mia, e per la Legge italiana, si chiama estorsione».
La storia, in sintesi è questa: il 6 giugno 1997 la Cassa Geometri ha informato Chessa della sua situazione debitoria di 6 milioni di lire. Il professionista invia la somma, e nel ’99 versa altri soldi alla Bps riscossioni. E poi nel 2000, per non effettuare doppi versamenti, autorizza la Cassa Geometri a trattenere dalla pensione ogni altra cifra dovuta. Il 9 gennaio 2001 l’ente di previdenza comunica al geometra che la sua posizione è regolarizzata, e che anzi dovrà ricevere indietro circa due milioni e mezzo di lire. Ma dovrà essere la Bps a risarcirlo. Questo però non avviene. Anche perché nel 2006 c’è il passaggio di consegne tra la Bps ed Equitalia, e in questo frangente cominciano i grattacapi per Alfonso Chessa. «La Bps, pur essendo stata avvertita dalla Cassa Geometri che la mia posizione era in regola, ha consegnato a Equitalia una documentazione che ha indotto il nuovo ente di riscossione a richiedere i contributi dal 1987 al 2000. Ma questa non è una giustificazione per Equitalia, perché prima di accendere l’ipoteca avrebbe dovuto accertare la regolarità degli atti». La vicenda finisce davanti a un giudice, al quale il geometra Chessa chiede la cancellazione immediata dell’ipoteca e invita Equitalia a produrre i documenti che giustificassero le sue richieste e i suoi provvedimenti. «Ma Equitalia non poteva e non può produrre niente – dice Chessa – perché niente ha ricevuto dalla Bps. Ecco perché nel 2014, di fronte alla Commissione tributaria provinciale, nelle due udienze il rappresentante di Equitalia non si è mai presentato. Ed ecco perché, alla fine, ho deciso di formalizzare una denuncia in Procura».

http://lanuovasardegna.gelocal.it/sassari/cronaca/2015/01/22/news/geometra-denuncia-equitalia-per-estorsione-1.10717816 

ebrei/Israele semina vento e raccoglierà tempesta

Iran contro Israele: “Armeremo i Palestinesi”


giovedì, gennaio 22nd, 2015
Hezbollah  Iran Israele



Hezbollah (Ahmad Al-Rubaye/Getty Images)
L’Iran ha intenzione di armare i Palestinesi in Cisgiordania contro Israele. Lo ha dichiarato il Ministro della Difesa iraniano Hossein Dehghan che poi ha aggiunto: “L’armamento della Cisgiordania è un punto importante della politica dell’Iran e non mancheremo di portarlo avanti utilizzando tutte le nostre capacità”.
Dichiarazioni simili erano già state rilasciate nello scorso novembre dal leader supremo della rivoluzione islamica Ali Khamenei. A peggiorare la situazione già estremamente tesa è arrivato l’attacco israeliano di domenica scorsa sulle alture del Golan con razzi lanciati da un velivolo durante il quale hanno perso la vita cinque ufficiali dell’esercito iraniano e il comandante della guardia rivoluzionaria, generale Mohammad Ali Allahdadi, insieme a sei militanti di Hezbollah. Questo evento ha scatenato una serie di reazioni veementi da parte di diverse autorità iraniane che sono tornate ad inneggiare all’annientamento di Israele e a quella che il capo del corpo d’élite, generale Mohammad Ali Jafari ha definito “la liberazione di Gerusalemme dal regime Sionista”.
E durante la cerimonia funebre in onore di Mohammad Ali Allahdadi, primo generale a morire per mano di Israele, sono arrivate altre dichiarazioni che vanno sempre nella stessa direzione. Il ministro della Difesa ha ribadito che il raid non rimarrà impunito e che “la risposta sarà proporzionata all’attacco subito”. Ha inoltre assicurato che valuteranno con cura “il luogo e il momento” in cui questa risposta arriverà.
Israele che ieri dovuto affrontare l’ennesimo attentato terroristico, avvenuto questa volta su un autobus di linea, si appresta dunque a vivere con maggiore apprensione le prossime ore,  in attesa di capire quale sarà la risposta iraniana perchè a cercare vendetta ci sarà anche Hezbollah che nell’attacco di domenica ha perso sei dei suoi uomini.

Banca Etica, e non solo, giustamente contro i buffoni di Palazzo Chigi

Banche popolari, duello di poteri sulla riforma. Da Lega a M5S tutti contro

Banche popolari, duello di poteri sulla riforma. Da Lega a M5S tutti contro
Lobby
Il decreto che dispone la trasformazione dei dieci maggiori istituti in spa ha coagulato un fronte bipartisan di voci critiche. Per l'economista Giulio Sapelli è un vero e proprio “colpo di Stato bancario” fatto “in un momento di vacatio istituzionale: Napolitano non lo avrebbe mai firmato". Ma in realtà, al netto dei probabili ricorsi, per altre più di 700 piccole popolari non cambia nulla. E non è detto che sia un bene
Dalle critiche di Susanna Camusso e Carmelo Barbagallo alle barricate evocate da Matteo Salvini, dallo sconcerto espresso da esponenti del mondo bancario come il presidente di Banca Etica Ugo Biggeri alla netta contrarietà del ministro “ciellino” Maurizio Lupi, cui fa eco il secco “no” espresso dall’Ncd, da Forza Italia, da diversi esponenti dello stesso Pd (primo fra tutti il cattolico Giuseppe Fioroni) e da democristiani d’antan come Paolo Cirino Pomicino. Altrettanto nette nel giudizio le opposizioni, con il Movimento 5 Stelle che insieme all‘Adusbef preannuncia un esposto alla magistratura per aggiotaggio, cioè turbativa di mercato.
Mai prima d’ora un provvedimento del governo era riuscito a raccogliere un così vasto e trasversale fronte di contrari. E non è che un antipasto. Il giudizio più duro viene da un economista e manager di lungo corso, Giulio Sapelli che, interpellato dall’Ansa, ha detto senza mezzi termini che la riforma delle banche popolari introdotta dal governo nel decreto “Investment compact” è un vero e proprio “colpo di Stato bancario, un golpe che puzza di incostituzionalità compiuto ai danni dell’unico esempio di democrazia economica che ha il nostro Paese”. Un giudizio forte, motivato anche dal fatto che l’Italia si trova “in un momento di vacatio istituzionale: il governo delibera un decreto che Giorgio Napolitano non avrebbe mai firmato essendo sempre stato a difesa del mondo del credito cooperativo”, sottolinea Sapelli, aggiungendo che ci sono forti dubbi sulla costituzionalità del provvedimento: “Non è pensabile che possano essere modificati con la legge gli statuti di banche che sono private”.
Un fuoco di sbarramento ad alzo zero che lascia presagire un’escalation parlamentare e una valanga di ricorsi alla Corte costituzionale. Per non parlare delle illazioni e delle polemiche: secondo molti, a partire dalla minoranza del Pd, a ispirare l’abolizione del voto capitario e la trasformazione delle popolari in società per azioni sarebbero stati gli uomini della City londinese (leggi Davide Serra, amico, consigliere e finanziatore del premier Matteo Renzi), desiderosi di mettere le mani su qualche buona preda bancaria e di speculare sull’inevitabile consolidamento del settore.
Più convincenti coloro che spiegano la mossa del governo con la necessità di “accasare” al più presto Monte dei Paschi di Siena e Banca Carige. Mps, in particolare, in seguito al mancato superamento degli stress test si trova costretto a varare una ricapitalizzazione da 2,5 miliardi di euro, deve ancora restituire i cosiddetti Monti bond per oltre un miliardo e – come richiesto dalla Banca centrale europea a metà dicembre – deve ulteriormente alzare i requisiti minimi di capitale dal 7 al 14,3%: operazione complicata da condurre in porto da soli, specie dopo aver fatto un aumento di capitale da 5 miliardi meno di un anno fa. Ecco che allora un’aggregazione con la bresciana Ubi potrebbe aiutare, creando il terzo polo bancario italiano dopo Intesa e Unicredit e preservando l’italianità del Montepaschi. Una soluzione, questa, che big della finanza come Ubs e Mediobanca trovano molto logica e congruente, specie ora che il governo ha deciso di trasformare per decreto Ubi e le altre nove maggiori banche popolari italiane in società per azioni.
Uno dei principali problemi sollevati dal decreto è però la facoltà in capo alla Banca d’Italia di negare ai soci delle popolari il diritto di rimborso delle azioni e di altri strumenti di capitale “qualora ciò sia necessario ad assicurare la computabilità delle azioni nel patrimonio di vigilanza di qualità primaria della banca”. In pratica un vero e proprio esproprio a danno dei soci che non figurava nelle bozze del decreto circolate nei giorni scorsi e che tradisce la fretta del governo di chiudere la partita a suo favore: non solo le prime dieci banche popolari saranno costrette a trasformarsi in società per azioni pena sanzioni, rischio di revoca dell’autorizzazione all’attività bancaria e liquidazione coatta amministrativa, ma gli azionisti saranno obbligati a restare tali anche se non condividono le modifiche statutarie. Una disparità di trattamento rispetto ai soci di qualunque società (quotata e non) che solleva più di un dubbio sulla costituzionalità di questa norma e ci sono buone probabilità che – tra ricorsi alla Consulta e iter parlamentare – di questa pasticciata pseudo-riforma alla fine non se ne faccia nulla.
Pseudo-riforma perché in realtà le norme riguardano solo le prime dieci banche popolari, le più grandi e potenti come Ubi, Banco Popolare, Popolare di Milano, mentre per le altre 700 e rotte sparse sul territorio italiano non cambia assolutamente nulla. E questo non è detto a priori che sia un bene. E’ da più di vent’anni che le banche popolari resistono a qualunque sollecitazione al cambiamento, compresa l’autoriforma di cui si parla da anni e che non è mai stata portata a compimento. E se è vera da un lato la straordinaria importanza che queste banche rivestono nell’erogazione del credito alle piccole e medie aziende sul territorio, dall’altro occorre non dimenticare come i meccanismi di governo societario e lo stesso voto capitario abbiano contribuito in molti casi a cristallizzare gli assetti di potere e a impedire un sano ricambio: così, giusto per fare due esempi, Lorenzo Pelizzo ha presieduto per quarant’anni la Popolare di Cividale, mentre la Popolare di Ragusa è stata governata per decenni dalla famiglia Cartia. Le cristallizzazioni di potere possono assumere grande rilevanza intrecciandosi con la politica e una certa imprenditoria, determinando vicendevoli sostegni e talvolta sconfinando in veri e propri comitati d’affari. Un esempio della storia recente riguarda la Banca popolare di Lodi a guida Fiorani, un altro è quello della Popolare di Milano dell’era di Massimo Ponzellini. E la politica naturalmente non è estranea a tutto questo. Anzi, a livello locale gli investimenti delle banche sul territorio sono determinanti per la politica. Quelli delle Fondazioni bancarie e quelli delle banche popolari, come sanno bene a Verona, a Torino e in qualunque altra parte d’Italia.
Tutto questo per dire che l’erogazione dei crediti alle piccole e medie imprese, il mutualismo, lo spirito cooperativo c’entrano fino a un certo punto con la polemica per l’abolizione del voto capitario e la trasformazione in spa delle prime dieci popolari italiane. E’ in primo luogo uno scontro di potere e tra poteri, e a giudicare dalla fretta con cui è stato ingaggiato pare di capire che la situazione a Siena è molto seria.

http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/01/22/banche-popolari-duello-poteri-riforma-lega-m5s-tutti-contro/1361241/

Quel pagliaccio a Palazzo Chigi, quando c'è da succhiare soldi a banche che funzionano fa decreti legge ma per la corruzione che viene dal suo partito niente





«Popolari, riforma incostituzionale»

Il docente di economia Sapelli spara a zero sul decreto banche: «Un colpo di Stato contro la democrazia economica»



22 gennaio 2015




Reazioni e commenti a raffica nella giornata di ieri dopo l’approvazione del decreto di riforma delle banche, in particolare sui problemi che riguardano le dieci Popolari, tra cui Bper, destinate a trasformarsi in società per azioni con l’abolizione del voto capitario.
Fra gli altri si sono sprecati gli interventi di politici, compresi i senatori modenesi Carlo Giovanardi (Ncd-Ap) e Stefano Vaccari del Pd.
Quest’ultimo ha criticato il ricorso al decreto evidenziando la notevole capacità di erogare credito, anche di recente, da parte delle Popolari, mentre Giovanardi ha definito il provvedimento «una follia dal punto di vista della cancellazione di una straordinaria partecipazione democratica, degli interessi delle imprese che si sono interfacciate storicamente con una governance ben attenta ai loro problemi».
Ma l’intervento più significativo, oltre che particolarmente qualificato, è quello di Giulio Sapelli, docente di storia economica dell’università Statale di Milano, che è stato intervistato dall’agenzia Ansa: «Un colpo di stato bancario - ha detto Sapelli - un golpe che puzza di incostituzionalità ai danni dell'unico esempio di democrazia economica che ha il nostro Paese». Così ha commento la riforma varata dal governo Renzi. «È un atto grave - ha continuato - Siamo in un momento di vacatio istituzionale alla presidenza della Repubblica e il Governo delibera un decreto che Giorgio Napolitano non avrebbe mai firmato, essendo sempre stato a difesa del mondo del credito cooperativo. È un decreto legge che puzza di incostituzionalità, non è pensabile che possano essere modificati con la legge gli statuti di banche che sono private. È una roba che non sta nè in cielo, nè in terra».
E la cosa più paradossale, ha affermato ancora il docente milanese, «è che questo colpo di stato bancario arrivi da un Governo di sinistra, che dovrebbe sapere bene che le Popolari sono le uniche banche vincolate per statuto a destinare l'utile d'esercizio sul territorio. Guardiamo, ad esempio, alla Germania: la forza di quel Paese sta proprio nel sistema di credito cooperativo che si fonda sulle Landesbank e le Sparkasse».
Secondo Sapelli, il vero obiettivo della riforma «è utilizzare i patrimoni delle Popolari», uscite meglio di altri istituti dalla crisi, «per coprire i buchi di Mps e Carige», bocciate agli esami della Bce con forti deficit di capitale.
«Quella raccontata dal Governo di varare questa riforma per favorire l'erogazione del credito è soltanto una scusa - ha detto Sapelli - In verità le Popolari verranno assimilate alle altre banche capitaliste che da tempo non offrono più credito. Spero che i costituzionalisti insorgano, si facciano sentire. Bisogna che venga sollevata l'eccezione di incostituzionalità di questa riforma. Si tratta di un vero esproprio dei soci dalle proprie banche. C'è un articolo della costituzione che difende la cooperazione. Ho la sensazione però che il ministro Padoan non sappia proprio cosa sia il sistema delle banche popolari».
Duri anche gli analisti di Ubi e Mediobanca: secondo loro, se il voto capitario sarà abolito, per il sistema delle grandi banche cooperative si aprirebbe una fase di consolidamento, con fusioni e acquisizioni all’interno.

http://gazzettadimodena.gelocal.it/modena/cronaca/2015/01/22/news/popolari-riforma-incostituzionale-1.10716218