Vladimiro Giacché
– Intervista impossibile sull’euro
[pubblicato su Linus, febbraio 2014, pp. 24-25]
Immaginiamo di fare un viaggio nel tempo. Siamo in Italia, alla metà degli anni
Novanta. È in pieno corso il dibattito sull’opportunità o meno, per il nostro Paese, di
entrare nella moneta unica europea. Immaginiamo che un giornalista favorevole all’euro
intervisti un importante economista. E che questi, dotato di singolare preveggenza,
esprima il suo scetticismo sulla moneta unica alla luce di quanto è poi effettivamente
successo.
L’intervista che ne verrebbe fuori sarebbe questa.
DOMANDA: Professore, perché è contrario all’euro?
RISPOSTA: Quest’area monetaria rischia oggi di configurarsi come un’area di bassa
pressione e di deflazione, nella quale la stabilità del cambio viene perseguita a spese dello
sviluppo dell’occupazione e del reddito. Infatti non sembra mutato l’obiettivo di fondo della
politica economica tedesca: evitare il danno che potrebbe derivare alle esportazioni
tedesche da ripetute rivalutazioni del solo marco, ma non accettare di promuovere uno
sviluppo più rapido della domanda interna.
D: Ma l’adozione di una moneta unica non sarebbe auspicabile già soltanto per il
fatto di allineare tra loro i tassi reali dei diversi paesi che ne fanno parte, eliminando così
l’inflazione, che rappresenta un problema tradizionale per il nostro Paese?
R: Nonostante i progressi compiuti, persiste da noi una notevole differenza di
inflazione, di costi e prezzi rispetto alle altre economie europee: nella migliore delle ipotesi
l’accostamento alla media europea potrà essere solo graduale. Sarà comunque
impossibile, sia per noi sia per gli altri paesi, adeguarsi al ritmo di inflazione previsto per la
Germania che rappresenta una fattore di squilibrio non minore di quanto non sia il nostro
ritmo di inflazione.
D: Lei quindi non ritiene che il vincolo esterno rappresentato dall’impossibilità di
svalutare ci aiuterebbe a risolvere i nostri problemi strutturali senza avere più la facile via
di fuga rappresentata dalle svalutazioni competitive? Non sono pochi gli economisti che si
sono convinti di questo. Tra loro ci sono anche economisti che per molto tempo avevano
pensato il contrario…
R: Gli svalutazionisti di altri tempi sono oggi rivalutazionisti, illudendosi, in base al più
recente dei loro modelli, che il problema della nostra inflazione possa essere affrontato
con successo imponendo alla lira l’onere di una rivalutazione.
Occorre - si ragiona – una costrizione esterna affinché la nostra economia segua i
comportamenti necessari per il suo risanamento. Il sistema monetario europeo è uno
strumento che offre questa costrizione, perché rende più duro e rigido il vincolo esterno.
L’esperienza di altri Paesi e la riflessione ci inducono a non accogliere questa tesi.
D: Ma non pensa che l’esistenza stessa di una moneta unica, di un sistema
monetario europeo finalmente integrato imprimerebbe nuovo slancio alla grande idea
dell’unità europea, l’idea di Altiero Spinelli e quella che, in fondo, fu alla base della
creazione della Comunità Economica Europea nel lontano 1957?
R: Si ritiene che l’edificazione del sistema monetario rappresenti il primo sussulto
dell’idea europea dopo anni di letargo; l’occasione non può e non deve andare persa; pur
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di rafforzare la Comunità, occorre sopportare anche i sacrifici che derivano dalle
imperfezioni tecniche del sistema. Questo è un argomento che occorre valutare con
attenzione, perché è il più serio e il più nobile che ci venga offerto. Obiettare a questo
argomento è pericoloso, perché si rischia di essere marchiati di antieuropeismo, si rischia
di essere marchiati come nazionalisti, come retrogradi, perché esiste anche una sorta di
terrorismo ideologico europeistico.
Ma obiettare si deve. Sono quelle del sistema monetario, imperfezioni tecniche o non
piuttosto i difetti di una creatura nata politicamente male e politicamente malformata? Non
derivano, queste imperfezioni, dagli egoismi nazionali degli altri paesi più forti della
Comunità? Perché mai, altrimenti, i costi che ci si chiede di sopportare dovrebbero essere
solo i nostri, mentre non paiono esservi costi per i paesi più forti?
D: Cosa intende dire? A quale asimmetria si riferisce?
R: All’asimmetria di trattamento fra paesi che si trovano in disavanzo e paesi che si
trovano in avanzo. La riduzione delle riserve e la difficoltà di rinvenire prestiti obbliga i
primi – i paesi in disavanzo – a politiche interne restrittive, ma non vi è alcuna sanzione
che obblighi i paesi che accumulano riserve ad adottare politiche interne più espansive.
D: Non ritiene che proprio entrando nell’euro l’Italia possa finalmente porsi su un
piano di parità con i paesi più forti dell’Europa?
R: Non basta il pagamento di una quota di abbonamento assai ‘salata’ per ottenere la
vera eguaglianza con gli altri membri. Questa eguaglianza ce la dobbiamo costruire noi,
con le nostre mani, con i nostri sacrifici, e per questo dobbiamo ottenere e sollecitare un
consenso. Ma questo consenso non lo si ottiene con le formule monetarie o con le
imposizioni esterne.
* * *
Questa intervista non è mai avvenuta. Ma, se le domande sono inventate, non lo
sono le risposte. Esse sono tratte (senza alcuna modifica) da un discorso parlamentare
del professor Luigi Spaventa, parlamentare eletto nelle liste del PCI come indipendente di
sinistra. Il discorso fu pronunciato il 12 dicembre del 1978, ossia alla vigilia dell’ingresso
dell’Italia non nell’euro, ma nel sistema monetario europeo – che fra l’altro era meno rigido
di una moneta unica, in quanto prevedeva una “banda di oscillazione” (ossia una sia pur
limitata flessibilità del cambio rispetto a una parità centrale tra le monete che facevano
parte del sistema). Il PCI votò contro, e fu questo uno degli elementi decisivi per la fine dei
“governi di unità nazionale”.
Luigi Spaventa è scomparso poco più di un anno fa, il 6 gennaio 2013. Con un certo
stupore – avendo avuto la fortuna di conoscerlo e sapendolo poi fautore della moneta
unica – ho letto il discorso parlamentare qui riportato. Si tratta di un discorso di
straordinaria lungimiranza, per diversi motivi. Il primo è che in esso sono contenuti tutti i
problemi che oggi, a distanza di 35 anni anni, angustiano l’Europa:
- gli egoismi nazionali, i
costi di riaggiustamento iniquamente ripartiti tra paesi creditori e paesi debitori,
- una politica
economica che ruota attorno al feticcio della stabilità della moneta, senza minimamente
curarsi dei suoi costi sociali.
Il secondo è che tutti i pericoli denunciati da Spaventa si sono
materializzati:
- l’inefficacia della rigidità del cambio per promuovere adeguamenti della
struttura economica
- e il persistere di un differenziale d’inflazione tra l’Italia e gli altri paesi,
con conseguente perdita di competitività (alla quale, in assenza di svalutazioni
competitive, si può rimediare soltanto attraverso la cosiddetta “svalutazione interna”, ossia
la riduzione dei salari).
Ma è soprattutto il rischio menzionato nella prima risposta a essersi materializzato.
Per avere la fotografia esatta della situazione attuale è sufficiente rileggere quella risposta
limitandosi a modificare il verbo iniziale:
- “Quest’area monetaria è oggi un’area di bassa
pressione e di deflazione, nella quale la stabilità del cambio viene perseguita a spese dello
sviluppo dell’occupazione e del reddito.
- Infatti non sembra mutato l’obiettivo di fondo della
politica economica tedesca: evitare il danno che potrebbe derivare alle esportazioni
tedesche da ripetute rivalutazioni del solo marco, ma non accettare di promuovere uno
sviluppo più rapido della domanda interna”.
Ma è precisamente l’ostinato rifiuto, da parte della Germania, di effettuare politiche
economiche espansive, combinato con la rigidità del vincolo monetario, a sottoporre la
stessa unione monetaria a tensioni che si stanno rivelando insostenibili e che quindi ne
ipotecano il futuro. Sarebbe importante capirlo, a dispetto del “terrorismo ideologico
europeistico” che avvelena, oggi più che allora, il dibattito su questi temi.
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