L’assedio alla roccaforte ISIS di Falluja ha calamitato
l’attenzione di giornali e tv sull’Iraq. Di ora in ora si aggiornano le
notizie sulle evoluzioni militari in tutto la provincia di Anbar: in
queste ore l’offensiva delle Forze Armate irachene, già alla periferia
della città, rallenta per l’uso di scudi umani da parte dei miliziani
del Califfato.
L’attesa per la sorte dei civili e per l’esito finale della battaglia
lascia che la lotta contro lo Stato Islamico sia avvolta da un unico
manto di angoscia e trepidazione.
Apparentemente infatti la guerra combattuta in Siria e in Iraq è una sola. Almeno così tende a semplificare il mainstream
mediatico, cercando di distinguere in modo manicheo i buoni dai
cattivi. In realtà i due grandi scenari, appartengono a quadranti
geopolitici addirittura contrapposti.
Andiamo con ordine.
Le difficoltà militari dell’ISIS degli ultimi mesi in Siria sono
ormai di pubblico dominio. Altrettanto nota è l’offensiva su vasta scala
messa in atto dalle forze governative irachene per sradicare il
terrorismo.
Ciò che è bene distinguere è chi combatte cosa.
In Siria, la vera guerra contro lo Stato Islamico la fanno le Forze Armate siriane e i loro alleati: principalmente russi, hezbollah,
miliziani sciiti iracheni e miliziani sciiti addestrati dall’Iran. Un
ruolo importante sul fronte nord è svolto dai curdi nelle loro
declinazioni YPG e SDF. Il loro peso è cresciuto
sensibilmente negli ultimi mesi con gli aiuti diretti degli Stati Uniti,
sbloccati dopo anni di tira e molla.
Contro il terrorismo istituzionalizzato dal Califfato, sulla carta
combatte anche la coalizione di Paesi virtuosi capeggiata proprio da
Washington, di cui però in Siria per tre anni non si è vista traccia
concreta. Di questa coalizione fanno parte ufficialmente anche Paesi
come l’Arabia Saudita sui cui stretti rapporti con l’integralismo
islamico sunnita wahabita non c’è molto da aggiungere.
Le evoluzioni militari del quadro siriano hanno però cambiato le
carte al punto da spingere gli Stati Uniti a intervenire in modo
visibile: la CVN Eisenhower farà tappa a Napoli nei prossimi
giorni prima di raggiungere il Mediterraneo orientale e diventare
operativa. In questo modo la partecipazione alla sconfitta del
temutissimo Stato Islamico sarà plateale e incontestabile.
È importante sottolineare però che l’Occidente, sulla carta nemico
dell’ISIS, in Siria è anche nemico di Damasco, cioè del governo siriano
ufficialmente e internazionalmente riconosciuto. 
In Iraq, la situazione è praticamente opposta. Le forze che
combattono il Califfato sono appoggiate dall’Occidente, di cui sono
diretta emanazione. Le Forze Armate irachene al contrario di quelle
siriane, sono state costituite, addestrate e armate dagli Stati Uniti di
cui sono una sorta di dependance. Basta una foto per schiarirsi le idee.
Anche in Iraq come in Siria al fianco delle forze regolari combattono
milizie sciite, animate dall’odio atavico contro lo strapotere sunnita
(e minoritario) nel Paese. Falluja era una roccaforte sunnita già ai
tempi dell’invasione americana del 2003, tanto da resistere con un anno
di guerriglia urbana e meritarsi bombe al fosforo e al plutonio nella
celebre ecatombe del 2004. Non a caso quindi iniziano a moltiplicarsi
voci di esecuzioni sommarie dei miliziani sciiti ai danni di civili
sunniti fuggiti dalla città accusati di collaborazione con i terroristi
dell’ISIS.
A differenza della Siria, dove è stata alimentata dall’esterno una
guerra di aggressione contro uno Stato sovrano rivenduta come Primavera
araba, in Iraq è in atto una guerra civile, eredità della guerra del
2003 sostanzialmente mai finita.
La rivolta contro Assad è iniziata nel 2011 e l’ISIS è subentrata
solo nel 2014 con miliziani di provenienza principalmente straniera.
L’Iraq viceversa è la culla originale del Califfato cresciuto
sull’ombra dello scontro fra sciiti e sunniti, endemico nel Paese.
Falluja, feudo sunnita, è a 120 km da Kerbala e a meno di 200 da Najaf,
santuari sciiti. L’attrito è fortissimo.
In sostanza oggi in Iraq da una parte si schierano transfughi delle disciolte istituzioni militari irachene (forze armate, partito Baath
e polizia) e miliziani dell’”internazionale sunnita” che appoggia lo
Stato Islamico; dall’altra le nuove istituzioni appoggiate dagli USA, a
cui si affiancano gli sciiti per meri interessi di potere.
La differenza principale è tutta qui: mentre l’Occidente (gli USA)
non hanno nessun interesse affinché Damasco prevalga sullo Stato
Islamico, in Iraq la vittoria del governo di Baghdad legittimerebbe in
parte la scellerata avventura del 2003 e l’eliminazione di Saddam. Se
l’ISIS perdesse in Siria, per gli Stati Uniti e gli occidentali che li
hanno seguiti sarebbe una mezza sconfitta. Se viceversa l’ISIS fosse
sconfitto in Iraq, per Washington e alleati sarebbe una quasi vittoria.
Da qui si capisce il buio mediatico che avvolge le vittorie di
Damasco in Siria e il risalto dato invece all’offensiva irachena su
Falluja.
Iraq e Siria, sono il teatro di due guerre diverse ma egualmente assurde, frutto dello stesso fallimento.
(foto: القوات المسلحة العراقي)