L'albero della storia è sempre verde

L'albero della storia è sempre verde

"Teniamo ben ferma la comprensione del fatto che, di regola, le classi dominanti vincono sempre perché sempre in possesso della comprensione della totalità concettuale della riproduzione sociale, e le classi dominate perdono sempre per la loro stupidità strategica, dovuta all’impossibilità materiale di accedere a questa comprensione intellettuale. Nella storia universale comparata non vi sono assolutamente eccezioni. La prima e l’unica eccezione è il 1917 russo. Per questo, sul piano storico-mondiale, Lenin è molto più grande di Marx. Marx è soltanto il coronamento del grande pensiero idealistico ed umanistico tedesco, ed il fondatore del metodo della comprensione della storia attraverso i modi di produzione. Ma Lenin è molto di più. Lenin è il primo esempio storico in assoluto in cui le classi dominate, sia pure purtroppo soltanto per pochi decenni, hanno potuto vincere contro le classi dominanti. Bisogna dunque studiare con attenzione sia le ragioni della vittoria che le ragioni della sconfitta. Ma esse stanno in un solo complesso di problemi, la natura del partito comunista ed il suo rovesciamento posteriore classistico, individualistico e soprattutto anti- comunitario" Costanzo Preve da "Il modo di produzione comunitario. Il problema del comunismo rimesso sui piedi"

sabato 11 giugno 2016

Bilderberg - strategie e tattiche, obiettivi, asservimento agli interessi dei potentati

Riunione Bilderberg in Germania, ecco di cosa parleranno i potenti della Terra 

di Gerasimo Terracciano | Giugno 10, 2016 

Riunione Bilderberg in Germania, ecco di cosa parleranno i potenti della Terra La lunga conferenza durerà 4 giorni, con 130 persone tra cui alcuni primi ministri e 30 amministratori delegati. E al solito si scatenano dubbi e dietrologie su quella che è oggettivamente una riunione piuttosto ambigua: ad un estremo troviamo i complottisti tout court, secondo cui non solo il gruppo decide le sorti del mondo ma sarebbe formato da un insieme di famiglie blasonate con origini rettiliane; a quello opposto coloro secondo i quali si tratterebbe di una normale riunione fra potenti in cui non si decidono le sorti economiche del pianeta ma si fa semplicemente merenda. 

Molti i temi che si affronteranno, primo tra tutti la questione migranti, ma anche la sicurezza informatica e il precariato. I precari sono "i lavoratori costantemente part-time, i lavoratori con lo stipendio minimo, i lavoratori stranieri temporanei, i domestici del mercato grigio pagati in contanti, i lavoratori tecno-impoveriti il cui lavoro frammentario non prevede né un ufficio né uno specifico settore, gli anziani che lottano con le pensioni che diminuiscono, i cittadini emarginati, le madri senza sostegno, gli operai che non hanno risparmi, la generazione per la quale non è disponibile né prevista una pensione e una data di ritiro dal lavoro".

Non c'è, dunque, nulla di nascosto o "occulto", nelle finalità che si prefigge il Club Bilderberg, una rete transnazionale che sarà in grado di imporre senza incontrare resistenza un nuovo ordine mondiale. La Chatham House Rule è nata nel 1927 all'interno della Chatham House, un'organizzazione non governativa con sede a Londra. La segretezza delle riunioni del Bilderberg è determinata dalla cosiddetta "Chatham House Rule", citata dallo stesso sito del gruppo: si tratta di una regola che stabilisce la confidenzialità delle fonti di informazioni scambiate nel corso di riunioni a porte chiuse. 

Le riunioni top secret si tengono dal 1954 e come obiettivo ufficiale hanno la promozione del dialogo tra Europa e America del Nord.Da sempre i vertici vengono contestati pesantemente specie per l'alone di mistero che li avvolge e che alimenta le teorie del complotto. 

Come osservatori, studiosi e analisti hanno fatto rimarcare, gli interessi del "Club" ruotano attorno ad un'unica prospettiva: l'eliminazione degli Stati nazionali e dei diritti sociali, la creazione di un'immensa classe umana precarizzata, nomade e vagante disposta a tutto pur di sopravvivere, la distruzione delle costituzioni e dei confini nazionali, la creazione di nuovi Trattati internazionali vincolanti mediante il primato economico e bancario, l'offensiva integrale al mondo del lavoro e delle garanzie sociali. 

I NOMI - Nella lista degli invitati diffusa sul sito del Bilderberg ci sono il direttore del Fondo monetario internazionale, Christine Lagarde, due premier - Mark Rutte, Olanda, e Charles Michel, Belgio - i ministri delle Finanze di Olanda e Canada, i ministri della Difesa e degli Interni tedeschi, Ursula van der Leyen e Thomas de Maziere, la vice presidente della Commissione europea Kristalina Georgieva. Franco Bernabè, ex presidente di Telecom. 

'Ndrangheta - è situata nei gangli del sistema capitalistico, ma il cervello risiede in Calabria

Il Procuratore Nicola Gratteri a Gli Intoccabili

Il Procuratore della Repubblica di Catanzaro lunedì 13 giugno sarà ospite nella quarta puntata de Gli Intoccabili, il primo docu-reality sulle mafie realizzato da Klaus Davi e LaC

venerdì 10 giugno 2016 
 

Nicola Gratteri a confronto con Klaus Davi per Gli Intoccabili. Negli studi di LaC arriverà il procuratore della Repubblica di Catanzaro, fresco di nomina, per continuare il viaggio all'interno del "mondo 'ndranghetista", tirandolo fuori dal "cono d'ombra" informativo che impedisce un'esatta valutazione del problema.

Gratteri, da sempre un magistrato in prima linea nella lotta alla 'ndrangheta, vive sotto scorta dal lontano 1989. Le sue indagini nel Reggino hanno permesso di delineare la struttura organizzativa,verticistica e contemporaneamente orizzontale della 'ndrangheta e soprattutto il ruolo fondamentale assunto nel traffico internazionale di droga dalle cosche calabresi.

Grazie alla droga, grazie al riciclaggio degli enormi proventi derivanti dal traffico di stupefacenti, la 'ndrangheta, secondo Gratteri, ha assunto un ruolo rilevante nel mondo della criminalità organizzata internazionale.

Enorme mole di capitali che non viene investita in Calabria, ma nelle regioni del nord d'Italia e in tantissimi altri paesi del mondo. In Svizzera, in Germania, negli altri paesi europei, ma anche in Canada, in Australia, a New York. Le indagini, e i processi, hanno confermato questa capacità espansiva della mafia calabrese, che mantiene però un contatto costante con la "mamma". E' qui in Calabria che si determinano le strategie di un'organizzazione mafiosa oramai decisa a infiltrarsi nel sistema legale capitatilistico.

Questa espansione internazionale della 'ndrangheta è difficile da contenere, secondo il neo procuratore della Repubblica di Catanzaro, perché nel mondo non c'è l'esatta consapevolezza della complessità del fenomeno. Le leggi di contrasto al fenomeno mafioso presenti in Italia non esistono negli altri paesi, neanche in Europa, dove è difficile inseguire i capitali 'ndranghetisti per l'assenza di omogeneità dei sistemi giuridici.

Per far crescere la consapevolezza della potenza del fenomeno 'ndranghetista, Gratteri è da sempre impegnato non solo nella sua attività di procuratore, ma anche nella divulgazione. Numerose le sue pubblicazioni, che hanno permesso al grande pubblico di conoscere origine ed evoluzione della 'ndrangheta. Costanti anche i suoi interventi sui media per tenere alto il livello di attenzione, e per chiedere le riforme legislative necessarie, anche al Governo italiano. Governo di cui avrebbe potuto far parte nel momento della formazione della squadra di Renzi, escluso per un veto dell'allora presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ("Un magistrato non può guidare il ministero della Giustizia").

Milano elezioni - il bugiardo Sala oltre a lasciare in rosso la società Expo, ha lasciato anche una montagna di debiti, non ha titolo per fare il sindaco

Expo, i creditori vincono la causa

La società guidata da Sala tra i responsabili del debito


Milano - Qui la questione non riguarda tanto i soldi che la società Expo Spa ha perso (qualcosa come 32 milioni di euro) ma i debiti che ha accumulato con le aziende che hanno lavorato ai padiglioni dell'esposizione universale. 


Ci sono decine e decine di società che hanno lavorato per mesi al cantiere di Expo Spa 2015 e che ancora non sono state pagate. Il commissario unico Giuseppe Sala, oggi candidato sindaco Pd, costituì insieme alla Mantovani Spa Group di Venezia, leader nella costruzione di grandi opere e finita sotto inchiesta per il «Mose» in una storiaccia di evasione e mazzette, una Srl con appena 10mila euro di capitale sociale (diviso in 66% Mantovani Spa e 33% Expo Spa) con il compito di subappaltare i lavori ad aziende e fornitori. I subappalti ci sono stati ma molte di queste aziende non sono mai state pagate e alcune nel frattempo sono addirittura fallite. Si tratta di 80 milioni che fornitori di beni o servizi ancora aspettano.

Un consorzio che comprende molte di queste aziende ha fatto causa a Expo Spa e il 15 marzo è arrivata la sentenza dal tribunale di Padova che sancisce la loro vittoria. La tesi sostenuta e che fa riferimento al codice degli appalti è che, se il subfornitore non paga i fornitori allora quella somma deve essere riconosciuta dall'azienda madre, in questo caso da Expo Spa, di cui Sala era amministratore delegato designato dal Comune. Il candidato però fa sempre più finta di nulla quando si tratta di numeri che riguardano Expo e, anzi, sostiene che lui non c'entra niente perché la sede della società è a Venezia e non ha a che fare con Expo. Su aziende che hanno lavorato a Expo e poi finanziato la sua campagna elettorale, ha ribadito che «con Expo hanno lavorato tutti e non escludo che ci sia qualcuno, ma in totale trasparenza e mostreremo tutto». Il fatto è che con appena 10mila euro di capitale, se questa Srl fallisse, chi ripagherebbe gli 80 milioni di euro di opere? Adesso quelle aziende sono riuscite a vincere la loro causa davanti ad un giudice che ha sentenziato che tra i responsabili in solido di quei mancati pagamenti vi è direttamente la Expo Spa amministrata per sei anni da Sala. Il giudice fallimentare ha disposto che quella somma deve essere riconosciuta e che se non si procede al pagamento possono essere pignorate tutte le opere dell'area di Rho, compreso l'«albero della vita». Aspetto bizzarro è che il giudice ha scritto quella sentenza di pugno, a mano, per questo non è stata mai resa pubblica. Grazie a quella sentenza adesso tutte le aziende non pagate possono rivalersi finalmente su Expo Spa. Alcuni sono stati già pagati ma altri no, perché ancora non sanno di questa decisione del tribunale.

Un deputato Pd ha fatto un'interrogazione alla quale ha risposto il ministro dell'Agricoltura Maurizio Martina, difendendo Sala a spada tratta: non c'entra nulla con quei debiti e nulla è dovuto da parte di Expo. Avrebbero dovuto produrre fatture quietanziate, secondo Martina. Ma quale azienda produce una fattura dicendo che è stata pagata se non è così? Quelle aziende ribadiscono oggi che hanno lavorato mesi per Expo Spa ed ora è Expo che deve pagare. Ma come è noto la trasparenza e il rispetto non sono valori qualificanti per chi ha amministrato Expo.

PTV news 10 giugno 2016 - L'assedio di Aleppo

Siria&Parigi&Bruxelles - il fallimento degli Stati Uniti è palese in Iraq e in Siria anche se la propaganda serva cerca di dire il contrario

Iraq e Siria: contro l’ISIS si combattono due guerre diverse


(di Giampiero Venturi)
10/06/16
L’assedio alla roccaforte ISIS di Falluja ha calamitato l’attenzione di giornali e tv sull’Iraq. Di ora in ora si aggiornano le notizie sulle evoluzioni militari in tutto la provincia di Anbar: in queste ore l’offensiva delle Forze Armate irachene, già alla periferia della città, rallenta per l’uso di scudi umani da parte dei miliziani del Califfato.
L’attesa per la sorte dei civili e per l’esito finale della battaglia lascia che la lotta contro lo Stato Islamico sia avvolta da un unico manto di angoscia e trepidazione.
Apparentemente infatti la guerra combattuta in Siria e in Iraq è una sola. Almeno così tende a semplificare il mainstream mediatico, cercando di distinguere in modo manicheo i buoni dai cattivi. In realtà i due grandi scenari, appartengono a quadranti geopolitici addirittura contrapposti.
Andiamo con ordine.
Le difficoltà militari dell’ISIS degli ultimi mesi in Siria sono ormai di pubblico dominio. Altrettanto nota è l’offensiva su vasta scala messa in atto dalle forze governative irachene per sradicare il terrorismo.
Ciò che è bene distinguere è chi combatte cosa.
In Siria, la vera guerra contro lo Stato Islamico la fanno le Forze Armate siriane e i loro alleati: principalmente russi, hezbollah, miliziani sciiti iracheni e miliziani sciiti addestrati dall’Iran. Un ruolo importante sul fronte nord è svolto dai curdi nelle loro declinazioni YPG e SDF. Il loro peso è cresciuto sensibilmente negli ultimi mesi con gli aiuti diretti degli Stati Uniti, sbloccati dopo anni di tira e molla.
Contro il terrorismo istituzionalizzato dal Califfato, sulla carta combatte anche la coalizione di Paesi virtuosi capeggiata proprio da Washington, di cui però in Siria per tre anni non si è vista traccia concreta. Di questa coalizione fanno parte ufficialmente anche Paesi come l’Arabia Saudita sui cui stretti rapporti con l’integralismo islamico sunnita wahabita non c’è molto da aggiungere.
Le evoluzioni militari del quadro siriano hanno però cambiato le carte al punto da spingere gli Stati Uniti a intervenire in modo visibile: la CVN Eisenhower farà tappa a Napoli nei prossimi giorni prima di raggiungere il Mediterraneo orientale e diventare operativa. In questo modo la partecipazione alla sconfitta del temutissimo Stato Islamico sarà plateale e incontestabile.
È importante sottolineare però che l’Occidente, sulla carta nemico dell’ISIS, in Siria è anche nemico di Damasco, cioè del governo siriano ufficialmente e internazionalmente riconosciuto. 
In Iraq, la situazione è praticamente opposta. Le forze che combattono il Califfato sono appoggiate dall’Occidente, di cui sono diretta emanazione. Le Forze Armate irachene al contrario di quelle siriane, sono state costituite, addestrate e armate dagli Stati Uniti di cui sono una sorta di dependance. Basta una foto per schiarirsi le idee.
Anche in Iraq come in Siria al fianco delle forze regolari combattono milizie sciite, animate dall’odio atavico contro lo strapotere sunnita (e minoritario) nel Paese. Falluja era una roccaforte sunnita già ai tempi dell’invasione americana del 2003, tanto da resistere con un anno di guerriglia urbana e meritarsi bombe al fosforo e al plutonio nella celebre ecatombe del 2004. Non a caso quindi iniziano a moltiplicarsi voci di esecuzioni sommarie dei miliziani sciiti ai danni di civili sunniti fuggiti dalla città accusati di collaborazione con i terroristi dell’ISIS.
A differenza della Siria, dove è stata alimentata dall’esterno una guerra di aggressione contro uno Stato sovrano rivenduta come Primavera araba, in Iraq è in atto una guerra civile, eredità della guerra del 2003 sostanzialmente mai finita.
La rivolta contro Assad è iniziata nel 2011 e l’ISIS è subentrata solo nel 2014 con miliziani di provenienza principalmente straniera. 
L’Iraq viceversa è la culla originale del Califfato cresciuto sull’ombra dello scontro fra sciiti e sunniti, endemico nel Paese. Falluja, feudo sunnita, è a 120 km da Kerbala e a meno di 200 da Najaf, santuari sciiti. L’attrito è fortissimo.
In sostanza oggi in Iraq da una parte si schierano transfughi delle disciolte istituzioni militari irachene (forze armate, partito Baath e polizia) e miliziani dell’”internazionale sunnita” che appoggia lo Stato Islamico; dall’altra le nuove istituzioni appoggiate dagli USA, a cui si affiancano gli sciiti per meri interessi di potere.
La differenza principale è tutta qui: mentre l’Occidente (gli USA) non hanno nessun interesse affinché Damasco prevalga sullo Stato Islamico, in Iraq la vittoria del governo di Baghdad legittimerebbe in parte la scellerata avventura del 2003 e l’eliminazione di Saddam. Se l’ISIS perdesse in Siria, per gli Stati Uniti e gli occidentali che li hanno seguiti sarebbe una mezza sconfitta. Se viceversa l’ISIS fosse sconfitto in Iraq, per Washington e alleati sarebbe una quasi vittoria.
Da qui si capisce il buio mediatico che avvolge le vittorie di Damasco in Siria e il risalto dato invece all’offensiva irachena su Falluja.
Iraq e Siria, sono il teatro di due guerre diverse ma egualmente assurde, frutto dello stesso fallimento. 
(foto: القوات المسلحة العراقي)

Canone Tv - la Rai non fa servizio pubblico - il governo incompetente e arruffone, una tassa che produrrà impicci su impicci

Editoriali
10 Giu 2016

Angelo Greco


Canone Rai: unica tassa contro cui è vietato il ricorso al giudice
La trappola fiscale: l’unico modo per superare la presunzione di possesso della tv è l’invio nei termini dell’autocertificazione; non è possibile opporsi all’accertamento fiscale e alla sanzione.

Chi non è tenuto a pagare il canone Rai (per esempio perché già paga un altro familiare dello stesso nucleo familiare o perché non ha la televisione), ma, nello stesso tempo, non ha potuto inviare l’autocertificazione all’Agenzia delle Entrate entro i termini di legge (dal 1° luglio al 31 gennaio dell’anno successivo), in caso di accertamento fiscale e successiva sanzione non potrà mai fare ricorso al giudice. Questo perché, la legge di Stabilità 2016, che ha riformato la disciplina sul canone Rai, contiene un sé una vera e propria trappola fiscale: l’unico modo – dice espressamente la norma – per vincere la presunzione di non possesso della televisione è quella di inviare la suddetta autocertificazione. Se ciò però no avviene, non c’è più modo di dimostrare il contrario, anche dinanzi a un giudice e con prove inoppugnabili che confermano le proprie ragioni. Insomma, il diritto a non pagare scatta solo con la prova dell’adempimento formale dell’invio della comunicazione all’Agenzia, mentre qualsiasi altra prova non potrà essere presa in considerazione dal giudice.

È questa l’aberrante conclusione che porta con sé la riforma del canone Rai, da noi già denunciata nello scorso mese di marzo (leggi “L’autocertificazione per non pagare il canone Rai: la trappola fiscale”). Avevamo sollevato la questione anche durante la trasmissione televisiva “Tagadà” in onda su La7 il giorno 11 aprile (vedi il video della diretta sotto il presente articolo, a partire dal minuto 2:05). In quella sede, un parlamentare presente in televisione, esponente della maggioranza, aveva ammesso pubblicamente l’errore contenuto nella legge. “Il sottosegretario Giacomelli ha promesso un tempestivo intervento normativo” per rettificare la legge, aveva dichiarato. Intervento che, neanche a dirlo, non è più stato fatto. È infatti uscito, come sappiamo, il decreto attuativo del canone Rai e nessuna marcia indietro è avvenuta a riguardo.
 

Ma la produttività se non c'è l'uomo da sfruttare NON può crescere, le macchine non influiscono, solo i salari ma di quanto li puoi ridurre?

Uno studio dell’OCSE sulla produttività prova che LaRouche aveva ragione

OCSE_LaRouche

Un nuovo studio sulla produttività del lavoro preparato per il Forum dell’OCSE del 31 maggio-1 giugno a Parigi mostra che nel decennio 2004-2014 la produttività è crollata in tutti i Paesi industrializzati con l’eccezione della Corea del Sud, e che i presunti aumenti di produttività dovuti all’IT e alle innovazioni nelle comunicazioni non sono mai esistiti (vedi).
Negli Stati Uniti, nella maggior parte dei Paesi europei e in Giappone, la produttività del lavoro (cioè il PIL diviso per le ore lavorate) è cresciuta di meno dell’1% nel decennio in esame. La Corea del Sud, nota come il Paese dell’ingegneria pesante, rappresenta l’eccezione con oltre il 3,5% annuo. Questo allinea la Corea con la Cina, la cui produttività nello stesso periodo è cresciuta, secondo uno studio della Harvard Business School, del 3,6% annuo.
Gli altri risultati hanno sorpreso gli stessi autori dello studio dell’OCSE. Laddove si riteneva che la riduzione dei salari e l’introduzione di innovazioni IT e nelle comunicazioni avrebbe portato ad un aumento nella produttività del lavoro e dagli investimenti di capitale, entrambi sono caduti. E sono caduti nei settori dove si riteneva che crescessero più rapidamente.
“Nella maggior parte dei Paesi dell’OCSE, il rallentamento della produttività si manifesta in quasi tutti i settori, interessando imprese grandi e piccole, ma è stato particolarmente marcato in quelle imprese in cui le innovazioni digitali e tecnologiche promettevano dividendi di produttività, come nei settori dell’informazione, della comunicazione, della finanza e delle assicurazioni”. Così sembra che gli i-phones, i computer per l’HFT (High Frequency Trading) e i robot hanno abbattuto la produttività.
In realtà, sia negli anni Settanta (a lungo termine) che negli anni Novanta (a breve termine), Lyndon LaRouche aveva previsto questo fenomeno e ora commenta che lo studio dell’OCSE “ha dimostrato la mia tesi, provando anche l’errore di quella contraria”.
È dal 1967 che LaRouche denuncia la politica che ha portato al crollo della produttività: se si separa l’occupazione industriale moderna dalle infrastrutture che la rendono possibile, e la si sposta in regioni a bassi salari che quelle infrastrutture non hanno, permettendo alle infrastrutture della regione di origine di decadere, si abbasserà la produttività dell’intera economia mondiale, per quanto “moderna” possa essere la fabbrica delocalizzata. Al contrario, se si costruiscono nuove piattaforme di infrastrutture dove non esistono e dove sono necessarie nuove “missioni” di grandi progetti, la produttività dell’economia mondiale aumenterà.
La Cina e la Corea, ad esempio, sono state impegnate nella costruzione di infrastrutture su larga scala: ad esempio i corridoi ferroviari ad alta velocità e i progetti idroelettrici della Cina e le industrie del nucleare e portuali della Corea. Nelle nazioni transatlantiche dell’OCSE, tali missioni infrastrutturali sono una distante memoria, e cose come la nuova Galleria del San Gottardo sono l’eccezione. 

venerdì 10 giugno 2016

Corruzione - Davigo ha idee chiare, Cantone fa la foglia di fico al corrotto Pd

Codice appalti, Davigo: “Tutta roba che non serve a niente. La corruzione non si combatte con l’Anac”

Codice appalti, Davigo: “Tutta roba che non serve a niente. La corruzione non si combatte con l’Anac”
Giustizia & Impunità

Il presidente dell'Anm spiega che, più che le leggi, per contrastare gli abusi nelle gare pubbliche servono "operazioni sotto copertura" con agenti infiltrati. "I magistrati non sono capaci di fare politica", aggiunge, lanciando però una frecciata al governo: "Non serve alzare le pene se non si sa a chi darle"
Piercamillo Davigo a tutto campo su Codice appalti, corruzione e Anac. La nuova normativa sulle gare pubbliche, sostiene il presidente Anm, “è tutta roba che non serve a niente” e la corruzione “non si combatte con l’Autorità nazionale anticorruzione”, che non ha poteri di repressione. Ma Davigo torna anche a parlare del rapporto tra magistratura e politica, che ha acceso vivaci polemiche pochi giorni dopo la sua elezione al vertice del sindacato delle toghe. “Io non farò mai politica. I magistrati non sono capaci di fare politica”, ha detto Davigo. E sulle attuali leggi contro la corruzione chiosa: “Non serve alzare le pene se non si sa a chi darle“.

“Il Codice appalti non serve a niente. Bisogna usare agenti infiltrati” - Il nuovo Codice appalti “è tutta roba che non serve a niente”, ha spiegato il presidente dell’Anm al convegno dei giovani di Confindustria. “Da anni” si scrivono normative sugli appalti “con regole sempre più stringenti che danno fastidio alle aziende perbene e non fanno né caldo né freddo a quelle delinquenziali”, ha proseguito, sottolineando quindi che “non serve fare normative sugli appalti, serve fare operazioni sotto copertura“, con agenti infiltrati che fingono di essere imprenditori.

“La corruzione non si combatte con l’Anac, non ha poteri di repressione” – Il Codice appalti è stato fortemente voluto, anche se in parte criticato, dall’Autorità nazionale anticorruzione. Altro tema toccato da Davigo: “Non si può dire che con l’Anac si combatte la corruzione“, perché “sarebbe contro la Costituzione”: se l’Autorità di Raffaele Cantone “non fa certo cose inutili”, comunque “fa cose diverse”. Per combattere la corruzione servono “strumenti altamente invasivi che la Costituzione riserva alla magistratura”. L’Anac, dice invece, “è un’autorità amministrativa: non può avere alcun potere serio per reprimere la corruzione”; fa “cose ottime”, ma “non c’entrano niente con la repressione della corruzione”.

“I magistrati non sanno fare politica. Non serve alzare le pene se non si sa a chi darle” - “Io non farò mai politica. I magistrati non sono capaci di fare politica”. Così il presidente Anm torna sulla delicata questione dei rapporti tra magistratura e politica, al centro di roventi polemiche con il governo. A chi gli chiede cosa farebbe per prima cosa se diventasse ministro della Giustizia, Davigo risponde: “Farei dei disegni di legge sulla corruzione diversi da quelli che sono stati fatti”. Questo perché “non serve alzare le pene se non si sa a chi darle“. E sottolinea come il governo abbia introdotto una lieve premialità per chi confessa: “Se parli prendi un po’ meno… così uno diventa in un certo senso onesto”.

“Mi sento Re Mida. Chi indago fa carriera politica” - Davigo non si fa mancare l’occasione di lanciare una nuova frecciata alla classe politica italiana. “A volte ho pensato di essere come Re Mida, vedevo che a chiunque mi avvicinavo” con le indagini sulla corruzione “poi faceva una spaventosa carriera politica“, dice il presidente dell’Anm, Piercamillo Davigo, intervenendo al convegno dei giovani di Confindustria. Era così perché si trattava di persone con “una spaventosa forza di ricatto“, sottolinea. E’ ancora oggi così? “Beh, ho visto che ad Expo ne hanno presi due che ci erano cascati già 25 anni prima”, risponde.

Air group - una società acquistata in passato da non meglio precisate società statunitensi, oggi acquirenti una cordata di imprenditori e una proiezioni nel calcio (?!?!)

Novità Air Group, 55% delle quote a cordata di imprenditori. Parrotto:"Rileveremo il Casarano"

giovedì 9 giugno 2016

Il giovane presidente della società ha delineato oggi la nuova identità societaria e i progetti per il futuro.

Una cordata di imprenditori italiani con al timone il milanese ma salentino d'origine Gaetano Quarta, ha acquisito il 55% delle quote societarie di Air Group Italy, la società del giovane imprenditore di Casarano Gianluigi Parrotto. Ma non è l'unica novità: in cantiere il rinnovo del marchio, un centro studi per sostenere nuove idee e anche la possibilità di prendere in mano le redini del Casarano Calcio in un futuro non troppo lontano”.
Proprio il giovanissimo presidente ha svelato oggi la nuova identità societaria di Air Group presso la sede milanese della società: “Con il rinnovo del nostro marchio vogliamo adattare l’immagine di Air Group ai cambiamenti che stanno avvenendo intorno a noi nella società contemporanea. Il nostro nuovo brand incarna pienamente la natura innovativa, sostenibile e tecnologica del nostro Gruppo. Per rappresentare al meglio la dinamicità dell’azienda, abbiamo deciso di rendere il nostro marchio “colorato e giovanile”, proprio per rappresentare un’azienda dinamica e concretamente impegnata nell’innovazione e nella ricerca secondo un’etica dell’eccellenza che oggi parte da una rinnovata forte solidità grazie all’acquisizione della maggioranza di Air Group da parte di una cordata di imprenditori che ha posto al timone Gaetano Quarta, un imprenditore milanese ma di origini lucano -salentine, conosciuto soprattutto a livello internazionale per le imprese di successo come Noatella, Braciamoci, Le Carrousel de la Vie de Paris.
Mi ritengo estremamente soddisfatto di questa cessione - continua Parrotto - Quarta è sicuramente una delle persone che secondo me, può realizzare concretamente l’idea di innovazione e duttilità tecnologica e funzionale che sono i fondamenti sui quali ho da sempre posato il sogno di Air Group Italy. Avevo bisogno di un supporto, non solo economico. Dopo essere rimasto solo alla guida di Air Group, ho appreso che quello che mi serviva per dare il giusto rilancio e rilevanza all’azienda, non era un semplice manager esecutivo, ma proprio un imprenditore con la giusta vision per far balzare la società ai massimi livelli di competitività e intraprendenza che il mercato richiede in maniera sempre più serrata. Abbiamo già iniziato a un sostanziale riordino dell’assetto operativo e organizzativo sia interno, ma soprattutto esterno all’azienda”.
“La vision imprenditoriale e la capacità non comune di analizzare progetti complessi di produzioni, distribuzioni e commercializzazioni di progetti complessi di business, sono stati solo alcuni dei motivi che mi hanno spinto ad accompagnarlo in questo progetto, che si sta espandendo internazionalmente in Europa e nel mondo attraverso una folta schiera di rivenditori e distributori – ha aggiunto Gaetano Quarta - insieme a Parrotto abbiamo deciso di rendere la nostra struttura, non solo una società di produzione, distribuzione e vendita ma, riprendendo quello che già regolarmente svolgo nel quotidiano, vogliamo mettere a disposizione di giovani imprenditori, o anche più semplicemente ad aziende o imprenditori in difficoltà la nostra esperienza e competenza per aiutarli a realizzare le loro idee e trasformarle in progetti concreti da portare sul mercato. Grazie ad un Team di esperti in Marketing, Comunicazione e Consulenza finanziaria, nonché all’occorrenza anche del Team di tecnici e sviluppatori Air Group. Il centro studi Air Group dopo un attenta valutazione ed analisi degli studi di fattibilità, supporterà ogni tipo di progetto e portarlo alla completa realizzazione in maniera assolutamente gratuita, al costo di una scommessa per il futuro di tutti”.
Ma c'è anche un'altra novità annunciata da Parrotto: “Insieme a Quarta stiamo cercando in questi giorni di quadrare un’idea ben precisa sul Casarano Calcio e quindi rilevare la squadra con un progetto ben definito, partendo con cautela e senza colpi di testa, ma con un grande entusiasmo. Stiamo valutando, si, ma per noi sarebbe un sogno quello di portare avanti la squadra di calcio del mio paese”. 

http://leccesette.it/dettaglio.asp?id_dett=36358&id_rub=262 

Rosarno - un ghetto istituzionalizzato, dove vige il lavoro nero super sfruttato con il caporalato che detta legge, istituzioni complici

Rosarno, la tendopoli è una "bomba sociale"
 

A San Ferdinando, dove ieri un carabiniere ha ucciso un migrante che lo aveva accoltellato, vivono fino a 2.500 persone. In condizioni drammatiche

La tendopoli di San Ferdinando (Reggio Calabria), dove un extracomunitario ha accoltellato un carabiniere che ha reagito sparandogli con la pistola di ordinanza ed uccidendolo, 


8 giugno 2016.
Rosarno, la tendopoli è una "bomba sociale"

È stata definita più volte "una bomba sociale" la tendopoli di San Ferdinando a Rosarno, dove ieri un immigrato ha accoltellato un carabiniere che ha reagito sparando e uccidendolo. Nel periodo della raccolta delle arance arriva a "ospitare" anche più di mille immigrati. Una situazione di emergenza tra condizioni igienico-sanitarie disastrose ed alcune aggressioni denunciate dai lavoratori ad opera di italiani che, comunque, non avrebbe alcun legame con quanto accaduto.

La rivolta di Rosarno

E un'aggressione ai danni di un gruppo di extracomunitari provocò, nel 2010, quella che è stata definita "la rivolta di Rosarno", con la cittadina della piana di Gioia Tauro teatro di scontri tra immigrati e abitanti del luogo e l'intervento in massa delle forze dell'ordine, con feriti, arresti e denunce. Dopo quei fatti, un vecchio stabile abbandonato e usato come rifugio dai lavoratori, fu abbattuto e a San Ferdinando, a pochi chilometri, è sorta la tendopoli allestita dalla protezione civile, ai cui margini sono spuntate numerose baracche costruite dagli stessi extracomunitari che cercano rifugio anche in edifici abbandonati ed in casolari isolati.

I lavoratori della Piana di Gioia Tauro

Nel periodo clou della raccolta, nell'area industriale di San Ferdinando, sparsi tra le varie strutture, sono arrivati a vivere anche 2.500 giovani. A parlare di "bomba sociale" era stato anche il presidente della Regione Calabria Mario Oliverio nel corso di una visita alla tendopoli compiuta nel gennaio scorso. Oliverio, nell'occasione, aveva annunciato di avere chiesto un intervento diretto del ministro dell'Interno Angelino Alfano. Per superare la situazione di San Ferdinando, la Prefettura di Reggio Calabria aveva siglato un protocollo con organismi umanitari (Caritas, Croce rossa, Emergency, Medu), la Provincia, la Protezione civile regionale e le forze dell'ordine che prevedeva interventi di messa in sicurezza e di bonifica del territorio circostante in attesa di provvedimenti amministrativi per l'integrazione dei lavoratori nel tessuto abitativo della Piana di Gioia Tauro.

I fatti di ieri

Ha colpito un carabiniere con una coltellata al volto. Poi, nonostante i tentativi di riportarlo alla calma, ha aggredito nuovamente lo stesso militare che è stato costretto ad estrarre la pistola d'ordinanza ed a sparare un colpo di pistola che lo ha ucciso. Teatro della tragedia costata la vita ad un cittadino del Mali di 27 anni, Sekine Traore,è la tendopoli di San Ferdinando, che in questo periodo ospita circa 500 persone. Sulla dinamica del fatto, il procuratore di Palmi Ottavio Sferlazza non ha dubbi: si delinea la legittima difesa da parte del militare che comunque, a sua tutela in vista dell'effettuazione dell'autopsia, sarà iscritto nel registro degli indagati. Il militare è stato medicato con cinque punti di sutura, mentre due suoi colleghi e due poliziotti hanno avuto solo lievi contusioni.

L'aggressione

Tutto è cominciato di prima mattina all'interno di una tenda. Traore, secondo la ricostruzione fatta dagli investigatori dopo avere sentito gli immigrati presenti al fatto, ha aggredito due ospiti della struttura, ferendone uno a un braccio con un coltello da cucina, per una lite banale o, più probabilmente, in un tentativo di rapina. Sono stati gli altri immigrati, spaventati, a chiamare i carabinieri. Quando i primi due militari sono giunti sul posto hanno trovato Traore in evidente stato di alterazione psicofisica. Hanno cercato di parlare con lui, di calmarlo, ma il giovane, per tutta risposta, ha menato fendenti alle pareti della tenda. Poi, quando sono giunte altre due pattuglie, una dell'Arma ed una della Polizia, ha cominciato a lanciare sassi contro militari ed agenti. Improvvisamente la tragedia. Traore si è scagliato contro un militare ferendolo al volto, all'altezza dell'occhio destro. L'uomo è stato momentaneamente allontanato dagli altri militari e dagli agenti, ma poi è tornato ad aggredire il carabiniere cercando di colpirlo un'altra volta. Il militare, a quel punto, ha estratto l'arma ed ha fatto fuoco colpendo Traore all'addome.

Solidarietà al militare


L'uomo è stato subito soccorso e trasportato nell'ospedale di Polistena dove, però, è morto dopo alcune ore. Solidarietà al carabiniere è stata espressa da vari esponenti politici, da Matteo Salvini a Ignazio La Russa a Giorgia Meloni, mentre il sindaco di Rosarno - che dista pochi chilometri da San Ferdinando - Giuseppe Idà, ha chiesto l'intervento del premier Renzi e del ministro Alfano: "il problema è nazionale e noi, da soli, non ce la facciamo".


http://www.panorama.it/news/cronaca/rosarno-la-tendopoli-e-una-bomba-sociale/ 

Paolo Berdini per il 14° Congresso Nazionale dell'Unione Inquilini

Paolo Berdini - La stagione delle "giunte rosse" di Argan, Petroselli, V...

ROMA: PROPOSTE PER IL DOPO MARINO - Intervento di Paolo Berdini

Roma elezioni - un piccolo gesto, costa pochissimo, anche se il voto è stato depotenziato, andiamoci e diamo un senso alla nostra giornata del 19 maggio, mandiamoli via

Perchè al ballottaggio voterei Raggi, anzi Berdini

le manisullacittaA Roma sta accadendo un fatto politico gigantesco. Il principale partito di opposizione, finora ambiguo sui temi più spinosi, sceglie per il governo della Capitale di affidare a uno dei più combattivi urbanisti di sinistra e ambientalisti l’assessorato all’urbanistica nella città in cui la sottomissione della politica di centrosinistra e centrodestra ai palazzinari è stata trasversale e costante da decenni.
Non posso che fare i complimenti alla Raggi. Se il M5S propone Paolo Berdini come assessore all’urbanistica a Roma penso che ogni persona di sinistra e ogni ambientalista non possa che andare a votare per la Raggi.
A mio parere anche senza Paolo per dare una sonora lezione a Renzi e mandare all’opposizione il partito trasversale degli affari bisognerebbe votare M5S al ballottaggio. Comprendo però che in molti trovino le ambiguità su temi importanti e il qualunquismo del M5S fastidiosi. ma con la proposta di Paolo il M5S sceglie non solo nel programma ma anche nelle persone di dare un profilo al governo della città che non possiamo che apprezzare.
L’indicazione di un compagno come Paolo all’urbanistica significherebbe, a tanti anni da Petroselli, togliere dalle grinfie dei palazzinari e della speculazione la loro capitale immorale e portare al governo della città il meglio della cultura di sinistra e ambientalista.
A questo punto ritengo che non ci possa essere equidistanza astensionistica.
Confido che Stefano Fassina e le compagne e i compagni che hanno faticosamente costruito SinistraxRoma a questo punto si schierino nettamente per un voto convinto di sinistra al ballottaggio.
Spero che lo facciano almeno l’Altra Europa e il PRC.
Ai compagni romani spetta la decisione ma ritengo che non si può non considerare un fatto politico come questo.
Oggettivamente con l’ingresso in giunta di Paolo Berdini – il cui valore politico va aldilà dell’urbanistica – il profilo della proposta assume un segno che non può lasciarci indifferenti. Anzi dovrebbe entusiasmarci.
E sarebbe miope mostrare quella chiusura settaria e integralista che contestiamo sempre al M5S o anteporre gli equilibri interni di SEL-SI o di qualunque altro ai doveri che ci competono.
Paolo Berdini è un compagno. E’ uno di noi. Ed è uno di quelli che le battaglie le ha sempre fatte con competenza e passione civile con libri, dossier, articoli sulle pagine del Manifesto e ovunque possibile, davanti alle telecamere di Report, in mille riunioni e convegni, sempre a disposizione di comitati e associazioni, movimenti. E’ uno di sinistra sul serio, non per finta.
Paolo Berdini ha raccontato per anni i guasti che l’intreccio tra neoliberismo e politica corrotta o subalterna hanno prodotto nelle nostre città (e non solo in campo urbanistico!).
Non lo scrivo solo perchè è un vecchio amico a cui rompo le scatole da anni ogni volta che mi serve un supporto scientifico in qualche battaglia urbanistica. Lo scrivo perché la verità è rivoluzionaria: proponendo Paolo all’urbanistica M5S fa nei fatti una scelta di campo a Roma che vale più di mille slogan. E penso che sia dovere sostenerla. Non capiterà facilmente un’altra occasione del genere.

Se diciamo che c’è bisogno di un movimento di liberazione nazionale dal neoliberismo e da classi dirigenti corrotte, colluse, subalterne a poteri economici sempre più parassitari e antisociali non possiamo che riconoscere che la scelta di Paolo va in quella direzione.
Aggiungo che anche l’assessore ai rifiuti viene dal nostro mondo e quello dei rifiuti è un altro pezzo del sistema politico affaristico che ha avvelenato Roma e l’Italia. E alla cultura ci sarebbe Tomaso Montanari.
A questo punto una posizione astensionistica nel ballottaggio mi sembra a dir poco insensata.
Beppe Grillo mi ha fatto incazzare tante volte, ma questa volta merita applausi a scena aperta.
Maurizio Acerbo
P.S.: la Raggi che offre assessorato a Paolo e parallelamente le polemiche contro Fassina degli esponenti di Sel nostalgici delle giunte col PD confermano tutte le ragioni per cui tanti non si fidano ancora di “noi” o più dolorosamente non vogliono nemmeno più starci a sentire.Essendo membro della segreteria nazionale del PRC e del comitato nazionale dell’Altra Europa tengo a precisare che quanto ho scritto è la mia opinione personale. Ovviamente auspico che divenga la posizione anche delle compagne e dei compagni con cui condivido la militanza.
 

No al cambiamento della Costituzione - il Sistema Finanziario straniero non si da pace non può credere nell'ostinazione degli italiani a NON fare quello che loro gli ordinano

Referendum, Renzi nei guai: italiani orientati sul “no”
9 giugno 2016, di Alberto Battaglia
 
Dopo la delusione delle elezioni amministrative Matteo Renzi deve fare i conti con un altro dato poco rassicurante: secondo un sondaggio di EuroMedia Research gli italiani contrari alla riforma costituzionale renziana sono il 52,1%, escludendo gli indecisi, mentre i favorevoli sono il 47,9%. Il referendum costituzionale di ottobre sarà un appuntamento decisivo per la permanenza in carica del governo, ma l’impressione è che il blocco antirenziano, che va dalla sinistra alla Lega Nord, passando per i 5 Stelle, stia polarizzando a suo favore tutte le antipatie verso il premier. A pronunciarsi per il “sì” alla riforma, come prevedibile, sono in maggioranza gli elettori del Partito democratico del Nuovo centrodestra, le forze di governo; la barricata del “no”, invece, ha una composizione assai più promiscua. E’ ancora presto per capire se la scelta strategica del presidente del Consiglio, quella di trasformare il voto sulla riforma in un plebiscito nei  suoi confronti, garantirà la risposta sperata.
La prospettiva di un impasse istituzionale in caso di vittoria del “no” preoccupa anche le agenzie di rating con Fitch che ritiene il voto “fondamentale per determinare se la spinta alle riforme continua o va in stallo”. E’ evidente che il fronte finanziario tifa per una trasformazione istituzionale in un senso più risoluto dell’iter legislativo. I contrappesi democratici necessari dopo la caduta del fascismo rendono più vulnerabile il Paese, rallentandone le decisioni. Come ricorda il Giornale, già nel 2013 Jp Morgan aveva scritto in un documento interno che le costituzioni dei Paesi mediterranei andrebbero modificate in quanto presentano “esecutivi deboli nei confronti dei parlamenti; governi centrali deboli nei confronti delle Regioni; tutele costituzionali dei diritti dei lavoratori; tecniche di costruzione del consenso fondate sul clientelismo; e la licenza di protestare se sono proposte modifiche sgradite dello status quo”.

#No3GuerraMondiale - la Nato e le sue provocazioni hanno una reazione uguale e contraria

Il mondo oggi
L’Anakonda della Nato alle porte di Russia 

 
[carta di Laura Canali]
8/06/2016

La rassegna geopolitica quotidiana
a cura di Federico Petroni




L’Anakonda della Nato alle porte di Russia

Prosegue la militarizzazione della faglia orientale tra Russia ed Europa, ribattezzata da Limes “linea dell’Intermarium“, poiché corre longitudinalmente dal Baltico al Mar Nero separando la sfera d’influenza di Mosca da Nato e satelliti.

In Polonia è iniziata Anakonda, la più grande esercitazione in Est Europa dalla fine della guerra fredda: 31 mila truppe (di cui 14 mila Usa e 12 polacche) di 24 paesi Nato ed ex sovietici, tra cui l’Ucraina, 3 mila veicoli (compresi più di 90 carri Abrams statunitensi), 105 aerei, 12 navi. Coinvolge esercitazioni contro minacce cibernetiche e chimiche, paracadutistiche, elicotteristiche, pure del genio militare.

Venerdì truppe e armamenti attraverseranno anche la breccia di Suwałki, corridoio di 65 chilometri tra Kaliningrad e la Bielorussia e ventre molle della Nato, secondo la pianificazione (e la propaganda) dell’Esercito degli Stati Uniti, in caso di invasione russa delle tre repubbliche baltiche.

Anakonda fa parte della strategia “deterrenza e dialogo” della Nato nei confronti della Russia e del tentativo di Washington di rassicurare la Polonia sull’automatismo dello scudo statunitense. Il minimo, d’altronde, per chi inquadra Mosca come “una sorta di minaccia esistenziale“.

Difficilmente però Varsavia si accontenterà e sta premendo affinché i membri orientali dell’alleanza ricevano lo stesso grado di protezione offerto dall’ombrello a stelle e strisce dei membri occidentali. Traduzione: truppe schierate in modo permanente sul proprio suolo. Gli Usa offrono un battaglione per ogni Stato baltico (Polonia, Lituania, Lettonia, Estonia) che ruoti ogni 6 mesi (“permanent presence“, non “permanent basing” è la vulgata ufficiale). E sono pronti a metterne sul piatto due dei loro, ma gli altri membri della Nato non brillano per iniziativa.

Nel frattempo, Mosca non sta a guardare e sta realizzando una grande base (il lotto occupato dai militari misura 142 ettari) a Klintsy, a 50 chilometri dal confine ucraino, prima conseguenza tangibile dell’annuncio del ministro della Difesa Shoigu della formazione 3 nuove divisioni da schierare nella Russia occidentale.

Tanto furoreggia il sabba militarista sull’Intermarium che la disponibilità tedesca a svolgere un più attivo ruolo militare non solo non passa inosservata ma viene pure incoraggiata. Berlino ha infatti deciso di incrementare spesa per la Difesa e numero di truppe per la prima volta dalla seconda guerra mondiale e sta pensando di assumere il comando del personale Nato da ruotare in Lituania.

Tutti contenti, armati fino ai denti, in una serie di mosse e contromosse che approfondiscono il reciproco fraintendimento (come la recente apertura di una base dello scudo antimissile Nato in Romania). In vista di una guerra che nessuno vuole, ma che ognuno prepara.

Per approfondire: Così l’America ha ritrovato il suo nemico ideale | Carta: La nuova cortina di ferro


http://www.limesonline.com/lanakonda-della-nato-alle-porte-di-russia/92229 

NoTav - un governo pasticcione e corrotto continua nelle sue menzogne e ad avvalare le mafie

Antimafia non varrà per la Tav


Scritto da Sen. Marco Scibona, M5s*
Pubblicato Giovedì 09 Giugno 2016

Nell'accordo del 2016 è solo prevista una generica lotta alla criminalità, nonché la previsione di un regolamento della Commissione intergovernativa italo-francese. Non è un atto avente forza di legge

Alcune agenzie hanno dato la notizia che agli appalti dei lavori per la realizzazione della parte transfrontaliera della nuova linea Torino-Lione verrà applicata la normativa antimafia italiana. Secondo le agenzie la normativa antimafia[...] verrebbe applicata in forza di un regolamento emesso dalla Commissione intergovernativa italo francese (CIG). Anche uno studente al primo anno di giurisprudenza capirebbe come tale informazione è errata. Infatti, a seguito dell’accordo Italia Francia del 2012, divenuto legge in Francia e Italia con le rispettive ratifiche, il diritto applicabile agli appalti (vedi art. 6.5 comma 2°) è solo quello francese.
L’accordo infatti è una “Legge dello Stato” e quindi per introdurre la normativa antimafia italiana bisognava abrogare il predetto articolo 3 attraverso il nuovo accordo di Venezia di quest’anno. Nulla di tutto ciò è avvenuto. Nell’accordo del 2016 è solo prevista una generica lotta alla criminalità, nonché la previsione di un regolamento della Commissione intergovernativa italo-francese (CIG). Questo regolamento, emesso recentemente da una commissione non avente competenza legislativa, proprio in quanto tale non è un atto avente forza di legge.
Tale regolamento, non essendo stato trasfuso nell’accordo del 2016 – essendo successivo – non potrà modificare i rispettivi ordinamenti giuridici. La situazione attuale è immutata: il codice antimafia e le interdittive continueranno ad essere inapplicabili ai lavori transfrontalieri della Torino-Lione. Tra l’altro, come affermato dall’avvocato Massimo Bongiovanni del Foro di Torino, per poter applicare anche in Francia la predetta normativa dovrebbe essere approvata un apposita legge dal parlamento francese e non certo un mero regolamento da parte della CIG.
Già abbiamo visto quanto è stato inefficace il protocollo di intesa tra gli operatori della Torino-Lione e la Prefettura di Torino che non ha impedito la supposta penetrazione della 'ndrangheta nel cantiere di Chiomonte attraverso una ditta che ricevette il sub appalto per asfaltare le strade del cantiere ad uso della Questura, circostanza attualmente in corso di accertamento al processo San Michele. Per quanto ancora Governo e maggioranza neutralizzeranno gli strumenti delle autorità competenti per contrastare l’infiltrazione mafiosa nelle Grandi Opere?
*Marco Scibona, Senatore M5s, Segretario VIII Commissione Lavori pubblici, comunicazioni

F-35 - ogni tanto dalle profondità una voce sbuca su questo aereo che è una bufala tra quello che promette ed è. Il Canada si conferma critico

F-35, accusa shock del Canada: "Quell'aereo non funziona"

(di Franco Iacch)
09/06/16
“L’F-35 non funziona”. Con queste parole, il primo ministro canadese Justin Trudeau (nella foto sotto a sx) ha nuovamente ribadito la posizione del governo canadese sulla vicenda JSF. Il governo canadese sarebbe pronto ad equipaggiarsi con tre squadriglie Super Hornet, tramite acquisizione rapida in nome della sicurezza nazionale, come soluzione ad interim per rimpiazzare l’attuale flotta CF-18. Una soluzione politica che salverebbe il governo attuale sulla decisione finale in merito alla vicenda F-35.
In poche parole, il Canada qualora dovesse acquistare l’F-35 lo farebbe soltanto dopo il 2020, per una decisione che spetterebbe comunque al prossimo governo.
Il precedente governo – ha affermato Trudeau alla Camera dei Comuni martedì scorso – ha fatto un pasticcio con il nuovo caccia, ci hanno lasciato un disastro che stiamo per risolvere.
"I canadesi sanno bene che per 10 anni, i conservatori hanno completamente ignorato cosa servisse realmente alle nostre forze armate. Si aggrappavano ad un aereo, l’F-35, che non funziona ed è lontano dall’essere realmente operativo".
Nella loro piattaforma di difesa, il partito liberale ha dichiarato che il ruolo primario del nuovo aereo da caccia canadese sarà quello di contribuire alla difesa del Nord America, motivo per cui non avrebbe senso investire in una piattaforma tattica stealth.

Il ministro della Difesa canadese Harjit Sajjan, la scorsa settimana da Ottawa, ha affermato che il Canada dovrà decidere nell’immediato considerando gli impegni con il NORAD e con la NATO.
Il Canada era interessato alla versione A dell'F-35 che costa attualmente 108 milioni dollari. L'F-35 era una delle più grandi preoccupazioni politiche per il governo conservatore. Il governo liberale aveva originariamente firmato per il programma di ricerca e sviluppo dello JSF, ma i conservatori hanno ampliato in modo significativo il ruolo del Canada ed impegnato, preliminarmente, il governo ad acquistare l'aereo. Ma per affrontare le controversie sul reale costo dell’F-35, il governo ha cercato di nascondere il vero prezzo finale del velivolo.
Il Dipartimento della difesa nazionale canadese ha originariamente sostenuto che il programma JSF sarebbe complessivamente costato 14,7 miliardi di dollari. Cifra poi smentita. La stima per l'adozione della piattaforma F-35 (per 65 caccia), era di 29 miliardi di dollari. L’uscita del Canada, o comunque il congelamento dell’acquisizione per almeno dieci anni, comporterà un aumento di un milione di dollari nel prezzo finale di ogni aereo. Il programma di sviluppo, che si concluderà nel 2017, non subirà alcun ritardo, tuttavia i partner internazionali saranno costretti ad assorbire anche la quota del Canada (2,1%) per i costi di sostentamento e di modernizzazione.
(foto: Lockheed Martin / Twitter)

Israele - l'attentato è il segno di una disperazione senza futuro, il popolo eletto vuole il genocidio dei palestinesi, li vuole cancellare ma non può, sono carne, sangue e desideri

Il mondo oggi
L’attentato di Tel Aviv smaschera l’impotenza strategica di Israele

9/06/2016
La rassegna geopolitica quotidiana.
a cura di Federico Petroni




L’attentato di Tel Aviv
Due attentatori palestinesi hanno aperto il fuoco nel centro commerciale di Sarona a Tel Aviv, uccidendo 4 persone e ferendone altre 6. Il premier israeliano Netanyahu ha sospeso 83 mila permessi per cittadini palestinesi di visitare Israele o di pregare a Haram al-Sharif a Gerusalemme.

Commenta per noi Umberto De Giovannangeli:
Quei colpi di mitra squarciano la coltre di silenzio che ormai da tempo avvolge la questione israelo-palestinese. E già questo dovrebbe essere uno spunto di riflessione: la guerra, vera o presunta, allo Stato Islamico, la dissoluzione, vera, degli Stati falliti in Medio Oriente (Iraq, Siria, ma anche Yemen e la per noi vicina Libia) hanno relegato il conflitto in Terrasanta a piè pagina dell’agenda internazionale.

I più arditi analisti avanzeranno l’ipotesi di una penetrazione dell’Is nelle fila del radicalismo armato palestinese, Hamas ha già “messo il cappello” propagandistico sull’azione. Chiacchiere.

La realtà è più semplice e al tempo stesso più drammatica. A raccontarla è la biografia dei due attentatori: i cugini Muhammad e Khalid Muhamra, entrambi di 21 anni e originari di Yatta, villaggio della Cisgiordania occupata, vicino a Hebron. Sono entrati illegalmente in Israele ma non hanno precedenti. I due hanno sparato con armi artigianali, fatte in casa su imitazione della mitraglietta svedese Carl Gustav.

In queste note c’è tutto il dramma di una generazione senza futuro, quella dei palestinesi nati e cresciuti all’ombra del “muro” in Cisgiordania. C’è una rabbia senza progetto, neanche terroristico, un desiderio di giustizia che tracima in una vendetta nichilista. In questi esecrabili gesti c’è, anzitutto, il fallimento della politica. Su ambedue i fronti. In quello palestinese, incapace di un minimo rinnovamento, con un presidente, Abu Mazen, senza autorevolezza né seguito reale e l’antagonista di sempre, Hamas, sempre più eterodiretto.

Ma quei colpi di mitra, quel sangue versato, raccontano anche dell’impotenza strategica mascherata dalla forza militare che segna l’attuale leadership israeliana, sempre più autoreferenziale e sempre più sbilanciata verso l’estrema destra (come dimostra la nomina del super falco Avigdor Lieberman a ministro della Difesa). Due debolezze non fanno una forza, non si sorreggono a vicenda. Il meno “debole” prova a congelare il tempo e a proiettare all’infinito l’attuale status quo.

Così è, ma così non sarà ancora a lungo. Perché quelli che al momento sono atti individuali, di “lupi solitari”, possono trasformarsi in una rivolta collettiva, senza leader né capi carismatici, alimentata dalla convinzione che un futuro non esiste e che la “liberazione” si consuma in un attimo. Quello che ci vuole per aprire il fuoco. Non sarà l’Intifada dei coltelli né dei mitra. Ma l’Intifada della disperazione.

Per approfondire: La Gerusalemme segregata

http://www.limesonline.com/lattentato-di-tel-aviv-smaschera-limpotenza-strategica-di-israele-notizie-mondo-oggi/92304

Xilella - gli euroimbecilli italiani vogliono che usiamo l'olio tunisino

Cronaca

Xilella:Corte Giustizia Ue, Bruxelles può ordinare taglio ulivi

Lussemburgo - La Corte di Giustizia europea ha stabilito che la Commissione può ordinare agli Stati membri il taglio di migliaia di ulivi per fermare il propagarsi del letale batterio xylella fastidiosa. La decisione arriva dopo che le autorità italiane avevano sospeso a dicembre gli abbattimenti. Secondo la Corte basata in Lussemburgo la Commissione "può richiedere agli Stati membri di rimuovere tutte le piante potenzialmente infette dalla xylella fastidiosa, anche in assenza di sintomi, quando queste piante sono vicine ad altre già infette".
Questo in base "al principio di precauzione" si legge nel dispositivo Bruxelles aveva fatto pressione su Roma affinché distruggesse tutti gli alberi infetti e quelli vicini entro un raggio di 100 metri. Posizione che riguarda prevalentemente la Puglia dove si stima che il 10&% degli 11 milioni di ulivi locali dovrebbe essere abbattuto. Ora in base a questo pronunciamento della Corte di Giustizia Ue, Bruxelles può imporre all'Italia di riprendere lo sradicamento degli alberi. (AGI) 

PTV news 8 giugno 2016 - E’ quasi certo Hillary sfiderà Trump

Implosione Europea - Austria - Hofer ha vinto e gli imbrogli ci sono stati è nella logica delle cose

Attualità
Europa
Austria: brogli in vista
di
Marco Dotti 08 giugno 2016

Il Partito della Libertà contesta le elezioni presidenziali austriache dello scorso 23 maggio: il voto potrebbe essere rovesciato a favore del candidato della destra, con un effetto domino su tutta l'Europa.

Come era prevedibile, la destra ha presentato ricorso contro il risultato delle elezioni presidenziali che aveva visto il candidato Fpö, Norbert Hofer, perdere per soli 31.000 voti.

Già il giorno dopo il voto, al netto dei complottismo, erano emersi i primi dubbi circa la legittimità di gran parte del voto per corrispondenza. Voto decisivo nel far pendere la bilancia dalla parte di Van der Bellen, risultato eletto con il 50,3% dei voti e con 31.036 voti di scarto.

L'irregolarità, secondo il ricorso presentato alla Corte Costituzionale, riguarderebbe 523.275 schede inviate per posta. Il giuramento del nuovo presidente è previsto per il prossimo 8 luglio, ma le ombre che accompagnano la sua elezione sono ben lontane dall'essere diradate e si trascineranno al di là del pronunciamento della Corte, che dovrebbe comunque arrivare prima di luglio.
Un bel problema, per i fragili equilibri dell'Europa e gli ancor più fragili assetti istituzionali di un'Austria che, solo ieri, ha mostrato di non sgradire le affermazioni del Cancelliere Kern che, appoggiando una proposta del sul Ministro degli Esteri Kurz che proponeva una stretta sulla politica migratoria ipotizzando per l'Europa un "modello australiano".

In che cosa consiste questo modello? In una sorta di confino su un'isola in attesa del rimpatrio.

È meglio "mandarli tutti nell'Europa Centrale o su un'isola per poi rispedirli a casa? Credo che la seconda opzione sia la migliore" ha affermato Sebastian Kurz dell'Österreichische Volkspartei, Il partito popolare austriaco. Se questi sono i moderati, figuratevi quelli che rischiano di prendersi la presidenza.


http://www.vita.it/it/article/2016/06/08/austria-brogli-in-vista/139718/ 

Ucraina - prima le terre ora altri beni tutto deve essere privatizzato questo vuole il neo liberismo e Poroshenko ubbidisce

World Affairs / “Per sconfiggere la corruzione dovete privatizzare”. Il FMI mette...
“Per sconfiggere la corruzione dovete privatizzare”. Il FMI mette all’asta i beni dell’Ucraina

 
di Eugenio Cipolla
La “genialità” della mossa della Commissione nazionale per la regolamentazione nel settore energetico ucraina sta tutta nella tempistica. Aumentare i prezzi dei riscaldamenti in piena estate, infatti, è come offrire un pasto completo a una persona appena uscita da un banchetto nuziale. Così dal primo luglio, in Ucraina il prezzo del riscaldamento per la popolazione aumenterà di quasi il 100%, passando da 534 grivne per 1Gkal a 1043. «L’aumento – ha spiegato il capo della gestione dei profili della NKREKU, Svetlana Cerknykh – è dovuto alla crescita del costo del carburante, delle tariffe elettriche e dei salari». Ma in realtà, come spiegavamo qualche settimana fa, è dipeso dalla scelta del nuovo governo Groisman di anticipare il programma del FMI, eliminando tutti i regimi differenziati e creandone uno unico.
«La Commissione non ha rispettato la sua competenza, i suoi obblighi e non ha stabilito un tasso economicamente sostenibile dei prezzi del gas. Pertanto, ci rivolgeremo sicuramente al tribunale», ha detto la leader di Patria, Yulia Tymoshenko. Nonostante le polemiche, il governo rimane sulle sue, sostenendo che questa decisione porrà fine alle speculazioni sul mercato del gas e dell’energia. Il presidente Petro Poroshenko ha definito addirittura la misura fondamentale per la lotta alla corruzione. E proprio su quest’ultimo punto, oggi è arrivato l’ennesimo diktat del Fondo Monetario Internazionale, che attraverso il vicepresidente, David Lipton, ha dettato a Kiev la “ricetta magica” per combattere il fenomeno.
Secondo Lipton per sconfiggere la corruzione bisogna continuare a lavorare attivamente verso la privatizzazione delle aziende statali. «Sono arrivato in Ucraina nel 1993. Il primo programma di privatizzazioni è apparso nel 1994, ma non ebbe successo a causa di ragioni politiche.
La situazione in cui versano le imprese di proprietà statale è un terreno fertile per l’inefficienza e la corruzione. Credo sia arrivato il momento di fermare questa pratica, eliminare questa inefficienza e corruzione, e lo si può fare attraverso la privatizzazione».
Il braccio destro di Cristine Lagarde ritiene che non sia necessario attendere un momento migliore per le privatizzazioni, in quanto le perdite attuali superano i potenziali ipotetici benefici e la situazione potrebbe peggiorare ancora di più. «Tutto sostengono che ora sia il momento sbagliato per realizzare questo processo, perché il prezzo è troppo basso. Lo dicono da 22 anni. Ma il tempo trascorso è andato sprecato. Quelle perdite nel campo delle imprese di proprietà statale sono superiori di parecchie volte agli ipotetici potenziali benefici che l’Ucraina potrebbe ottenere, anche con prezzi più alti».
Le previsioni degli analisti, dicono che il Fondo del Demanio nel 2016 riuscirà a inviare al bilancio dello Stato circa 17,1 miliardi di grivne derivanti dal piano di privatizzazioni. Ai primi dello scorso marzo, il presidente Poroshenko aveva firmato una legge per introdurre cambiamenti significativi nei processi di vendita dei beni statali, compresa l’abolizione delle norme in materia di vendita obbligatoria in Borsa del 5-10% di azioni di quelle società in procinto di essere privatizzate. Questa legge ha permesso di lanciare una privatizzazione su larga scala, che inizierà a concretizzarsi con la vendita dell’OPZ, una delle più grandi industrie chimiche ucraine con sede nella regione di Odessa. A metà maggio il governo aveva approvato i termini della privatizzazione con un prezzo di partenza dell’intero pacchetto azionario di 13,17 miliardi di grivne. Ma BERS e FMI hanno raccomandato all’esecutivo di Kievi di ridurre il prezzo di partenza della fabbrica. La grande svendita può cominciare.
Notizia del: 09/06/2016

http://www.lantidiplomatico.it/dettnews.php?idx=82&pg=16058 

Bilderberg 2016 - invitati quelli che servi hanno un'immagine di non essere servi

Inizia la riunione del Bilderberg

Ci saranno politici, imprenditori, manager e giornalisti, anche italiani: e circoleranno le solite teorie del complotto

Bilderberg
L'Hotel Taschenbergpalais Kempinski di Dresda dove da oggi si riunirà il gruppo Bilderberg, 7 giugno 2016 (Matthias Rietschel/Getty Images)
http://www.ilpost.it/2016/06/09/inizia-la-riunione-del-bilderberg/
Giovedì 9 giugno a Dresda, in Germania, comincerà la conferenza del “gruppo Bilderberg”, un incontro annuale di leader politici, manager e dirigenti da tutto il mondo inaugurato nel 1954 che prende il nome dall’albergo olandese dove il gruppo si riunì per la prima volta. La conferenza durerà quattro giorni, saranno presenti circa 130 persone tra cui alcuni primi ministri e trenta amministratori delegati. I temi in discussione saranno, come al solito, molto diversi: ci saranno argomenti piuttosto prevedibili come la Cina, la questione dei migranti e la sicurezza informatica, ma si parlerà anche di “precariato e classe media”.
Quartz spiega che cosa significa “precariato” – cosa che in Italia non sarebbe necessaria – e dice che la parola è entrata nell’uso comune grazie all’economista inglese Guy Standing, che parla di una classe crescente di persone che si sentono insicure nel loro lavoro, nelle comunità di cui fanno parte e in generale nella loro vita. I precari sono «i lavoratori costantemente part-time, i lavoratori con lo stipendio minimo, i lavoratori stranieri temporanei, i domestici del mercato grigio pagati in contanti, i lavoratori tecno-impoveriti il cui lavoro frammentario non prevede né un ufficio né uno specifico settore, gli anziani che lottano con le pensioni che diminuiscono, i cittadini emarginati, le madri senza sostegno, gli operai che non hanno risparmi, la generazione per la quale non è disponibile né prevista una pensione e una data di ritiro dal lavoro».
Secondo Standing questo gruppo «alienato, ansioso e arrabbiato», accanto a una classe media che non sta facendo molto, sta favorendo l’ascesa di politici populisti come Donald Trump negli Stati Uniti e simili demagoghi in Europa e in altri posti del mondo. Durante la riunione si discuterà anche delle conseguenze di questa situazione nei mercati finanziari e nell’economia. I contenuti e le conclusioni dell’incontro rimarranno comunque segreti. Secondo il codice del gruppo «non c’è un risultato desiderato, non saranno redatte delle note né alcun rapporto finale. Inoltre non si propongono risoluzioni, non ci sarà alcun voto e non saranno rilasciate dichiarazioni politiche».
La segretezza delle riunioni del Bilderberg è determinata dalla cosiddetta “Chatham House Rule”, citata dallo stesso sito del gruppo: si tratta di una regola che stabilisce la confidenzialità delle fonti di informazioni scambiate nel corso di riunioni a porte chiuse. La Chatham House Rule è nata nel 1927 all’interno della Chatham House – il cui nome per intero è Royal Institute of International Affairs – un’organizzazione non governativa con sede a Londra. La Chatham House Rule dice che «i partecipanti sono liberi di usare le informazioni ricevute, ma non rivelare l’identità o l’affiliazione né di chi le ha diffuse né degli altri partecipanti» agli incontri. La segretezza che circonda queste riunioni ha fatto sì che negli anni si sviluppassero molte teorie complottiste, secondo cui il vertice avrebbe in realtà l’obiettivo di creare un “nuovo ordine mondiale”, condizionare la politica, costruire il predominio e il potere della finanza globale (o della massoneria, o degli ebrei, eccetera).
Il gruppo Bilderberg si presenta oggi come un forum internazionale la cui unica attività sono le conferenze. Gli organismi dell’autogoverno del Bilderberg sono il presidente e lo Steering Committee, il comitato direttivo. Il presidente – che dal 2010 è Henri Conte de Castries, proveniente da una antica famiglia della nobiltà francese – è eletto dallo Steering Committee, mentre quest’ultimo è eletto non si capisce bene da chi per quattro anni.
Alla conferenza di quest’anno parteciperanno circa 130 persone: politici, industriali, ricercatori, docenti universitari e giornalisti. Nella lista dei partecipanti ci sono anche alcuni italiani: Franco Bernabè, ex presidente di Telecom; Lilli Gruber, giornalista; Marta Dassù, ex sottosegretaria al ministero degli Esteri; Claudio Costamagna, presidente di Cassa Depositi e Prestiti; John Elkann, presidente di Fiat Chrysler Automobiles. Saranno presenti poi la direttrice del Fondo Monetario Internazionale Christine Lagarde, la giornalista Anne Applebaum, José Barroso, ex presidente della Commissione Europea, Laurent Fabius, ex ministro francese degli Affari Esteri e ora presidente del Consiglio costituzionale, Thomas de Maizière, ministro tedesco degli Interni, Mark Rutte, primo ministro olandese, Charles Michel, primo ministro del Belgio e la vice presidente della Commissione europea Kristalina Georgieva.