L'albero della storia è sempre verde

L'albero della storia è sempre verde

"Teniamo ben ferma la comprensione del fatto che, di regola, le classi dominanti vincono sempre perché sempre in possesso della comprensione della totalità concettuale della riproduzione sociale, e le classi dominate perdono sempre per la loro stupidità strategica, dovuta all’impossibilità materiale di accedere a questa comprensione intellettuale. Nella storia universale comparata non vi sono assolutamente eccezioni. La prima e l’unica eccezione è il 1917 russo. Per questo, sul piano storico-mondiale, Lenin è molto più grande di Marx. Marx è soltanto il coronamento del grande pensiero idealistico ed umanistico tedesco, ed il fondatore del metodo della comprensione della storia attraverso i modi di produzione. Ma Lenin è molto di più. Lenin è il primo esempio storico in assoluto in cui le classi dominate, sia pure purtroppo soltanto per pochi decenni, hanno potuto vincere contro le classi dominanti. Bisogna dunque studiare con attenzione sia le ragioni della vittoria che le ragioni della sconfitta. Ma esse stanno in un solo complesso di problemi, la natura del partito comunista ed il suo rovesciamento posteriore classistico, individualistico e soprattutto anti- comunitario" Costanzo Preve da "Il modo di produzione comunitario. Il problema del comunismo rimesso sui piedi"

sabato 6 giugno 2015

Infrastrutture digitali, fibra ottica, Renzi non riesce a domare Telecom e allora vuole punirla, l'imbecillagine al governo

Ngn, basta con le chiacchiere. Si venga al punto

CHE ULTRABROADBAND FA?

Morandini: il ritardo è un dato di fatto. Bisogna creare le condizioni per fare in modo che l'Italia si possa confrontare con i Paesi europei più avanzati

di Cristoforo Morandini, Partner EY
In attesa della nuova classifica della Ue sulla copertura dei servizi a banda ultralarga ci rimane impresso il 28mo posto dell’Italia, alla base del dibattito arrivato sulle prime pagine dei quotidiani. Non è però più tempo di discutere le cause di questo ritardo, ma di creare le condizioni per fare in modo che l’Italia si possa confrontare con i Paesi europei più avanzati.
Mentre si cerca di dipanare la matassa del ruolo dell’intervento pubblico all’interno dell’ambiziosa strategia italiana per la banda ultralarga, tre operatori privati (Telecom Italia, Vodafone e Fastweb) proseguono i loro piani di investimento. Secondo il monitoraggio dell’Osservatorio Ultra Broadband, a metà maggio, i comuni raggiunti dall'ultrabroadband sono quasi 170, con un livello di copertura che ha  superato un terzo della popolazione. La crescita è quasi lineare e ogni trimestre ha visto un aumento di copertura di 4/ 5 punti percentuali.
I lavori proseguono, ma tre punti sono chiari. Il primo è che tutti e tre gli operatori sono interessati a coprire autonomamente meno di 200 città con soluzioni prevalentemente Fttc, che consentono un ritorno più breve degli investimenti. Il secondo aspetto chiave è che, ad oggi, l’unico  interessato ad andare oltre è Telecom, con  l’obiettivo dichiarato di raggiungere il 75% di copertura con almeno 30 Mbps entro il 2017 e l’utilizzo di soluzioni Fttb/Ftth in 40 città, che consentiranno di superare ampiamente la soglia dei 100 Mbps. Il terzo aspetto da tenere presente è che i sette bandi regionali pubblici per lo sviluppo della banda ultralarga finora aggiudicati (a Telecom Italia) consentiranno il superamento della soglia del 75% di copertura a 30 Mb entro il 2016 e hanno richiesto un contributo pubblico dell’ordine di 550 milioni. La ricerca di un equilibrio tra obiettivi prestazionali, tempi e risorse prosegue.

http://www.corrierecomunicazioni.it/tlc/34567_ngn-basta-con-le-chiacchiere-si-venga-al-punto.htm

le mire egemoniche degli ebrei e degli arabi si uniscono in un abbraccio mortale

Israele e Arabia Saudita escono allo scoperto: insieme contro Iran

Ma Riyadh non riconosce ancora lo Stato israeliano. E ha appena presentato una offerta di pace per creare uno stato palestinese.
Incontro a Washington tra due diplomatici ufficializza progetto di Israele e di Arabia Saudita di combattere Iran, nemico comune
Incontro a Washington tra due diplomatici ufficializza progetto di Israele e di Arabia Saudita di combattere Iran, nemico comune
ROMA (WSI) - Strana stretta di mano, quella di ieri al Council on Foreign Relations, a Washington, tra il generale saudita in pensione Anwar Majed Eshki e Dore Gold, ex ambasciatore israeliano alle Nazioni Unite.

Di certo, come riporta Bloomberg, non si è trattato di un normale evento presso il think tank a Washington. I due hanno infatti rivelato, di fatto, che Arabia Saudita e Israele, da anni paesi nemici, hanno un obiettivo comune: quello di fermare l'Iran, che a loro avviso ha intenzione di assumere il controllo del Medio Oriente.

Finora il progetto era stato tenuto segreto, almeno in via ufficiale.

Bloomberg riporta che Israele e Arabia Saudita agivano nell'ombra e che, dall'inizio del 2014, erano stati almeno cinque i meeting segreti organizzati dalle controparti per discutere il nemico comune. Le riunioni degli ultimi 17 mesi si sono tenute in India, Italia e Repubblica Ceca.

Un partecipante agli incontri, generale israeliano in pensione Shimon Shapira, ha riferito al giornalista di Bloomberg: "Abbiamo scoperto che abbiamo gli stessi problemi e dobbiamo far fronte alle stesse sfide, e in parte abbiamo le stesse risposte"

L'incontro tra Gold e Eshki, nel periodo in cui vanno avanti le trattative sul nucleare tra Iran, Stati Uniti e altre potenze mondiali, non è stato certo una coincidenza. Certo, l'alleanza non poggia su basi molto solide, dal momento che l'Arabia Saudita non ha ancora riconosciuto il diritto dello Stato israeliano di esistere, e Israele non ha ancora accettato l'offerta di pace di Riyahd, che si basa sulla creazione di uno stato palestinese. (Lna)

http://www.wallstreetitalia.com/article.aspx?IdPage=1816457

Flat Tax, perchè no?

Flat Tax documento politico

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Gruppo Economia Lega Nord

Proposta “Flat Tax”
Obiettivo: Rivoluzione fiscale per migliorare la vita dei cittadini – Porre le basi per realizzare davvero l'utopia del “pagare meno per pagare tutti”

Situazione attuale:
L'analisi di cosa non vada nel sistema fiscale italiano è semplice ed è racchiusa in pochi dati
  1. Un gettito fiscale su Pil elevatissimo che pone l'Italia ai vertici mondiali per pressione fiscale (47,6% del Pil verso 30,3% media mondiale, 33,7% Svizzera, 22% USA, 37,1% Spagna, 34,7% Giappone, 10,3% India, 45,3% Germania, 33,2 Australia. Fonte: CIA World Factbook) in pratica solo alcuni stati nordici risultano con un dato superiore ma a fronte di servizi sociali imparagonabili.
  1. Un'alta evasione/elusione. Il reddito medio dichiarato è di 19mila euro lordi. La forte progressività delle aliquote ha ottenuto come risultato che solo lo 0,2% dichiara più di 200mila euro lordi (90% di questi super-dichiaranti sono lavoratori dipendenti e pensionati, categorie che in generale pagano l'80% dell'Irpef)
  1. Un'enorme complessità fiscale e un elevatissimo contenzioso spesso risolto a favore del cittadino 150mila liti pendenti. 40% tasso di vittoria del cittadino verso lo Stato. Ovviamente vastissimo è il numero di casi in cui il cittadino, pur avendo ragione, sceglie di pagare per non sopportare i costi e i tempi del contenzioso.
  1. Un grande numero di tasse slegate dal reddito con una tassazione su capitali ai vertici in Europa e tassazioni societarie in cui il gettito maggiore non viene dall'IRES bensì dalla somma di imposte non calcolate direttamente sull'effettivo reddito d'impresa
  1. Aliquote così alte che quasi tutti i tentativi di alzarle ulteriormente provocano come risultato un calo del gettito come si può leggere nel rapporto su dati fiscali gennaio/luglio 2014
Quindi la fotografia che ci torna da questi numeri è un fisco mostruoso, estremamente complicato, dove pochi pagano tantissimo (oltre il 70% del reddito in molti casi, come ammesso dallo stesso direttore dell'Agenzia delle Entrate) e nonostante ciò vengono assaliti da sanzioni spesso errate o pretestuose. Ciò rende conveniente per i percettori di redditi alti e per le società altamente profittevoli sia la delocalizzazione assoluta, con trasferimento, che relativa, per mezzo della costituzione di veicoli societari esteri. La complessità consente quindi a chi può permettersi comportamenti elusivi di sfuggire all'imposizione relativa alle fasce più alte di reddito, posizionando un'enorme onere fiscale sulle spalle del ceto medio: la quota maggiore del gettito Irpef viene pagata da chi dichiara da 35 a 70mila euro e l'identikit di questa vittima è in larga maggioranza rispondente ad un lavoratore dipendente del Nord Italia vista la disparità delle dichiarazioni medie fra (ad esempio) la Lombardia con oltre 23mila euro e la Calabria con circa 14mila incrociata col dato prima ricordato del contributo dei lavoratori dipendenti.
Il dato record della pressione fiscale attuale comporta l'impossibilità di sperare in un aumento del gettito da recupero dell'evasione perché ogni “recupero” a parità di aliquote alzerebbe ulteriormente la pressione fiscale portandola a livelli che già ora risultano largamente antieconomici, così come l'inasprimento delle tasse sta già dando evidenti segni di calo di gettito, riuscendo forse per la prima volta, a dare una verifica empirica dell'esistenza della “Curva di Laffer”, la teoria per cui esiste un livello di tassazione oltre il quale all'aumentare dell'imposizione il gettito decresce.
Non potendo quindi realisticamente puntare ad un aumento della compliance tributaria a parità di aliquote, l'unico modo per risolvere il problema rimane quindi una diversa distribuzione del carico fiscale, con un aumento della base imponibile e una riduzione delle aliquote, in modo tale da sgravare chi finora ha sopportato il peso maggiore (come si è detto, tipicamente il lavoratore dipendente del Nord) e aumentare la contribuzione di chi finora si è sottratto al versamento delle imposte con elusione e evasione. In parallelo a ciò occorre eliminare la tassazione slegata dal reddito perché, oltre ad essere profondamente iniqua, il rischio è che per mantenere irrealistici impegni europei si pensi di compensare la sparizione del lavoratore dipendente causata dalla crisi con un'aggressione a risparmi e imprese, con conseguente rischio di distruzione di valore più che proporzionale al gettito.

LA FLAT TAX
Pensata da Milton Friedman, teorizzata compiutamente dagli economisti americani Hall e Rabushka negli anni '80 e ormai messa in pratica da circa 40 Stati in tutto il mondo è la soluzione più pratica e fattibile all'esigenza di rivoluzionare il sistema fiscale italiano che, come abbiamo visto, risulta persecutorio per gli onesti e che ingrassa solo schiere di CAF gestiti dai soliti sindacati perchè nessuno sa districarsi fra mille articoli con deduzioni e detrazioni, rendite catastali della casa da computare e scorporare o da non conteggiare in caso di pagamento di mini IMU.
Tale tassa può essere declinata in tre modi:

Flat tax proporzionale:
Reddito lordo x tassa 10%

Flat tax progressiva:

(Reddito lordo – deduzione fissa per ogni percettore di reddito) x tassa 12%

Flat tax progressiva su base famigliare:

(Reddito lordo famigliare – deduzione fissa per ogni componente famiglia) x tassa 15%

Nel caso delle flat tax progressive (vale a dire con deduzione) l'aliquota rappresenta solo un tetto massimo all'imposizione ma l'effetto della tassa è dato indissolubilmente dalla considerazione in parallelo dell'aliquota con la deduzione. Per ottenere parità di gettito è possibile alzare in parallelo sia l'aliquota che la deduzione, in tal caso si ottiene una maggior progressività.

La caratteristica fondante della Flat Tax è la semplificazione brutale del sistema e l'effetto di forte cambiamento rispetto al sistema precedente: caratteristiche perfette per l'intento che si vuole raggiungere, cioè il segnare un “punto zero” del fisco con caratteristiche di shock positivo che non si riscontrerebbero in nessuna modifica non radicale del metodo al momento in vigore.
Il massimo della semplificazione e dello shock si otterrebbe con una flat tax proporzionale che tuttavia potrebbe essere oggetto di censura a fronte della necessità di avere un sistema fiscale “informato a criteri di progressività” secondo costituzione. E' vero che ciò non significa che tutto debba essere progressivo, tuttavia anche tenendo presente la diffusa esigenza di veder inclusa nel sistema tributario una differenziazione a favore delle famiglie, ragioneremo sulla flat tax progressiva con correttivo per famiglie.
Un'unica aliquota quindi e una deduzione fissa su base famigliare che ne garantisca la progressività.

Esempi
Pensiamo ad un'aliquota del 15% con 3000 euro di deduzione per ogni componente del nucleo familiare. In pratica per la dichiarazione dei redditi occorreranno pochi minuti: basterà calcolare i redditi lordi incassati, meno 3000 euro per ogni componente della famiglia, quello che rimane sarà tassato al 15%.
Vediamo qualche simulazione costruita a partire dalla proposta di un'aliquota del 15% con 3000 euro di deduzione fissa per ogni componente del nucleo familiare.
Un “single” che ha guadagnato 20mila euro lordi dovrebbe togliere dal reddito 3000 euro di deduzione e pagare il 15% sul restante 17000. Totale 2550 euro di tassa. Tutto finito in pochi secondi senza bisogno di alcun aiuto per la dichiarazione dei redditi.
Una famiglia di quattro persone con lo stesso reddito avrebbe 4 volte la deduzione fissa di 3000 euro e quindi potrebbe dedurre 12mila euro portando a 8000 euro l'imponibile e quindi pagando solamente 1200 euro di tassa.
In caso di famiglia con reddito pari a 25000 euro lordo percepito da entrambi i coniugi e un figlio si avrà 50000 euro di reddito complessivo meno 9000 euro di detrazione con conseguente imponibile di 41000 euro su cui si pagherà il 15% di tassa pari a 6150 euro.
Come si vede questo sistema garantisce la progressività mantenendo tuttavia la tassazione a livelli ragionevoli. Non dimentichiamo infatti che quando fu scritta la costituzione la pressione fiscale era vicina al 20% contro il 45% attuale, quindi i padri costituenti avevano sì previsto la progressività ma all'interno di una tassazione ragionevole, non confiscatoria come l'attuale.
Come detto in precedenza possono essere ottenuti effetti redistributivi maggiori o minori fissando in modo differente i parametri aliquota/deduzione a parità di gettito stimato, in tal caso la regola è che ad aliquota più alta deve corrispondere deduzione più alta (con conseguente maggiore progressività) e viceversa.
Per intendersi: con un'aliquota flat del 20% la deduzione dovrebbe essere pari a 5000 euro. Con un'aliquota al 25% (con l'ipotesi di allineare tutte le aliquote, incluse quelle dei redditi da capitale come proposto dal Prof. Dario Stevanato) la deduzione sarebbe di 7000 euro. A fronte di un onere maggiore per i redditi più alti una famiglia di 4 persone non pagherebbe alcun tributo sino ad un reddito di 28.000 euro. La scelta della combinazione ottimale di aliquota con deduzione può essere tranquillamente oggetto di discussione tenendo presente che maggiore il livello di aliquota e deduzione e maggiore la necessità di recupero di elusione/evasione “verso l'alto” mentre un'aliquota bassa con bassa deduzione si presta ad un recupero di gettito sia da parte dei redditi elevati ma anche su redditi bassi che spesso sono oggetto di evasione, indipendentemente dalla “ricchezza” del percettore. In caso di scelta di un sistema con bassa aliquota e deduzione (come nel nostro esempio del 15%) è possibile prevedere una clausola di salvaguardia che permetta al percettore di reddito basso di mantenere la tassazione attuale se ritenuta più conveniente, tuttavia la salvaguardia dovrebbe essere concessa solo previo accertamento di indigenza da realizzarsi ad esempio sfruttando l'indice ISEE (inutile accordare, come invece accade nel sistema attuale, consistenti detrazioni a chi magari è miliardario ma dichiara redditi bassi)

Semplicità di gestione
L'abolizione di tutte le complicazioni fiscali renderà pagare le tasse semplicissimo e immediato, come semplicissimi e immediati potranno essere i controlli. A questo punto un evasore non avrebbe più scuse e sarebbe impossibile nascondersi dietro ad interminabili discussioni su acconti, righi, detrazioni. Anche le sanzioni per chi insistesse ad evadere potrebbero diventare severissime.
Se si volessero introdurre differenziazioni regionali per creare aree a fiscalità agevolata basterebbe agire sulla deduzione fissa.
La modificazione della tassazione a scopo di stimolo/controllo dell'economia potrebbe attuarsi molto semplicemente agendo sull'aliquota.

Il “lordo in busta”
Il sistema fiscale così ripensato per essere pienamente efficace deve essere percepito come forte e totale discontinuità con il passato pertanto ogni complicazione legata ad anticipi di tassazione e successivi conguagli deve sparire. Il versamento deve essere unico, comprensibile, immediato ed effettuato dal cittadino. Pertanto dovrà sparire il sistema del sostituto d'imposta e della ritenuta d'acconto. Ogni compenso deve essere versato interamente al lavoratore che provvederà da solo poi al pagamento dell'eventuale tassa. Anche questa semplificazione è pensata per favorire i meno abbienti perché nel caso di una famiglia a basso reddito, in cui la deduzione fissa azzerasse la tassa, ecco che scatterebbe il vantaggio dell'intero compenso subito disponibile senza passare per il vago “credito di imposta”. Sempre nell'ottica della semplificazione il dipendente statale e il pensionato poi dovrebbe ricevere direttamente il netto pattuito senza tassazione, per evitare gli effetti distorsivi della partita di giro dello Stato che si trova a pagare un lordo su cui poi incasserà imposte. Del resto per queste categorie non ha significato la ricerca di emersione di base imponibile alla base dell'idea della Flat Tax in quanto essendo il soggetto erogante il medesimo soggetto che tassa non vi è per definizione possibilità di elusione. In linea teorica si può pensare ad eliminare anche il sostituto di imposta bancario per quanto riguarda gli interessi dei risparmi, che si troverebbero semplicemente a concorrere con il reddito normale venendo trattati con la stessa aliquota e che pertanto potrebbero essere incassati al lordo. Anche dal punto di vista del datore di lavoro la gestione paghe sarà più semplice e immediata, senza dover perdere tempo con trattenute, calcoli e versamenti.

I Crediti di imposta pregressi
La Flat Tax comporta l'abbandono di tutte le vecchie detrazioni e deduzioni. Eventuali incentivi per settori economici in crisi dovranno essere erogati direttamente e non annegati all'interno della fiscalità generale. I crediti di imposta maturati in passato verranno saldati con dei titoli di stato zero-coupon con scadenza pari all'anno di maturazione del credito che potranno essere immediatamente negoziati e incassati.

La flat tax come “tassa giovane”
Il vecchio sistema fiscale era pensato per una popolazione di lavoratori dipendenti con stipendi stabili negli anni. In realtà il mondo del lavoro attuale è fatto di forti oscillazioni di reddito, con compensi sempre più legati al successo di iniziative che spesso richiedono anni di investimenti, anche come formazione personale, per concretizzarsi. Il sistema ad aliquote punisce irragionevolmente il reddito irregolare nel tempo, una realtà ben conosciuta nel mondo delle piccole e medie imprese e degli startup, spesso prima forma lavorativa immaginata dai giovani più creativi.
Si pensi ad esempio al caso in cui un soggetto con un lavoro stabile che incassi per tre anni 30.000 euro l'anno, comparato con un giovane che lavori ad un'idea commerciale non guadagnando nulla per due anni ma riuscendo a realizzarla il terzo anno con un reddito di 90.000 euro. Con il sistema attuale il secondo pagherà molte più tasse rispetto al primo pur avendo ottenuto nel triennio lo stesso reddito. Con la flat tax la penalizzazione per la percezione di redditi irregolari nel tempo verrà largamente attenuata, evitando di ricorrere anche in questo caso ad inutili esercizi di ottimizzazione fiscale per evitare di mostrare un reddito troppo elevato in un singolo anno che verrebbe falcidiato dal fisco.

Gli esempi di applicazione nel mondo e i possibili rischi
Sono stati fatti tentativi di stimare il possibile ammanco fiscale passando dal sistema attuale alla flat tax ipotizzando (nel caso non si recuperasse assolutamente nulla di imponibile eluso/evaso) un calo di gettito pari a circa 40 miliardi. Posto che anche se questa assunzione totalmente irrealistica dovesse realizzarsi il rapporto gettito/pil italiano sarebbe ben lungi dal diventare insostenibile ma anzi, si porterebbe al livello di quello tedesco. Posto inoltre che il ragionamento di chi afferma che un calo di tasse deve essere finanziato per forza e sempre con un calo di spese è errato, dato che ciò comporterebbe l'assoluta impossibilità di praticare politiche anticicliche, nozione proprio alla base delle fallimentari ricette economiche dell'eurozona, in realtà trattandosi di un cambiamento totale è impossibile stimare numericamente gli esiti dell'introduzione di una flat tax partendo dalla base imponibile attuale. Occorre pertanto rifarsi all'esperienza degli stati in cui questo sistema è stato introdotto. L'esperienza empirica è sinora stata largamente positiva: in pressoché tutti i paesi in cui questo sistema è stato applicato la maggior fedeltà fiscale ha portato a gettiti in crescita, in alcuni casi un calo dell'Irpef è stato più che compensato dalle altre tasse che hanno beneficiato dalla crescita economica ma non solo, in molti casi si è avuto un fortissimo aumento. Il caso meglio studiato è stato quello della Russia, che nel 2001 ha adottato una flat tax addirittura al 13% sostituendo il vecchio sistema ad aliquote ottenendo un aumento del gettito pari al 25%. L'analisi dei dati ha confermato che il risultato è stato soprattutto dovuto proprio ad una maggior fedeltà fiscale, realizzando quindi in pieno l'obiettivo che ci si prefiggeva in premessa, ovvero il pagare di meno e pagare tutti. Ulteriori analisi comparate evidenziano che il passaggio dai vecchi sistemi alla flat tax realizza una notevole stabilità del gettito nel complesso del sistema fiscale che trova quindi un riequilibrio proprio all'interno della platea dei contribuenti. In nessun caso si è assistito ad un significativo calo del gettito e se si tolgono cali spiegabili con la congiuntura (Repubblica Ceca nel 2008, calo di gettito pari allo 0,5%) il successo del changeover appare sinora completo. Non deve quindi essere richiesta alcuna copertura al taglio e unificazione dell'aliquota. Il vecchio sistema di mettere una tassa a copertura di una spesa senza pensare che quella tassa poi produceva contrazione economica e quindi buchi in bilancio deve svanire. Contano i risultati e la copertura si avrà se le politiche funzionano. In buona sostanza la manovra si presenta sostanzialmente priva di rischio perché se la flat tax riuscisse a mantenere o incrementare il gettito attuale l'esecuzione sarebbe stata perfetta ma se il pil dovesse mantenersi stagnante poi occorrerebbe addirittura valutare un'ulteriore riduzione dell'aliquota, invece anche nel caso “peggiore” di nessun recupero di gettito l'entità anche solo potenziale dell'ammanco rappresenterebbe una misura di stimolo fiscale assolutamente compatibile con quanto sarebbe necessario per uscire dalla depressione economica. Non va dimenticato comunque che anche un'eventuale ripresa economica finché si rimane nell'euro avrebbe vita breve, perché un aumento dei consumi riguarderebbe principalmente beni esteri. Pertanto la flat tax deve essere considerata un complemento, non una sostituzione, del progetto di uscita dall'eurozona, tuttavia essa potrebbe anche essere applicata sin da subito consentendo un rilancio più efficace in vista di un prossimo certo dissolvimento della moneta unica.

Giustizia sociale
Se la scommessa della flat tax funzionerà quello che sembra un regalo per i ricchi si rivelerà uno sgravio per i poveri. Se ci sarà meno elusione chi ha di più contribuirà di più e volentieri perché costerà meno di inventarsi cavilli e schermi fiscali e chi ha di meno non dovrà pagare nulla.

Esempio:
Immaginiamo uno stato con 11 persone, 10 guadagnano 10 e uno guadagna 100.
Se la tassazione è flat al 20% chi guadagna 10 paga 2 e chi guadagna 100 paga 20 per un gettito totale di 40
Supponiamo che in questo stato il PD prenda il potere e decida di tassare al 50% chi guadagna 100 adducendo i soliti motivi: “chi ha di più deve pagare di più”, “ anche i ricchi piangano” “ci vuole giustizia sociale” ecc ecc. Ebbene, il contribuente da 100 con questa condizione se ne va nello stato vicino più accogliente fiscalmente (in Europa l'armonizzazione fiscale non è mai stata considerata) e quindi per mantenere il gettito lo stato deve raddoppiare le tasse sui “poveri” facendo pagare il 40% ad ognuno dei 10 che guadagnano 10
Supponiamo invece che si decida (incuranti dei fischi della sinistra) di abbassare l'aliquota al 10%. Se il percettore di 100 euro di reddito venisse raggiunto da altri due come lui che trovino conveniente stabilirsi qui ecco che il gettito rimarrebbe uguale (sempre 40) ma anche i “poveri” avrebbero tasse dimezzate e pagherebbero 1 invece di 2
E' più giusto nei confronti dei poveri e del ceto medio il metodo PD che lascia tutto sulle loro spalle il peso della situazione o il metodo della bassa aliquota che dimezza il loro carico fiscale?
E' più favorevole al lavoro dipendente un metodo come la flat tax che sgrava i lavoratori dipendenti fedeli dichiaranti e che convince autonomi e benestanti ad iniziare a partecipare alla contribuzione per lo Stato o un metodo come l'attuale dove tutto il carico fiscale si abbatte sul ceto medio lavoratore?

Il principio della Flat Tax esteso alle imprese
Anche per le imprese il sistema fiscale dovrà essere informato all'abolizione delle tasse slegate dal reddito quali l'IRAP o gli studi di settore, il cui superamento sarà oggetto di un futuro approfondimento. Le imposte dovranno essere pagate sulla base di uno schema semplificato che si avvicini il più possibile alla configurazione RICAVI-COSTI=REDDITO tassato con aliquota flat. La forte semplificazione e la certezza di non sottostare a costi insostenibili anche in caso di esercizi in pareggio o perdita provvederà l'ossigeno necessario per resistere sino al momento dell'inevitabile crollo della moneta unica, quando le normali condizioni di competitività saranno ripristinate e sarà finalmente possibile tornare a crescere.

Bibliografia sintetica
Hall – Rabushka: The flat tax (capitoli scaricabili gratuitamente dal sito dell'editore)
MEF – Analisi delle dichiarazioni dei redditi in Italia
Eurostat: Taxation trends in the European Union
Bellinazzo – Melis: Sconti irpef a quota 11 Miliardi – Sole 24 ore
Borghi Aquilini: In Italia il record delle tasse -Il Giornale 2012
Borghi Aquilini: Come “stanare” i ricchi tagliando le tasse – il Giornale 2006
Gorodnichenko, Martinez-Vazquez , Sabirianova Peter – Lessons from Russia 2001 Flat Tax reform
Keen, Kim, Varsano: The Flat tax, principles and evidence
Lewis: The rise of the flat tax

http://www.leganord.org/index.php/flat-tax-documento 

i profughi e migranti servono per essere sfruttati e schiavizzati


Rosarno (RC) – Operazione ‘Confine’, 7 ordinanze di custodia cautelare ai domiciliari

venerdì 05 giugno 2015




Associazione a delinquere finalizzata alla intermediazione illecita e allo sfruttamento del lavoro ed altro. Con queste accuse sette persone sono finite agli arresti domiciliari nel corso dell’operazione denominata “Confine” portata a termine dai carabinieri del Comando Provinciale di Reggio Calabria.

I Carabinieri infatti, nelle sue articolazioni territoriali quali la Compagnia Carabinieri di Gioia Tauro, con il supporto dello Squadrone Eliportato Cacciatori “Calabria” e della Compagnia Speciale del Gruppo Operativo Calabria di Vibo Valentia, hanno dato esecuzione a sette ordinanze di custodia cautelare personali nel regime degli arresti domiciliari.

L’operazione ha avuto avvio nel mese di novembre 2013, con l’obiettivo principale di perseguire la condotta delittuosa del famigerato “Caporalato”.

I soggetti destinatari della misura cautelare detentiva sono:

1. MADAFFARI Davide cl.’74 di Rosarno;
2. MADAFFARI Alessandro cl.’78 di Rosarno (cugino del sopraelencato Davide cl.’74);
3. DI BARTOLO Salvatore cl.’75 di Rosarno;
4. RAVALLI Giuseppe cl.’89 di Rosarno;
5. CONSIGLIO Vincenzo cl.’72 di Rosarno;
6. KEITA Mohammed cl.’85 del Mali (Caporale);
7. KUZEV Filip cl.’79 della Bulgaria (Caporale),
I Carabinieri della Compagnia di Gioia Tauro, sotto la costante direzione ed il coordinamento della Procura della Repubblica di Palmi (RC), nella persona del pubblico ministero dott. Luigi IGLIO, hanno svolto molteplici servizi, effettuati in condizioni spesso proibitive, sul territorio della Piana di Gioia Tauro, con lo scopo di documentare le attività di sfruttamento del fenomeno del “Caporalato” (definito come sistema “distorsivo” del normale processo d’incontro tra domanda ed offerta di lavoro), dell’immigrazione clandestina e dell’agevolazione e sfruttamento del lavoro extracomunitario clandestino.
Il “Caporale” è colui il quale svolge un’attività d’intermediazione reclutando manodopera giornaliera, sovente non specializzata, per collocarla poi presso i datori di lavoro, pretendendo a titolo di compenso per l’attività svolta una percentuale della retribuzione dai lavoratori interessati subordinati che versano in condizioni di particolare vulnerabilità sul piano economico-sociale, ora stranieri privi del permesso di soggiorno, ora inoccupati alla ricerca disperata di un impiego.
L’entità della somma trattenuta dal “Caporale” a titolo di compenso, alle volte, supera il 50% della paga giornalmente percepita dai prestatori d’opera deprivandoli dei seppur minimi mezzi di sostentamento quotidiani.
Vieppiù, l’attività dei “Caporali” trova l’appoggio e la complicità di datori di lavoro conniventi, che, aderendo all’offerta di manodopera di quelli, conseguono ingenti risparmi sul versante fiscale e previdenziale, in relazione all’assunzione dei prestatori di lavoro, che avviene, quasi regolarmente, “in nero” e senza alcuna garanzia.
I soggetti sfruttati, difatti, non hanno diritto a riposi settimanali, ferie pagate, malattia e sono obbligati a lavorare senza un adeguato abbigliamento protettivo, facendo fronte alle avversità climatiche con mezzi di equipaggiamento di fortuna. Gli orari condotti sono, a dir poco, massacranti per una paga che si aggira a poco meno di 0,50 centesimi a cassetta per la raccolta degli agrumi.
Le indagini esperite hanno consentito di far luce su quella che è la realtà ancora in atto nel territorio della Piana di Gioia Tauro nonché sulle condizioni in cui versano i poveri lavoratori, sfruttati e mal pagati da persone senza scrupoli. La complessità delle indagini ha permesso di dimostrare come accanto allo sfruttamento di extracomunitari di origine nordafricana, vi è quello dei soggetti dei paesi comunitari soprattutto dell’Est Europa (in particolare cittadini di nazionalità bulgara).
Il sistema in cui opera tale sfruttamento appare, senza dubbio, difficile da smantellare, anche perché spesso i “Caporali” esercitano pressioni psicologiche tali da annullare le volontà dei lavoratori costretti a lavorare secondo le loro condizioni ed i loro dictat.
L’organizzazione criminale, formata da soggetti per lo più gravati da precedenti penali e di polizia anche specifici, dunque, si è dimostrata in grado di garantire, con continuità, agli imprenditori la forza lavoro che gli è necessaria per conseguire un ingiusto profitto dallo sfruttamento della manodopera straniera ed irregolare e ben definiti sono i ruoli sia dei “Caporali” che dei datori di lavoro.
I provvedimenti di sequestro preventivo (ex art. 321 e ss. c.p.p.) hanno riguardato beni di natura immobile, tra cui la società denominata “APO Calabria Società Cooperativa agricola a r.l.” nonché mobili, come i mezzi adoperati per il trasporto degli extracomunitari sui terreni, per un valore complessivo di circa 1 milione di Euro.


http://www.strill.it/citta/2015/06/rosarno-rc-operazione-confine-7-ordinanze-di-custodia-cautelare-ai-domiciliari/

Siria, impegno diretto dell'Iran per combattere Isis/al Qaida sostenuto dagli Stati Uniti, Turchia, Qatar e Arabia Saudita, velocemente verso la 3° guerra mondiale?


Iran sarebbe pronto ad inviare proprie truppe in Siria per difendere il regime di al-Assad

Iran sarebbe pronto ad inviare proprie truppe in Siria per difendere il regime di al-Assad Secondo fonti israeliane di solito ben informate, perché considerate molto vicine all’intelligence di Tel Aviv, gli iraniani sarebbero pronti ad intervenire in Siria in difesa del regime di Bashar al-Assad.
Lo farebbero sulla base dell’accordo firmato nel 2006 sulla reciproca assistenza tra i due paesi.
L’intervento iraniano si starebbe rendendo necessario per evitare il definitivo collasso delle truppe di Damasco che hanno già perso posizioni strategiche importanti, strette come sono tra le forze dell’Isis e quelle della coalizione sunnita che da quattro anni ha iniziato una durissima guerra civile contro il regime degli Assad. Nel corso di questi quattro anni si sono avute migliaia e migliaia di morti e circa nove milioni di abitanti sono stati costretti a lasciare le loro abitazioni. Sono adesso o emigrate nei pesi confinanti o comunque sfollati in altre parti della Siria.
L’Iran finora ha inviato in Siria solo alcuni istruttori militari, ma che le cose potessero cambiare a favore di un intervento diretto era stato fatto intuire sia dalla presenza negli ultimi mesi di ufficiali sempre più di alto grado, sia da un recente appello del capo degli Hezhballa libanesi, milizia sciita fortemente armata, già presente militarmente in Siria, ad impegnarsi sempre più contro l’Isis.
La risposta sarebbe venuta da due importanti autorità militari di Teheran; il Capo del Consiglio della sicurezza nazionale, Ali Shamkhani, e dal Capo delle operazioni nel Medio Oriente, generale Qassem Soleimani.
La decisione iraniana, che confermerebbe solamente lo stato di prostrazione cui è giunto il Governo di Damasco, potrebbe aggravare ulteriormente la situazione nell’intera regione anche se basato su di un accordo formale tra due paesi sovrani. Uno dei quali, però, quello siriano è di fatto in guerra semi dichiarata con tutti gli altri della Penisola arabica, ad esclusione dell’Iraq, perché dappertutto, come conferma la situazione dello Yemen, è oramai scontro aperto tra sunniti e sciiti. Manca solo il concreto coinvolgimento di Teheran e la frittata potrebbe essere davvero fatta.

http://www.ultimaedizione.eu/iran-sarebbe-pronto-ad-inviare-proprie-truppe-in-siria-per-difendere-il-regime-di-al-assad/

Renzi pagliaccio, bugiardo e disonesto


Renzi sapeva delle scorie nucleari in Sardegna: il dossier di Pili

"Renzi & compagni sulle scorie nucleari hanno mentito sapendo di mentire. Ecco i documenti secretati che attestano l’inganno di Stato su di un tema che scotta: il deposito unico nazionale di scorie nucleari. In un vertice riservatissimo di nemmeno due giorni fa il Presidente del Consiglio ha risposto alle pressioni di Sogin per avviare l’iter con un laconico: aspettiamo la fine dei ballottaggi. E’ stato De Vincenti, ancora a cavallo tra sviluppo economico e presidenza del Consiglio, a fare da tramite con il Ministero dell’Ambiente e quello dello Sviluppo Economico. Le sue parole sono state per una volta chiare e decise: non deve uscire niente. Nei due dicasteri, però, cominciano ad essere in troppi a sapere che quel piano di Sogin nascosto tra le cosiddette “segreterie di Sicurezza” alla fine potrebbe essere vulnerabile. In questo caso la prima falla si registra nei documenti che ho pubblicato stamane nelle mia pagine di Facebook dai quali si evince che il governo ha in mano il piano, conosce i siti e soprattutto ha dichiarato il falso al Parlamento. Nel piano c’è la Sardegna. E la scelta è supportata da tre cartine decisive secondo il report teorico di Sogin: un’analisi criptata  della Nasa sulle zone a rischio, una carta sulle zone franose ed infine l’attestato tecnico nazionale con il quale si dichiara la Sardegna esente da rischi sismici, unica regione esclusa. Dunque, Renzi e compagni quando sono venuti ad Olbia non solo sapevano ma hanno spudoratamente mentito dinanzi a chi gli chiedeva, seppur a bassa voce, di escludere la Sardegna da quel piano. E’ un fatto di una gravità inaudita sul piano morale, sul piano politico, esecrabile su quello istituzionale. Quel piano è irricevibile sotto ogni punto di vista e soprattutto è frutto delle lobby nucleariste e delle aziende che ruotano su questo business impressionante”.
Lo ha denunciato poco fa il deputato sardo di Unidos Mauro Pili pubblicando su facebook atti, protocolli e carte del dossier secretato sulle scorie nucleari. Documenti sui quali è stato apposto di fatto il segreto di Stato come affermano le stesse lettere di trasmissione del dossier.
“Non si tratta come è evidente del primo Piano trasmesso il 2 gennaio, ma del secondo, quello aggiornato da Sogin in meno di un mese e trasmesso e protocollato, come si può aver conferma dalle carte che ho divulgato, ai vertici dei due ministeri. Le carte dichiarano con estrema chiarezza che il piano Sogin è entrato in possesso sin dai primi di marzo dei due Ministri, ambiente e sviluppo economico, anche se per competenza interna le carte sono state girate all’allora vice ministro De Vincenti, che le ha poi trasferite con alcuni soggetti chiave a Palazzo Chigi. Ed è proprio a Palazzo Chigi che nell’ultima settimana si è parlato in maniera preoccupata del dossier scorie nucleari. In particolar modo rispetto alle pressioni di due soggetti, Sogin e Finmeccanica che scalpitano per accaparrarsi incarichi e lavori. In questo contesto si è affrontata anche una delicatissima questione legata a smaltimento di scorie russe dove sia Finmeccania e Sogin sarebbero direttamente coinvolte. Renzi non vuole rogne su questo fronte anche se ha la consapevolezza di dover dare risposte ai poteri forti. In questa direzione era perfettamente a conoscenza del caso Sardegna. Tra le regioni, infatti, oltre alla Sardegna c’è anche la sua Toscana, il Piemonte, il Lazio, la Sicilia e la Campania del suo amico De Luca. Tutti i documenti e studi richiamati nel piano sin dalle prime pagine, però, portano dritti alla Sardegna. Il piano Sogin di cui divulgo tre carte fondamentali punta sull’isola con premesse tecniche che poi, invece, sono tutte finalizzate a scelte politiche. I documenti, in modo impressionante ripercorrono un comune denominatore: escludere tutte le aree a rischio. Sogin arriva alla Sardegna per esclusione di tutto il resto. Carte e mappe che indicano rischi, pericoli, e che in sintesi affermano che la Sardegna sarebbe la terra più sicura per le scorie nucleari. Nel documento secretato da Sogin, contraddistinto da protocollo 9686/2015, si arriva a capire qual’è il progetto scellerato: realizzare il deposito unico nazionale in Sardegna. Sogin dichiara di applicare alla lettera i criteri di esclusione individuati da Ispra. Prima di tutto vengono escluse le aree vulcaniche attive e quiescenti, poi quelle contrassegnate da sismicità elevata e infine quelle interessate da fenomeni di fogliazione. La Sardegna secondo tutti i piani connessi e richiamati non rientra in alcun modo in queste prime tre priorità di esclusione.  Alla base di tutto vi è una carta americana, georeferenziata e criptata con codici numerici sotto copertura denominata Database of Individual Seismogenic Sources che individua in modo esplicito l’unica regione che sarebbe esente da pericoli. Si tratta di un piano scellerato che deve essere respinto senza se e senza ma e sin dai prossimi giorni annuncio una mobilitazione parlamentare senza precedenti. Il fatto stesso che tutti questi elementi siano stati vergognosamente secretati rappresentano un elemento di gravità assoluta proprio perché si sta tentando di mettere in piedi un piano criminale per individuare la Sardegna come terra di conquista per le scorie nucleari”.
“ Gli ulteriori documenti di cui sono in possesso saranno oggetto nelle prossime giornate di puntuali azioni parlamentari e la denuncia sarà senza esclusione di colpi. La nostra isola – ha detto Pili - deve essere esclusa anche come ipotesi dalla realizzazione del deposito unico nazionale delle scorie nucleari. Questo piano di deposito unico nazionale non si farà mai ne in Sardegna ne in Italia. E' un'operazione solo per spendere denari senza controllo così come è stato sino ad oggi. Il deposito nucleare unico sarà l'ennesimo pozzo senza fondo. Questo piano è solo un strumento delle lobby del nucleare e degli appalti che puntano a progettare, spendere e spandere con troppi omissis che non possono in alcun modo essere accettati".
 “Le carte e gli studi allegati secretati sono il risultato di un disegno studiato a tavolino che non lascia adito a dubbi. Il governo deve immediatamente dire con chiarezza e trasparenza quello che intende fare. Non può continuare a giocare su una vicenda talmente delicata per la quale serve serietà e correttezza”.
“Miliardi di euro per portare a spasso le scorie nucleari, realizzare un deposito unico nazionale, mantenere in piena efficienza le centrali  esistenti e soprattutto un grande business nucleare. C’è un fiume di denari verso le lobby nucleari che va immediatamente fermato. E soprattutto i nuclearisti di palazzo si devono togliere dalla testa che la Sardegna possa ospitare il deposito unico nazionale”.
 “La Sardegna è contraria a qualsiasi ipotesi di deposito unico nucleare. Contraria senza se e senza ma”.  Pili, che nel 2003 da Presidente della Regione bloccò il piano del generale Jean per la realizzazione del deposito unico nazionale costringendo la conferenza dei Presidenti ad approvare la sua proposta di rigettare integralmente quel piano ora denuncia il tentativo di ripartire da quello stesso piano: “Questo è un progetto che in Sardegna verrà respinto ad ogni costo, con ogni mezzo. Chiunque lo abbia messo in piedi se lo tolga dalla testa. Lo faccia senza perdere tempo. E’ un progetto scellerato in partenza e sul piano generale ma ipotizzarlo in Sardegna è da dementi. Significa non aver ancora capito la lezione del 2003. Non passerà mai un piano irrazionale nell’approccio tecnico, scientifico e sociale e che ha dimostrato di essere fallimentare nella sostanza se dopo 11 anni non è stato fatto niente. Ci sono flussi di denaro nel settore nucleare che non possono continuare a sfuggire al controllo di tutti. Sono soldi dei cittadini prelevati dalle bollette degli italiani e bisogna por mano alla revisione dei progetti. Tutto questo ha bisogno di soluzioni strategiche e non tampone”.
“Un deposito unico nazionale che per ragioni già evidenziate nel passato, costituzionali e di volontà popolare, non potrà trovare nessun accoglimento, per nessuna ragione, in Sardegna. Dopo dieci anni dal blocco del progetto scellerato della Sogin per la realizzazione di un sito unico nazionale per stoccare tutte le scorie nucleari conservate nelle centrali italiane dismesse e il rientro di molte altre dall’estero, il piano predisposto da Ispra rimette in primo piano la Sardegna”.
“Va ridiscussa alla radice la decisione di realizzare un deposito unico nazionale alla luce di valutazioni di natura scientifica, economica e di opportunità. Proposte che la Sardegna ha avanzato dodici anni fa condividendo l’impostazione del fisico Carlo Rubbia che aveva messo a punto un piano di ricerca per l’abbattimento della radioattività delle scorie. Un deposito unico nazionale – conclude Pili - dal quale devono, comunque, essere escluse, senza se e senza ma, realtà come la Sardegna che hanno sia sul piano normativo costituzionale che popolare escluso la volontà di ospitare tale sito unico nazionale. Una posizione che non si può nemmeno discutere. Siamo pronti alla guerra per respingere un’ipotesi folle che i sardi non accetterebbero mai”.

http://www.sassarinotizie.com/articolo-33161-renzi_sapeva_delle_scorie_nucleari_in_sardegna_il_dossier_di_pili.aspx

Siria, la Rivoluzione a Pagamento è l'Isis/al Qaida, tutto il resto è retorica

A member loyal to the ISIL waves an ISIL flag in Raqqa

Come gli Stati Uniti hanno aiutato ISIS

 
[di David Mizner] Documenti recentemente declassificati dimostrano la complicità degli USA nell’ascesa dell’ISIS.

di David Mizner
Nell’ottobre del 2014 il vicepresidente statunitense Joe Biden ha criticato gli alleati degli USA per il loro sostegno offerto all’ISIS. Un mese prima, il generale Dempsey aveva dichiarato alla commissione per le forze armate del Senato che gli “alleati arabi” dell’America stavano finanziando il gruppo.

Gli ufficiali statunitensi stavano cercando di prendere le distanze dalle azioni a sostegno dell’ISIS dei loro alleati senza però condannarli troppo severamente. Biden ha suggerito che le armi erano finite nelle mani dell’ISIS accidentalmente, e ha chiesto scusa agli alleati. Rispondendo a Dempsey, il senatore Lindsey Graham li ha addirittura difesi: “Stavano cercando di sconfiggere Assad. Credo che si rendano conto che hanno sbagliato”).

Queste timide critiche nei confronti degli alleati degli USA hanno coinciso con la decisione da parte del governo di bombardare l’ISIS. A questo punto, il gruppo aveva già conquistato la Siria orientale e l’Iraq occidentale. Ma non c’è nulla che dimostri che nei mesi e negli anni precedenti Obama abbia fatto qualcosa per impedire ai propri Stati satellite di assistere l’ISIS nella sua ascesa a potenza regionale.

Gli Stati Uniti stessi hanno continuare ad inviare armi in Siria nonostante fosse evidente che alcune di queste sarebbe finite nelle mani dell’ISIS. “Intratteniamo buoni rapporti con i nostri fratelli dell’ELS”, ha dichiarato il leader dell’ISIS Abu Atheer nel 2013, riferendosi all’Esercito siriano libero, sostenuto dagli USA, da cui disse di aver acquistato missili antiaerei e anticarro.

Un documento recentemente declassificato dell’intelligence militare USA offre un’ulteriore conferma della complicità degli Stati Uniti. Il rapporto della Defense Intelligente Agency (DIA), datato agosto 2012 e classificato come “segreto”, è uno dei tanti documenti venuti in possesso dell’organizzazione americana Judicial Watch.

La stampa mainstream e i repubblicani si sono concentrati su altri documenti, in particolare quelli relativi all’attacco al consolato americano di Benghazi, in Libia, nel 2012. Il documento in questione, invece, è stato perlopiù ignorato. Ma esso contraddice molto di quello che è stato detto finora sull’ascesa dell’ISIS e sulla natura dell’opposizione siriana e dei suoi rapporti con i finanziatori esteri.
“Il rapporto della DIA del 5 agosto conferma ciò che Assad ha sempre detto a proposito dei suoi oppositori sia all’interno che all’esterno della Siria”, ha dichiarato l’esperto di terrorismo Max Abrams. Il rapporto si riferisce a un lasso di tempo in cui la violenza in Iraq aveva cessato di essere un argomento di interesse per la stampa americana, che invece aveva cominciato ad interessarsi sempre di più alla guerra in Siria. Riflettendo il dibattito in corso nei corridoi del potere, però, a catalizzare l’attenzione dei media non erano tanto i ribelli quanto il governo di Assad.

Oggi che l’ISIS è diventato il nuovo spauracchio del governo americano questo può apparire assurdo, ma in quei mesi il presidente Obama e gli altri della sua squadra hanno fatto molti discorsi sulla Siria senza menzionare il nome del gruppo neppure una volta. Anche dopo la conquista di Fallujah da parte del gruppo nel gennaio del 2014, negli ambienti dell’establishment USA si parlava poco di esso. Solo qualche mese più tardi – dopo una serie di battaglie vittoriose e di decapitazioni di occidentali ampiamente pubblicizzate – lo Stato islamico è diventato il nemico pubblico numero 1.

Stando alle dichiarazioni degli ufficiali statunitensi, l’ascesa dell’ISIS aveva colto l’intelligence americana di sorpresa. Eppure in un rapporto del 2012 – che ebbe ampia diffusione negli ambienti del governo USA – la DIA aveva anticipato la creazione di un “principato salafita” nella Siria orientale. Nel rapporto si diceva anche che lo Stato islamico dell’Iraq sarebbe potuto “tornare nelle sue vecchie roccaforti di Mosul e Ramadi” e dichiarare uno “Stato islamico” che comprendesse l’Iraq occidentale e la Siria orientale.

Inoltre, il rapporto diceva anche la creazione di uno Stato islamico era l’obiettivo esplicito dei governi stranieri che sostenevano l’opposizione siriana:
Se la situazione dovesse degenerare, c’è la possibilità che venga fondato un principato salafita nella Siria orientale (Hasaka e Der Zor). Questo è esattamente quello che vogliono le potenze che sostengono l’opposizione, al fine di isolare il regime siriano, considerato un punto di riferimento strategico per l’espansione sciita (Iraq e Iran).
In un altro punto del documento, le “potenze che sostengono l’opposizione” venivano identificate come “i paesi occidentali, gli Stati del Golfo e la Turchia”. Anche se escludiamo gli Stati Uniti dalle “potenze” in questione – dopotutto, perché mai un’agenzia di intelligence dovrebbe spiegare al suo governo qual è la politica del governo stesso? –, il documento dimostra che già nel 2012 gli Stati Uniti sapevano che i propri Stati satellite stavano lavorando alla creazione di uno “Stato islamico” nella regione. Eppure le prime (timidissime) critiche a riguardo sarebbero arrivate solo due anni più tardi.

Più in generale, gli Stati Uniti hanno partecipate alla guerra contro il governo siriano che ha trasformato lo Stato islamico dell’Iraq in una potenza regionale che ha conquistato – e devastato – ampie regioni di entrambi i paesi. Questo esito era perfettamente prevedibile – ed infatti era stato previsto dallo stesso governo americano. Mentre i politici e gli esperti statunitensi hanno addossato la responsabilità per l’ascesa dell’ISIS all’ex presidente iracheno Nouri al-Maliki e ad Assad – o al ritiro delle truppe americane dall’Iraq –, il rapporto della DIA ci rammenta che l’evento determinante per l’ascesa dell’ISIS è stato l’intensificarsi dell’insurrezione in Siria. Brad Hoff di Levant Report, il primo giornalista a mettere le mani sul rapporto della DIA, dice che esso dimostra che “la creazione di uno Stato islamico è diventata una realtà solo in seguito all’ascesa dell’insurrezione siriana… il ritiro delle truppe americane dall’Iraq non viene mai identificato come un catalizzatore”.

Maliki aveva avvertito che la guerra in Siria poteva ingolfare anche l’Iraq, ma gli Stati Uniti e i loro alleati hanno continuato a sostenere i ribelli siriani. Il bombardamento dell’ISIS da parte degli americani – relativamente leggero e sporadico – ha confermato agli occhi di molti iracheni il fatto che gli Stati Uniti non vogliono realmente sconfiggere il gruppo.

Secondo la versione ufficiale fornita dal governo, gli Stati Uniti hanno cercato di indebolire l’ISIS in Siria offrendo il loro sostegno ai ribelli “moderati”. (Il presidente Obama viene continuamente criticato per non aver armato i ribelli siriani, nonostante non abbia mai smesso di farlo). In realtà, la decisione degli USA di creare una propria forza all’interno dell’opposizione è la dimostrazione che non sono stati capaci di trovare dei gruppo moderati da appoggiare. L’ex ambasciatore statunitense Robert Ford ha ammesso che “per troppo tempo ci siamo voltati dall’altra parte” mentre i ribelli sostenuti dagli USA collaboravano col Fronte al-Nusra, organizzazione alleata dello Stato islamico e vicina ad al-Qaeda. Molti ribelli “moderati” – “intere unità di ribelli sostenuti dalla CIA” – si sono unite al Fronte al-Nusra e all’ISIS. Nei primi mesi di quest’anno, il principale gruppo alleato degli USA, Harakat al-Hazm, stava per essere sopraffatto dall’ISIS – e dunque si unito ad esso.

Il documento della DIA del 2012 conferma che i reazionari hanno dominato l’opposizione fin dalla prima ora. “I salafiti, i Fratelli musulmani e al-Qaeda in Iraq (AQI) sono le forze principali dietro all’insurrezione in Siria”, si legge nel documento, che sostiene anche che “l’AQI ha sostenuto l’opposizione siriana fin dall’inizio”. È questa la verità a lungo occultata che il rapporto della DIA mette in evidenza: dopo la fase iniziale della guerra in Siria, sostenere la guerra contro il governo di Assad equivaleva ad aiutare l’ISIS.

Non c’è niente di anomalo in ciò. Varie volte dalla seconda guerra mondiale in poi gli Stati Uniti hanno armato, sostenuto o rafforzato i gruppi jihadisti (e i loro precursori) al fine di danneggiare i loro avversari più immediati. Il caso più eclatante è ovviamente quello dei gruppo islamisti che combattevano contro l’Unione Sovietica in Afghanistan negli anni settanta e ottanta. Ma non è necessario ricorrere ai libri di storia per trovare dei precedenti: proprio in questo momento, di fronte al fallimento del tentativo di creare una propria forza all’interno dell’opposizione siriana, gli USA stanno incoraggiando i loro alleati a collaborare con il Fonte al-Nusra e hanno dato il loro via libera ad un’azione coordinata da parte dei paesi del Golfo e della Turchia per armare una coalizione di forze ribelli che include il Fronte al-Nusra e altri gruppi reazionari.

Se gli Stati Uniti vogliono veramente fermare gruppi come l’ISIS e al-Qaeda, dovrebbero innanzitutto smetterla di sostenerli.

Articolo pubblicato sulla rivista statunitense Jacobin l’1 giugno 2015 e tradotto in esclusiva da Oneuro. 

http://www.eunews.it/2015/06/05/come-gli-stati-uniti-hanno-aiutato-isis/36686

2015 crisi economica che si innesta su quella del 2007/08, se non si aumentano i salari, se non si fanno lavorare le persone non usciamo dalla crisi


Marc Faber: incremento dei tassi negli Stati Uniti? Macché, è in arrivo il QE4

Inviato da Luca Fiore il Ven, 05/06/2015 

Mentre i mercati iniziano a fare i conti con la tempistica del primo incremento dei tassi negli Stati Uniti, c'è chi, non a caso soprannominato Dr. Doom, arriva a pronosticare il quarto piano di allentamento quantitativo (il Quantitative Easing 4). "Quando guardo al settore finanziario mi sento sul Titanic", ha detto Marc Faber, autore della newsletter di culto "The Gloom, Boom & Doom", nel corso di un'intervista. Come sulla nave che nel 1912 si scontrò con un iceberg, è arrivato il momento "di cercare una scialuppa di salvataggio e una scala perché penso che il sistema finanziario sia destinato ad implodere".

Secondo Faber, noto ai più per il suo inguaribile pessimismo sull'andamento dei mercati, a livello globale "non ci sono stati molti miglioramenti a livello economico". Per l'uomo d'affari elvetico uno dei maggiori problemi è rappresentato dal fatto che vivere nelle grandi città è diventato insostenibile e questo finisce per penalizzare in consumi. "I prezzi sono saliti troppo in molte città statunitensi ed europee e non sono più sostenibili [...], le persone devono spendere soldi ma non riescono ad uscire spesso".

In un contesto simile il consiglio per gli investitori è di non preoccuparsi in vista dell'incremento dei tassi negli Stati Uniti, perché la Federal Reserve si troverà costretta a lanciare un nuovo QE, il quarto. "Si, penso di si", ha risposto Faber alla domanda se è in arrivo il QE4. Ma non solo la Fed, "tutte le banche centrali sono talmente invischiate nel fango che, a mio avviso, continueranno ad acquistare asset".

A livello operativo il Dr. Doom ha detto di aver recentemente comprato trentennali a stelle e strisce, "visto che ritengo siano in ipervenduto" e, in linea con il pessimismo sull'outlook economico, "credo che il mercato dei Treasury potrebbe far registrare un nuovo rally". Non solo bond, "ma anche commodity, metalli preziosi".

Fmi: la Fed deve rinviare il rialzo dei tassi
Nel rapporto annuale sull'economia statunitense, diffuso ieri, il Fondo monetario internazionale ha ridotto dal 3,1 al 2,5 per cento la stima sulla crescita della prima economia nel 2015. A pesare sulla ripresa a stelle e strisce sarà la forza del dollaro, definito "moderatamente sopravvalutato". In questo contesto l'istituto guidato da Christine Lagarde ha esortato la banca centrale americana a posticipare il timing del primo rialzo dei tassi fino al primo semestre 2016. "Il Fomc (il braccio operativo della Fed, ndr) dovrebbe rinviare il suo primo aumento dei tassi fino a quando ci saranno maggiori rialzi a livello di stipendio o di inflazione rispetto a quelli attualmente evidenti", si legge nel rapporto.

http://www.finanzaonline.com/notizie/marc-faber-incremento-dei-tassi-negli-stati-uniti-macch%C3%A9-%C3%A8-in-arrivo-il-qe4-440827

Il Pd non solo è corrotto ma è anche traditore della Patria ha regalato alla speculazione internazionale l'Italia

Ecco per chi lavora Equitalia

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Equitalia oggi sta vessando un numero spropositato di italiani. Credo che ogni cittadino abbia avuto il “piacere” di tenere tra le mani una delle famigerate cartelle.
I media continuano ad elevare la lotta all’evasione a panacea di tutti i mali nazionali senza evidenziare mai, che dal 1992 in poi, è stata proprio l’evasione fiscale ad impedire alla finanza di distruggerci. Equitalia per chi lavora in realtà? Chi c’è dietro a questo attuale livello di pressione fiscale? Secondo voi lo scopo è la giustizia sociale? Se lo pensate siete ingenui oltre ogni limite è dannatamente male informati.
Si tratta, è inutile girarci intorno, di un disegno criminoso. Con un fisco vampiro si punta alla distruzione della domanda interna ed alla recessione per far in modo che, il costo psicologico di non fare le riforme diventi, per tutti noi, superiore a quello di farle (lo disse testualmente Mario Monti). E la vera riforma che vogliono i mercati è semplicemente la cancellazione degli Stati nazionali, la cancellazione delle democrazie. Insomma vogliono la nostra sovranità in totale violazione del dettato costituzionale (artt. 1 ed 11 Cost.) e commettendo reati palesi a tutti (tranne che alla dormiente Procura della Repubblica di Roma) contro la personalità dello Stato ex art. 241 e 243 cp. Sono anni che giuristi ed associazioni segnalano questi crimini, eppure nulla accade.
Domani, lunedì 9 marzo 2015, dalle 21 e 15 in poi, avrò il piacere di essere presente alla trasmissione “Quinta Colonna”. In tale sede vorrei semplicemente spiegare una cosa semplicissima, quasi demenziale: se un paese tassa più di quanto spende si smantella da solo.
Non può sfuggire alla comprensione delle masse che la moneta non cresce spontaneamente in natura. È semplicemente creata dal nulla. Dunque puoi lavorare quanto vuoi, fare le riforme che vuoi, ma alla fine il pallottoliere non mente. Se dreni ogni anno moneta dall’economia la gente sarà sempre più povera. 
Non si può quindi giustificare l’operato di Equitalia, nemmeno laddove vada a danno di evasori incalliti, in quanto lo scopo finale è comunque spazzare via la nostra democrazia. Se l’evasore rimanesse nel possesso dei suoi soldi e li spendesse in Italia, conserveremo un po’ di moneta in più nel sistema economico rallentando il tracollo. La lotta all’evasione è ormai raccontata come la moltiplicazione dei pani e dei pesci. Se evado 50 euro e vengo beccato questi mistificatori ci raccontano che lo Stato ha 50 euro in più ma si dimenticano di dirci che ci sono 50 euro in meno nell’economia reale e che il saldo macroeconomico resta invariato! Ed in ogni caso, data l’incostituzionalità dell’attuale sistema tributario che calpesta il principio della capacità contributiva, diventa difficile stabilire un confine tra evasione del cittadino ed estorsione compiuta a nome e per conto dalla finanza dai traditori che occupano le nostre istituzioni.
Dal 1992 in poi l’Italia, per rispettare il vincolo del 3% del deficit annuo in rapporto al PIL, ha tassato più di quanto ha speso. Vi è stata una serie record di avanzi primari che ci hanno via via impoverito fino ad arrivare all’attuale drammatica situazione.
Chi oggi inneggia alla lotta all’evasione e caldeggia i tagli alla spesa pubblica persiste nell’andare esattamente dove vuole la finanza. Andare verso la cancellazione dello Stato e la conseguente cancellazione della democrazia sostituita dal potere di coloro che creano moneta dal nulla senza alcun vincolo o limite.
Come si esce dalla crisi economica dunque? Solo rispettando la Costituzione, riprendendoci la sovranità ceduta e applicando alla lettera l’art. 47 Cost.: “La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme. Disciplina, coordina e controlla il credito”.
Ebbene che sia chiaro a tutti! Il risparmio si fa aumentando la moneta circolante! Ovvero creandone di più o comunque lasciandone di più nelle tasche dei cittadini, il risparmio si fa solo ed esclusivamente con il DEFICIT! E come si fa ad avere disponibilità di moneta da immettere nel sistema attraverso la spesa pubblica? Serve la sovranità monetaria!
La Repubblica deve coordinare e controllare il credito e non subire i dictat delle banche addirittura creando un apparato fiscale tale da auto smantellarsi in favore di intelligenze straniere.
Più Stato, decisamente. E strappiamo la creazione di moneta ai privati. È l’idiozia (il crimine) più grossa che si sia mai concepita. Pensare che poi chi crea moneta faccia gli interessi dei deboli è addirittura un insulto all’intelligenza. Fermo restando che di come la pensano i fautori dell’incostituzionale indipendenza della banca centrale, mi interessa davvero poco sotto il profilo tecnico. Visto che le cessioni compiute sono e restano atti criminali penalmente sanzionati.
Ecco perché Equitalia va fermata. Ecco perché Equitalia tradisce gli interessi nazionali. Ecco perché l’evasore oggi è un alleato, talvolta inconsapevole, della democrazia. E non veniteci a raccontare che lo Stato creerebbe inflazione abusando, per scopi clientelari, della spesa pubblica!
Siamo in deflazione! C’è meno moneta di quanta ne serve! Abbiamo vissuto sotto le nostre possibilità nonostante corruzione e sprechi. 
Si legge Equitalia ma si pronuncia dunque Goldman Sachs, Jp Morgan e compagnia bella… Equitalia oggi lavora per le banche d’affari internazionali. Se apriamo gli occhi salveremo il paese e forse il mondo intero.

venerdì 5 giugno 2015

il governo pagliaccio deve andare via, a chiacchiere è contro le mafie

Lo dice il procuratore di Reggio Calabria, Nicola Gratteri, che ha presieduto la commissione

La riforma della giustizia? C'è già

Consegnata a gennaio, poi non se ne è più saputo nulla
 di Sergio Luciano 

Se diventassero legge il 50% delle proposte contenute nella mia bozza di riforma sarebbe una rivoluzione sia nella lotta alla mafia che nell'aumento delle garanzie processuali per tutti»: Nicola Gratteri, procuratore a Reggio Calabria, è persona seria e non è un estremista. «Nel luglio 2014 il governo mi ha chiesto di stilare una bozza di riforma della giustizia, con una commissione entro il successivo mese di dicembre l'abbiamo finita e a gennaio 2015 l'abbiamo consegnata.

Da allora non ne ho saputo più niente», dice, rispondendo ad un'intervista pubblica di Panorama, nella tappa varesina del «tour» del settimanale mondadoriano.
Domanda. Perché una rivoluzione, dottor Gratteri?
Risposta. Abbiamo proposto la modifica di 150 articoli di legge. Con tre regole: non abbassare il livello delle garanzie, applicare l'informatica al processo; eliminare la carta dai tribunali. In generale, rendere il delinquere non più conveniente. La bozza è pronta, ed è un articolato di legge, non una relazione.
D. Qualche esempio di innovazioni?
R. Ogni anno lo Stato spende 70 milioni di euro per gestire le traduzioni degli imputati in attesa di giudizio dal carcere dove sono rinchiusi ai tribunali sedi dei processi. Mobilitando in permanenza 10 mila uomini della polizia penitenziaria per garantire le traduzioni. Così, molte carceri devono tenere vuote, inutilizzate, intere sezioni perché mancano gli agenti per gestirle. Se invece le testimonianze e gli interrogatori venissero fatti in videoconferenza dalle carceri ai tribunali, tutto questo non accadrebbe, e sarebbe un vantaggio enorme per i tempi e i costi della giustizia, oltre che per la funzionalità delle carceri.
D. Impressionante. Poi?
R. Proponiamo una modifica importantissima sulla gestione dei collaboratori e testimoni di giustizia. Quando un imputato diventa collaboratore di giustizia viene nascosto in un luogo segreto, conosciuto da una sola persona, appartenente al cosiddetto ufficio protezioni, un organismo interforze costituito da Polizia, Carabinieri e Guardia di finanza. Abbiamo proposto che quest'ufficio sia invece gestito dalla polizia penitenziaria. Perché? Semplice. Poniamo che un 'ndranghedista di Reggio Calabria diventi collaboratore di giustizia e venga nascosto ad Ancona. Un dirigente della Questura di Reggio vuole interrogarlo ancora, chiede a un collega amico che lavora all'ufficio protezione di dirgli dove si trova, e spesso lo viene a sapere. Sa com'è: tra colleghi, i reciproci interessi di carriera, la solidarietà Il protetto si vede raggiunto dal poliziotto e gli condiziona le nuove rivelazioni alla concessione di favori. Questo discredita tutto. Se le tutele fossero gestite da una polizia diversa, che non prende parti alle indagini e non ha relazioni con gli inquirenti, sarebbe molto meglio.
D. E sui beni della mafia?
R. Le aziende vanno confiscate subito dopo la sentenza di primo grado.
D. Ma spesso poi falliscono
R. Perché spesso sono state costituite o acquisite per riciclare a qualsiasi condizione, ma se gestite come aziende pulite si rivelano non profittevoli!».
D. A proposito di mafia. Nel suo libro «Oro bianco» traccia un quadro impressionante del traffico della cocaina
R. Milano è la più grande piazza europea per il consumo di cocaina. Ma è la Spagna il ventre molle europeo della lotta alle mafie. Un terzo delle banconote da 500 euro circolanti in Europa si trova in Spagna. In Spagna ci sono vere e proprie colonie di colombiani, e depositi segreti da dieci tonnellate di cocaina ognuno. Abbiamo indagato su agenzie che chiedono il 5% di provvigione per fare arrivare i soldi sporchi in Sudamerica ad altre agenzie riceventi che trattengono un altro 5%. Ma solo il 9 per cento di questo denaro sporco torna in Sudamerica, il resto rimane in Europa, e questi narcotrafficanti stanno comprando di tutto in tutta l'Unione.
D. Ma quanto denaro contante circola in Europa?
R. Una montagna. Il 36% di tutto il valore monetario degli euro circolanti in Europa è in banconote da 500 euro. E un milione di euro in banconote da 500 pesa solo 2,2 chili, sta benissimo in una valigetta 24 ore. Lo stesso valore in dollari pesa 11 chili e mezzo e sta in 5 valigette.
D. Gli altri Stati europei, Spagna a parte, capiscono la gravità della piaga delle narcomafie?
R. No, non abbastanza. Quando vado a Strasburgo mi arrabbio sempre e mi esprimo con durezza perché vedo e dico che c'è un'Europa solo economica, che s'interessa soltanto delle norme bancarie e finanziarie, o delle quote latte. E attorno, intanto, cosa accade? In Europa non c'è cultura del controllo del territorio. L'Unione non è attrezzata per contrastare le mafie. La legislazione antimafia italiana è la più evoluta al mondo, e non basta, ma nel resto d'Europa è assao peggio. Nei Paesi dell'Europa centrale c'è il nulla, è quindi sono paesi pieni di 'ndranghetisti e camorristi, indisturbati. Quando leggete di qualche arresto in uno di quei paesi, siamo sempre noi, dall'Italia. Ad esempio: in Olanda non si possono fare provvedimenti di ritardato sequestro, appena si sa che c'è qualcuno in possesso di 2 chili di droga bisogna arrestarlo. Questo significa non poter mai risalire dai pesci piccoli a quelli grandi. Con simili premesse, figuratevi cosa mi capita ad andare a parlare a Strasburgo dell'articolo 416 bis: quando al Parlamento europeo ho detto che in Germania c'è la 'ndrangheta un gruppetto di parlamentari tedeschi mi avrebbe sbranato. Lo stesso in Svizzera».
D. Parlando d'altro: che ne pensa della lista degli «impresentabili» stilata dalla presidente della Commissione antimafia Rosi Bindi, che ha influenzato l'esito delle elezioni regionali?
R. Non posso dare valutazioni politiche. Rilevo solo che ogni volta che ci sono elezioni di qualsiasi genere c'è sempre questo ritornello sul codice di autoregolamentazione. Ma poiché chi fa le liste conosce chi ci mette, è evidente che fa un calcolo cinico, mette in lista pregiudicati o faccendieri perchè prevede che una fetta dell'elettorato comunque li voterà. Quindi ogni volta ci si meraviglia, ma io mi meraviglio che la gente continui a meravigliarsi.

http://www.italiaoggi.it/giornali/dettaglio_giornali.asp?preview=false&accessMode=FA&id=1992017&codiciTestate=1 

Infrastrutture digitali, fibra ottica, l'imbecille al governo non perde il vizio gare taroccate, Cantone se ci sei batti un colpo

Metroweb, investimenti per 4 miliardi nel piano Vodafone-Wind

ULTRABROADBAND

Le due aziende sarebbero vicine a un'intesa ufficiale attesa già per luglio. Sul piatto la realizzazione di una rete Ngn in 500 città. Intanti nella bozza del Decreto Comunicazioni ci sarebbe una clausola "pro-Metroweb"

di A.S.
Cinquecento città da cablare con la fibra ottica, per un investimento complessivo di circa quattro miliardi di euro. E’ questo il contenuto del piano industriale che Wind e Vodafone stanno mettendo a punto in vista dell’intesa ufficiale che potrebbero ufficializzare in estate per la realizzazione di un’infrastruttura nazionale in fibra attraverso Metroweb.
Secondo le dichiarazioni di una fonte a conoscenza dei fatti a Mf-Dowjones il piano dovrebbe essere pronto nel giro di un paio di settimane e rappresenta il primo passo della lettera di intenti siglata tra Vodafone, Wind, F2i e Fsi, questi ultimi due soci di Metroweb.
Gli investimenti saranno per una parte finanziati con gli investimenti pubblici inseriti nel decreto della banda ultralarga, una parte in equity e una parte a debito, anche se al momento non esiste ancora una suddivisione precisa.
Intanto, conclude la fonte, sono in fase di avviamento i contatti tra Metroweb ed Enel, altro soggetto interessato ad entrare nel progetto della banda ultralarga, con la società guidata da Francesco Starace che sarebbe orientata a mettere a disposizione le proprie infrastrutture per cablare il territorio nazionale.
Quanto al decreto comunicazioni, secondo le anticipazioni del sole24ore la bozza prevede 1,4 miliardi di incentivi tramite voucher per gli utenti finali per un piano complessivo da 7 miliardi di risorse, e una clausola “pro Metroweb”, che conferirebbe all’azienda una priorità nelle gare, che avrebbe creato allarme in Telecom Italia e Fastweb.
Nel decreto aggiornato, secondo il quotidiano economico, esiste una clausola per dare la preferenza nelle gare “a soggetti non verticalmente integrati, con caratteristiche di offerta solo all'ingrosso”, profilo che coincide con quello di Metroweb.

http://www.corrierecomunicazioni.it/tlc/34662_metroweb-investimenti-per-4-miliardi-nel-piano-vodafone-wind.htm