la polemica non è un male, è solo una forma di confronto crudo sincero, diciamo tutto quello che pensiamo fuori dai denti, e vediamo se riusciamo a far venir fuori le capacità di cui siamo portatori e spenderle per il Bene Comune.
Produrre, organizzare, trovare soluzioni,
impegnarci a far rete, razionalizzare e mettere in comune, attingere alle nostre risorse. CUI PRODEST?
Pensa cchiu' a chi o' dicè ca' a chello ca' dice
L'albero della storia è sempre verde
L'albero della storia è sempre verde
"Teniamo ben ferma la comprensione del fatto che, di regola, le classi dominanti vincono sempre perché sempre in possesso della comprensione della totalità concettuale della riproduzione sociale, e le classi dominate perdono sempre per la loro stupidità strategica, dovuta all’impossibilità materiale di accedere a questa comprensione intellettuale. Nella storia universale comparata non vi sono assolutamente eccezioni. La prima e l’unica eccezione è il 1917 russo. Per questo, sul piano storico-mondiale, Lenin è molto più grande di Marx. Marx è soltanto il coronamento del grande pensiero idealistico ed umanistico tedesco, ed il fondatore del metodo della comprensione della storia attraverso i modi di produzione. Ma Lenin è molto di più. Lenin è il primo esempio storico in assoluto in cui le classi dominate, sia pure purtroppo soltanto per pochi decenni, hanno potuto vincere contro le classi dominanti. Bisogna dunque studiare con attenzione sia le ragioni della vittoria che le ragioni della sconfitta. Ma esse stanno in un solo complesso di problemi, la natura del partito comunista ed il suo rovesciamento posteriore classistico, individualistico e soprattutto anti- comunitario" Costanzo Preve da "Il modo di produzione comunitario. Il problema del comunismo rimesso sui piedi"
Sommario: Cipro, Corea del Sud, Russia, Stati Uniti
Cipro
Il 25 febbraio il Presidente russo
Vladimir Putin e il Presidente cipriota Nicos Anastasiades hanno firmato
a Mosca una serie di accordi bilaterali di cooperazione nei settori
agricolo, commerciale, tecnologico energetico e della sicurezza. Per
quanto riguarda quest’ultimo l’aspetto, è stata concordata l’apertura
dei porti ciprioti alla Marina militare russa e si è discussa la
concessione di una base aerea a Cipro per le missioni di carattere
umanitario, di anti-pirateria ed anti-terrorismo. Le due nazioni
mantengono proficue relazioni diplomatiche da più di 50 anni,
consolidate dai forti investimenti russi attratti sull’Isola per il
favorevole regime fiscale (circa l’80% degli investimenti esteri a Cipro
è russo, pari al doppio del PIL cipriota), e dai consistenti aiuti
finanziari stanziati da Mosca nel 2011 per sostenere Cipro nel
superamento della crisi economica. Nonostante gli scambi commerciali tra
Mosca e Nicosia abbiano subito un calo per il crollo dei prezzi del
petrolio e per le contromisure adottate dalla Russia in risposta alle
sanzioni imposte dall’UE nel 2014, il presente accordo rinnova la
qualità del rapporto russo-cipriota aprendo una nuova fase di
cooperazione strategica. L’intesa ha una forte valenza militare per
la Russia, la cui unica base nel Mediterraneo è Tartus, in Siria,
difficile da utilizzare a causa del conflitto nel Paese. In questo
senso, Cipro rappresenta una alternativa più sicura per garantire il
supporto logistico alle unità navali del Cremlino. Per questa ragione,
la posizione strategica dell’isola potrebbe rafforzare l’influenza russa
nel Mediterraneo, anche in campo energetico. A tal proposito,
Anastasias ha invitato le aziende russe ad accedere all’industria
energetica di Cipro, attualmente dominata da aziende statunitensi, e
investire nei vasti e inutilizzati giacimenti di gas naturale offshore
contesi con Turchia e Israele. Inoltre, il miglioramento dei rapporti
russo-ciprioti potrebbe consentire al Cremlino di assottigliare la
quota dei Paesi europei votanti a favore di un inasprimento delle
sanzioni per il coinvolgimento nel conflitto in Ucraina. Appare
chiaro, dunque, che i migliorati rapporti intrattenuti dalla Russia sia
con Cipro che con Grecia e Ungheria, due alleati del Cremlino in Europa,
rischiano di produrre ulteriori divisioni all’interno dell’UE tra filo e
anti-russi.
Copertura pianificata fibra ottica Telecom: le novità
di Michele Nasi (06/03/2015)
Dopo aver presentato, nei giorni scorsi, il piano strategico per il triennio 2015-2017 (Telecom Italia: 3 miliardi per lo sviluppo della fibra ottica), l'ex monopolista continua ad estendere la copertura della rete in fibra ottica. L'obiettivo, infatti, è quello di raggiungere con la fibra ottica il 75% della popolazione italiana entro fine 2017.
Aggiornata la copertura pianificata in fibra ottica
Telecom Italia ha appena pubblicata, sul suo sito Wholesale, la copertura pianificata per l'offerta in fibra ottica. Gli sforzi maggiori sono concentrati sulla copertura di quante più località possibile utilizzando la soluzione FTTC (o FTTCab): si tratta infatti dell'approccio che permette di ampliare rapidamente la copertura in fibra ottica contenendo i costi. Con FTTC, infatti, la fibra ottica viene portata fino all'armadio stradale,
generalmente posto nelle immediate vicinanze dell'utenza da servire (di
solito in un raggio di 300 metri negli abitati). L'ultimo tratto di
collegamento, invece, resta invariato ed utilizza la tradizionale
connessione in rame (doppino telefonico).
Nel nostro articolo Copertura fibra ottica: quello che c'è da sapere, che abbiamo immediatamente provveduto ad adeguare, abbiamo pubblicato la copertura in fibra ottica Telecom aggiornata allo scorso 3 marzo. Estrapolando le informazioni dai fogli Excel distribuiti da Telecom, abbiamo stilato
l'elenco completo dei comuni attualmente raggiunti dalla fibra ottica e
la lista delle località pianificate, che saranno raggiunte entro maggio-giugno 2015.
Entro giugno coperte in fibra ottica 130 aree di centrale
Analizzando i documenti che Telecom ha pubblicato a questo indirizzo ci si accorgerà di come siano 130 le centrali telefoniche sulle quali sono attestati uno o più armadi stradali che saranno coperti con la fibra ottica. Sono invece 523 le aree di centrale già coperte con la fibra FTTC.
Dopo aver verificato, nel nostro articolo Copertura fibra ottica: quello che c'è da sapere,
se il proprio comune sarà tra quelli raggiunti dal servizio, si potrà
addirittura se e quando il proprio armadio stradale verrà adeguato e si
potrà quindi fruire di una connessione a banda ultralarga.
Per il momento i collegamenti FTTC in fibra ottica offrono 30 Mbit/s in downstream ma, come abbiamo spiegato nell'articolo Fibra ottica Telecom: come funziona e come si configura, è altamente probabile che presto possa avvenire un upgrade fino a 60 Mbit/s, un po´ come accaduto tempo fa nel caso delle ADSL.
Da
aprile 2015, infatti, gli abbonati al servizio fibra di Telecom FTTC
potranno eventualmente fruire di un collegamento ancora più veloce (50
Mbps in downstream e 10 Mbps in upstream) versando ulteriori 5 euro
mensili (opzione SuperFibra). Non tutte le utenze già raggiunte dalla fibra FTTC sono al momento compatibili con il servizio SuperFibra.
Nel Piano banda ultralarga una clausola "anti Telecom"
IL CASO
Si impedisce a un
"operatore integrato" (wholesale e retail) di essere il solo
destinatario dei contributi pubblici per la nuova rete. Un identikit a
cui sembra rispondere per l'appunto solo Telecom Italia, l'unico
operatore che ha partecipato alle gare banda ultralarga finora bandite
al Sud
di Alessandro Longo
Per il Governo non è possibile "ipotizzare il controllo integrale da
parte di un operatore integrato su tutta la nuova rete sovvenzionata con
aiuti pubblici". E' una clausola comparsa a sorpresa, con tante altre modifiche, nel nuovo piano banda ultra larga pubblicato (o forse dovremmo dire ripubblicato) ieri, dopo un pasticcio rivelato dal nostro giornale.
La clausola potrebbe essere sibillina ma agli addetti ai lavori è
chiarissima. "Il solo operatore integrato in banda ultra larga è ora
Telecom Italia, facendo offerte wholesale e retail (all'ingrosso e al
pubblico). E' anche il solo operatore a essersi presentato a tutte le gare banda ultra larga finora fatte in Italia, cioè al Sud (di conseguenza, le ha vinte tutte)", spiega una fonte vicina agli autori del piano.
Quella clausola vorrebbe insomma evitare che Telecom Italia diventi
assegnatrice unica dei finanziamenti pubblici previsti dal piano.
Sembra spingere insomma a favore di una società delle reti o di un
operatore come Metroweb (che fa solo wholesale). E' di nuovo un modo per
sostenere un'idea che sembrava tramontata con le polemiche della scorsa
settimana, cioè la nascita di Ring, società pubblica con cui fare la
nuova rete (ipotesi inclusa in un documento, ancillare al piano, ma mai
arrivato a una fase di ufficialità).
Non è chiaro però come il Governo (nella fattispecie: Infratel) possa
tradurre la clausola nelle future gare con i 6 miliardi di euro dei
fondi 2014-2020. Sembra impraticabile, dalla normativa, escludere un
operatore da una gara solo perché ha vinto le altre.
Il piano giustifica questa presa di posizione con l'idea che la
normativa europea vede di cattivo occhio gli "operatori integrati"
(infatti il nuovo paragrafo rientra nel capitolo "I vincoli comunitari:
cosa non è possibile fare"). E' vero che per l'Europa è preferibile una
vittoria, alle gare, da parte di un operatore non integrato, solo
"wholesale" o da una società delle reti; l'assunto è infatti che questa
figura è più interessata a generare concorrenza a valle, tra una
moltitudine di operatori retail, rispetto a un operatore integrato.
Di fatto, finora le gare banda ultra larga e banda larga sono state
formulate dando un punteggio maggiore a operatori non integrati. Forse
le nuove gare si limiteranno a seguire questa formula e la clausola
resterà lettera morta.
Un'altra novità che potrebbe non piacere a Telecom Italia è la scomparsa della quantificazione dei voucher a
incentivo della domanda. Nel testo originario (andato in consultazione)
non c'era una cifra, poi comparsa in quello pubblicato martedì: 1,7
miliardi di euro. Adesso il testo è di nuovo generico. La
quantificazione dei voucher servirebbe a puntellare il valore degli
asset in rame Telecom nel momento in cui sarà prevista la migrazione
alla fibra ottica.
Al momento non è prevedere se le risorse in gioco siano comunque tali
da permettere al Governo di ritagliare una cifra adeguata per i voucher
in un secondo momento. Le ultime modifiche al piano fanno pensare che le
polemiche sulla governance della rete siano tutt'altro che sopite.
I leader della NATO vorrebbero una “rivoluzione colorata” anche in Russia
venerdì, 6, marzo, 2015
Le ultime dichiarazioni del vice capo della NATO testimoniano il
fatto che i leader del blocco vogliono intervenire nella politica
interna della Russia e sognano una Maidan russa. (ovvero uno dei soliti
colpi di stato organizzati con ONG anti-nazionali compiacenti e
strapagate La tecnica delle ”rivoluzioni colorate” per innestare i banditi prescelti dall’Occidente)
Questa è la sensazione dell’inviato permanente della Russia alla NATO. (RT)
“Il discorso di Riga dimostra la preoccupazione per la democrazia
della Russia e la politica interna. Finalmente, ora sappiamo che la NATO ha un sogno e questo sogno è una Maidan in Russia “, ha detto Aleksandr Grushko in un commento che è stato twittato attraverso l’ufficio di rappresentanza russa nell’alleanza.
Grushko si riferisce alle parole del vice segretario generale della
NATO, Alexander Vershbow, che aveva detto in una conferenza nella
capitale lettone Riga che “obiettivo del presidente Vladimir Putin
sembra essere quella di trasformare l’Ucraina in uno stato fallito e di
voler sopprimere e screditare voci alternative in Russia, in modo da
evitare una ‘Maidan.’ “Entrambi i funzionari hanno usato la parola
ucraina ‘Maidan’ per descrivere una serie di azioni di protesta
che si trasformano in disordini di massa e finiscono con la cacciata del
presidente e del parlamento legittimamente eletto. (Film già visto in Ucraina, ma anche in Italia.) Soros alla CNN: “ho giocato un ruolo importante negli eventi in Ucraina” Soros: “e’ VERO, ho finanziato il colpo di stato in Ucraina”
“Per demonizzare la Russia, la NATO crea una realtà virtuale, si
scollega dalle reali minacce alla sicurezza”, ha detto l’inviato russo.
Grushko ha aggiunto che la NATO utilizza una “guerra ibrida” contro
gli Stati esteri e ora sta cercando di accusare la Russia di questa
guerra in Ucraina.
“La NATO ha una lunga storia di operazioni ibride. Abbiamo visto in
precedenza questi segni di intimidazione militare, il coinvolgimento
nascosto, le forniture di armi, il ricatto economico, la doppiezza
diplomatica, manipolazioni mediatiche e aperta disinformazione”, ha
dichiarato l’inviato russo. “L’affermazione fatta a Riga è un altro
insieme di argomenti diretti solo a giustificare l’atteggiamento
conflittuale della NATO in Russia”, ha detto.
“Non è probabile che la NATO abbia il diritto di considerare se
stessa come l’unica fonte di verità. L’alleanza si è già ripetutamente
screditata diffondendo false informazioni sia sul suo comportamento che
sulle azioni degli altri “, ha detto in conclusione Grushko ed ha
aggiunto “Non molti seguiranno il consiglio della NATO di tornare ai
tempi della guerra fredda”.
Nel mese di ottobre dello scorso anno, Grushko ha esortato le nazioni
occidentali a riconoscere le loro colpe politiche e migliorare le
relazioni con la Russia.
“Bisogna riconoscere che le politiche occidentali degli ultimi anni
segnano linee di demarcazione sempre più profonde tra la Russia e
l’Europa, e questo è estremamente pericoloso”, ha detto il diplomatico
russo. “L’Occidente deve finalmente riconoscere il fatto che
l’attuazione meccanica delle sue politiche recenti sta portando in un
vicolo cieco.”
Il confronto tra due documenti governativi sul piano per la banda larga svela alcune differenze...
A ottobre le prime indiscrezioni. Poi la strategia del governo per
sviluppare la banda larga nel nostro Paese, in netto affanno rispetto al
resto dell’Europa, ha iniziato a prendere forma in un documento che è
stato posto in consultazione pubblica per due mesi a partire dal 20
novembre (leggi qui i suggerimenti giunti da Ray Way e Metroweb in fase di consultazione).
Forte dell’apporto della consultazione la bozza del governo è giunta
martedì 3 marzo in Consiglio dei ministri nella sua versione ufficiale
consultabile sui siti di Palazzo Chigi, del ministero per lo Sviluppo
economico e dell’Agenzia per il digitale.
Il piano da 6 miliardi di risorse pubbliche, a cui si aggiungeranno
gli investimenti privati, consentirà di portare al 2020 almeno il 50%
delle famiglie italiane a un servizio a 100 megabit/secondo (con l’85%
collegabile) e il 100% al almeno a 30 megabit, così come stabilito
dall’Agenda europea.
Di ufficiale però in quel documento datato 3 marzo c’è stato ben
poco. Un nuovo file, datato 3 marzo ma salvato con la scritta “4 marzo”,
ha sostituito il precedente limando alcuni aspetti e inserendo nuovi
aspetti non secondari. COSA NON SI PUO’ FARE
Basta scorrere velocemente l’indice delle due versioni per notare un nuovo paragrafetto dal titolo: “Vincoli comunitari. Cosa non è possibile fare”. Ecco il paragrafo inserito ex novo:
“Il quadro regolatorio definito dall’UE per iniziative come
l’infrastrutturazione in banda ultralarga di questo Piano, definiscono
alcuni vincoli che è bene avere presente per avere un realistico quadro
della situazione nel suo complesso. All’interno di questi vincoli non è
possibile: Assegnare contributi o incentivi ad un operatore senza
procedura di evidenza pubblica; Definire sistemi di assegnazione di
contributi che non garantiscano neutralità tecnologica e una vera
apertura alla concorrenza; Ipotizzare il controllo integrale da parte di
un operatore integrato su tutta la nuova rete sovvenzionata con aiuti
pubblici; Non garantire ex-ante che le reti incentivate possano essere
aperte e offerte in condizioni di parità di accesso a tutti gli
operatori; “Non rispettare gli «Orientamenti Comunitari» per tutti gli
interventi pubblici in materia di banda larga”. PASSAGGIO A DISCREZIONE DELL’OPERATORE ALL’INGROSSO
Tra i modelli di intervento infrastrutturale è comparsa invece la
possibilità “di prevedere il rifiuto di accesso alle infrastrutture
passive per proteggere gli investimenti fatti” in caso il modello di
business con cui viene realizzato l’intervento fosse wholesale-only.
Misura che permetterebbe quindi agli operatori all’ingrosso come
Metroweb di decidere discrezionalmente se permettere il passaggio sulle
proprie infrastrutture. NON VENGONO PIU’ DEFINITI GLI INCENTIVI ALLA DOMANDA
Stimati per 1,7 miliardi (“Il fabbisogno utile è stimabile
nell’ordine di 1,7 miliardi di euro”, era scritto nella prima versione)
gli incentivi alla domanda, perdono tale quantificazione e vengono
limitati esclusivamente alla migrazione dal rame alla fibra ottica. OLTRE I 100 MEGA
Nel capitolo “Gli strumenti del Piano”, un nuovo paragrafo indica
inoltre la necessità di incrementare “le sottoscrizioni a Internet con
collegamenti a più di 100 mega fino a raggiungere almeno il 50% della
popolazione”. L’integrazione di questo elemento potrebbe essere
interpretata come un vantaggio per chi utilizzerà la tecnologia Ftth, al
momento l’unica in grado di garantire oltre 100 mega di velocità. L’ANALISI DEL CORRIERE DELLA SERA
Che significano per le maggiori aziende del settore le integrazioni apportate? Ecco quanto scrive oggi Federico De Rosa, giornalista del Corriere della Sera: “Il
senso è semplice: Telecom Italia non potrà godere di incentivi o
contributi pubblici a meno che non separi la rete. Un vincolo non
indifferente, oltreché spinoso come tutte le vicende che riguardano la
rete di Telecom. È stato introdotta anche una clausola «wholesale only»
che consente a chi realizza la rete per vendere connettività
all’ingrosso «la possibilità di prevedere il rifiuto di accesso alle
infrastrutture passive per proteggere gli investimenti fatti».
Prerogativa di cui godrebbe per esempio Metroweb, che avrà piena
discrezionalità nel concedere il passaggio sulle proprie infrastrutture
(canaline, cavi), ma non Telecom poiché vende connettività sia
all’ingrosso sia ai singoli clienti residenziali“. Qui la prima versione del piano nazionale del governo Qui la versione aggiornata
“Renzi
è fedele all’alleanza atlantica e al rapporto privilegiato con gli Stati Uniti,
ma nello stesso tempo rivendica l’autonomia dell’Italia in politica estera”. E’
l’analisi di Giulio Sapelli, professore di Storia economica nell’Università
degli Studi di Milano, secondo cui “più che con Berlusconi, l’attuale premier è
in linea con la migliore tradizione Dc, a partire da La Pira che in piena
guerra fredda si recò in Vietnam per incontrare Ho Chi Minh”. Ieri Matteo Renzi
è stato a Mosca per un faccia a faccia con Vladimir Putin. Il presidente del
Consiglio ha sottolineato di sperare “molto nell'aiuto che il presidente Putin
e la federazione russa possono dare nel Consiglio di sicurezza, perché il ruolo
della Russia nella questione libica, anche alla luce dei legami storici tra
Russia ed Egitto, può essere molto importante”.
Professor
Sapelli, Renzi che vola in Russia da Putin non fa venire in mente i tempi in cui
il premier era Berlusconi?
Il
punto è che la Russia rimane sempre la Russia, anche se è vero che Renzi ha
stabilito una continuità con la politica estera di Berlusconi. Il fatto però è
un altro. A Riga, alla riunione dei presidenti delle commissioni Esteri dei
Parlamenti europei, la questione Mediterraneo non era neanche all’ordine del
giorno. Questa Europa è tutta sbilanciata sulla Germania e sul Nord,
dimenticando così di essere una potenza mediterranea.
Che
cosa c’entra Putin con tutto ciò?
Renzi
ha riconosciuto a Putin un ruolo geopolitico euroasiatico. Anche perché non può
fingere di ignorare che senza la Russia Assad sarebbe stato rovesciato. Ciò
avrebbe portato a un pericolo per Israele e a una somalizzazione ancora più
accentuata in Siria.
Quali
sono le priorità in Nord Africa?
In
Libia c’è la necessità di opporsi alla spregiudicata politica anti-italiana di
Francia e Regno Unito. Non dimentichiamo che la prima visita che Renzi ha fatto
è stata alla Tunisia. Una scelta che condivido, perché ha fatto capire che
l’Africa del Nord e l’islam possono esprimersi in Stati solidi come Tunisia ed
Egitto. E’ normale quindi che una potenza mediterranea come l’Italia cerchi un
appoggio in Russia, non solo per stabilizzare i Paesi del Nord Africa, ma anche
per difendere i nostri interessi.
Come vede la partita dell’energia nei colloqui tra Renzi e Putin Spero che Renzi abbia rassicurato Putin sul fatto che cercheremo di farla finita con l’odio ideologico della Commissione Ue contro il colosso russo Gazprom. La politica
europea verso la Russia è ingiusta e punitiva. Bisogna fare uscire Mosca
dall’isolamento in cui è stata cacciata dalle politiche delle amministrazioni
Usa successive a Bush padre. Quest’ultimo aveva fatto un patto con Eltsin che
la Nato non sarebbe avanzata nell’Est Europa, mentre ora l’Alleanza Atlantica
arriva fino ai confini con la Russia.
Come
si colloca l’Italia di Renzi tra Russia e Stati Uniti?
Renzi
è fedele all’alleanza atlantica e al rapporto privilegiato con gli Stati Uniti.
Ha però l’intelligenza di capire che gli Usa attraversano una gravissima crisi
di orientamento strategico, soprattutto perché hanno abbandonato i principi
della Pace di Westfalia per abbracciare la follia dell’intervento umanitario.
Quale
ruolo può giocare il nostro Paese su questo scacchiere?
Il
premier italiano è consapevole di ciò che rimane della nostra grande tradizione
diplomatica. L’Italia ha una sua tradizione che è di fedeltà agli Stati Uniti
ma nella sua autonomia. Non dimentichiamoci che nei tempi del patto atlantico,
Giorgio La Pira si recò in Vietnam per parlare con Ho Chi Minh.
E’
questa la tradizione di Renzi?
Renzi
prosegue una politica estera che è stata interpretata nel modo più alto dalla
Dc, nonché dallo stesso Craxi. Sappiamo bene quali difficoltà Craxi e Andreotti
abbiano avuto con il presidente Reagan rispetto alla Libia di Gheddafi.
Che
cos’altro l’ha colpita di questa visita?
Mi
ha molto colpito anche il fatto che Renzi abbia scelto di deporre sei rose
sulla tomba di Boris Nemcov. Quella di Renzi ha Mosca mi è sembrata una visita
piena di intelligenza, e spero che arriveranno i risultati.
E
se questa fuga in avanti del governo fosse tutta una montatura? Una specie di
enorme soufflé tecnologico-finanziario destinato a sgonfiarsi? Dopo aver visto
il topolino partorito dalla montagna di una settimana di polemiche,
l'interrogativo è d'obbligo. Già, perché il consiglio dei ministri di martedì -
che dalle prime indiscrezioni gradite, se non lasciate trapelare, dagli stessi
uffici di Palazzo Chigi, doveva licenziare addirittura un decreto legge per
imporre lo "spegnimento" della rete in rame di Telecom Italia tra una
decina d'anni a favore di una nuovissima rete tutta in fibra ottica - si è
limitato in realtà a discutere nient'altro che un piano d'intenti. Intenti
ambiziosi, per carità: 6 miliardi di investimenti per cablare sul serio
l'Italia entro il 2030, di cui 4 forniti dall'Europa e solo 2 dalle casse
nazionali, opportuna e rincuorante partecipazione, ammesso e non concesso che
l'Europa dica sì.
Ma
le certezze si fermano qui. Perché per ora il governo non ha detto chi, come,
quando e perché dovrebbe assumersi la responsabilità di realizzare la rete, a
chi apparterrebbe, chi la gestirebbe, eccetera. Tutte le trattative tra governo
da un lato e operatori dall'altro intrecciatesi negli ultimi dieci anni non
sono riuscite a venire a capo di questi nodi di base. Che sono ancora tutti lì,
intatti.
Giusto
per amor di chiarezza, cerchiamo di riepilogare i termini della questione. Che
la banda larga sia una risorsa indispensabile è vero, e che l'Italia in
vent'anni sia retrocessa da una posizione di avanguardia in materia a una di
retroguardia in Europa è altrettanto vero. Dopo di che i veri ostacoli alla
diffusione maggiore della banda larga sono stati finora i seguenti:
1)
la configurazione orografica del nostro Paese, insomma "com'è fatto",
con tante distanze, tanti dislivelli, tantissimi piccoli centri isolati, dove
non è facile, né economico portare materialmente i cavi della fibra ottica:
costa troppo, più di quanto può essere ripagato dai clienti;
2)
la domanda effettiva di banda da parte dei cittadini e delle imprese che è
ancora torpida, e giustamente le imprese private investono i propri soldi solo
quando sanno di poterne poi ricavare vantaggi;
3)
Il fatto che la rete fissa di telecomunicazioni appartiene ancora per l'80%
della sua estensione a un solo operatore, Telecom Italia, che ha il 65% del
mercato, cioè una posizione di assoluto monopolio, e non vuole privarsene
perché, a dispetto di tutte le leggi che imporrebbero un'assoluta
"simmetria" di condizioni economiche di utilizzo tra la stessa Telecom,
proprietaria della rete, e i suoi concorrenti che devono da Telecom affittare
il diritto d'uso della rete, questa simmetria non c'è. Nei fatti, insomma,
Telecom, essendo proprietaria della rete, se la tiene ben stretta perché,
secondo le accuse dei suoi concorrenti, la usa per accaparrarsi vantaggi
competitivi contro i rivali.
4)
Telecom, inoltre - e non per colpa della sua attuale gestione ma per le
responsabilità di una privatizzazione fata male da Prodi, Ciampi e Draghi nel
'96, di un'Opa sciagurata autorizzata da D'Alema e di ulteriori discutibili
gestioni - è carica di oltre 25 miliardi di debiti che le costano tanti soldi
(e meno male che i tassi oggi sono bassi, ma fino a quando?) e quindi non può
investire i soldi che sarebbero necessari per farla lei, da sola, la rete a
banda larga.
Per
questo il governo scende in campo: dice, in sostanza, Renzi che, siccome
l'iniziativa privata di Telecom e dei suoi concorrenti non basta ad assicurare
al Paese la rete che servirebbe, deve intervenire lo Stato. Bravo: ma della
rete Telecom che entra in tutte le case cosa ne facciamo? Lo Stato se la compra
per potenziarla, la lascia in Telecom e connette la propria a quella
preesistente (ma allora con quali regole di gestione) o cos'altro fa?
Nessuno
lo sa. Il coraggio di "espropriare" la rete Telecom, pagandola
s'intende, Renzi per ora non ce l'ha. Non ha quello di finanziare Telecom
imponendole, in cambio, nuove condizioni gestionali della rete. E quindi fa
melina, riempendo i giornali con titoli altisonanti quanto vuoti.
Il capo economista di Allianz snocciola le previsioni
mentre il Brent resta sopra i $60 su notizie provenienti da Libia, Iraq e
su accordo nucleare iraniano.
Nelle ultime sette settimane il Brent è risalito dai minimi dei sei anni attorno a quota 45 dollari fino a superare i 60 dollari al barile.
NEW YORK
(WSI) - Dopo un lungo periodo di stabilità, a partire dalla scorsa
estate i prezzi del petrolio hanno intrapreso un viaggio verso il basso
che, in poco più di sei mesi, ha portato i livelli delle quotazioni a
dimezzarsi. Nelle ultime settimane però qualcosa è cambiato. Il mercato –
come scrive Mohamed A. El-Erian, capo economista di Allianz, in
articolo su Bloomber, sta lavorando sulla creazione di un piano che
consenta ai prezzi del greggio di riguadagnare parte del terreno
perduto. Anche così – nota El Erian - è improbabile che possano tornare
ai 100 dollari al barile nel breve periodo.
Ma cosa succederà nel resto dell’anno? Secondo le previsioni dell’ex ceo
di Pimco, escludendo grandi scossoni di natura geopolitica sono tre le
tendenze prevalenti per i prezzi del petrolio nel corso del 2015. Le
attese sono per un continuo consolidamento, anche se all’insegna della
volatilità con una tendenza verso l’alto nel corso dell'anno. In secondo
luogo, va escluso un ritorno dei prezzi a 100 dollari. In terzo luogo, i
produttori a basso costo di petrolio e di prodotti energetici
tradizionali espanderanno la propria quota di mercato.
Nonostante la cautela odierna dovuta al mancato accordo sul programma di
sviluppo nucleare di Teheran, le quotazioni del greggio Brent
continuano la risalita, mantenendosi sopra sopra i 60 dollari al barile
in seguito alla decisione dell'Arabia Saudita di ritoccare verso l'alto i
prezzi.
In una mossa vista come un segnale di fiducia dell'Arabia Saudita in una
ripresa della domanda, il paese cardine dell'Opec ha aumentato ieri i
prezzi di vendita ufficiali per le sue forniture di petrolio in Asia e
negli Stati Uniti. "Questo è un segnale che i prezzi hanno toccato il
fondo, perché significa che l'Arabia Saudita è fiducioso di potere
aumentare i prezzi senza avere paura di perdere quote di mercato", ha
detto Tony Nunan, risk manager a Mitsubishi a Tokyo.
Nelle ultime sette settimane il Brent è risalito dai minimi dei sei anni
attorno a quota 45 dollari fino a superare i 60 dollari al barile
nonostante i continui timori sull'eccesso di capacità produttiva a
livello globale. (mt)
Isis, allarme del New York Times: "Attenzione all'Iran"
Il
quotidiano della Grande Mela contro il "paradosso" che emerge dalla
guerra al terrorismo del governo Obama: "Teheran oggi è alleato, ma al
tempo stesso nemico"
Redazione 5 marzo 2015
NEW YORK (USA) - Un alleato nella lotta contro l'Isis, ma pur sempre un nemico da cui difendersi. E' il paradosso emerso nelle ultime settimane negli Stati Uniti a proposito dei rapporti con l'Iran:
da una parte, il presidente Barack Obama deve gestire le pressioni del
partito repubblicano contro la repubblica islamica, con cui sta cercando
di concludere un accordo sul programma per impedire che abbia un'arma
nucleare, criticato ancor prima della stipula; dall'altra, la Casa
Bianca sta diventando sempre più dipendente dai combattenti iraniani
nella lotta contro gli estremisti dell'autoproclamato Stato islamico in
Iraq e Siria. A parlarne è il New York Times.
Nei quattro giorni in cui le milizie iraniane guidate dal generale Qassem Suleimani si sono unite ai soldati iracheni per riconquistare la città di Tikrit, in Iraq, i funzionari americani hanno ribadito di non essersi coordinati con l'Iran,
nella lotta contro il nemico comune. "Tecnicamente sarà pure vero", ma
gli Stati Uniti stanno controllando da vicino la guerra che l'Iran
conduce parallelamente contro l'Isis, anche per evitare "conflitti"
nelle loro attività. Il risultato, secondo molti esperti di sicurezza
nazionale interpellati dal New York Times, è che il coinvolgimento di Teheran sta aiutando gli iracheni a tenere la linea,
finché gli americani non finiranno di addestrare nuove forze irachene.
L'opinione più diffusa tra gli esperti è che la strategia statunitense
sia stata finora un successo in gran parte grazie all'Iran, il cui
intervento è stato decisivo in molte battaglie. Il rischio, però, è che l'Iran guadagni un peso eccessivo in Iraq:
giorni fa, il Washington Post ricordava che, dove una volta c'era la
statua di Saddam Hussein, a Baghdad, ora c'è il ritratto del leader
iraniano Ruhollah Khomeini. "Niente illustra meglio - commentava il
quotidiano - la trasformazione in atto in Iraq". Uno dei timori è che le
milizie sciite possano rendersi colpevoli di atrocità contro i sunniti,
di cui già recentemente sono state accusate.
Femminismo e ideologia gender, le differenze necessarie
Paola Ricci Sindoni
5 marzo 2015
(Fotogramma)
Per
molte femministe radicali il prossimo 8 marzo segnerà la fine del
secolare movimento di emancipazione della donna. È infatti in questi
giorni che verrà presentata ufficialmente all’Onu la richiesta che il
movimento femminista venga inglobato, insieme alle associazioni Lgbtq,
nel quadro teorico e pratico del "sistema gender". Costoro si dicono
infatti convinte che solo mediante l’annullamento "ideologico" del corpo
sessuato si potrà giungere all’uguaglianza con l’uomo e, dunque, alla
fine dell’intollerabile supremazia del maschio.
Il loro argomentare sembra, a una prima rapida occhiata, del tutto
legittimo: è giusto procedere allo sviluppo della propria realizzazione
personale e sociale, senza che questa venga bloccata in nome
dell’identità sessuale. Che alla presidenza della Rai o della Camera ci
sia una donna o un uomo è irrilevante, l’essenziale è che sia
all’altezza del compito, al di là e oltre la sua fisionomia biologica.
Tanto vale non tenere conto più di questa desueta distinzione; la
differenza sessuale, insomma, è ormai solo una definizione naturalistica
che non contiene più uno spessore culturale; eliminiamola perciò per
non ricadere in vecchi stereotipi.
Questa idea sembra
persuasiva, se è vero che molte femministe, anche di area cattolica, la
guardano con interesse, non accorgendosi però che siamo in tal modo già
dentro il progetto teorico del "gender", che di certo ha nel cassetto
ben altri obiettivi...
Vale la pena, a questo punto, chiarire il tragico malinteso: un conto è
la richiesta di parità nei diritti e nei doveri sancita dalla nostra
Carta costituzionale e da altre importanti Leggi fondamentali e
Dichiarazioni (purtroppo ancora deficitaria in molte zone del pianeta),
un conto è pretendere una uguaglianza tra i sessi, che è improponibile
sia sul piano teorico sia su quello pratico. Le teorie del "gender",
confondendo i due diversi registri, finiscono per irretire le
femministe, facendo il gioco di quanti costruiscono in modo fittizio
nuovi modelli culturali, improntati sull’eliminazione della differenza e
sulla proclamazione del "pensiero unico", quello che appiattisce
l’umano alla sola – tragica – dimensione dell’essere vivente in continua
evoluzione.
Ben venga perciò l’iniziativa di varie associazioni cattoliche del
mondo, che – in risposta a questa manovra ideologica – hanno predisposto
una Dichiarazione – Statement of the Women of the World – che oggi, 5 marzo, verrà presentata al Comitato sulla condizione della donna dell’Onu.
In
essa vengano ribadite e argomentate alcune idee guida sostenute dal
principio antropologico della differenza, dove la pratica della
reciprocità fra i sessi viene argomentata e colta come fondamento
dell’autentica cultura femminista. Che non può annullare il valore
della famiglia, della maternità e del lavoro invisibile e fuori mercato
della donna all’interno della cura prioritaria della dimora familiare e
che si apre al lavoro fuori casa, quando questo non divenga lesivo
della sua realizzazione personale. In tale contesto, questa
Dichiarazione chiede anche: il riconoscimento e il rispetto universale
dell’identità femminile e della sua dignità e parità con l’uomo; nuove
politiche internazionali a difesa della libertà di scelta della donna
rispetto alla cura della famiglia, il che implica una vera conciliazione
della vita familiare e lavorativa.
La Dichiarazione indica
anche l’esigenza di un quadro internazionale di politiche di tutela per
le donne lavoratrici che desiderano avere figli o che si dedicano, in
modo esclusivo o parziale, alla cura e all’attenzione per la famiglia e
l’eliminazione di qualsiasi forma di discriminazione nei loro confronti.
Sostiene con forza che la nuova forma di sfruttamento del corpo
femminile attraverso la maternità surrogata deve essere colta come una
violazione della dignità sia della madre sia del bambino. Si tratta
di un modo diretto e risoluto per ribadire che la differenza fra i
sessi, la maternità e la famiglia sono ancora e sempre in tutto il mondo
princìpi antropologici di grande spessore culturale, capaci di segnare
il carattere di ogni civiltà. Diverse per leggi e costumi, ma
ugualmente decise a contrastare le derive nichiliste di ideologia
fragili e violente.
Proseguono gli approfondimenti di Formiche.net sul piano governativo
per la Banda ultra larga. Ecco la conversazione con Stefano da Empoli,
economista alla guida dell’Istituto per la competitività, che tra
l'altro sulle risorse del piano Juncker dice di andarci cauti...
La cornice tracciata dal premier Matteo Renzi e dal ministro Federica Guidi durante l’ultimo Consiglio dei ministri che ha varato la strategia per la banda ultra larga per centrare gli obiettivi dell’Agenda europea non può prescindere dal futuro di Metroweb. E’ una delle considerazioni dell’economista Stefano da Empoli, presidente di I-Com e docente nell’Università Roma Tre. I PUNTI POSITIVI
Il giudizio dell’economista sul piano è positivo sotto vari
aspetti: “Innanzitutto per aver ragionato insieme sulla domanda e
sull’offerta, cosa mai fatta negli ultimi anni nel settore delle
telecomunicazioni e per aver recuperato una cabina di regia che dovrebbe
essere, o fare capo, a Palazzo Chigi”, dice da Empoli in una
conversazione con Formiche.net. E alle critiche
giunte al piano del governo risponde definendolo “il migliore sforzo” a
sua memoria mai fatto da un governo su banda larga e dintorni. E
soprattutto “un buon compromesso rispetto alle versioni della strategia
circolate nei giorni precedenti”. LE CRITICITA’
La cornice iniziale va nella giusta direzione, osserva da Empoli, ma
alcune criticità tecniche e burocratiche e un dossier in stallo
rischiano di compromettere la realizzazione del piano del governo.
“Ancora oggi ci sono degli ostacoli di carattere burocratico che
limitano la realizzazione da parte degli operatori del settore degli
interventi a favore della digitalizzazione del Paese. Mi riferisco alla
normativa relativa ai limiti elettromagnetici, ma anche alla disciplina
contenuta nel Decreto del Ministero dello sviluppo economico noto come
“Decreto Scavi”, che impone ancora l’utilizzo di tecniche e materiali
obsoleti per gli scavi, tali da rendere insostenibili i costi di
intervento per gli operatori”. IL NODO METROWEB
Ma tra i fattori in grado di condizionare fortemente lo sviluppo delle reti in Italia Da Empoli inserisce il dossier Metroweb.
A Metroweb, la società controllata dal fondi di investimenti F2I (partecipato dalle banche e con una quota del 53%) e dalla Cassa depositi e prestiti tramite il Fondo strategico,
si deve l’unica rete diffusa in fibra ottica a Milano. Ed è proprio su
Metroweb che si è concentrata l’attenzione del governo con l’obiettivo
di farne una grande società mista pubblico-privata, con l’azionariato
aperto agli investimenti in fibra dei grandi operatori telefonici:
“Vogliamo partecipare attraverso aumenti di capitale con una quota
rilevante nel veicolo che sarà individuato, in una partnership
pubblico-privato, in cui nessun operatore, né noi né altri, dovrà avere
la maggioranza, e con la presenza di un soggetto “terzo”, come la Cassa
depositi e prestiti, in un ruolo di guida e di garanzia”, ha detto
recentemente l’ad di Vodafone Aldo Bisio. Favorevole anche Wind, mentre Fastweb è già azionista di Metroweb Milano.
Sempre ostile invece all’ipotesi del condominio è Telecom, interessata ad investire, ma a patto di detenere la maggioranza del 51%. LE ULTIME DA GIACOMELLI
“Credo che ci siano ancora margini per un accordo”, ha detto oggi a Il Sole 24 ore il sottosegretario alle Comunicazioni, Antonello Giacomelli,
parlando della possibilità di raggiungere un’intesa con Telecom Italia
su Metroweb. Il sottosegretario ha parlato di una rete “unitaria, neutra
ed aperta a collaborazioni e sinergie di tutti gli operatori
interessati”, definendola come “condizione ideale”. E a suo avviso non
sarebbe necessaria la costituzione di una newco: “Il veicolo può essere
Metroweb”, ha risposto al Sole. UN FRENO PER GLI INVESTIMENTI
“È dovere delle istituzioni assicurare velocemente una stabilità nel
settore – osserva in merito da Empoli -. Pena il ritardo e l’incertezza
degli investimenti”.
E il futuro di Metroweb incide non poco sul modello di investimento da
adottare: “Un conto è avere una Metroweb sposata con un solo operatore,
un conto è che diventi condivisa da tutti gli operatori”, spiega il
presidente di I-Com, che aggiunge: “Nonostante il recupero nel 2014
degli investimenti sia sul fisso che sul mobile, tali incertezze
rischiano di ritardare gli obiettivi ambiziosi di alcuni operatori”. PERICOLO SCAMPATO
Il dibattito dei giorni precedenti al varo della strategia del
governo si è focalizzato sull’indebitamento di Telecom Italia e su una
possibilità che ha fatto infuriare l’ex monopolista, ovvero la
definizione di un termine entro il quale procedere alla definitiva
dismissione della rete in fibra di rame, quella sulla quale attualmente
transita la gran parte delle connessioni, ad esclusivo vantaggio della
fibra ottica. Elementi però che non hanno trovato spazio né nelle bozze
del decreto, né nell’ordine del giorno del consiglio dei ministri.
“C’è stata una buona mediazione rispetto ai timori dello swich off del
rame circolati nei giorni precedenti e che avrebbe potuto rivelarsi
piuttosto sgradevole – commenta da Empoli -. Essere scampati a questa
possibilità ha risolto sicuramente uno degli elementi di incertezza che
tuttora permangono”. FIBRA VS RAME
Il governo nella versione definitiva del documento ha deciso di
lasciare quindi agli operatori la scelta della tecnologia più efficace.
“Il rame può essere velocizzato ma ha dei limiti maggiori rispetto
alla fibra. Laddove è possibile, quindi, è bene procedere con la fibra,
che certamente rappresenta la tecnologia del futuro”, spiega
l’economista.
“Ma bisogna ragionare con le risorse che abbiamo a disposizione e i
limiti insiti al nostro Paese. Per centrare gli obiettivi richiesti
dall’Europa si dovrà quindi inevitabilmente optare per l’utilizzo di un
mix di tecnologie”. FONDI INCERTI
Il piano di investimenti pubblici si baserà anche sulle risorse del Piano Juncker, secondo l’esecutivo.
“Viste le incertezze del Piano Juncker
per rilanciare l’economia europea, averlo evocato tra gli investimenti
per la banda larga non appare prudente . Se mai tale piano vedrà la
luce, ho qualche dubbio sulla copertura finanziaria necessaria”,
commenta da Empoli. I TERMINI
L’ultimo indice elaborato dalla Commissione europea sul grado di
digitalizzazione dell’Italia, ci colloca quartultimi nella classifica a
ventotto davanti a Grecia, Bulgaria e Romania, penultimi se il giudizio
si restringe a connettività e accesso alla rete.
“La strategia del governo dovrà trasformarsi in piano operativo entro
sei mesi. Non si può andare oltre se vogliamo recuperare il gap con il
resto dell’Europa”, conclude il presidente di I-Com.
Fatti, ricostruzioni e indiscrezioni a latere del piano governativo
sulla banda ultra larga che nella versione definitiva cela un siluro...
Tutto bene quel che finisce bene sulla banda ultra larga? Pare proprio di sì, secondo un esperto pacato come l’economista Stefano da Empoli, presidente di I-Com. Speriamo che abbia ragione lui quando intravvede, sentito dalla collega Valeria Covato,
un serio impegno da parte del governo Renzi, ben superiore rispetto
agli sforzi di altri governi. Speriamo solo che si passi dalle parole ai
fatti, come auspicato su Formiche.net dall’ex commissario Agcom, Stefano Mannoni.
Perché di parole e numeri negli ultimi 15 anni i cronisti come il
sottoscritto ne hanno masticati troppi, fino all’indigestione.
Ma una certa arietta festosa deve indurre a qualche cautela. Specie
in chi, tra i turbo liberisti, ha rimarcato con enfasi la dottrina
governativa spiegata dal ministro dello Sviluppo economico, Federica Guidi,
sulla neutralità tecnologia. Ovvero: il governo indica gli obiettivi di
copertura della banda larga per far risalire l’Italia nelle classifiche
sull’arretratezza digitale, ma non dice agli operatori quale tipo di
fibra ottica devono posare, se FTTC (fino al cabinet sotto casa), FTTH
(fino a casa) o altre sigle astruse ai più.
Poi però si scopre che al di là della dottrina ci sono i soldi. E lo
Stato metterà un po’ di miliarducci – circa 6,5 – affinché anche i
privati ne mettano dello stesso importo per fare gli investimenti
necessari a centrare gli obiettivi governativi.
Certo, l’esecutivo non è stato invasivo, come auspicava qualcuno e come invece temeva Telecom Italia, nell’imporre lo switch off
tra rete fissa in rame di Telecom e la fibra ottica fino alle case,
come auspicava un documento abbozzato dal vicesegretario generale di
Palazzo Chigi, Raffaele Tiscar, bollato dal Corriere della Sera
addirittura come “talebano”. Talebano perché, secondo l’ex monopolista
Telecom, la rottamazione di fatto della rete in rame avrebbe indotto a
svalutare l’asset nei conti del gruppo con impatti devastanti su debiti e
dividendi. Insomma, sarebbe stata una catastrofe, come ha denunciato il
Sole 24 Ore, per non parlare di una minaccia latente di licenziamenti in casa Telecom in caso di switch off.
È prevalsa l’impostazione più morbida dei consiglieri di Renzi, Andrea Guerra e Yoram Gutgeld, nei confronti del gruppo capitanato dall’ad, Marco Patuano. No, non sono indiscrezioni. Basta rileggere con attenzione i passi di un lungo intervento di Gutgeld sul Foglio di Claudio Cerasa
per vedere quanto Gutgeld non fosse per nulla anti Telecom, anzi. Una
bella evoluzione rispetto a documenti in odor di renzismo leopoldino su
una Telecom asfittica sugli investimenti quando l’attuale premier era
solo sindaco di Firenze.
Ma a dispetto di tanto liberismo governativo, come si diceva, ci sono
i miliardini pubblici in arrivo per sostenere gli investimenti (non è
un po’ troppo vaga l’evocazione del piano Juncker sulle risorse?). Non
solo: s’invoca da parte del governo liberista, udite udite, un impegno
più incisivo sulla banda larga da parte di soggetti pubblici. Leggere
per credere le parole di Antonello Giacomelli, sottosegretario al ministero delle Comunicazioni, al Sole 24 Ore di oggi. Giacomelli dice in sostanza a Metroweb – in cui ha un peso rilevante con il fondo strategico Fsi la Cassa depositi e prestiti presieduta da Franco Bassanini,
tra l’altro presidente di Metroweb – di darsi una mossa sugli
investimenti. Ohibò. Magari tutti si sarebbero dati una mossa maggiore
in caso di switch off, si bisbiglia in ambienti governativi e della Cdp.
Ma lasciamo stare.
Il ragionamento di Giacomelli non può comunque essere catalogabile
come troppo filo Telecom. Infatti il sottosegretario alle Comunicazioni
invoca una rete di nuova generazione, tramite il veicolo Metroweb,
“unitaria, neutra e aperta a collaborazioni e sinergie di tutti gli
operatori interessati”. Traduciamo? Ci proviamo: Metroweb diventi una
sorta di società condominio in cui ci siano tutte le principali società
per partecipare alla posa della fibra ottica. Dunque si torna al punto
di partenza di qualche settimana fa? Però da fonti ministeriali si
apprende che per Telecom, più che la questione di detenere fin da subito
il 51 per cento di Metroweb, la questione dirimente è un’altra: poter
consolidare nel patrimonio a tutta la rete in fibra ottica, presente e
futura, di Metroweb.
Poi, colpo di scena, o quasi. Sulla versione definitiva pubblicata
ieri c’è un paragrafo, tutto nuovo, intitolato “I vincoli comunitari:
cosa non è possibile fare”: il governo esplicita per la prima volta
l’impossibilità di “ipotizzare il controllo integrale da parte di un
operatore integrato su tutta la nuova rete sovvenzionata con aiuti
pubblici”. Che significa? “Telecom Italia non potrà godere di incentivi o
contributi pubblici a meno che non separi la rete”, secondo il Corriere della Sera.
È stato introdotta anche una clausola «wholesale only» che consente a
chi realizza la rete per vendere connettività all’ingrosso “la
possibilità di prevedere il rifiuto di accesso alle infrastrutture
passive per proteggere gli investimenti fatti”. Prerogativa di cui
godrebbe per esempio Metroweb, che avrà piena discrezionalità nel
concedere il passaggio sulle proprie infrastrutture (canaline, cavi), ma
non Telecom poiché vende connettività sia all’ingrosso sia ai singoli
clienti residenziali.
Come si vede, non mancano i colpi di scena. Dunque, appuntamento su Formiche.net ai prossimi articoli sul tema.
Banda ultralarga, il "nuovo" documento scioglie il giallo dei cluster: sono 4
IL CASO
Online sul sito di
Palazzo Chigi la versione esatta del Piano dopo l'errore scoperto da
CorCom. Rispunta il quarto cluster, quello delle aree a fallimento di
mercato per le quali solo l'intervento pubblico può garantire alla
popolazione la connettività a 30 Mbps
E' online sul sito del governo la versione esatta del Piano banda ultralarga, ripubblicata a seguito dell'errore scoperto ieri da CorCom relativo alla suddivisione del territorio in cluster.
Nel documento finale è "riapparso", a pagina 32, il cluster D,
quello delle aree tipicamente a fallimento di mercato per le quali solo
l’intervento pubblico può garantire alla popolazione residente un
servizio di connettività a più di 30 Mbps. Nella prima versione
pubblicata il cluster D era stato eliminato e la cosa aveva fatto
pensare ad un accorpamento in tre aree per semplificare l'aggiudicazione
dei fondi e dei lavori di posa delle infrastrutture. E se così fosse
stato, a catena l'errore avrebbe dunque riguardato anche le informazioni
contenute nelle slide di accompagno nonché nel comunicato di chiusura
del Consiglio dei ministri. E invece l'errore stava - come scritto da
CorCom - nel piano.
Il territorio italiano - si legge nel documento - è stato suddiviso in
94.000 aree per definire un numero limitato di geotipi in base alla
relativa concentrazione della popolazione, alle caratteristiche del
territorio, alla densità di imprese e alla presenza di infrastrutture in
banda ultralarga. Tale clusterizzazione ha permesso di associare
l’intervento pubblico in modo mirato rispetto alla tipologia di area e
all’obiettivo di copertura individuato. In base a questa classificazione
è stato dunque definito il fabbisogno e il relativo modello finanziario
applicato. IL PIANO ULTRABROADBAND CORRETTO IL DOCUMENTO SBAGLIATO
Rai Way: "Opas senza precedenti". Ma Ei Towers rilancia: "L'offerta non cambia"
RISIKO TORRI
La controllata della Tv
di Stato si fa scudo della "non contendibilità" decisa dal Governo. Ma
da Mediaset non cambiano i termini della proposta. Mucchetti: "Possibile
un polo delle infrastrutture di trasmissione, ma a certe condizioni"
di Antonello Salerno
E’ stato il giorno del botta e risposta a distanza tra Rai Way ed EiTowers. Sul tavolo c’è l’offerta pubblica di acquisto e scambio che la controllata Mediaset ha lanciato sulla società delle torri di trasmissione della Tv di Stato, su cui le società hanno riferito da una parte alla Commissione industria del Senato, dall’altra alla Consob. Le posizioni sembrerebbero a prima vista ancora lontane, anche se la partita sembra ancora aperta. Da una parte Camillo Rossotto, presidente di Rai Way, ha parlato di un’offerta “senza precedenti”, visto che Rai Way
“non è contendibile”: “Un'opa volontaria e totalitaria su un'azienda di
cui lo Stato detiene il 65% e su cui è stato posto un vincolo a
mantenere in mano pubblica il 51% non ha precedenti - ha sostenuto - Non
è possibile fare un'offerta pubblica di acquisto per la nostra società,
fintanto che Rai detiene il 51%". Una posizione
mitigata da una dichiarazione sulla creazione di un eventuale polo
nazionale delle torri di trasmissione: “In tempi non sospetti - ha
aggiunto Rossotto - ho parlato della razionalizzazione
di un polo infrastrutturale unico, facendo riferimento a quanto succede
in Paesi razionali come la Francia, dove esiste un operatore
indipendente in grado di ottimizzare gli investimenti”.
Dal canto proprio l’amministratore delegato di Ei Towers, Guido Barbieri, ricevuto in Consob insieme
al direttore finanziario della società, ha sottolineato il carattere
“sereno e costruttivo dell’incontro”, confermando tra le altre cose che
il management di Rai Way non era a conoscenza
dell’offerta prima che fosse formalizzata la sera del 24 febbraio. A
stretto giro una nota della controllata Mediaset ha puntualizzato che l’opas lanciata su Rai Way
sarà formalizzata entro i termini previsti dalla legge, e che “non sono
previste modifiche dei termini e condizioni dell'offerta rispetto a
quanto indicato nel comunicato del 24 febbraio”.
Ma al di là del botta e risposta di oggi tra le due aziende un elemento di novità è emerso da Massimo Mucchetti, presidente della Commissione Industria del Senato,
che è tornato sull’argomento del “polo delle torri”, prospettandolo
come una soluzione che potrebbe mettere fine alla vicenda con
convenienze reciproche per le due società coinvolte: “Avere un'unica
infrastruttura di trasmissione del segnale televisivo costituisce un
obiettivo ragionevole, in linea con l'Europa - ha sottolineato - Ma non
ci si arriva attraverso azioni non sollecitate e non negoziate, e
dunque ostili, come quella avviata in questa fase da Ei Towers, la quale, peraltro, ha ancora tutti i margini per variare il suo schema di gioco”.
“Dalla proprietà dell'operatore monopolistico dovrebbero essere esclusi i due broadcaster, titolari delle frequenze, ossia Mediaset e Rai", continua Mucchetti, e che "potrebbero vendere a termine l'infrastruttura ricavando un ottimo incasso".
“Chi deve rispondere, istituzionalmente, è la Rai - ha concluso Mucchetti - che, diversamente da Rai Way, non è sottoposta alla passivity rule né ad autorizzazioni ministeriali su quanto fa restando sopra il 50,01%. Rai e Mediaset, in quanto soci di controllo di Rai Way ed Ei Towers,
hanno l'obbligo di rispettare la simmetria informativa verso il
mercato. Ma questa non è una consegna del silenzio. Basta scrivere
decisioni e informazioni aggiuntive in una nota ufficiale e dalla Consob non arriverà alcun fulmine".