Se da un lato la CGIA di Mestre
sottolinea come il governo Renzi stia abbassando le tasse per famiglie e
imprese, alcune associazioni imprenditoriali sostengono l’esatto
contrario. E’ il caso dell’analisi del Centro studi di Unimpresa sulla nota di aggiornamento del Def appena
approvato dal governo: secondo lo studio, dal 2015 al 2019 le entrate
tributarie e previdenziali saranno in costante aumento, fino a 866
miliardi, così come la Pressione fiscale che supererà il 44%.
I NUMERI DI UNIMPRESA – Secondo l’analisi del Centro
studi, l’abbassamento delle tasse è una chimera, mentre è in arrivo una
stangata fiscale da 107 miliardi di euro nei prossimi 5 anni. Dal 2015
al 2019 le entrate tributarie dello Stato cresceranno costantemente e
arriveranno fino agli 884 miliardi del 2019. Complessivamente nel
prossimo quinquennio i contribuenti italiani dovranno versare nelle
casse pubbliche 107,5 miliardi in più rispetto allo scorso anno
(+13,84%). Sulle imposte dirette e indirette – principalmente Irpef,
Ires e Iva – ci sarà una stretta da oltre 81 miliardi. E la pressione
fiscale salirà oltre il 44%. Il bilancio statale non sarà sforbiciato:
le uscite cresceranno di quasi 40 miliardi (+4,82%) e sono stati
sterilizzati gli investimenti pubblici, che resteranno stabili attorno
ai 60 miliardi l’anno con un calo complessivo di 1,1 miliardi. Questi i
dati principali dell’analisi, che ha preso in esame le tabelle della
nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza (Def)
approvato il 18 settembre scorso dal consiglio dei ministri.
GIRO DI VITE SU IRPEF, IRES E IVA DI 81,8 MILIARDI –
Stando all’analisi, nel 2015 le entrate tributarie e previdenziali
saliranno a quota 788,6 miliardi dai 777,2 miliardi del 2014; nel 2016
cresceranno ancora a 817,3 miliardi e poi a 843,2 miliardi nel 2017; nel
2018 e nel 2019 arriveranno rispettivamente a 866,6 miliardi e a 884,7
miliardi. Complessivamente, nel quinquennio si registrerà un incremento
di 107,5 miliardi (+13,84%). Aumenteranno sia le entrate tributarie sia
quelle derivante dai cosiddetti contributi sociali (previdenza e
assistenza). Per quanto riguarda le entrate tributarie l’aumento
interesserà sia le imposte dirette (come quelle sui redditi di persone e
società, a esempio Irpef e Ires) sia le imposte indirette (tra cui
l’Iva): le imposte dirette cresceranno in totale di 35,2 miliardi
(+14,84%) mentre le indirette subiranno un incremento di 46,5 miliardi
(+18,86%). Il sostanziale giro di vite su Irpef, Ires e Iva sarà pari a
81,8 miliardi (+16,89%). I versamenti relativi alla previdenza e
all’assistenza cresceranno dal 2015 al 2019 di 23,3 miliardi (+10,78%).
PRESSIONE FISCALE STABILE SOPRA IL 44%, PIL TIMIDO –
L’incremento delle entrate tributarie e di quelle contributive farà
inevitabilmente salire la pressione fiscale. Nello stesso Def, il peso
delle tasse rispetto al pil è infatti previsto in aumento: quest’anno si
attesterà al 43,7%, superiore al 43,4% del 2014; nel 2016 salirà al
44,2%, nel 2017 e nel 2018 si attesterà al 44,3%, per poi calare
leggermente al 44,0% nel 2019. Nello stesso arco di tempo, la crescita
economia, stando alle previsioni del governo, sarà timida: il pil non
farà scatti in avanti significativi ed è infatti dato in aumento dello
0,9% nel 2015, dell’1,6% nel 2016, dell’1,6% nel 2017, dell’1,5% nel
2018 e dell’1,3% nel 2019.
BILANCIO STATALE SU DI 40 MILIARDI: BRUCIATO IL TESORETTO SPREAD DA 2,2 MILIARDI –
Nessun intervento rigoroso sul bilancio statale: le uscite saliranno
costantemente rispetto agli 826,2 miliardi del consuntivo 2014. Nel 2015
saliranno a 831,5 miliardi, nel 2016 a 840,4 miliardi, nel 2017 a 842,6
miliardi, nel 2018 a 853,7 miliardi e nel 2019 a 866,1 miliardi.
Complessivamente, nel quinquennio si registrerà un incremento della
spesa pubblica pari a 39,8 miliardi (+4,82%). L’incremento è legato
esclusivamente alle uscite correnti (acquisti, appalti, stipendi) che,
nel quinquennio, aumenteranno di 43,2 miliardi (+6,24%). In diminuzione,
invece, la spesa per interessi sul servizio del debito che beneficerà
verosimilmente della riduzione del divario di rendimento tra i titoli di
Stato italiani e quelli tedeschi: il tesoretto legato allo spread sarà
pari a 2,2 miliardi tra il 2015 e il 2019 (-2,97%), ma verrà di fatto
bruciato dagli aumenti delle altre voci di spesa, piene di sprechi non
toccati. Resta invariata, invece, la voce “uscite in conto capitale”,
che corrisponde agli investimenti pubblici, stabile attorno a circa 60
miliardi l’anno: nel quinquennio si registrerà una riduzione pari a 1,1
miliardi (-1,95%).
LONGOBARDI: “LE TASSE AUMENTANO E GLI SPRECHI RESTANO INTATTI” –
“Di fronte a questi numeri – commenta il presidente di Unimpresa, Paolo
Longobardi – c’è poco da dire: come rappresentanti delle micro, piccole
e medie imprese italiane ci sentiamo presi in giro, perché non possiamo
ignorare lo spread esistente dagli annunci del governo ai provvedimenti
e ai numeri messi nero su bianco dopo le sedute del consiglio dei
ministri. Sta di fatto che le tasse aumentano e gli sprechi del bilancio
pubblico restano intatti: non è questo il modo per salvare il nostro
Paese”.