Il caso Etruria è una bomba a grappolo
inesplosa. Perché sono tante, ancora, le verità da accertare. Quella dei
“furbetti dell’aretino” è una storia deplorevole condita da una mala
gestione evidente dell’istituto sulla pelle di migliaia di
risparmiatori. Beffati dal decreto salva-banche e ancora in attesa della
restituzione di risparmi di una vita sottratti ai clienti per salvare
il gruppo.
Una vicenda condita da prestiti allegri,
buchi di bilancio, inchieste della magistratura, presunti conflitti
d’interesse e class action dei piccoli azionisti. Dove non tutti sono
stati messi sullo stesso piano. C’è infatti chi in questo mistero ha
forse usufruito di trattamenti in strani guanti gialli e chi invece è
stato costretto a farsi carico dei danni delle cattive politiche degli
ex vertici del gruppo. Pure per via di dubbie scelte da parte
dell’esecutivo, che dal 1° gennaio 2016 s’è adeguato alle direttive
europee in tema di bail-in (che ha cambiato radicalmente il paradigma
del correntista che, in caso di difficoltà finanziare dell’istituto, può
diventare compartecipe delle perdite), un fallimento annunciato che ha
portato alla catastrofe. Nonostante in tanti, tra esperti di finanza,
economisti e politici, abbiano provato in ogni modo a proporre diverse e
migliori strade da intraprendere. E’ il caso di Daniele Capezzone, già
presidente della Commissione Finanze della Camera e ora deputato di
Conservatori e Riformisti, che le ha tentate tutte per evitare quello
che s’è rivelato un suicidio politico. Ma le sue richieste sono rimaste
sempre lettera morta.
Nonostante tutto, l’ex portavoce di
Forza Italia, da sempre paladino della trasparenza, ha provato pure a
chiedere l’intervento di Bankitalia. Rivolgendosi direttamente al
governatore Ignazio Visco, sollecitando chiarezza su una vicenda piena
di punti oscuri, attraverso domande lecite rimaste però evase. Una sorta
di operazione-verità in cui Palazzo Koch spiegasse all’opinione
pubblica chi e se, in qualche modo, abbia ricevuto da Etruria fidi,
erogazioni, finanziamenti a qualsiasi titolo sospetti e facilitati, che
hanno contribuito al dissesto del gruppo. Il tutto attraverso una
lettera dettagliata indirizzata a Visco, che ha sì risposto garbatamente
ma non ha chiarito alcunché. Lasciando tutto nelle mani della
magistratura.
Con il Giornale d’Italia, Capezzone affronta la paradossale vicenda dell’ex Bpel, che lascia tuttora sgomenti.
Capezzone, il caso Etruria è un
caso infinito. Tra inchieste della magistratura che non decollano e uno
scandalo che sembra non finire mai. All’insegna della poca trasparenza.
Sulla vicenda regna omertà?
Da garantista non sono per nulla
interessato ai profili giudiziari della vicenda. Detesto ogni uso
politico di inchieste giudiziarie. Sono altre le cose che mi indignano.
Io sono convinto che nel caso di Etruria ci sia stato un meccanismo
molto vasto di erogazioni, mutui, prestiti. Ma a chi sono stati
concessi? Non lo so. Io alla domanda non ho ancora trovato una risposta.
Ma ho l’impressione che tutto questo possa aver contribuito al dissesto
del gruppo.
Ha scritto una lettera al
governatore di Bankitalia per chiedere chiarezza e contezza circa quei
prestiti “facili” concessi dalla ex Bpel che hanno poi contribuito al
tracollo dell’istituto di credito. Ma la risposta di Visco, seppur
dettagliata, è stata piuttosto sfuggente. Non crede?
E’ stata una risposta deludente.
Un’occasione persa. Perché il governatore nella sua missiva spiega di
aver dato tutte le carte alla magistratura, lasciando a lei e solo a lei
il compito di fare chiarezza. Ma non possono essere solo i giudici a
togliere le castagne dal fuoco. Mi interessava un’operazione di
trasparenza per i cittadini, anche per capire se corriamo tutti sulla
stessa pista di atletica o qualcuno ha un percorso più scorrevole.
Lei è garantista. Mentre
esponenti del governo, grazie pure a inchieste di una televisione non
nemica, hanno provato invece a puntare il dito solo contro la Consob e
Vegas. Accusato di aver ordinato agli ispettori di chiudere un occhio
sui bond senza indicare ai clienti beffati la percentuale del rischio di
recupero del capitale. Non l’è sembrato un colpo basso?
Peggio che un colpo basso, un’arma di
distrazione di massa. E’ stata una manovra diversiva. Hanno provato a
deviare l’attenzione di tutti sul governo facendola ricadere su una sola
persona. Chi fa queste cose, evidentemente non ha capito l’aria che
tira nel Paese. Servirebbero operazioni limpide per ridare fiducia alla
gente. Ma mi permetta di dire un’altra cosa.
Prego.
A me sembra giusto annotarlo: non tutte
le banche sono uguali. C’è chi ha avuto buone gestioni, senza pasticci, e
ora viene messo sullo stesso piano di banche gestite con metodi
avventurieri. Costretto anche a pagare per danni di altri. Non lo trovo
giusto.
In tutta questa vicenda gli
unici a pagare sono stati i risparmiatori. Molti dei quali attendono
ancora la restituzione del maltolto...
Alcuni mesi prima del disastro ho
proposto una gigantesca campagna d’informazione da parte della
televisione e del servizio pubblico per invitare cittadini e
risparmiatori a differenziare le loro risorse. Cosa ci voleva a
organizzare una pubblicità progresso per sollecitare i contribuenti a
non mettere tutte le uova nello stesso paniere? Dopo il disastro ho dato
un altro suggerimento visto che immaginavo che con la giostra dei
risarcimenti non si sarebbe arrivati da nessuna parte.
Quale?
Quando ci fu la crisi del Banco
Ambrosiano (1982, ndr), fu fatta una cosa intelligente dai governi di
allora. Far sì che il nuovo istituto potesse dare ai risparmiatori dei
warrant (opzioni per acquistare o vendere un certo bene ad una data
futura, ndr). In quel caso non si sperperò una lira di denaro pubblico.
Ecco, questo non sarebbe costato un solo euro al bilancio dello Stato.
E in questa storia abbiamo già
assistito a due suicidi. Dove a perdere la vita, nel primo caso, è stato
proprio un ex obbligazionista di Etruria. Così continuando si rischiano
altre tragedie, non le pare?
Mi auguro di no. E da liberale ritengo
che lo Stato non possa farsi carico di tutto. Da oppositore sarebbe
facile buttare tutta la croce addosso all’esecutivo. Non lo faccio. Però
Palazzo Chigi avrebbe dovuto e potuto mettere la gente nelle condizioni
di sapere.
I cittadini sembrano essersi
stancati del sentirsi sempre ripetere la frase: “Ce lo chiede l’Europa”.
La mossa del bail-in, chiara direttiva Ue, s’è dimostrata una
catastrofe annunciata. Possibile che l’Italia non possa (o non voglia)
prendere decisione autonome su temi così importanti?
Quando s’è prospettata l’ipotesi bail-in
ho chiesto che si puntasse sul fondo interbancario di tutela dei
depositi: denaro privato per una iniezione di capitale nelle banche
sofferenti.
E la risposta qual è stata?
Che l’Europa aveva negato l’assenso per
via di un presunto aiuto di Stato. Ecco, dopo quella risposta, un primo
ministro con le palle sarebbe volato a Bruxelles per aprire una
trattativa e dimostrare che non si trattava di questo. Non so se si
sarebbe vinta tutta la partita, ma in grande parte sì. Ma tutto questo
non è avvenuto.