Il mio ultimo articolo “La sceneggiata
delle comunali” (dopo il primo turno elettorale), dove il
democraticissimo ed egualitario slogan Un uomo, un voto si trasforma in
“Un pirla, un voto”, ha attirato parecchie contumelie e insulti, ancor
più che critiche sensate. La prova la troverete, senza ombra di dubbio,
al seguente link:
I miei assunti – in questo articolo e in molti altri scritti precedenti – si possono così riassumere:
1) L’Italia è un paese occupato e retto da collaborazionisti della troika, del Pentagono e delle principali City finanziarie.
2) In Italia la situazione è così tragica
che non ci sono vere opposizioni, con gli attributi e la volontà
politica di contrastare i servi dell’economia finanziaria
internazionalizzata, né dentro né fuori del parlamento
liberaldemocratico.
3) La liberaldemocrazia è uno strumento
di dominazione elitista, che estrinseca i suoi effetti (per noi)
negativi sul piano politico, come provano la persistenza del piddì e del
governo Renzi, il che significa continuazione all’infinito di politiche
anti-popolari, anti-sovraniste e anti-nazionali.
4) La volontà popolare non conta nulla e
il voto è mera riproduzione del rito elettorale, di cui le potenti élite
neocapitaliste e i loro collaborazionisti hanno ancora necessità per
imbrogliare il popolo (dalle primarie alle politiche, passando per
europee e comunali).
5) L’astensionismo, oltre il 50% del
corpo elettorale, non è la soluzione finale del problema e, in sé e per
sé, non rappresenta l’unico e il principale veicolo di liberazione di
massa, ma è, semmai, un bastoncino messo fra le ruote del carro elitista
e un motivo di angoscia per i collaborazionisti sub-politici (il
prefisso sub per chiarire che non sono costoro i depositari della
decisione politico-strategica, ma pendono dalle labbra delle élite
dominanti).
Ho precisato quanto sopra per due motivi.
Il primo è che l’articolo è stato da
alcuni frainteso, come se, ad esempio, io attribuissi un’importanza
cruciale al fenomeno dell’astensionismo, o semplificassi troppo una
realtà molto “complessa”.
Il secondo motivo è che, probabilmente,
la cosa non è andata giù ai sostenitori del cinque stelle, beneficiati
dal voto nel primo turno e in odor di vittoria in due grandi comuni, o
almeno a Roma (ce la faranno? Lo vedremo al secondo turno delle
comunali, domenica 19 giugno, brogli e … astensionismo permettendo).
Per quanto riguarda il primo motivo,
aggiungo che la “complessità” del reale ha rappresentato un valido
pretesto, a vantaggio delle élite dominanti, per impedire la
comprensione della realtà sociopolitica e l’analisi del sistema di
potere che ci domina. Qui non stiamo parlando, ovviamente, del concetto
di complessità come lo intendeva il matematico Poincaré, ma della
necessità di “disvelare” un sistema di potere elitista che si maschera
nelle forme e nei riti liberaldemocratici più “avanzati”, pur potendo
commettere qualche errore nella necessaria semplificazione della realtà
(in tal caso, sociale e politica).
Per quanto riguarda il secondo motivo,
invece, le razioni scomposte dei sostenitori del cinque stelle (fra loro
c’è chi la scorsa domenica si è impeganto si seggi!), derivano dal
fatto che costoro probabilmente ignorano che una funzione assegnata al
loro partito è quella di limitare l’astensionismo, affinché non dilaghi
troppo. Attraverso la promessa del “cambiamento” (tutti i politici a
casa, non lasceremo nessuno indietro, reddito di cittadinanza per
tutti!) il cinque stelle recupera astensioni trasformandole in voti,
favorendo così la riproduzione del rito elettorale liberaldemocratico,
molto gradito alle élite.
L’aspetto rituale del voto è legittimante
ed è, perciò, ancora irrinunciabile in liberaldemocrazia, anche se la
definizione delle linee di politica strategica non dipende dall’esito
elettorale (men che meno trattandosi di elezioni amministrative, in cui,
perciò, si può anche “perdere”), ma dall’azione degli organi
sopranazionali in mani elitiste e dalla stipula di trattati
internazionali, totalmente indipendenti dalla cosiddetta volontà
popolare.
La mera ritualità del voto democratico
che non decide alcunché d’importante, prova semplicemente che il nuovo
capitalismo a vocazione finanziaria è proattivo, cioè tende a prevenire i
pericoli e a uccidere i suoi nemici nella culla, o addirittura prima
della nascita, provocando aborti. Perciò in Italia abbiamo il cinque
stelle, docile “partito di riserva” mascherato da movimento di popolo
che da circa tre anni scalda i banchi in parlamento, preparandosi a
“sostituire” il piddì se e quando lo decideranno i poteri esterni. Per
tale motivo, non possiamo contare su un Blocco Popolare di Salvezza, o
un Fronte Nazionale di Liberazione, seriamente intenzionato a mettere
tutto in discussione.
Mantenere in vita il rito elettorale
equivale a legittimare un sistema di governo che si vende come punto più
alto della trasformazione sociopolitica nelle società umane, ma che
rappresenta, nella realtà, uno strumento di dominazione nelle mani delle
élite neocapitaliste. Se non fosse così, al secondo turno delle recenti
presidenziali austriache avrebbe vinto Norbert Hofer e non, con i
brogli, la marionetta verde Alexander Van der Bellen, valletto
dell’Establishment. Se così non fosse, non ci sarebbe stata la
demonizzazione di Donald Trump nelle lunghissime primarie americane per
la presidenza e la spinta data da tutto l’Establishment alla perniciosa
Hillary Clinton (da Obama al New York Times), dichiarata vincitrice
delle primarie dell’asinello ancor prima dell’importante voto
californiano.
La mera ritualità del voto
liberaldemocratico è possibile in una situazione di totale impotenza
politica delle masse dominate, debitamente manipolate. Perciò, per
almeno tre decenni, i collaborazionisti della classe
globale-finanziaria, i servi delle City finanziarie e del loro sistema
di potere internazionalizzato, hanno lavorato per raggiungere questo
cruciale obbiettivo, di natura antropologico-culturale ancor prima che
politica. Assenza apparente di alternative, “morte delle ideologie”,
precarietà nel lavoro e nella vita, privatizzazione anche dell’acqua e,
in prospettiva futura, dell’aria hanno “forgiato” un nuovo tipo umano,
incapace di ribellarsi, “analfabeta sociopolitico”, impotente davanti
alle scelte politiche anti-umane del potere vigente. Solo così il rito
del voto democratico, quintessenza del dominio di classe sul piano
politico, negazione di ogni vero diritto naturale dell’uomo (al reddito,
al lavoro, all’esistenza dignitosa), può riprodursi in tutta
tranquillità senza scossoni sociali o ampie rivolte.
In epoca ormai lontana, in un’altra
realtà sociale e politica, quando il capitalismo era borghese e ancora
legato alla “potenza dello stato” nazionale, il grande Lenin ci ha
rivelato che la democrazia, con il suo “parlamentarismo” e il voto,
altro non era che il mascheramento della dittatura alto-borghese (Stato e
Rivoluzione). Ciò è ancor più vero oggi, se sostituiamo al capitalismo
produttivo del secondo millennio il neocapitalismo internazionalizzato a
vocazione finanziaria e alla borghesia la classe dominante globale.
A quale conclusione si può giungere, districandosi nella “complessità del reale”?
Ritualità legittimante, priva di sostanza
nella decisione politica, e impotenza di massa caratterizzano il voto
democratico, a tutti i livelli e in tutti gli appuntamenti elettorali
che osserviamo.
Questa volta spero di essere stato chiaro oltre che breve … anzi, quasi telegrafico, data l’importanza dell’argomento trattato.
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