15/10/2016
LUIGI GRASSIA
«L’Italia non ricomincerà a crescere finché non uscirà dall’euro». Ernesto Preatoni, il finanziere e immobiliarista che ha creato (fra altre cose) Sharm el-Sheik, non nega che sganciarsi dalla moneta unica sia difficile e doloroso, ma sostiene che è meglio farlo al più presto anziché tirare avanti con questa crisi all’infinito, e aggiunge che se non organizziamo noi italiani un’uscita dall’euro ordinata e concertata, saremo costretti, fra poco, a un’uscita disordinata e catastrofica, in condizioni molto peggiori e all’insegna del si salvi chi può.
Diceva il saggio Confucio che la prima cosa da fare per raddrizzare le sorti di un Paese è «rettificare i nomi», cioè far corrispondere le parole ai fatti, le analisi alla realtà. E Pretoni sostiene che sull’euro è urgente svegliarsi, chiamare le cose con il loro nome, e poi agire di conseguenza. Nel suo ultimo libro, «8 cose che avevo previsto», scrive che «con l’euro ci siamo incatenati a un sistema di cambi fissi artificiale, che consente alla Germania di produrre ed esportare a prezzi troppo vantaggiosi e inchioda altri Paesi, come l’italia, a una crisi della domanda. Poi possiamo analizzare il perché e il percome, ma la verità è questa (...) Continuare a negare la realtà è un fatto molto grave (...) Prima o poi tutto finirà per saltare».
Preatoni perora queste tesi già da qualche anno, su libri e articoli di giornale. Si è sentito isolato, all’inizio, ma col passare del tempo dice di percepire «sempre più seguito nell’opinione pubblica, anche se non nell’accademia». In realtà ha la comprensione, se non l’adesione totale, anche di diversi accademici, come Paolo Savona, che firma la prefazione a questo libro e spiega: «Quello che propongo non è di uscire dall’euro ma di preparare un piano B, nell’ipotesi che i fatti ci impongano di uscire».
Le «8 cose che avevo previsto» corrispondono ad altrettanti capitoli di cui citiamo qualche titolo: «Le banche italiane valgono giusto la licenza bancaria», «L’inflazione e l’inefficacia del bazooka di Draghi» e «La scomparsa della classe media». Su alcun questioni specifiche il sostegno di Savona a Preatoni è totale; per esempio sulle nuove regole europee sulle banche il professore dice: «In Banca d’Italia mi hanno insegnato che se non sei d’accordo su una cosa ti dimetti. Invece sul bail in c’è chi ha detto “ho firmato ma non ero d’accordo”. Non si fa così».
Chi difende l’euro dice che il problema non è uscire dalla moneta unica, ma al contrario sarebbe necessario avere «più Europa». La costruzione dell’euro è un problema non in sé, sostiene questa tesi (la più diffusa); il problema vero, si dice, è che l’evoluzione su è bloccata a a metà. Bisognerebbe andare avanti fino a costruire un sistema integrato come gli Stati Uniti d’America.
Tutto vero, tutto giusto. Anche Preatoni e Savona sono d’accordo. Ma dire che cosa fare, e con quali scadenze, spetta a chi sostiene che l’euro può funzionare: sono loro a dover dire quali passi verso l’ulteriore integrazione si faranno, e quando, di preciso. Limitarsi a dire che qualcosa si deve fare, ma rinviarlo all’era del poi e all’era del mai, è come ammettere che si andrà avanti all’infinito nella stagnazione attuale (insostenibile) e alla fine questo porta acqua al mulino di Preatoni. Il fatto è che un’agenda europea verso l’ulteriore integrazione non esiste proprio, esistono solo perorazioni, e non si avverte la minima volontà politica di tracciare questa strada. La Germania dice no, no, no. E basta. E quasi tutti gli altri Stati sono sulla stessa linea. Dire che avremo questo o quello nel 2017, nel 2018 o nel 2020 sarebbe fuori dalla realtà. Non esiste agenda. Si può solo perorare e auspicare.
Secondo Preatoni il sistema collasserà presto, e il collasso sarà insieme economico, sociale e politico. E l’imprenditore si spinge nelle conclusioni del suo libro a raccomandare quali mosse fare per mettere i risparmi al sicuro da quello che ritiene l’inevitabile (e non lontano) crollo dell’euro e del suo sistema.
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