Questa quarta e conclusiva parte del "saggio" di Francesco Maimone ci ragguaglia sugli "avanzamenti" del paradigma neo-ordoliberista, naturalmente imperniati sul baricentro del "mercato del lavoro", che si realizzano, con un'accelerazione senza precedenti, dopo la lettera della "BCE" del 2011.
Il
"fate presto!" aveva un preciso segno e non poteva che essere verso la
irreversibile cancellazione dei principi fondamentali della nostra
Costituzione. Ho aggiunto taluni links a precedenti post e precisato
alcuni passaggi.
1. Il Libro Bianco sul futuro del modello sociale - La vita buona nella società
attiva e il Piano Italia 2020. Definitivo ritorno al passato.
L’ordito concettuale di
quello che può a ragione essere considerato un’illecita apostasìa della
Costituzione e, correlativamente, un
nuovo paradigma socio-culturale, è contenuto infine in un ennesimo Paper ufficiale dal titolo altrettanto raccapricciante
e che rappresenta il proseguimento del Libro Bianco del 2001 (p.3) nonché del LibroVerde del 2008 (p.4), di cui riprende nello specifico i principali postulati.
Trattasi del Libro Bianco sul futuro del modello sociale - La
vita buona nella società attiva il quale costituisce la tappa più evoluta di un crescendo wagneriano cui
fa da sfondo la glorificazione del mercato e l’indotto oblìo dei diritti
costituzionali.
Tale
papello dalla veste candida è ancora una volta “dedicato ai giovani e alle loro
famiglie”, una dedica che “vuole essere sostanziale, non formale, perché un rinnovato modello sociale orientato a promuovere l’autosufficienza di
ciascuna persona … è essenziale per ricostruire la fiducia nel futuro”;
esso, e nemmeno in modo velato, “… si
limita intenzionalmente alla declinazione dei valori e della visione del
nuovo modello sociale …” [1].
Limitando l’analisi al campo
lavoristico, il programma stocastico del White
Paper continua ad insistere sull’usuale impianto teorico di origine
€uropeista con la sua semantica-chiave, in generale additando il sistema del Welfare come “vecchio” ed affetto da “disfunzioni
e sprechi”:
- occupabilità (“… Da una concezione statica di tutela del
singolo posto di lavoro si deve definitivamente passare alla promozione
della occupabilità della persona …”);
- imprenditorialità
(“… Aumenta l’autonomia del
lavoratore nella realizzazione delle proprie mansioni e progressivamente si
stemperano i rigidi vincoli di subordinazione …”), condita da percorsi di
apprendimento permanente;
- adattabilità (“… La permanenza nel mercato del lavoro rappresenta la strategia
centrale per combattere il disagio sociale ed economico. L’utilizzo di
adeguate flessibilità … è particolarmente indicato per garantire ancora un
ruolo attivo nella Società …”);
- pari
opportunità per le donne ed i soggetti svantaggiati (“…un Welfare delle pari opportunità… Nel
caso della occupazione femminile, le questioni da affrontare vanno ben oltre
l’ambito di incidenza delle politiche fiscali…Particolare rilievo può assumere
l’evoluzione della contrattazione collettiva e della prassi aziendale con
riferimento alla flessibile modulazione dell’orario di lavoro”) [2].
1.1.
Nel totale capovolgimento
dei valori della Costituzione, la quale è fatta oggetto di una
rudimentale interpretazione, è quindi enunciato in modo lapidario e
simulato quanto segue:
“… Occorre pertanto ripartire dalle fondamenta e cioè DALLA EDUCAZIONE, DALLA FORMAZIONE E DAL
LAVORO CHE SONO I VALORI DI RIFERIMENTO CONTENUTI NELLA NOSTRA CARTA COSTITUZIONALE.
… Il Welfare State tradizionale
si è sviluppato sulla contrapposizione tra pubblico e privato, ove ciò che era
pubblico veniva assiomaticamente associato a “morale”, perché si dava per
scontato che fosse finalizzato al bene comune, e il privato a “immorale”
proprio per escluderne la valenza a fini sociali. È STATO UN GRAVE ERRORE …”
[3].
Tracciata la via, anche il
Piano Italia 2020 - alla
cui stesura si sono dedicati nel 2009 gli allora Ministri del Lavoro e
dell’Istruzione Maurizio Sacconi e Mariastella Gelmini – non poteva
che ribadire pedissequamente le medesime idee, definendo le linee di azione
comuni ai due ministeri al fine di realizzare la piena occupabilità dei giovani
[4].
1.2. Elemento di novità,
tuttavia, è l’esordio del Piano con una citazione
dell’allora Pontefice Benedetto XVI ed estrapolata dall’Enciclica Caritas in Veritate:
“Desidererei ricordare a tutti, soprattutto
ai governanti impegnati a dare un profilo rinnovato agli assetti economici e
sociali del mondo, che il primo capitale da salvaguardare e valorizzare è
l’uomo, la persona, nella sua integrità: “L’uomo infatti è l’autore, il centro
e il fine di tutta la vita economico-sociale”.
Tale
citazione – che realizza una sorta di “quadratura del cerchio” nelle
intenzioni dei citati estensori - non deve destare stupore, dal
momento che nell’ottica di detta visione politica e culturale la persona si
realizza grazie al mercato, sempre che le istituzioni intervengano affinché quest’ultimo
possa operare come mero meccanismo regolatore e moralizzatore [5].
La socializzazione
morale, sostenuta dall’instrumentum regni religioso [6], costituisce un aspetto tutt’altro
che ininfluente, poiché comporta l’interiorizzazione da parte dei soggetti
interessati di un particolare punto di vista ideologico proprinato come
spontaneo e naturale, essendo le logiche del mercato il vero riferimento etico
cui deve riferirsi l’imprinting
culturale dei cittadini. Affidandosi ad esse i soggetti vengono orientati in
modo da operare al servizio delle domande emergenti dalla società così come ideata dall’ingegneria
neoliberista.
Seguaci del neoliberismo
nostrano, al riguardo, spiegano con assoluta chiarezza in che modo la dottrina
sociale della Chiesa stabilisce un granitico punto di tangenza con
l’individualismo metodologico liberale “almeno
nella sua versione austriaca” (quella di Hayek), del tutto in coerenza con
le già menzionate riflessioni di Einaudi [7].
2. Un altro tocco di make-up
nell’attuazione delle direttive neo-ordoliberiste
Il modello della Flexicurity,
nell’intendimento degli ideatori europei, avrebbe come scopo la creazione di
sistemi moderni di protezione sociale atti a garantire un adeguato sostegno del
reddito durante i periodi di disoccupazione (nel periodo, cioè, di transizione
da un periodo di lavoro ed un altro) coniugando in tal modo le esigenze di
competitività e flessibilità con la protezione sociale.
E ciò, a sua volta,
allo scopo di originare una crisi che solo una decisione tecnica (al riparo,
quindi, da ogni controllo democratico) sia in grado di risolvere. Ci si trova innazi,
in sostanza, ad un’operazione cosmetica
legittimante un potere tecnocratico che agisce sulla base di una scelta politica occulta, già assunta. e inevitabilmente contraria agli interessi di chi la subisce. Una sofisticazione del bis-pensiero
orwelliano, oltre che una versione della democrazia
idraulica di Hayek [8].
2.2. In via di prima
approssimazione, in effetti, si può appurare (come vedremo) che sotto la spinta
delle riforme strutturali richieste dall’Europa, mentre le norme approvate con
il pacchetto Treu e la legge Biagi hanno massicciamente deregolamentato la
normativa sul mercato del lavoro e sui servizi per l'impiego in funzione della c.d. flessibilità in entrata (adattando al
massimo la forza lavoro gli assetti produttivi delle imprese nel momento dell’assunzione),
la legge Fornero e il Job Act hanno
inciso, oltre che sulla flessibilità in entrata, anche e soprattutto sulla
c.d. flessibilità in uscita (rendendo più semplice licenziare i
dipendenti ed attenuando le conseguenze dell’esodo a carico dei datori di
lavoro), con l’annessa “razionalizzazione” del sistema degli ammortizzatori
sociali.
Senza indugiare
sull’origine storica del termine Flexicurity
[9], bisogna ricordare che lo stesso
è tornato drammaticamente d’attualità in quanto connesso con le imposizioni
dettate dalla Banca Centrale Europea al Governo italiano attraverso la
famigerata lettera del 6 agosto 2011 [10]. Nel testo della missiva, ed al fine di
sostenere la competitività delle imprese, ricordiamo che veniva tra
l’altro indicata all’Italia
“… b) l'esigenza
di riformare … il sistema di contrattazione salariale collettiva, permettendo
accordi al livello d'impresa in modo da ritagliare
i salari e le condizioni di lavoro alle esigenze specifiche delle aziende e
rendendo questi accordi più rilevanti rispetto ad altri livelli di negoziazione
…” [11] e, in pari tempo, veniva
richiesta “… c) una accurata
revisione delle norme che regolano l'assunzione e il licenziamento dei
dipendenti, stabilendo un sistema di assicurazione dalla disoccupazione e un
insieme di politiche attive per il mercato del lavoro che siano in grado di
facilitare la riallocazione delle risorse verso le aziende e verso i settori
più competitivi …”.
3. La Legge Fornero
Orbene, alla “revisione
delle norme che regolano l’assunzione ed il licenziamento dei dipendenti”, il
legislatore italiano si è come sempre supinamente adeguato proprio mediante
l’approvazione del DDL n. 3249 recante “Disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una
prospettiva di crescita”, poi definitivamente approvato con la
L. n. 92/2012.
E’ uno dei relatori della riforma a confermare che la
genesi della stessa “… non puo` non essere ritrovata nella lettera
scritta il 5 agosto dell’anno scorso dal Governatore uscente della Banca
centrale europea, Jean Claude
Trichet, insieme al Governatore entrante, Mario Draghi …” nonché nell’impegno
del Governo italiano di contrastare le forme improprie di lavoro dei giovani e di
adottare nuove regole di licenziamento per motivi economici, un’endiadi definita
“… suggestiva dal punto di vista
intellettuale: la connessione tra legalita` e flessibilità. La legalita` e` il presupposto della
flessibilità …” [12].
3.1. Al senatore Treu (lo stesso del
“pacchetto”), co-relatore del provvedimento, è spettato poi il compito di
illustrarne gli ulteriori profili, tenendo a precisare - in un’ottica
tipicamente neo-ordoliberista - che:
“… Il messaggio forte … e` una razionalizzazione delle regole del mercato del lavoro, NON DEL MERCATO DEL LAVORO
…” [13] e che il Parlamento ha lavorato
“… sulle
regole nell’ottica europea della flessicurezza o flexicurity … perche´ siamo in Europa e anche perche´ crediamo che
questo tipo di equilibrio tra flessibilità` e sicurezza sia quello che serve
nel mercato del lavoro, in un’economia
turbolenta molto difficile che mette in crisi le sicurezze vecchie, ma che
ha bisogno di sicurezze nuove e che
richiede flessibilita` inevitabilmente
…”.
Nel solco dell’ideologia dei “quattro
pilastri” di derivazione eurordoliberista, il senatore Treu ha quindi richiamato:
a) l’importanza della
formazione, sottolineando la centralità dell’istituto dell’apprendistato
disciplinato dalla futura legge; b) il
riassetto nella disciplina degli ammortizzatori sociali.
In tale materia,
tuttavia, dove la flessicurezza avrebbe dovuto essere attuata universalizzando
le misure di sostegno al reddito, la
riforma è venuta meno, escludendo dal beneficio proprio i lavoratori
assunti con contratti flessibili. Il motivo è da ricercare nella ormai atavica
mancanza di soldi “… che sono pochi. E
infatti ne sono rimasti pochi per gli ammortizzatori sociali…” [14]. Chissà perché.
3.2. A ciò si aggiunga
l’introduzione di un regime di “condizionalità” per i fruitori degli
ammortizzatori sociali - ovvero, la subordinazione dell'erogabilità
delle prestazioni sociali a tutela del reddito (in caso di disoccupazione o
sospensione dal lavoro) alla concreta disponibilità
del lavoratore a seguire corsi di formazione o ad accettare determinate offerte
di lavoro, anche se al ribasso e degradanti [15].
I risultati della riforma
sono quantomai evidenti: più
flessibilità (sia in entrata che in uscita) ed ancor meno sicurezza per i lavoratori, in linea con il paradigma
marginalista del lavoro-merce.
D’altronde, come sempre, in tale visione “…
Le riforme del lavoro possono essere utili … come un tassello di un pacchetto
molto ampio di misure tendenti a rendere il sistema più competitivo e a
migliorare le condizioni DELL’OFFERTA AGGREGATA di beni e servizi …” [16].
3.3. Considerato
il contesto descritto, è del tutto normale che l’allora ministro Fornero si
sentisse legittimata – nonostante successive
rettifiche - ad esternare pubblicamente il messaggio ideologico del
nuovo paradigma socio-culturale: “… L'ATTITUDINE DELLA GENTE DEVE
CAMBIARE. IL LAVORO NON É UN DIRITTO, BISOGNA GUADAGNARSELO, ANCHE
ATTRAVERSO IL SACRIFICIO…” [17].
4. … Nonché il Jobs
Act
Si conclude l’analisi
della normativa giuslavoristica con l’esame sintetico del Job Act, assurto ad autentico cavallo di battaglia dell’ex Presidente del Consiglio Matteo
Renzi.
Bisogna subito avvertire che sarebbe superfluo in questa sede tentare di
dimostrare come anche la L. n. 183/2014 (con i suoi innumerevoli
decreti legislativi) affondi le radici in una ideologia europeista di matrice neo-ordoliberale,
dal momento che tale ascendenza è stata rivendicata espressamente dall’ex Premier
come caratteristica inconfondibile della propria politica
“… Dimostreremo che NON È VERO
CHE L’ITALIA E L’EUROPA SONO STATE DISTRUTTE DAL LIBERISMO MA CHE AL CONTRARIO
IL LIBERISMO È UN CONCETTO DI SINISTRA, e che le idee degli Zingales, degli Ichino e dei Blair non possono essere dei tratti marginali
dell’identità del nostro partito, ma ne devono essere il cuore …”
[18].
In claris non fit interpretatio.
4.1. Il disegno di legge
delega 1464 (futuro Job Act),
approvato per la conversione del D.L. “Poletti” n. 34/2014 che ha
anticipato gli effetti della riforma, aderisce alla tendenza legislativa degli
ultimi due decenni e la completa, immettendo cioè nel sistema maggiore flessibilità.
Per ragioni di
economia espositiva, si segnala tra l’altro:
a) la sostanziale liberalizzazione
del contratto a termine (=flessibilità in entrata) cui è estesa la
acausalità entro il primo triennio, divenendo, di fatto, la forma normale di
impiego; b) l’ulteriore depotenziamento dell’art. 18 dello
Statuto dei Lavoratori (=flessibilità in uscita) mediante l’introduzione del
contratto indeterminato a c.d. tutele crescenti (fortemente incentivato
sul piano fiscale), espressione che dissimula un sistema di “tutele” applicabili
in caso di licenziamento illegittimo e che, quindi, si caratterizza per una
drastica riduzione del rimedio della reintegrazione, optando a favore della
tutela indennitaria. La disciplina introdotta per i licenziamenti individuali è
stata estesa, con i decreti attuativi, anche a quelli collettivi;
c) la riconferma della condizionalità per usufruire del
trattamento di disoccupazione.
4.2. Nonostante il relatore
del DDL si sia affrettato a parlare di “Lavoro
ritrovato” [19], la dottrina più
accorta, però, ha più realisticamente parlato in modo caustico di un nuovo “… codice
genetico del diritto del lavoro
post-costituzionale” e di “… normalizzazione neo-liberale” dell’Italia
dentro il quadro europeo; più che svolta, forse si tratta di accelerazione”
[20], alla quale sono seguiti gli impietosi (e prevedibili) risultati,
anche sul piano giurisprudenziale, analizzati da Sofia [21].
5. Et les jeux sont faits
La metamorfosi giuridico-istituzionale
operata da un ristretto potere economico con caratteristiche totalitarie si è,
ovviamente, realizzata (come preventivato) di pari passo con quella umana.
Da quanto si è
argomentato, non è infatti oltremodo difficile (si spera) comprendere come,
smascherando il “monopolio sociale”
sotteso alla terminologia sopra analizzata - appannaggio della classe
oligarchica economicamente dominante – emerga la figura di un
lavoratore (e prima ancora di una persona) completamente trasfigurato il quale,
dimentico dei propri diritti fondamentali (in
primis, CHE IL LAVORO IN ITALIA È
ANCORA UN DIRITTO) e posseduto da un raptus
autorazzistico:
a) in
nome dell’occupabilità è indotto a
ritenere, compiacendosene, di essere solo nell’oceano liberoscambista dei
mercati sovranazionali e globalizzati;
b) utilizza
tale solitudine per galvanizzarsi moralmente e spiritualmente, convincendosi
che bisogna competere, darsi da fare
e che ognuno è in fondo atomisticamente artefice del proprio destino
(imprenditore di sé stesso) da realizzare senza l’aiuto di nessuno, tanto meno
dello Stato la cui azione politica, anzi, è vista come controproducente;
c) è
indotto soprattutto a somatizzare che è necessario sapersi adattare alla permanente “durezza del vivere” (cioè accettare
supinamente ogni degradante forma di impiego flessibile o ad intermittenza,
sotto retribuito o meglio non retribuito affatto), sempre in biblica attesa di
un escatologico impiego soddisfacente;
d) è
spinto verso una utopistica formazione
continua, solo strumento ritenuto idoneo a consentirgli di essere pronto a
cogliere le opportunità eufemisticamente definite “pari” e che verrebbero generate in modo spontaneo dal e nel mercato
(ovvero, si prepara a competere in un’autentica guerra tra disperati, ad
esclusivo vantaggio del capitale imperialista e globalizzato);
e) è
portato a vantarsi della sua efficienza e flessibilità, vergognandosi nel caso
in cui non riesca ad adattarsi ai ritmi ed alle esigenze impostigli dal mercato
medesimo. Non di rado con qualche escursione in farmacia.
5.1. In tal modo il pesante
fardello linguistico-normativo della retorica neo-ordoliberista è riuscito a far
accettare una diffusa precarizzazione materiale, ma soprattutto ha generato una
precarizzazione esistenziale con
effetti desoggettivanti [22].
Si può
riassumere tale lavaggio collettivo del cervello in uno dei tanti slogan tecno-pop come il seguente: “dall’assistenzialismo alla meritocrazia”:
uno slogan che si muove completamente all'interno della concettuologia
liberista dell'individualismo metodologico e che dissolve ogni traccia
della tutela costituzionale nel linguaggio, e quindi, nella memoria
collettiva...Tranne, per pochi fortunati, inclini a resistere, l'utilizzazione del decodificatore del "test di Orwell [23].
La cultura democratico-costituzionale
italiana e la persona-essere sociale, con la sua dignità, ne escono definitivamente
trasmutati, in nome di un menzognero novus ordo saeculorum di marca europ€ista e ad esclusivo
tornaconto di un redivivo global-feudalesimo.
___________________________________
NOTE
[21] La vita buona
nella società attiva - Libro Bianco sul futuro del modello sociale, cit., passim, 34, 13, 50, 43
[2] La vita
buona nella società attiva - Libro Bianco sul futuro del modello
sociale, cit., 23
[4] Si veda F. FELICE, Persona, economia e mercato. L'economia sociale di mercato nella prospettiva
del pensiero sociale cattolico, LUP, Città del Vaticano, 2010; si veda
anche M. RHONHEIMER, Il vero significato della giustizia
sociale, un’interpretazione cattolica di Hayek, reperibile all’indirizzo http://www.brunoleonimedia.it/public/OP/IBL-OP_101-Rhonheimer.pdf
[5] L’espressione
è di L. BASSO, Ciclo Totalitario II, in Quarto Stato, 30 giugno 1949,
n. 12, 3-8
[7] Tale è
sostanzialmente l’analisi del fenomeno enunciata da L. BARRA CARACCIOLO
durante il convegno Crisi dell'Europa e difesa della Costituzione: per una
nuova sovranità democratica, Salerno, 22 aprile 2016, reperibile all’indirizzo https://www.youtube.com/watch?v=Pg0qHtUPI2I,
minuto 114 ss.
[10] Tale “esigenza” è
stata subito soddisfatta in via d’urgenza mediante l’adozione del
D.L. n. 138/2011, convertito nella L. n. 148/2011, con il
quale il legislatore ha inciso su istituti fondamentali del diritto sindacale
che non erano stati interessati dalle riforme del 1997 e del 2003,
riconoscendo, con l’art. 8, efficacia generalizzata alla c.d. contrattazione collettiva di prossimità
(aziendale e territoriale) e alla sua capacità derogatoria rispetto al
contratto collettivo nazionale di categoria. Si veda, sull’argomento,
A. PERULLI, La contrattazione collettiva “di prossimità”: teoria,
comparazione e prassi, cit.
[12] Nell’ideologia
ordoliberista della “economia sociale di mercato”, infatti, lo Stato ha
il solo
compito di definire e applicare le “regole del gioco” per realizzare le
condizioni che favoriscono lo sviluppo di un libero mercato e agire da
arbitro “neutrale”,
ma non deve spingersi oltre interferendo con il processo economico; si
veda
F. BÖHM, Privatrechtsgesellschaft und Marktwirtschaft, Ordo, 17, 1966,
75-76, 80-81, 85,
99-100 come citato in nota da R. SALLY, L’ordoliberalismo e il mercato
sociale-Il liberalismo che salvò la Germania, 12, reperibile
all’indirizzo
http://www.brunoleonimedia.it/public/OP/IBL-OP_89-Sally.pdf;
per lo stesso concetto nella dottrina sociale della Chiesa, si veda
M. RHONHEIMER, Il vero significato della giustizia sociale,
un’interpretazione cattolica di Hayek, cit.,
10-11]
[13] Così il senatore
Treu al Senato nella seduta del 23 maggio 2012, cit., passim, 34-36
[14] Così
T. TREU, Flessibilità e tutele
nella riforma del lavoro, cit., 27.
Si veda, sul punto, il post http://orizzonte48.blogspot.it/2017/01/poverta-assoluta-e-povertadi-rischio.html
[15] Così
T. TREU, Flessibilità e tutele
nella riforma del lavoro, cit., 10
[16] http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/06/27/la-vera-fornero-il-lavoro-non-e-un-diritto/276627/;
si rinvia all’intervento in Senato dell’allora ministro Elsa Fornero nella seduta
del 30 maggio 2012 reperibile all’indirizzo http://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/BGT/00663256.pdf,
9-10 e 40-45, in cui vengono riassunti gli obiettivi della riforma esposti alla
luce dell’ideologia dei “quattro pilastri” di derivazione europea
[18] Così
P. ICHINO, Il lavoro ritrovato, Milano, 2015, 121
[21] Così
P. BARCELLONA, Parolepotere, cit.,
49
[22] https://www.linkedin.com/pulse/da-lassistenzialismo-alla-meritocrazia-nicol%C3%B2-boggian
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