Se, in Italia, ti capita di detestare qualcuno, esiste un formidabile strumento per
dimostrare il tuo odio: batterti perché il tuo nemico venga nominato ai
vertici della Rai. Trascorse appena quarantott’ore di auguri, applausi e
untuose lusinghe, gli apparirà l’inferno. Non solo la fila di
questuanti e di sedicenti geni incompresi ed emarginati dalle precedenti
gestioni. Soprattutto comincerà a farsi sentire quella politica che,
fino al giorno prima, ha gridato «giù le mani dalla Rai», uno dei più
ipocriti e corrotti luoghi comuni della nostra vita pubblica dai tempi
della riforma del lontano 1975, anno in cui cominciò la lottizzazione
(neologismo di Alberto Ronchey) della tv pubblica. Prima le piccole
avvisaglie, poi i primi distinguo, infine le risse e le urla scomposte.
Sta capitando anche alla tv pubblica presieduta da Monica Maggioni e guidata dal
direttore generale (con poteri da amministratore delegato) Antonio
Campo dall’Orto, più un Consiglio di amministrazione eterogeneo e a
tratti incomprensibile (di alcuni consiglieri si sono letteralmente
perse le tracce).
I nuovi vertici si sono insediati nell’agosto 2015, quindi mancano pochi giorni al
primo dei tre anni di mandato. Ma gli attacchi somigliano sempre di più
a un assedio finale. In particolare cresce di ora in ora la qualità e
la quantità di fuoco amico politico che bombarda il quartier generale di
viale Mazzini. I colpi più violenti arrivano da quel Pd che, di fatto,
ha indicato Campo dall’Orto, o CdO, come lo chiamano alla Rai: uomo
della Leopolda, quindi del segretario-presidente del Consiglio Matteo
Renzi. Eppure non c’è settimana che Michele Anzaldi, deputato Pd membro
della Vigilanza Rai, non renda pubblica la temperatura sempre più alta
della sua insoddisfazione venata di disprezzo («una tv pubblica così
allo sbando non si era mai vista»). Parla spesso anche Angelo
Giacomelli, sottosegretario alle Comunicazioni del ministero
dell’Economia e regista della riforma dei criteri di nomina del vertici
Rai («aspettiamo di scoprire l’ idea di Campo dall’Orto
sull’informazione, … faccio notare che occorre maggiore velocità»).
Martedì si sono mossi i vicesegretari del Pd Deborah Serracchiani e
Lorenzo Guerini, presentando un esposto contro «Ballarò» di Massimo
Giannini, colpevole di aver escluso il loro partito per la seconda
settimana consecutiva (dimenticando che i dati dell’Osservatorio di
Pavia non possono fare comodo o scomodo a piacimento, a seconda
dell’utilità del momento). Seguendoli a ruota dal Nazareno, hanno fatto
sentire la loro voce anche i deputato Sergio Boccadutri ed Ernesto
Carbone e la senatrice Francesca Puglisi.
Certo, poi ci sono gli attacchi di Roberto Fico, esponente del M5S e presidente
della Vigilanza Rai, in teoria sede di un incarico di garanzia, che
attacca il Tg1 diretto da Mario Orfeo. O Renato Brunetta che svolge lo
stesso compito per Forza Italia. Però questo capitolo appartiene a uno
dei riti inevitabili, le opposizioni che attaccano i vertici Rai
indicati dalla maggioranza.
Perché l’errore più evidente, e grossolano, è del Pd. Il governo Renzi alza ogni
giorno la bandiera delle riforme. Sarebbe tempo di issarne un’altra,
che non ha bisogno di decreti legge né di referendum. Sulla Rai,
occorrerebbe semplicemente votare (in Vigilanza) i vertici della Rai e
poi lasciare che l’autonomia aziendale faccia il proprio corso. Monica
Maggioni e Antonio Campo dall’Orto probabilmente hanno commesso i loro
errori. Forse hanno atteso troppo tempo per cambiare i vertici delle
Reti, ed ora sui direttori dei tg. La polemica sulle nomine di tanti
esterni può essere comprensibile e la rotta del piano editoriale non
appare per ora chiarissima. Ma non deve, non può, essere il partito di
maggioranza a tallonare giorno per giorno quel vertice che lo stesso Pd
ha voluto.
Il giudizio va affidato, come stabilisce la legge Gasparri tuttora in vigore, alla
commissione di Vigilanza Rai sulla base di cifre, dati e comportamenti.
E al Consiglio di amministrazione, se mai dovesse mettere in
discussione l’operato del direttore generale. Nominati i vertici, la
Politica dei partiti deve lasciare spazio alla legge e allo statuto Rai.
È impensabile che sia di fatto il Pd a dichiarare la morte del format
di «Ballarò»: in tv nulla è eterno, ma la decisione va lasciata ai
vertici con motivazioni editoriali chiare e inequivocabili. Altrimenti
il governo e il Pd di Renzi non si limiteranno a occupare la Rai, come
dicono molti. Semplicemente, la demoliranno.
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