mercoledì 15 giugno 2016
Tensione Usa-Bolivia
Evo Morales nel mirino degli Stati Uniti
Il presidente indio punta il dito contro Washington
In America Latina, la Cina è considerata la principale potenza economica di riferimento. Tempo fa, Pechino ha proposto al Mercosur
(cioè l’area di libero scambio che riunisce Argentina, Brasile,
Uruguay, Paraguay, Venezuela e che ha come ‘membri associati’ Bolivia,
Cile, Perù, Colombia ed Ecuador) di dar vita ad un ‘mercato comune’ del
Sud del mondo. Stando a quanto riportato dall’ufficialissmo ‘Quotidiano del Popolo’, l’8 gennaio 2015 il presidente cinese Xi Jinping
ha rivelato che gli investimenti cinesi in America Latina siano
destinati a raggiungere i 250 miliardi di dollari nei successivi 10
anni, mentre il commercio dovrebbe salire a 500 miliardi di dollari
entro lo stesso periodo. L’occasione stessa in cui è stato annunciato
questo notevole aumento delle relazioni è di per sé notevole, in quanto
avvenuta nel corso di un vertice di Pechino in cui erano riuniti ben 33
capi di Stato dei Paesi americani, esclusi quelli di Stati Uniti e
Canada. Si è trattato del primo forum tra la Cina e la Comunità degli
Stati dell’America Latina e dei Caraibi (Celac), che era stato proposto
dalla Cina nella primavera 2014. La Celac venne fondata nel dicembre
2011 da Hugo Chavez a Caracas, ed è arrivata a comprendere tutti i Paesi del Sud America, alcuni Stati dei Caraibi e il Messico.
Di fronte a un simile consolidamento dei rapporti tra una
potenza interessata ad erodere l’ordine unipolare fondamento sulla
supremazia geopolitica statunitense come la Cina e quello Washington ha
tradizionalmente considerato il proprio ‘cortile di casa’, il governo
Usa si è visto costretto a rivedere la propria scala delle priorità di
politica estera. Specialmente ora che l’amministrazione Obama
si appresta ad uscire di scena in vista delle elezioni di novembre, che
si preannunciano estremamente in bilico. Capitalizzare un riallineamento
del continente latino-americano, sfuggito al controllo degli Usa già
durante gli otto anni di governo Bush, rappresenterebbe un successo
destinato a rinforzare la posizione dei democratici e garantire quindi
una ulteriore freccia all’arco del candidato Hillary Clinton.
L’impeachment a danno di Dilma Rousseff può essere considerato il primo tassello dell’ambizioso piano di Washington, le
cui attenzioni sembrano ora concentrarsi sulla Bolivia, Paese che vanta
attualmente con la Cina le più solide relazioni economiche, politiche e
persino militari di tutta l’America Latina. Grazie al meticoloso lavoro diplomatico del presidente Evo Morales, La Paz si è trasformata nel centro logistico da cui si irradia il soft power
cinese sul continente sud-americano, incardinato sulle istituzioni
finanziarie statali e para-statali che, grazie ai crediti agevolati e al
sistema ‘infrastrutture contro materie prime’, hanno progressivamente
marginalizzato colossi come la Banca Mondiale e il Fondo Monetario
Internazionale, saldamente controllati dagli Stati Uniti.
Grazie al supporto finanziario cinese, la Bolivia ha avviato un
programma di modernizzazione dei trasporti e delle vie di comunicazione
dall’elevato coefficiente strategico che tende ad estendersi a tutto il
continente. Secondo le previsioni formulate da La Paz, il Paese guidato
da Morales dovrebbe addirittura accreditarsi a principale hub energetico di tutto il Sud America.
Gli Usa, dal canto loro, sono invece costretti a ripartire da zero per imporre i propri interessi in Bolivia. L’ambasciata
degli Stati Uniti a La Paz rimane vacante dall’11 settembre 2008 (data
non casuale, poiché coincidente con il trentacinquesimo anniversario del
golpe in Cile perpetrato da Augusto Pinochet con l’appoggio
statunitense), quando Evo Morale dichiarò l’ambasciatore Philip Goldberg
‘persona non grata’ a causa delle attività eversive in cui appariva
invischiato l’ufficio di rappresentanza degli Usa. Obama ha affidato l’incarico di gestire gli affari boliviani per conto del governo Usa a Peter Brennan,
già funzionario di alto rango dell’ambasciata statunitense in Pakistan
negli anni in cui la Cia effettuò nel Paese una serie impressionante di
operazioni coperte, come documentato in maniera più che dettagliata dall’abile giornalista investigativo (Premio Pulitzer nel 2009), Mark Mazzetti. Un’occhiata
al curriculum di Brennan è tuttavia sufficiente a spiegare perché sia
stato scelto proprio lui per gestire un incarico tanto complesso, vista e
considerata la sua lunga e collaudata esperienza in America Latina, in Paesi come Costa Rica, Uruguay, Venezuela, Repubblica Dominicana, Barbados e Nicaragua.
Meno risalto è stato dato alla sua attività a Cuba, dove Brennan è stato l’ideatore del servizio ZunZuneo (‘Colibrì’ nello slang locale), una sorta di ‘Twitter Cubano’
introdotto allo scopo ufficiale di favorire il flusso di informazioni
di carattere sportivo e culturale a favore dei cubani. L’Usaid,
l’agenzia statunitense cui fa riferimento una parte consistente della
galassia di Organizzazioni Non Governative (Ong) resesi responsabili
delle ‘rivoluzioni colorate’ sorte in numerosi Paesi dello spazio ex
sovietico, mise a disposizione le risorse finanziarie a realizzare il
progetto stornandole da un progetto umanitario che doveva essere messo
in atto in Pakistan. Da un’inchiesta dell’‘Associated Press’ emerse che ZunZuneo
era stato creato allo scopo specifico di agevolare la condivisione di
messaggi contro il regime cubano di Fidel Castro e istigare la
ribellione, dopo aver raccolto senza autorizzazione qualcosa
come mezzo milione di numeri di telefono intestati a residenti
nell’isola e dati sensibili relativi a età, sesso e orientamenti
politici di centinaia di migliaia di cittadini cubani; manovre
estremamente simili a quelle effettuate mesi dopo da diverse
organizzazioni direttamente coinvolti nello scoppio delle ‘primavere
arabe’. L’Usaid avrebbe tratto in inganno il governo di L’Havana e i
cittadini cubani nascondendo i legami tra questo servizio internet e il
governo degli Stati Uniti. Le indagini condotte dalle autorità preposte
portarono infatti a compagnie di facciata con sede legale presso le
Isole Cayman. Nessun portavoce di Washington si azzardò a smentire i
contenuti scottanti dell’articolo dell’‘Associated Press’, e L’Havana
decretò quindi la chiusura del programma.
Oltre a concepire ZunZuneo, Brennan ha impiegato
tutti i mezzi di pressione e condizionamento a disposizione per
influenzare il referendum che avrebbe dovuto decretare se Evo Morales
avesse potuto partecipare alle elezioni del 2019. Per impedire
che il presidente indio prolungasse la propria permanenza alla guida
della Bolivia, l’ambasciata degli Stati Uniti incrementò il flusso di
finanziamenti a beneficio di alcune Ong – la Leadership per lo Sviluppo
Integrale (Fulidei), la Rete della trasformazione globale (Rtg) e la
Scuola degli Eroi Boliviani in primis – affinché si mobilitassero per
organizzare una protesta numericamente rilevante. Accuse di corruzione e
malversazione contro Morales si moltiplicarono nell’arco di poche
settimane, come del resto era già accaduto a Fidel Castro e Hugo Chavez.
Carlos Valverde Bravo, giornalista televisivo ed ex-agente dei servizi
di sicurezza della Bolivia da molti ritenuto un asset della Cia, ha
accusato l’ex-compagna di Morales, Gabriela Zapata, di aver abusato
della propria posizione di direttrice commerciale della società cinese
Camc Engineering Co. per intascare e persino drenare a favore del
presidente diverse centinaia di milioni di dollari. Questa macchina del
fango rimase pienamente operativa fino al giorno del referendum, il cui
esito decretò il respingimento della proposta di Morales, il quale
accettò il verdetto delle urne sottolineando tuttavia la pesante
ingerenza degli Stati Uniti. Il presidente ha anche preso di mira Carlos
Valverde Bravo, riparato in Argentina mentre la sua tesi accusatoria
veniva smontata pezzo dopo pezzo, e Felando Pierre Thigpen, colonnello
esperto in tattiche di guerra non-violenta e sospettato di intrattenere
stretti rapporti con la Cia, recatosi presso il dipartimento di Santa
Cruz, tradizionalmente contrassegnato da forti tendenze separatiste, per istigare una rivolta anti-governativa
puntando sulla iniqua distribuzione del reddito vigente in Bolivia,
sebbene Morales abbia profuso notevoli sforzi per invertire questa
tendenza, con risultati niente affatto disprezzabili.
Dopo aver tentato un riavvicinamento diplomatico con Cuba,
assistito alla dipartita di una avversario irriducibile come Hugo
Chavez, istigato l’impeachment a danno della scomoda Dilma Rousseff e
appoggiato con successo l’ascesa al potere di Mauricio Macrì in Argentina,
Washington sta quindi inquadrando nel centro del mirino gli ultimi
ostacoli che impediscono agli Usa di imporre i propri interessi in
America Latina, vale a dire Evo Morales e, secondariamente, Rafael
Correa.
http://www.lindro.it/evo-morales-nel-mirino-degli-stati-uniti/
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