Come avevamo ipotizzato
in un articolo dello scorso settembre alla fine è stato approvato dal Parlamento europeo il
CETA, l’
accordo commerciale tra Canada e Unione europea. A nulla sono valse, quindi, le oltre tre milioni di firme raccolte per fermare il
“Comprehensive Ecomic Trade Agreement”,
avallato a larga maggioranza degli eurodeputati con i voti italiani di
Forza Italia e del Partito Democratico lo scorso 15 febbraio.
L’accordo di libero scambio ha come obiettivo quello di abbattere tutte le barriere doganali e regolamentari fra i ventisette Stati europei e lo Stato canadese, permettendo così alle grandi multinazionali d’oltreoceano di entrare nel mercato europeo. Tuttavia, a causa della sua natura di accordo misto, la sua entrata in vigore è solo provvisoria, necessitando altresì della ratifica dei singoli Parlamenti nazionali, ai sensi di quanto stabilito dal Trattato di Lisbona.
La mancata approvazione anche di uno solo di questi, potrebbe bloccare
definitivamente la partnership tra Unione europea e Canada.
Il Commissario Ue al commercio Cecilia Malmström ha definito l’accordo come “un’intesa che va ben oltre il commercio e rispecchia anche i nostri valori”, mentre il ministro italiano dello Sviluppo economico Carlo Calenda si è sbilanciato in un pronostico prevedendo “numerosi e importantissimi vantaggi per il nostro Paese”. Dal canto suo, il premier canadese Justin Trudeau
è giunto appositamente a Strasburgo nel giorno della votazione quasi a
voler sottolineare l’importanza della collaborazione, rassicurando tutti
sulla bontà del partenariato.
CETA: Cavallo di Troia dei neoliberisti
Il CETA sembra voler rappresentare la risposta delle economie liberali alle politiche protezioniste del neo-presidente americano Donald J. Trump che, dalla sua elezione, ha già ritirato il TPP (l’accordo commerciale trans-Pacifico), stabilendo che il TTIP non andrà in porto, e richiedendo di riformare il NAFTA (l’intesa nordamericana per il libero scambio). Anzi, a ben vedere, permette a diverse multinazionali scontente delle politiche del nuovo presidente Usa di bypassare gli accordi succitati.
Molte aziende a stelle e strisce, infatti, oggi operano e hanno sede in Canada, e l’entrata
in vigore del CETA consente loro di ottenere i medesimi vantaggi che
avrebbero tratto dall’approvazione del Trattato euro-americano (TTIP).
Una pericolosa cessione di sovranità in campo giuridico
In questi giorni la stampa e
l’informazione mainstream si stanno soffermando sui (pochi) sedicenti
vantaggi dell’accordo di libero scambio fra Ue e Canada, omettendo
troppo spesso l’altra faccia della medaglia.
Quello che non dicono è che il CETA costituisce l’ennesima cessione di sovranità degli Stati, questa volta giudiziaria: infatti, analogamente a quanto previsto dal TTIP, le aziende canadesi potranno citare davanti a tribunali arbitrali indipendenti
(composti da 15 arbitri, 5 scelti dalla Ue, 5 dall’azienda e 5 da Paesi
terzi) gli Stati (o le regioni) dell’Unione europea “colpevoli” di
introdurre ostacoli al commercio o norme giudicate “discriminanti” nei
confronti degli esportatori canadesi che, a loro dire, possano
intralciare i propri business.
Sicché anche per una semplice
norma sull’etichettatura d’origine potrà essere ben sollevato un
giudizio di fronte alla Corte, facendo prevalere l’interesse delle
multinazionali rispetto a quello dei cittadini alla tutela della salute e
delle produzioni locali. Inoltre, non sono esenti da
conseguenze tantomeno i singoli Stati: basti pensare che grazie a una
simile clausola a suo tempo inserita nell’accordo NAFTA, il solo Canada
ha dovuto versare a gruppi privati statunitensi 170 milioni dollari a
titolo di risarcimenti danni, con spese legali ulteriori per circa 65
milioni.
Crolla un pilastro giuridico dell’Unione Europea
Proseguendo l’analisi da un punto di vista giuridico, con il nuovo accordo verrebbe meno anche uno dei pilastri dell’Unione in tema di sicurezza alimentare,
vale a dire quel principio di precauzione (art. 191 TFUE) che consente
la commercializzazione solo dopo aver fugato ogni dubbio sulla
potenziale pericolosità della merce.
Oltreoceano la procedura è diversa: a
meno che non venga dimostrata scientificamente (e non potenzialmente)
una certa nocività, ciascun bene può essere messo in vendita. Se ne
conclude agevolmente che sarà inevitabile un abbassamento degli standard
dal punto di vista di tutela della sicurezza e della salute, poiché
sarà l’aspetto economico e commerciale a prevalere.
Così l’agroalimentare italiano è a rischio
Per quanto riguarda specificatamente
il made in Italy, la partnership commerciale fra Canada e l’Unione
riconoscerà e tutelerà solamente 41 rispetto al totale di 291 prodotti
DOP, IGP e SGT italiani.
Tra i prodotti compresi nel CETA
annoveriamo l’arancia rossa di Sicilia, il cappero di Pantelleria, il
kiwi di Latina, la lenticchia di Castelluccio di Norcia, la mela
dell’Alto Adige, la pesca e nettarina di Romagna, il pomodoro di Pachino
e il radicchio rosso di Treviso; mentre tra quelli lasciati fuori fa rumore l’esclusione eccellente del pomodoro San Marzano, particolarmente contraffatto in nord America, e diversi prodotti Dop e Igp della Puglia.
Come corrispettivo del riconoscimento
canadese, sarà concessa ai “tarocchi” fatti in Nord America la libera
circolazione nel Vecchio Continente, così da ritrovare insieme al
Parmigiano Reggiano originale anche il Parmesan prodotto nell’Ontario, e
numerose altre copie delle nostre eccellenze alimentari.
Coldiretti contraria
Proprio su questa possibilità si è espresso il presidente della Coldiretti, Roberto Moncalvo, che ha sottolineato i pochi vantaggi e i tanti rischi derivanti dall’accordo, definendo quest’ultimo come “un
grande regalo alle lobby industriali che nell’alimentare puntano
all’omologazione e al livellamento verso il basso della qualità”.
I marchi delle eccellenze italiane, del resto, grazie al loro altissimo livello e all’alta garanzia di sicurezza alimentare, non necessitano di alcun trattato CETA o TTIP che sia, avendo già di loro un grande mercato e un’ampissima diffusione in tutto il Mondo.
Possiamo dunque pacificamente affermare
che l’eventuale ratifica dell’intesa da parte di tutti gli Stati membri,
e quindi la conseguente irreversibilità dell’accordo economico e
commerciale globale, sarebbe l’ennesimo regalo alle multinazionali da
parte di un sistema che, in nome del profitto, persevera
nell’ignorare le preoccupazioni espresse dai cittadini preoccupati dalla
crisi e della globalizzazione selvaggia.
Si continua a svilire, in modo
sempre più progressivo, la sovranità degli Stati e degli organismi
democraticamente eletti nei diversi Paesi.