L'albero della storia è sempre verde

L'albero della storia è sempre verde

"Teniamo ben ferma la comprensione del fatto che, di regola, le classi dominanti vincono sempre perché sempre in possesso della comprensione della totalità concettuale della riproduzione sociale, e le classi dominate perdono sempre per la loro stupidità strategica, dovuta all’impossibilità materiale di accedere a questa comprensione intellettuale. Nella storia universale comparata non vi sono assolutamente eccezioni. La prima e l’unica eccezione è il 1917 russo. Per questo, sul piano storico-mondiale, Lenin è molto più grande di Marx. Marx è soltanto il coronamento del grande pensiero idealistico ed umanistico tedesco, ed il fondatore del metodo della comprensione della storia attraverso i modi di produzione. Ma Lenin è molto di più. Lenin è il primo esempio storico in assoluto in cui le classi dominate, sia pure purtroppo soltanto per pochi decenni, hanno potuto vincere contro le classi dominanti. Bisogna dunque studiare con attenzione sia le ragioni della vittoria che le ragioni della sconfitta. Ma esse stanno in un solo complesso di problemi, la natura del partito comunista ed il suo rovesciamento posteriore classistico, individualistico e soprattutto anti- comunitario" Costanzo Preve da "Il modo di produzione comunitario. Il problema del comunismo rimesso sui piedi"

mercoledì 29 marzo 2017

Renzi, Letta due facce della medesima medaglia, identico padrone il Globalismo Capitalistico e l'Euro il figlio riuscito

POLITICA
DIETRO LE QUINTE/ Perché Letta sta lavorando per il nemico Renzi?

Antonio Fanna
mercoledì 29 marzo 2017

È tornato, ha ripreso fiato, si è fatto fotografare in mezzo ai suoi giovani allievi della Scuola di politiche al termine di un convegno su Beniamino Andreatta mentre fa la "dab dance". È andato perfino in televisione, in quella tana del lupo che è Raitre: in un paio di giorni si è fatto intervistare da "Agorà" e da "In mezz'ora" di Lucia Annunziata. L'esilio parigino, a studiare e sbollire la rabbia per la cacciata poco serena, è finito: non che abbia smesso di dirigere la Scuola di affari internazionali dell'Istituto di studi politici di Parigi, ma la sua voce è tornata a farsi sentire in Italia. Sono passati tre anni da quando Enrico Letta dovette dimettersi da Palazzo Chigi per lasciare posto al rampante Matteo Renzi. Il paracadute fornitogli da Giorgio Napolitano non era rimasto aperto nemmeno un anno e l'ex promessa della politica era ritornato in seconda fila, quella degli intellettuali, dei suggeritori, degli strateghi, degli sconfitti.

Naturalmente il ritorno sulla scena di Letta è tutto nel segno dell'antirenzismo, culminato nel pronunciamento a favore di Andrea Orlando per le primarie Pd. L'ex premier delle larghe intese non ha seguito i bersaniani nella scissione: lui è un ex democristiano, non un ex comunista, e il Pd rimane in cima ai suoi pensieri anche se la tessera del partito renziano non l'ha più presa. Alle primarie voterà Orlando come un qualsiasi cittadino non iscritto che vuole dire la sua. L'obiettivo è "dare un'ultima chance" al Pd. Dopodiché, il diluvio.

Quell'#enricostaisereno ancora non l'ha digerito. Il rancore lettiano cova ancora sotto la cenere. La vendetta è un piatto che va servito freddo, dice il saggio. Ma spesso il risentimento non è un consigliere di fiducia. Letta si schiera contro Renzi, e questo è nella natura delle cose. Ma lo fa quando Renzi è all'angolo e sta ricostituendo le proprie truppe. Letta invece ha lasciato che le truppe andassero disperse, tant'è vero che uno dei suoi fedelissimi, Francesco Boccia, pugliese marito della forzista Nunzia Di Girolamo, si è schierato con Michele Emiliano.

Letta ha scelto Orlando per due motivi. Primo, perché il ministro della Giustizia in base ai primi sondaggi è quello che potrebbe giocarsela con Renzi, mentre il governatore pugliese è già tagliato fuori e combatte una battaglia puramente di bandiera. Secondo, perché sabato scorso era l'unico dei tre concorrenti delle primarie Pd presente alle cerimonie romane per l'anniversario delle istituzioni europee. Emiliano e Renzi hanno dato buca a Merkel e compagnia, Orlando no. Il buon soldato ha risposto presente e il colonnello Letta ha apprezzato: "Orlando era lì dove dev'essere un leader del Pd, tra le bandiere dell'Ue".

Strategia e ideali si mescolano nella scelta di Letta. Che però appare come un politico che ormai ha fatto il suo tempo, un reduce che accampa questioni personali più che politiche, un ex leader che rivendica scelte passate ma non ha un progetto chiaro per il futuro. Oggi Enrico Letta sembra un Mario Monti con vent'anni di meno. Uno che rimprovera gli errori altrui ma non riconosce i propri. I due si ritrovano uniti a puntare il dito contro il "cattivo uso della flessibilità data dall'Europa" fatto da Renzi, che ha pure beneficiato di tassi di interesse molto bassi frutto del lavoro di Mario Draghi naturalmente favorito dal lavoro dei due governi che hanno preceduto quello di Renzi.

È una minaccia Letta per la rielezione di Renzi alla guida del Pd? In questo momento sembra di no. È un capo senza truppe, un leader disarcionato che tenta di rimontare a cavallo. Ci vuole tempo per assorbire lo smacco. Ma anche per rimettere in campo un'alternativa credibile.

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