Pensioni, flessibilità in uscita costerà cara. Taglio assegno fino al 15%
15 giugno 2016, di Alessandra Caparello
ROMA (WSI) – Comincia lentamente a prendere forma l’Ape, l’anticipo pensionistico annunciato dal premier Renzi e che dovrebbe trovare posto nella prossima Legge di Stabilità
2017. Ieri si sono incontrati nuovamente governo e parti sociali
proprio per discutere sulla riforma previdenziale e conoscere più da
vicino l’ipotesi del prestito pensionistico previsto con l’Ape che
permette di andare in pensione con 3 anni di anticipo.
Si tratta in sostanza di un prestito che concede una banca
al pensionato che riceverà un assegno netto per gli anni che gli
mancano al raggiungimento del requisito anagrafico per andare in
pensione. La restituzione avverrà in 20 anni con una rata sull’assegno
mensile e modulata a seconda dei casi. Tra i maggiori beneficiari
dell’Ape ci saranno i dipendenti che hanno perso il posto di lavoro a
seguito di ristrutturazione aziendali con la possibilità di ottenere anche sgravi e detrazioni fiscali.
Sono sfavoriti coloro che scelgono volontariamente di uscire dal
mondo del lavoro e ritirarsi 3 anni prima. Solo per questi ultimi
soggetti infatti si prevede un taglio dell’assegno previdenziale mensile
fino al 15%. Ipotizzando allora un’indicizzazione del trattamento previdenziale
pari all’1% per ogni anno e un tasso d’interesse applicato del 3,5%, un
lavoratore che accedesse con un anno di anticipo e con un trattamento
pari a 1.000 euro lordi perderebbe così il 6,9% della pensione, ovvero
il corrispettivo di un importo mensile netto in meno ogni anno (898
euro). L’onere, chiaramente, crescerebbe all’aumentare degli anni di
anticipo.
L’Ape partirà inizialmente in via sperimentale nel
2017 coinvolgendo i nati tra il 1951 e il 1953 (gli over 63) e nel 2018 i
nati del 1954 e quello seguenti i nati del 1955. Come hanno reagito i
sindacati? Il giudizio prevalso è positivo ma di prudenza.
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