L'albero della storia è sempre verde

L'albero della storia è sempre verde

"Teniamo ben ferma la comprensione del fatto che, di regola, le classi dominanti vincono sempre perché sempre in possesso della comprensione della totalità concettuale della riproduzione sociale, e le classi dominate perdono sempre per la loro stupidità strategica, dovuta all’impossibilità materiale di accedere a questa comprensione intellettuale. Nella storia universale comparata non vi sono assolutamente eccezioni. La prima e l’unica eccezione è il 1917 russo. Per questo, sul piano storico-mondiale, Lenin è molto più grande di Marx. Marx è soltanto il coronamento del grande pensiero idealistico ed umanistico tedesco, ed il fondatore del metodo della comprensione della storia attraverso i modi di produzione. Ma Lenin è molto di più. Lenin è il primo esempio storico in assoluto in cui le classi dominate, sia pure purtroppo soltanto per pochi decenni, hanno potuto vincere contro le classi dominanti. Bisogna dunque studiare con attenzione sia le ragioni della vittoria che le ragioni della sconfitta. Ma esse stanno in un solo complesso di problemi, la natura del partito comunista ed il suo rovesciamento posteriore classistico, individualistico e soprattutto anti- comunitario" Costanzo Preve da "Il modo di produzione comunitario. Il problema del comunismo rimesso sui piedi"

sabato 25 marzo 2017

la Massoneria si è appropriata dell'isola, dentro di se cova Cosa Nostra


Nebbia sulla Catania della Massoneria occulta


di Luigi Asero
Nebbia su Catania. Così tanta da costringere alla chiusura temporanea dell’aeroporto, come scritto ieri da Catania Oggi. La nebbia un fenomeno meteorologico raro a Catania, ma certamente non impossibile. Eppure…
Eppure quella nebbia pare voler raccontare, o nascondere, qualcosa di più. Una fitta, fittissima coltre proveniente dal mare che per qualche ora ha nascosto alla vista la nostra città. Quasi a volerla proteggere dalle brutture che l’insignificante mala-politica ha creato negli ultimi 30/40 anni.
Simbolico quasi appare come la nebbia abbia per primo celato alla vista dei catanesi (e di quanti dalla città transitavano temporaneamente) il mare. Quel mare che oggi è “sporco” di sangue e anime, di oscuri (ma nemmeno tanto) traffici di esseri umani e chissà cos’altro. Altrettanto simbolico che poi, avvicinandosi alla costa, abbia celato la pista ciclabile della discordia (al lungomare “liberato”) come la promessa “Copa Cabana” che doveva essere il lungomare Plaia e che invece è solo 800 metri di spiaggia più o meno sistemata che in inverno è preda di prostituzione notturna e in estate una fila di lidi (rigorosamente a pagamento) preda spesso di cosche mafiose, in cui la mafia la incontri già solo per parcheggiare l’auto.
Ma il simbolismo della nebbia su Catania non si ferma qui. Ha coperto il viale Africa, dove doveva proseguire la pista ciclabile del lungomare scogliera e che per ora non sarà fatta, visto che i fondi destinati sono stati “distolti” verso la nuova fontana dell’ex Tondo Gioeni, fontana che dovrebbe distogliere l’incazzata attenzione degli automobilisti catanesi per il traffico generato dall’abbattimento (costoso e inutile) dello storico ponte. Insomma la nebbia ha coperto, per qualche minuto, anche quel caos infernale.
Come ha coperto l’aeroporto, fino a farlo temporaneamente chiudere. Un aeroporto preda delle mire regionali e paralizzato nella sua gestione amministrativa, con la Camera di Commercio locale nelle solide mani di un commissario regionale di nomina crocettiana e nell’impossibilità di operare pienamente per stupide e venali beghe di “partito” e soprattutto di “business”. Perché la gestione degli enti pubblici in Italia ormai è solo questo: business. Non certo necessità di assicurare servizi efficienti.
Nebbia su Catania. Quando questo giornale veniva ancora stampato e distribuito in edicola si scrisse (era il 28 maggio 2009): “La massoneria occulta comanda a Catania“. Allora si scrisse, tra l’altro:
Questa “leggenda” dovrebbe spiegare razionalmente tutti i danni che sono stati provocati alla città e gli arricchimenti sproporzionati di molti personaggi. Questa massoneria occulta si sarebbe impadronita dei gangli produttivi, si sarebbe accaparrata i posti chiave della politica, occupato le principali rappresentatività, invaso molti Consigli di enti e società. Il tutto in nome di un profitto sfrenato.
Che sia massoneria occulta o che sia semplice malaffare, non sappiamo. Certo è che a Catania, per qualche minuto abbiamo vissuto una sensazione forte: tutto è coperto! E da questa nebbia non usciranno verità, solo astute (ma nemmeno tanto) bugie.

Il Circo Mediatico trema, non riesce più a svolgere il suo ruolo di influenzare gli elettori



di LAURA FERRARI sabato 25 marzo 2017 - 16:45

La parabola di Marine Le Pen assomiglia sempre di più a quella di Donald Trump. Nelle redazioni dei giornali francesi circolano dei sondaggi segreti che danno in testa Marine Le Pen con un margine schiacciante rispetto a tutti gli altri candidati. A renderlo noto è un autorevole editorialista del quotidiano Le Figaro. Secondo Ivan Roufol, i sondaggi segreti sono ben diversi da quelli diffusi ogni giorno. La leader del Front national sarebbe in testa con il 34% dei voti, dunque almeno 8 punti in più rispetto al 26% di cui è accreditato il candidato moderato su cui puntano i poteri porto francesi, Emmanuel Macron.
Le Pen sottostimata nei sondaggi ufficiali come accadde per Trump

Esattamente come accade per il candidato Trump, i sondaggisti francesi sarebbero orientati a fornire un quadro ben diverso della situazione attuale. In questo quadro, va inserita una ricerca del mese di marzo realizzata da Ifop, il principale istituto di sondaggi francese. La rivelazione è sorprendente: tra i giovani il partito della Le Pen è il preferito da circa 4 giovani su 10. Infatti, nella fascia di età tra i 18 e i 24 anni, conquista il 39 per cento dei voti. Ben distante, con il 21 per cento, Macron mentre il gollista Francois Fillon conquista solo 9 giovani su 100. L’effetto Marine Le Pen sulla crescita esponenziale della destra transalpina è evidente: nel 2012 il Front national non raggiungeva neanche la metà dell’attuale consenso tra i ragazzi, fermandosi al 18 per cento.
Neanche Trump ha conquistato i giovani come fa Le Pen

In questo senso, il consenso per la Le Pen è ancora più impressionante di quello ottenuto da Donald Trump. L’attuale presidente americano non è riuscito a sfondare tra i giovani elettori Usa, che gli hanno preferito durante il periodo delle primarie, Bernie Sanders e per il voto decisivo Hillary Clinton. A questo va aggiunta la grande popolarità raggiunta sui Social network dalla candidata del Fn rispetto ai suoi avversari. Proprio la Rete fu decisiva per la vittoria di Trump, boicottato dai media ufficiali, portato al trionfo dall’elettorato comune. Un altro elemento che fa pendere decisamente la bilancia verso Marine Le Pen in vista delle presidenziali di aprile.

Gli euroimbecilli tremano, il Movimento degli Stati Identitari tesse ragnatele, si annusa, si riconosce

Putin riceve Marine Le Pen al Cremlino: "Non vogliamo influenzare le elezioni"

Ieri alle 19:50 - ultimo aggiornamento alle 22:17


Oggi a sorpresa Vladimir Putin ha ricevuto al Cremlino la candidata alle elezioni presidenziali francesi Marine Le Pen.


"La Russia non sta cercando in nessuna maniera di interferire nelle elezioni", ha dichiarato il presidente russo in riferimento alle votazioni del prossimo 23 aprile.

"Ma ci riserviamo il diritto di incontrare i rappresentanti di tutte le forze politiche nel Paese, come fanno i nostri partner, ad esempio in Europa e negli Stati Uniti", ha aggiunto.

Ha poi affermato che il Front National costituisce "un elemento crescente delle forze politiche europee".

La leader del partito di estrema destra ha invece sottolineato: "Questo incontro è particolarmente importante ora che la minaccia terroristica incombe su tutti noi".

In occasione del faccia a faccia, Le Pen ha promesso che, qualora diventasse presidente, riconoscerebbe la Crimea come territorio sovietico e si batterebbe per rimuovere le sanzioni imposte dall'Unione europea nel 2014 contro il Cremlino.

Poracci questi euroimbecilli si nascondono dietro all'Europa cercando continuamente di confondere i livelli

Perché l’Europa sta celebrando il 60° anniversario del Trattato di Roma? (1)
25 marzo 2017



Il piccolo Stato di Malta (circa 420 mila abitanti), l’unico tra due nell’Eurozona ad avere l’inglese tra le sue lingue ufficiali, attualmente detiene la presidenza dell’UE per il 2017. È un compito, questo, introdotto nel 2009 con il Trattato di Lisbona, e permette a un Paese di influenzare l’agenda dell’Unione europea. Le regole impongono che Malta condivida questo compito con altri due Paesi (Olanda e Slovacchia) per formare la cosiddetta Presidenza a Tre. Ci sarà molto da dire, saranno prodotti molti articoli e molte sono le bandiere ed i poster che stanno comparendo a Valletta (la capitale fortificata di Malta), ma non aspettatevi che ne derivi granché. L’altro elemento che riguarda il 2017 e l’UE è che verso la fine di questo mese si celebrerà il 60° anniversario della firma del Trattato di Roma (firmato il 25 marzo 1957 ed entrato in vigore il 1° gennaio 1958). La Commissione europea è chiaramente propensa a dare l’impressione che il Trattato di Roma sia stato il primo della serie di passaggi che hanno reso l’Europa quella che è oggi. In un certo senso è vero. Ma in un senso più rilevante quest’affermazione è un’assurdità. La realtà è che le successive revisioni del Trattato (quelle di Maastricht e Lisbona) hanno rappresentato importanti cambiamenti, paradigmatici o ideologici, del modo in cui si sarebbe dovuta governare l’Europa. Il Trattato di Roma riconosceva che una limitata cooperazione economica avrebbe potuto portare benefici a tutti i Paesi partecipanti fintanto che fosse stata attenuata o gestita da un sistema di intervento statale ad ampio raggio. I trattati successivi rappresentano uno spostamento: da una situazione in cui gli Stati membri hanno la capacità di assicurare la piena occupazione, ad una in cui sono inclini a costringere all’austerità e a generare livelli di disoccupazione elevati e persistenti e povertà per volere dei signori ideologici che fanno parte della Commissione europea, che non sono eletti né responsabili nei confronti della popolazione europea che affermano di rappresentare. Quindi… perché [l’Europa] celebra il 60° anniversario di un modo di fare politica economica e di costruire uno Stato che ora ha rigettato completamente?

La pagina ufficiale del 60° anniversario sostiene che:

Sessant’anni fa, a Roma furono gettate le basi per l’Europa che conosciamo oggi e che ha inaugurato il più lungo periodo di pace documentato nella storia dell’Europa.

Il Trattato di Roma ha istituito un mercato comune in cui persone, beni, servizi e capitali possono muoversi liberamente ed ha creato condizioni di prosperità e stabilità per i cittadini europei.

Beh la parte della pace non è che sia proprio vera, no? [Si consideri] La disintegrazione della Jugoslavia, per esempio.

E la parte che riguarda la “prosperità e stabilità per i cittadini europei”… Cosa ne direbbero i Greci che da teenager ora sono diventati adulti e non hanno mai avuto la possibilità di avere un lavoro?

Cosa ne direbbero i Greci che non possono acquistare i medicinali di base?

E tutto il resto.

Ma sto divagando.

In una delle mie presentazioni della settimana scorsa a Maastricht (la prima, di cui al momento non ho il video né l’audio) ho parlato brevemente del Trattato di Roma.

Il Trattato di Roma (conosciuto ufficialmente come Trattato che Istituisce la Comunità Economica Europea) istituì la Comunità Economica Europea (CEE).

I firmatari furono Belgio, Francia, Italia, Lussemburgo, Olanda e Germania dell’Ovest. Il Trattato segnò l’inizio di una percepita necessità di una più stretta cooperazione economica tra gli Stati membri relativamente al commercio (da cui l’enfasi sull’istituzione dell’unione doganale – “il Mercato Comune”) ed alle politiche comuni in materia di agricoltura e trasporti.

Da allora sono state due le principali revisioni: il Trattato di Maastricht [che], curiosamente, ha rimosso “Economico” dal titolo ufficiale e, nel 2009, il Trattato di Lisbona, [che] ha rinominato l’intero accordo in “Trattato sul funzionamento dell’Unione europea”.

I primi sviluppi postbellici, guidati dagli interessi francesi a porre un freno alle aspirazioni militari della sconfitta Germania, iniziarono nel 1951 con il Trattato di Parigi. Questo accordo faceva parte della ricostruzione dell’Europa (con il Piano Marshall) ed istituì la Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio (CECA).

Ma si trattò di un piano francese (condotto da Jean Monnet, a capo del Ministero Francese della Pianificazione, e da Robert Schuman, Ministro degli Esteri francese) per la gestione comune delle produzioni di carbone e acciaio di Francia e Germania da parte di un nuovo organismo sovranazionale. Dopodiché [gli] altri Stati membri avrebbero potuto aderire.

Il piano prevedeva inequivocabilmente di porre un freno all’azione offensiva tedesca e di iniziare il lungo processo di riammissione della Germania in Europa dopo il raccapricciante comportamento tenuto durante la Seconda Guerra Mondiale.

A quel tempo, l’assenso francese alla creazione di istituzioni a livello europeo era più volta ad assicurarsi che la Germania non avrebbe mai più potuto dichiararle guerra che non ad un grandioso desiderio di un’entità sovranazionale.

Nel 1950 l’Ufficio per la Pianificazione, sotto la guida di Jean Monnet, nella redazione della bozza di proposta per l’istituzione della Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio dichiarò:

Il governo francese propone un’azione immediata su un unico, ma decisivo, punto… La solidarietà nella produzione in tal modo realizzata farà si che una qualsiasi guerra tra la Francia e la Germania diventi non solo impensabile, ma materialmente impossibile.

All’interno di quest’ampio quadro politico, le discussioni sull’integrazione furono condizionate dalla persistente rivalità franco-tedesca. La Francia era determinata a creare strutture istituzionali che impedissero per sempre alla Germania di invaderla di nuovo.

Questa vedeva nell’Europa integrata un modo per consolidare un ruolo dominante negli affari europei, ma per raggiungere questi scopi era determinata a cedere il meno possibile in termini di sovranità.

La Francia provava anche risentimento nei confronti dell’influenza che gli USA stavano esercitando in Europa, in particolare attraverso il Piano Marshall, che intrinsecamente legava la Germania dell’Ovest agli USA.

I Tedeschi, soffrendo di una profonda vergogna per il loro passato militare e le relative gesta, non avevano altro che il proprio successo economico, inclusa la “disciplina” della Bundesbank, per generare orgoglio nazionale.

Oltre alla necessità di espandere i suoi mercati di sbocco per le esportazioni, la Germania volle far parte del “Progetto Europeo” per dimostrare un rifiuto del proprio terrificante passato.

Ma un’ossessiva paura dell’inflazione fece sì che questa partecipazione dovesse sottostare alle condizioni della Germania, ossia che, alla fine, la nuova Europa avrebbe dovuto accettare la cultura della Bundesbank.

Divenne un processo insostenibile. All’interno del contesto di “stabilità” tedesco, venne apparentemente trascurato il fatto che la Germania, in effetti, per la sua prosperità faceva affidamento su una forte crescita delle importazioni degli altri Paesi europei. Il fatto che in un “contesto di stabilità” Bundesbank-centrico non tutti i Paesi avrebbero potuto avere un pareggio dei surplus commerciali venne ignorato.

Nel 1955, alla Conferenza di Messina in Italia, i membri della CECA si impegnarono a creare la Comunità Economica Europea (CEE).

Il Trattato di Roma fu il prodotto della successiva Conferenza Intergovernativa del Mercato Comune e dell’Euratom, tenutasi nel castello francese di Val Duchesse il 26 giugno 1956.

Anche se non è questo il punto che voglio discutere in questo blog, il Trattato di Roma, in effetti, fece davvero poco. Era pieno di dichiarazioni materne, procedurali, di visioni grandiose, ma l’unica cosa reale che venne stabilita fu la Corte di Giustizia Europea (articolo 177).

Inoltre, il punto che spesso non viene colto riguardo a questo documento fondamentale nel contesto della moderna Europa è che era pesantemente a favore della Francia occupata a discapito degli aggressori, Germania e Italia.

Ma la crescente forza tedesca nell’industria e nelle esportazioni divenne per la Francia una minaccia sempre più significativa. L’ambizione industriale tedesca richiese infine che la Francia scendesse a compromessi con la sua feroce resistenza a cedere anche solo una parte della propria sovranità nazionale ad un’istituzione europea.

La prima iniziativa sostanziale dell’appena nata CEE fu la creazione della Politica Agricola Comune (PAC), introdotta nel 1962 dopo molti anni di litigi tra Francia e Germania iniziati durante la Conferenza di Stresa del luglio 1958.

Il governo francese, in particolare, regolava pesantemente i prezzi agricoli in favore della potente lobby agricola francese ed era disposta a cedere solo lo stretto necessario a procurarsi, con l’accordo, i sussidi tedeschi.

I Francesi erano chiaramente motivati dal loro desiderio di proteggere i propri agricoltori, e la Germania voleva allargare alla Francia il mercato di sbocco delle sue esportazioni industriali.

Per raggiungere i propri obiettivi, i Tedeschi accettarono di fornire sussidi agli agricoltori francesi attraverso la PAC: una tensione snervante che persiste tutt’oggi.
Ma la fattibilità amministrativa della PAC richiese una grande stabilità dei tassi di cambio, perché una moltitudine di prezzi agricoli doveva essere supportata in tutta la Comunità.

Una volta che gli Stati membri si vincolarono alla PAC, furono anche costretti a perseguire l’impossibile compito di mantenere tassi di cambio fissi.

Negli anni ’60 del Novecento, via via che la forza delle esportazioni tedesche aumentava, il marco tedesco divenne la valuta più forte, cosa che mise Francia ed Italia sotto la costante pressione della svalutazione e della stagnazione interna e che minò la PAC.

Da quel momento, i vari accordi per mantenere fisse le parità tra le valute europee fallirono malamente per via delle diverse capacità di esportazione degli Stati membri.

Ma invece di scegliere l’opzione di buon senso ed abbandonare il desiderio di tassi di cambio fissi, quando nel 1971 il sistema di Bretton Woods crollò, i leader politici europei accelerarono il processo di creazione di una valuta comune. Le lezioni che erano derivate dal fiasco di Bretton Woods non furono comprese.

Il disastro della PAC avrebbe dovuto insegnare ai Paesi europei che la formazione di un’unione valutaria sarebbe un esercizio pieno di insidie. La negazione, però, regnò sovrana.

Il punto da mettere a fuoco è che, all’epoca, la dinamica europea era guidata dalla spropositata percezione francese del proprio posto nel mondo, e in Europa in particolare.

La Germania e l’Italia erano Stati sconfitti – e disonorati. La Francia era lo Stato vincitore e, sotto Charles De Gaulle, nazionalista in modo accanito. Era pronta a partecipare al processo di “integrazione” solo alle sue condizioni: voleva controllare il processo, creare corpi intergovernativi europei che avrebbe dominato, e ottenere sussidi (specialmente) dalla Germania per favorire il proprio sviluppo economico.

La storia ci dice che questa spropositata percezione di sé fu delirante e che la Francia fu sempre più asservita da successive variazioni dei Trattati e da accordi di tasso di cambio fisso a sostegno della PAC per il potere economico della Germania e la sua patologica ossessione dell’inflazione.

Tratto nel dettaglio le conseguenze di questa sottomissione nel mio ultimo libro: Eurozone Dystopia: Groupthink and Denial on a Grand Scale (pubblicato nel maggio 2015).

Originale pubblicato il 14 marzo 2017

Traduzione a cura di Andrea Sorrentino, Supervisione di Maria Consiglia Di Fonzo

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25 marzo 2017 - Mario Albanesi: Il superblog di Beppe Grillo

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PTV news 24 Marzo 2017 - Ucraina: Un altro assassinio 'false flag'

Ceta vuol dire pesticidi, veleni e glifosato nella pasta e nel pane, dobbiamo e vogliamo tutelare il Made Italy

INCHIESTA ITALIA

"Se firmiamo il Ceta perdiamo la battaglia del grano"

"L'Italia non ratifichi l’accordo CETA di libero scambio commerciale con il Canada, che mette in pericolo la sostenibilità dei nostri grani e la qualità dei nostri prodotti alimentari”. Non usa mezzi termini Roberto Moncalvo, il giovane presidente di Coldiretti,  la maggiore associazione di agricoltori in Italia e in Europa con oltre un milione e 500 mila iscritti, intervenuto al format di Agi "Viva l'Italia"
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"Apriremo le porte a farine piene di pesticidi"

"L’accordo di libero scambio con il Canada è per noi negativo, perché azzererà i dazi doganali e aprirà le porte definitivamente al grano duro coltivato con pesticidi e glifosato" dichiara Moncalvo. Come raccontato in Inchiesta Italia, quello della contaminazione delle farine con pesticidi e micotossine dovuto anche a grani importati (anche se non esclusivamente ad essi) è un pericolo concreto. “In Italia il grano duro può essere coltivato dall’Emilia Romagna in giù, perchè ha bisogno di molto sole. Il glifosato viene usato maggiormente dai Paesi che hanno poca esposizione solare. Ecco spiegato quindi il record canadese di Paese maggior esportatore di grano duro in Italia e in Europa.
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"Bisogna tutelare la biodiversità italiana"

“Perché utilizza nel ciclo di coltivazione il glifosato, erbicida di cui c’è in corso una querelle sulla sua cancerogenicità - sottolinea il presidente di Coldiretti. E rispetto alla consapevolezza degli agricoltori italiani sul suo divieto incalza: "L’Italia ha vietato seppure parzialmente l’uso di glifosato nelle coltivazioni, come dal decreto dello scorso agosto, ma se diciamo che è pericoloso perché favoriamo l'importazione di prodotti che lo contengono? - sottolinea. Una battaglia che fa il paio con la netta opposizione agli OGM. “Bisogna fare delle scelte. Il patrimonio agricolo italiano si basa sulla biodiversità e va tutelato" mentre i ministri Lorenzin, Galletti e Martina hanno annunciato che voteranno no al Comitato d'Appello Europeo contro l'introduzione in coltivazione di tre nuovi tipi di mais, tutti e tre OGM, nel continente europeo. "Ricordiamo - aggiunge Moncalvo - che solo cinque paesi in Europa sostengono gli Ogm ma coltivano solo 130 mila ettari di un solo prodotto, il mais geneticamente modificato,resistente al glifosate”.
Non è una battaglia per i soldi, ma per la salute
Quindi non solo una questione di economia e mercato, ma anche e soprattutto di tutela della salute pubblica e della filiera agroalimentare buona e giusta. “Gli strumenti sono i controlli, la trasparenza e la tracciabilità - conferma Moncalvo che è anche presidente della Fondazione Coldiretti, dalla quale è nato l’Osservatorio sulla criminalità nell’agricoltura e sul sistema agroalimentare, che vede come responsabile scientifico Gian Carlo Caselli
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Ma restano le pressioni dell’Europa che per favorire il libero scambio commerciale, ha penalizzato, invece, paesi come l’Italia che hanno, invece, tutto da guadagnare dalla certificazione di origine di prodotti agroalimentari. “La sicurezza alimentare deve diventare protagonista anche in Europa, tutelando il made in Italy - prosegue - abbiamo ottenuto un regolamento europeo, varato nel 2011 che ci permette di aprire a sperimentazioni nazionali sull’’etichettatura, che è però è possibile solo dal 2015. Il sistema di sperimentazione ci permette di tracciare per intero la provenienza delle materie prime  Dal 19 aprile lo sarà per il latte e i prodotti latteo caseari. Ci auguriamo che così sarà presto per i grani e la pasta". 

Solo il 50% del cibo che mettiamo nel carrello è tracciabile

Nel frattempo, però, solo il 50% del cibo nel nostro carrello è tracciato e le mani delle agromafie sono in ogni parte del ciclo di produzione del cibo che portiamo in tavola, così come il V rapporto sulle Agromafie e i crimini agroalimentari ha confermato la diffusione della delle agromafie non solo Reggio Calabria, ma anche Genova e Verona: il business criminale è raddoppiato in cinque anni, aumentato solo nell’ultimo anno del 30%, arrivando ad oltre 21,8 miliardi di euro
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Come fermare la filiera parallela, quella inquinata dalle agromafie e dalla criminalità organizzata arrivata ad imporre prodotti alla grande distribuzione e a controllare il trasporto dei prodotti determinando costi insostenibili per gli agricoltor?  Con il rispetto della legalità e la trasparenza alla base della politica della maggiore associazione di coltivatori italiani, come ribadisce più volte, Moncalvo, ricordando che Coldiretti si è schierata a favore della legge contro il caporalato e sostiene il disegno di legge di riforma sui crimini agroalimentari, ancora fermo in Consiglio dei Ministri.

"I voucher in agricoltura servono. Abolirli è un errore"

Ma contesta duramente l’abolizione dei voucher, in un settore che può e deve essere anche il futuro per i giovani italiani. Sono strumenti "nati per l'agricoltura e che hanno regolarizzato studenti, cassintegrati e anziani, impiegati nei lavori occasionali", ha detto Moncalvo. Senza questo strumento, che è anche servito a combattere il caporalato "quest'anno 50mila persone non lavoreranno. Non c'è un'alternativa. E noi ne abbiamo bisogno prestissimo".  
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E il pensiero va agli agricoltori e agli allevatori del centro Italia colpiti dai terremoti. Anche perché “l'agricoltura e l'allevamento non si possono sospendere, nemmeno in caso di terremoto", ma fino a tre settimane fa "delle 1400 stalle necessarie, ne erano state montate solo 152, mentre 33 sono quelle funzionanti". Ritardi scoraggianti uniti ai pesantissimi costi subiti dagli allevamenti: 10mila capi di bestiame morti. "Erano necessarie e noi lo abbiamo detto da agosto, mesi prima del fuori onda di febbraio del Commissario Vasco Errani.
Perché' il ritardo? "I decreti erano chiari, netti. La traduzione in pratica è stato un continuo rimbalzo tra Comuni, Regioni, Protezione civile e tutti gli enti coinvolti". Eppure, i fondi "sono stati ottenuti in tempo record", ha osservato Moncalvo. Con chi arrabbiarsi? "Non con una persona sola, ma con la burocrazia".
Dopo il fallimento - su cui è in corso un'inchiesta - "siamo riusciti a ottenere prima di Natale l'approvazione di nuove procedure che consentono agli agricoltori di scegliere (entro certi limiti) la ditta per la ricostruzione delle stalle". 
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In chiusura l’appello per Viva l’Italia dedicato ai giovani, da un trentaseienne con una laurea in Ingegneria dell’Autoveicolo che oggi è contitolare di un’azienda agricola dove si sposano innovazione e custodia della terra. “L’Italia è un Paese bellissimo, fatto di persone coraggiose e solidali e di tanti ragazzi che decidono di restare. Per loro vale la pena impegnarsi per vivere al meglio e stare bene nel paese più bello del mondo”. 
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24 marzo 2017 ©