L'albero della storia è sempre verde

L'albero della storia è sempre verde

"Teniamo ben ferma la comprensione del fatto che, di regola, le classi dominanti vincono sempre perché sempre in possesso della comprensione della totalità concettuale della riproduzione sociale, e le classi dominate perdono sempre per la loro stupidità strategica, dovuta all’impossibilità materiale di accedere a questa comprensione intellettuale. Nella storia universale comparata non vi sono assolutamente eccezioni. La prima e l’unica eccezione è il 1917 russo. Per questo, sul piano storico-mondiale, Lenin è molto più grande di Marx. Marx è soltanto il coronamento del grande pensiero idealistico ed umanistico tedesco, ed il fondatore del metodo della comprensione della storia attraverso i modi di produzione. Ma Lenin è molto di più. Lenin è il primo esempio storico in assoluto in cui le classi dominate, sia pure purtroppo soltanto per pochi decenni, hanno potuto vincere contro le classi dominanti. Bisogna dunque studiare con attenzione sia le ragioni della vittoria che le ragioni della sconfitta. Ma esse stanno in un solo complesso di problemi, la natura del partito comunista ed il suo rovesciamento posteriore classistico, individualistico e soprattutto anti- comunitario" Costanzo Preve da "Il modo di produzione comunitario. Il problema del comunismo rimesso sui piedi"

sabato 15 aprile 2017

14 aprile 2017 - Venti di guerra tra Stati Uniti e Corea del Nord. L'analisi di Fulvio Sc...

Massoneria&'Ndrangheta stretti stretti a fare affari


GIUSEPPE BAGLIVO 15 APRILE 2017 12:20

I rapporti fra mafiosi e “fratelli” nelle operazioni delle Dda di Catanzaro e Reggio. Legami occulti ed inesplorati che presto potrebbero essere riletti sotto una nuova “luce”…


“Le logge massoniche presenti in questa provincia sono numerose, dall'ultimo monitoraggio sono sei: la Gioacchino Murat, la Giosuè Carducci, la Michele Morelli, la Monteleone, la Parsifal, Gran Loggia Garibaldini d'Italia, tutte aderenti al Goi, tranne la Parsifal (aderente alla Gran Loggia Regolare d'Italia) e la Gran Loggia Garibaldini d'Italia, giusta chiusura in data 20/03/2014 della Loggia Bettino Ricasoli. Tuttavia sino ad ora non sono emersi collegamenti, nelle molteplici attività di polizia giudiziaria pure condotte dalle diverse forze di polizia in provincia, tra esponenti massonici e mafiosi - fatta salva la circostanza investigativa appena evidenziata”.


Questo quanto messo nero su bianco in una relazione ufficiale che la Prefettura di Vibo Valentia ha consegnato alla Commissione parlamentare antimafia il 7 aprile 2014 in occasione della visita di alcuni stessa Commissione in città. Un rapporto in cui, oltre ad una “radiografia” della situazione economica, sociale e criminale della provincia di Vibo, la locale Prefettura ha inteso fare un passaggio – sulla scorta di una relazione delle forze dell’ordine, Arma dei carabinieri in primis – pure sulla presenza della massoneria in città ed in provincia. A detta di tale relazione – datata 2014 – a Vibo Valentia e provincia dalle “molteplici attività di polizia giudiziaria condotte dalle diverse forze di polizia in provincia” non sono emersi collegamenti tra esponenti massonici e mafiosi, tranne i riferimenti del boss di Limbadi, Pantaleone Mancuso, alias “Vetrinetta” (in foto) ad un ruolo sovraordinato della massoneria rispetto alla vecchia ‘ndrangheta che, ad avviso del boss, deve “modernizzarsi... non stare con le vecchie regole, perché l mondo cambia e bisogna cambiare tutte cose! Oggi la chiamiamo "massoneria".... domani la chiamiamo P4, P6, P9”.


Ma davvero le inchieste giudiziarie sinora condotte non hanno fatto emergere collegamenti a Vibo e nel Vibonese fra esponenti e massonici e mafiosi? La realtà, a ben vedere, è ben diversa. La relazione del 2014 consegnata dalla Prefettura di Vibo alla Commissione parlamentare antimafia dimentica, del resto, di citare persino la loggia Benedetto Musolino del Goi (regolarmente registrata), così come dimentica di segnalare la presenza di altre logge a Filadelfia ed a Limbadi.

Vediamo, dunque, di capire cosa si trova spulciando nei carteggi giudiziari in ordine ai collegamenti fra ‘ndrangheta e massoneria nel Vibonese.


L’operazione Dinasty. L’interesse per le logge massoniche vibonesi da parte della ‘ndrangheta lo si trova per esempio nella storica operazione “Dinasty” contro il clan Mancuso scattata nell’ottobre 2003 e coordinata dall’allora pm della Dda di Catanzaro Patrizia Nobile. E’ in particolare il boss Diego Mancuso a svelare al nipote Domenico l’esistenza di fotografie in cui vengono sarebbero stati immortalati noti imprenditori del Vibonese e qualche magistrato vestito in abiti massonici.

Uno di tali personaggi, aderenti alla massoneria del Grande Oriente d’Italia, secondo il boss andava avvicinato perché in grado “di spostare pure le montagne” e quindi – nell’ottica mafiosa – capace di interessarsi pure alle vicende giudiziarie dei Mancuso. Lo stesso Diego Mancuso (in foto) nelle intercettazioni indicava lo zio Pantaleone Mancuso, detto “Vetrinetta”, quale appartenente a logge massoniche. Sul punto, però, la sentenza del Tribunale di Vibo nel processo “Dinasty”, confermata in Cassazione, ha rimarcato come sull’asserita partecipazione di Pantaleone Mancuso “a logge massoniche occulte non vi sono né riscontri e né conferme”.


Giacomo Lauro e l’operazione Olimpia. Altri riferimenti alla massoneria ed alla ‘ndrangheta nel Vibonese sono stati invece fatti ai magistrati della Dda di Reggio Calabria già nel 1994 dal più importante pentito calabrese: Giacomo Ubaldo Lauro, con un passato quale principale “consigliore” del potente clan reggino Condello-Imerti-Saraceno e oltre 40 anni di vita criminale vissuta ai massimi livelli (era stato affiliato all’età di 21 anni da don Domenico Macrì di Siderno, il capo dei capi della ‘ndrangheta calabrese, ucciso nel 1975), tanto da consentire al pool antimafia dell’allora procuratore Salvatore Boemi di portare a termine l’operazione “Olimpia”, la più grande operazione di sempre contro la criminalità organizzata calabrese. Proprio nei faldoni di quell’inchiesta, Giacomo Lauro (in foto) ha indicato il defunto boss Peppino Pesce di Rosarno (cl. ’27) come iscritto negli anni ‘80 ad una loggia coperta di Vibo Valentia, mentre nella superloggia coperta del defunto preside Cosimo Zaccone di Reggio Calabria il pentito per il Vibonese ha indicato quale aderenti pure il boss Ciccio Mancuso (deceduto nel 1997) e l’ex senatore Antonino Murmura. Nessun riscontro, però, è stato trovato sul punto a tali dichiarazioni del collaboratore Giacomo Lauro.


Cordova e l’inchiesta “Mani segrete”. In precedenza, a raccontare all’allora procuratore di Palmi Agostino Cordova (in foto) ed al pm Francesco Neri dei presunti affari illeciti della massoneria deviata vibonese era stato invece un medico di San Mango d’Aquino, poi espulso dal Goi per aver fatto ricorso alla giustizia “profana” contro un “fratello”. Il “pentito” aveva parlato di presenze inquietanti in alcune logge di Vibo Valentia, dove sarebbe stato facile incontrare boss mafiosi e terroristi di estrema destra. L’inchiesta di Cordova, trasferita a Roma per competenza territoriale, è stata però archiviata dal gip Augusta Iannini con la motivazione che ci si trovava dinanzi a “notizie” e non a “notizie di reato”, pur ammettendo lo stesso magistrato nel decreto di archiviazione che la gran mole di atti e documenti sequestrati era inconsultabile (quindi neanche sfogliata dal giudice) in quanto ammassata in uno scantinato del Tribunale di Roma. 

L’inchiesta “Rima”. Interessanti contatti fra esponenti di primissimo piano della massoneria del Goi di Vibo Valentia e personaggi dei clan di Piscopio e San Gregorio d’Ippona li si trovano invece nelle operazioni antimafia “Rima” del 2005 e “Nuova Alba” del 2007, condotte dalle Squadre Mobili di Catanzaro e Vibo con il coordinamento della Dda. Nello specifico, negli atti delle due inchieste uno dei principali esponenti della massoneria vibonese del Grande Oriente d’Italia viene prima fermato in auto di notte insieme a personaggi di Piscopio e poi menzionato con dovizia di particolari in alcune intercettazioni fra due mafiosi del clan Fiarè per via della promessa non mantenuta circa il sostegno elettorale nei confronti di un politico che si sarebbe invece speso per la sistemazione di un familiare del massone in questione alla Provincia.


“Decollo Money”. Gli ultimi capitoli sui presunti contatti fra esponenti della criminalità vibonese e personaggi aderenti alla massoneria aspettano però di essere scritti. L’inchiesta “Decollo money” della Dda di Catanzaro sui canali di riciclaggio a San Marino degli enormi proventi frutto del narcotraffico gestito da Vincenzo Barbieri – ucciso a San Calogero il 12 marzo scorso – ha infatti portato sotto processo anche i vibonesi Domenico Macrì e Salvatore Lubiana, entrambi nel Grande Oriente d’Italia ed entrambi di Nicotera, accusati di concorso in riciclaggio dei soldi del broker della cocaina. Il Goi, dopo l’operazione ha sospeso, da ogni incarico sia Macrì che Lubiana.


Nell’ambito del processo che si sta celebrando a Vibo è inoltre emerso in aula che Valter Vendemini, direttore del “Credito Sammarinese” e fra gli imputati principali in “Decollo money”, avrebbe avuto diversi incontri nel Vibonese con personaggi di spicco dell’imprenditoria e della massoneria.

Dalla documentazione sequestrata a Vendemini è infatti emerso come quest’ultimo il 19 luglio 2010 avrebbe avuto un appuntamento a Vibo con uno dei leader della massoneria vibonese del Goi ed all’incontro sarebbe stato presente pure Domenico Macrì.


L’inchiesta Libra. Lo stesso Domenico Macrì, alias “Micuccio”, residente a Città di Castello, spunta poi pure negli atti dell’inchiesta Libra coordinata dalla Dda di Catanzaro e scattata nel maggio del 2013. In particolare, negli atti di indagine curati dall’allora comandante della Stazione dei carabinieri di Vibo Valentia, Nazzareno Lopreiato, emerge che Domenico Macrì avrebbe spiegato agli interlocutori “l’opportunità storica di mettere in si mesi il piede nella banca di San marino” portando ognuno di loro altre 20 persone al fine di raggiungere la somma di 10 milioni di euro, in un’operazione definita da Micuccio Macrì “dal sapore tipico di quella massoneria operativa da lui praticata da una vita”. Secondo Macrì, infatti, <<lo scopo finale dell’operazione è di avere una banca per i cazzi loro”, con il vantaggio della “riservatezza” che solo un conto corrente estero garantirebbe. All’operazione avrebbe lavorato pure un altro “fratello” al momento però da identificare.


Operazione “Crimine 3”. E’ un’operazione scattata nel 2011 ad opera della Dda di Reggio Calabria e negli atti di tale inchiesta due funzionari delle Dogane di Gioia Tauro parlano nelle intercettazioni anche della massoneria vibonese. “Senti una cosa – spiegano nei dialoghi captati - guarda che Vibo è una potenza, esprime alte personalità, quindi tu a Vibo non saresti male, in questo momento Vibo è molto quotata”. Netta la risposta dell’interessato: “A me lo dici, lo so, ci tengono da Vibo. Aspetta, fai passare questa fase – affermano – altrimenti poi passa che l’hai fatto apposta per la ditta, fai passare un po’ di tempo, ci sono i Mancuso per di là e quindi niente…ci sono stati discorsi pure nella zona, gente di Rosarno e Gioia Tauro, insomma ce l’hanno messo dentro”.

Massoneria e ‘ndrangheta nel Vibonese, dunque, una “storia” che aspetta ancora di essere scritta compiutamente ed alla quale, dopo le dichiarazioni del pentito Cosimo Virgiglio, stanno lavorando i magistrati della Dda di Catanzaro.







15 aprile 2017 - Roberto Quaglia: Le colpe dei giornalisti nella guerra mondiale prossima...

15 aprile 2017 - Mario Albanesi: IL MISTERO DELLE TORRI

Alberto Sordi, perforante e dirompente insieme

Finche' c'e' guerra c'e' speranza Guerra e ricchezza B1jG3KovEbw mpeg4

Gli Stati Uniti pretendono che sia loro diritto assassinare chiunque e dovunque.

Le guerre, le stragi, le armi, gli esseri umani

14.04.2017 - Peppe Sini

(Foto di Presssenza archivos)

I governanti statunitensi che nel corso della storia dopo aver sterminato i nativi del loro paese hanno disseminato di dittatori il mondo ed hanno allevato ogni sorta di organizzazione terrorista continuano a commettere eccidi – dalla Siria all’Afghanistan in questi ultimi giorni – pretendendo sia loro diritto assassinare chiunque e dovunque.

I governi europei – e tra essi quello italiano – applaudono, fingendo di ignorare che il terrorismo che colpisce il nostro stesso continente è diretta filiazione di quella politica di guerra e di stragi, e fingendo di ignorare che avallando ciecamente i crimini commessi da uno stato avallano parimenti i crimini commessi da ogni altro dissolvendo così il diritto internazionale e facendo regredire la civiltà umana alla legge della giungla. Così come diretta conseguenza di quella politica di guerra e di stragi è la disperata fuga di milioni e milioni di esseri umani dalle loro case distrutte e dai loro paesi devastati, fuga nel corso della quale altre inaudite violenze quelle vittime innocenti subiscono, sovente trovando infine la morte nel Mediterraneo, che presto sarà colmo di cadaveri e potrà essere attraversato camminando. Ed esito anche di quella politica di guerra e di stragi è il disastro ambientale globale cui l’internazionale degli schiavisti di tutto il mondo, le dittature locali e i poteri imperiali (non solo quello americano, è evidente) contribuiscono in larga misura, a scapito dell’umanità intera.

Ed i mass-media del nostro paese – e di molti altri ancora, suppongo – magnificano la potenza onnicida delle armi americane, in queste ore inneggiando ebbri alla più distruttiva bomba convenzionale ieri per la prima volta usata per commettere un massacro; naturalmente omettendo di segnalare che quelle armi, tutte le armi, sempre e solo uccidono degli esseri umani. C’è un nome per questo: barbarie.

E la barbarie della guerra e di tutte le uccisioni è la stessa barbarie del razzismo e di tutte le persecuzioni, è la stessa barbarie del maschilismo che è prima radice e primo paradigma di tutte le violenze. Non si può adeguatamente contrastare una di queste barbarie senza contrastare tutte le altre. Non si può difendere adeguatamente l’umanità e la biosfera senza opporsi alla guerra, al razzismo, al maschilismo. Chi giustifica una strage le giustifica tutte. Chi produce e commercia le armi, chi addestra ad usarle e ne promuove ed organizza l’uso, ha già dato il suo sostegno a chi uccide.

La guerra è nemica dell’umanità, sempre e solo consistendo dell’uccisione di esseri umani.

E le armi, tutte le armi, sono nemiche dell’umanità, solo a questo servendo: ad uccidere gli esseri umani.

Solo la pace salva le vite.

Solo il disarmo salva le vite.

Cessi la guerra, cessino le stragi.

Nessuno più obbedisca all’ordine di uccidere.

Nessuno più voti per chi uccide, per chi lascia uccidere, per chi le uccisioni avalla.

Cessi ovunque il governo degli assassini e dei complici loro.

Solo la nonviolenza può salvare l’umanità dalla catastrofe.

Ogni vittima ha il volto di Abele.

Il “Centro di ricerca per la pace e i diritti umani” di Viterbo

Uganda - c'è sempre il petrolio che muove appetiti ed interessi














Operazioni

Uganda: la Cina blocca il monopolio francese sul petrolio

La CNOCC ha bloccato la transazione finanziaria Total-Tullow, e ha proposto alla prima di dividere a metà la quota
di FULVIO BELTRAMI 14 aprile 2017 15:30


Riserve petrolifere stimate a 6,5 milioni di barili rappresentano un potenziale estrattivo vicino a quelli registrati nei Paesi della Penisola Arabica, secondo un alto funzionario del Dipartimento Americano dell’Energia Sally Kornfeld. Se a questo si aggiunge la possibilità di convogliare verso la raffineria di Hoima parte sostanziale delle estrazioni di greggio provenienti dai vicini Congo e Sud Sudan, il mercato petrolifero ugandese diventa uno tra i mercato più attraenti e convenienti in Africa. Al momento attuale tre le multinazionali che si contendono il mercato: la Tullow (Gran Bretagna), Total (Francia)e CNOOC (Cina).

Un mercato difficile in quanto il governo ha escluso ogni possibilità di applicare l’economia coloniale come in Nigeria: esportazione di greggio e importazione di carburante e derivati. Secondo quanto stabilito dal Petroleum Exploration and Development Bill 2012 il petrolio è considerato importanza strategica nazionale per i piani di trasformazione del Paese da attuale potenza miliare a potenza economica. Il 60% del petrolio estratto dovrà servire all’economia ugandese e regionale. Solo il 40% è possibile esportarlo in Paesi extra africani. A questo si devono aggiungere le normative di tutela ambientale che stanno per essere perfezionate. Un costo necessario per evitare il degrado dell’ambiente e gravi conseguenze sulla salute dei cittadini che rappresenta per le multinazionali petrolifero un costo aggiuntivo spesso non gradito.

Che il petrolio sia una priorità nazionale lo dimostra la decisione presa nel 2015 dal Presidente Yoweri Kaguta Museveni di presentarsi all’ennesimo mandato presidenziale in mancanza di alternative politiche. Per l’occasione Museveni barattò la discussa legge anti gay (che prevedeva la pena di morte) con l’appoggio politico all’interno del suo partito (National Revoltionary Mouvment – NRM) per sostenere la candidatura. Fu un baratto astuto che permise a Museveni di accedere al quinto mandato e di gestire ora la delicata fase di avvio della produzione petrolifera. Come di consuetudine del ‘Vecchio’ le giuste critiche della comunità internazionale furono messe a tacere grazie all’incarico ad un sconosciuto giudice della Corte Costituzionale di decretare la legge anti costituzionale e di abrogala. All’epoca Museveni spiegò al suo partito che non poteva opporsi alla Costituzione…

Le multinazionali occidentali Tullow e Total hanno tentato nel 2015 di opporsi alla politica nazionalista riguardante il mercato petrolifero ugandese, minacciando un ritiro degli investimenti. Il braccio di ferro fu vinto dal governo ugandese che ricordò agli investitori che la legge del 2012 (clausola nove) concede al Ministro del Petrolio l’autorità di revocare le licenze considerate contro l’interesse nazionale. Museveni minacciò anche di ricorrere ad altri finanziatori internazionali, citando Brasile, Russia e Iran. Dinnanzi alla chiara determinazione nella difesa delle politiche nazionalistiche petrolifere, le due multinazionali occidentali accettarono (mal volentieri) le regole del gioco.

La Tullow ha successivamente intrapreso accordi sotto banco con la TOTAL al fine di vendere la maggioranza delle sue licenze esplorative ed estrattive, con l’obiettivo di sganciarsi dal mercato ugandese per dedicarsi ai mercati petroliferi dei vicini Congo e Kenya. L’accordo, tenuto segreto per mesi, fu comunicato alle autorità ugandesi e alla opinione pubblica lo scorso gennaio. La Tullow si impegnava a trasferire alla Total il 27,57% della sua quota (33,33%) al prezzo di 900 milioni di dollari. La colossale transizione finanziaria, oltre a garantire una uscita soft della Tullow (che mantiene comunque un non impegnativo 5,76% del mercato ugandese) era tesa ad assicurare alla Total la maggioranza assoluta del mercato nazionale. Acquisendo le quote Tullow la multinazionale francese raggiungerebbe il 55% mentre la CNOOC detiene attualmente il 30.33% del mercato petrolifero ugandese.

Con tempestività fulminea la multinazionale cinese ha rivendicato presso il governo di Kampala il diritto di veto sulla transizione Tullow-Total. Una richiesta motivata dal non creare una posizione predominante in un settore strategico nazionale da parte di una multinazionale appartenente occidentale che non ha abbandonato il concetto di economia coloniale. La richiesta è stata immediatamente accettata dal governo ugandese in quanto coerente con gli interessi strategici nazionali.

La CNOCC, dopo aver bloccato la transazione finanziaria con la Tullow, ha proposto alla Total di dividere a metà la quota della multinazionale britannica al fine di giungere entrambi ad una situazione di parità nelle quote di mercato (44,11% ciascuno). Il governo di Kampala ha fatto comprendere alla Total che appoggiava la proposta fatta. Intensi sono stati in queste ultime settimane i contatti diplomatici tra Uganda, Francia e Cina per risolvere la problematica.

«I media nazionali affermano che la CNOOC ha messo il veto alla compravendita delle quote di mercato Tullow-Total. Si tratta di una informazione non esatta. La CNOOC ha esercitato il diritto di acquisire parte delle quote per non creare una situazione di monopolio, agendo in primo luogo, nell’interesse dell’Uganda. Ora le parti interessate hanno aperto le trattative per concretizzare la proposta fatta ed accettata da Tullow e Total» afferma il direttore CNOOC Uganda Zakalia Lubega. «La CNOOC ha fatto ricorso al diritto di acquisire il 50% delle quote Tullow alle stesse condizioni di prezzo e termini contrattuali che la Total ha siglato con la Tullow», conferma il direttore Total Uganda Ahlem Friga-Noy.

Corea del Nord un paese non allineato che gli Stati Uniti lo vogliono al loro guinzaglio


Corea del Nord: siamo pronti a rispondere agli Usa col nucleare

In corso la grande parata a Pyongyang, sfilano anche missili intercontinentali

FOTO
© ANSA/EPA

Redazione ANSAPYONGYANG
15 aprile 201716:05NEWS

"Risponderemo a una guerra totale con una guerra totale, e a una guerra nucleare con il nostro stile di un attacco nucleare": Choe Ryong-hae, secondo alcuni analisti il secondo più potente ufficiale della Corea del Nord, ha detto che il Paese è pronto ad affrontare qualsiasi minaccia posta dagli Stati Uniti. 

Parlando in occasione della grande parata militare in corso a Pyongyang per festeggiare il 105mo anniversario della nascita del padre della patria Kim Il-sung, Choe ha criticato il nuovo governo degli Usa sotto il presidente Donald Trump per "la creazione di una situazione di guerra" nella penisola coreana con l'invio di mezzi militari strategici nella regione. Presente alla parata anche Kim Jong-un, che però non ha parlato prima che la tv di Stato nordcoreana interrompesse le trasmissioni in diretta dalla piazza. Kim, leader 30enne salito al potere alla fine del 2011, ha sempre enfatizzato come le armi nucleari siano il fondamento della sua strategia di difesa nazionale.

La Corea del Nord ha avviato la grande parata a Pyongyang per celebrare il 105/mo compleanno del suo padre fondatore Kim Il-sung e la leadership del dittatore di terza generazione Kim Jong-un. La televisione di Stato ha mostrato migliaia di soldati in marcia su piazza Kim Il-sung e prototipi di missili intercontinentali KN-08 e KN-14 trasportati su camion in sfilata. Alla parata assiste da un podio anche il leader Kim Jong-un. Secondo gli analisti militari tali missili potrebbero un giorno essere in grado di colpire bersagli fino agli Stati Uniti continentali, anche se la Corea del Nord non li ha ancora testati. I soldati nordcoreani hanno portato in parata anche un altro grande razzo mai visto prima, delle dimensioni di uno a lunga gittata. Nel corteo sfilano poi carri armati, lanciarazzi multipli, pezzi d'artiglieria e un missile a combustibile solido progettato per essere sparato da sottomarini. Presente anche il potente missile a medio raggio 'Musudan', che potenzialmente potrebbe raggiungere le basi aeree statunitensi a Guam. La tv di Stato ha mostrato il leader Kim Jong-un, in abito nero e camicia bianca, uscire da una limousine nera e salutare la sua guardia d'onore prima di avviarsi lungo un tappeto rosso verso il podio da cui assiste alla parata insieme ai funzionari governativi di alto livello.



Nagasaki&Hiroschima, gli Stati Uniti è l'unico paese che ha bombardato con atomiche due città piene di civili, un crimine contro l'umanità

CONFLITTO MONDIALE?
La Cina: "Guerra in qualsiasi momento: non ci saranno vincitori". Sospesi i voli tra Pechino e Corea del Nord

14 Aprile 2017


Da lunedì prossimo non ci saranno più voli tra Pechino e Pyongyang. L'ultima decisione della compagnia Air China è solo uno dei segnali di altissima tensione tra la Cina e le due Coree, dopo l'annuncio di nuovi test nucleari da parte di Kim Jong Un. Il clima è ormai incandescente dopo le minacce della Nordcorea e dopo lo sgancio della bomba Moab da parte degli Usa, che hanno colpito giovedì in Afghanistan. Un avvertimento non solo all'Isis, ma a tutti gli altri fronti aperti da Donald Trump, da quello siriano all'ultimo in Asia. 

Al confine tra la Corea del Nord e quella del Sud la tensione è a livelli record, tanto che lo stesso ministro degli Esteri cinese, Wang Yi, ha tagliato corto parlando di "un'atmosfera potenzialmente pericolosa" e di un conflitto che "potrebbe scoppiare in qualsiasi momento". Secondo Wang Yi una guerra su quel fronte "non avrebbe vincitori", portando a un'autodistruzione reciproca dalle conseguenze imprevedibili su altri scenari mondiali.

Dalle previsioni catastrofiche, il ministro cinese è sostanzialmente passato alle minacce, solo implicitamente rivolte a Trump che negli ultimi giorni ha aumentato la pressione su Kim Jong-un: "Chi provocherà una guerra in Corea - ha detto il ministro di Pechino - dovrà assumersi una responsabilità storica e pagarne il prezzo. Il vincitore - ha aggiunto - non sarà colui che mantiene le posizioni più dure o che mostra di più i muscoli. Se una guerra avrà luogo, il risultato sarà una situazione nella quale nessuno uscirà vincitore".

Da Pechino credono ancora nel dialogo per risolvere la crisi diplomatica in corso. Da Pyongyang non sembrano però pensarla allo stesso modo, visto che attraverso l'agenzia di regime Kcna, un portavoce di Kim Jong Un ha definito il bombardamento americano in Siria "un atto d'aggressione insolente e barbaro". E le parole di Kim Jong-un stesso non hanno aiutato di sicuro ad abbassare i toni: "Se gli Usa vogliono, andremo alla guerra". Un destino che sembra quasi inevitabile sul trentottesimo parallelo.

Lo showdown potrebbe avvenire già nelle prossime ore. Sabato, infatti, il regime nordcoreano potrebbe eseguire un ultimo test con armi nucleari per festeggiare il 105° anniversario della nascita di Kim Il-Sung. Se il test venisse effettuato, riferiscono fonti di intelligence, gli Stati Uniti potrebbero davvero passare all'attacco. E le conseguenze, con la Cina, sono ancora tutte da comprendere.

Gli Stati Uniti vogliono provocare una guerra nucleare inutile e senza motivo

PIANO D’EVACUAZIONE DEL GIAPPONE
Usa-Nord Corea: tensione nucleare. Cina: conflitto in qualsiasi momento

14 aprile 2017

Il lancio del missile balistico e il leader nordcoreano Kim Jong Un

In pochi giorni gli Stati Uniti e la Nord Corea sono arrivati a scambi di accuse che alzano il livello della tensione fra due Paesi dotati di armi atomiche. Donald Trump che twitta «La Nord Corea cerca guai», il governo nordcoreano che risponde: «Siamo pronti a qualsiasi guerra», è stato il prologo.

In questi anni ci siamo abituati ai deliri di Kim Jong Un, ma adesso fa una certa impressione che il destinatario sia l’unica superpotenza rimasta, per giunta guidata da Donald Trump. Che segue gli sviluppi della situazione dalla sua magione di Mar-a-Lago, fa sapere la Casa Bianca.


Le forze armate nordcoreane hanno annunciato di essere pronte a prendere «le più dure» contromisure contro gli Stati Uniti se continueranno con le provocazioni. «Le nostre controazioni più dure contro gli Usa e i loro vassalli saranno prese senza alcuna pietà, tali da non permettere all'aggressore di sopravvivere» afferma un portavoce del Comando generale di Pyongyang in una dichiarazione rilanciata dall'agenzia ufficiale Kcna.

La Cina avverte: «La guerra potrebbe scoppiare in ogni momento». Lo dice il ministro degli Esteri cinese Wang Yi, scrive la Bbc online. «Si ha la sensazione che un conflitto potrebbe scoppiare da un momento all'altro - ha detto il ministro -. Penso che tutte le parti interessate dovrebbero mantenere alta la vigilanza per quanto riguarda questa situazione». In un'eventuale guerra tra
Corea del Nord e Stati Uniti, aggiunge, «non ci possono essere vincitori».
E promette il sostegno della Cina a qualsiasi tentativo di dialogo tra le
parti. «Invitiamo tutte le parti a smettere di provocare e minacciarsi a vicenda e a non permettere che la situazione diventi irreparabile e fuori controllo» aggiunge Wang in una conferenza stampa con il collega francese Jean-Marc Ayrault.


Piano d’emergenza del Giappone 
Il governo giapponese sta mettendo a punto un piano per gestire un'eventuale crisi nella penisola coreana, mentre aumenta la pressione degli Stati Uniti sul governo di Pyongyang. Lo hanno reso noto fonti dell'esecutivo di Tokyo, spiegando che esiste un piano per evacuare i cittadini giapponesi residenti a Seul e misure per impedire che soldati nord coreani arrivino in Giappone camuffati da rifugiati in cerca di asilo. Il governo nipponico giudica vitale l'aggiornamento del sistema di coordinamento per le emergenze, concepito nel 1996 durante la revisione del piano di difesa tra Giappone e Stati Uniti. Per poter evacuare i circa 60.000 cittadini con passaporto giapponese che si trovano in Corea del Sud, inclusi i turisti, Tokyo avrà bisogno dell'aiuto dei militari Usa di stanza in Corea o dovrà spedire navi delle Forze di autodifesa con l'assenso di Seul.

Il Cremlino «preoccupato» 
Mosca è «molto preoccupata» per le crescenti tensioni nella penisola coreana e invita tutti i paesi ad astenersi da qualsiasi atto provocatorio. Così il portavoce del Cremlino Dmitri Peskov. «È con grande preoccupazione che stiamo guardando l'escalation delle tensioni nella penisola coreana: invitiamo tutti i paesi a dar prova di moderazione e ammoniamo contro qualsiasi azione che potrebbe portare a misure provocatorie», riporta la Tass.

4 novembre 2015 la svolta in cui la Fratellanza Musulmana Turca ha vinto la battaglia e ora si accinge a vincere la guerra per avere uno stato islamico che applica la sharia. La Turchia da cerniera diventa protagonista assoluta, la prossima guerra sarà quella di impadronirsi dell'Europa tutta

Il referendum che cambierà il futuro di Erdoğan e della Turchia

Carta di Laura Canali
14/04/2017

Il voto del 16 aprile sulla riforma costituzionale definirà la traiettoria geopolitica della Repubblica turca e del suo presidente. Che non è così sicuro di vincere e teme un nuovo complotto dopo il golpe del 15 luglio.

“Il mio principale obiettivo è il presidenzialismo”.

Recep Tayyip Erdoğan ha sempre avuto le idee chiare sulla forma di governo da adottare in Turchia. Fin da quando, da semplice segretario del neonato Ak Parti, andava a Washington a ricevere l’investitura di “co-presidente” del Grande Medio Oriente da George W. Bush.

Per questo il referendum del 16 aprile – il cui esito è più che mai incerto – non sarà solo un voto sullo slittamento dall’attuale parlamentarismo al sistema presidenziale “alla turca”. Sarà un referendum sulla leadership di Erdoğan, sulla sua idea di Grande Turchia, sul ruolo che egli intende giocare nello scacchiere eurasiatico.

Il voto avrà un impatto profondissimo sulla fisionomia futura della Repubblica fondata da Mustafa Kemal Atatürk. I principali attori interni sono impegnati in un frenetico e delicatissimo gioco di posizionamento. Il 16 aprile sarà uno spartiacque per tutti, non solo per Erdoğan.

Il presidente ha scelto di combattere la battaglia politica più importante al fianco del segretario dell’Mhp Devlet Bahçeli. Per certi versi, una scelta obbligata: l’Mhp era infatti l’unico partito al qual…

Stati Uniti e Giordania si preparano ad annettersi una parte della Siria

Manlio Dinucci - Da Camp Darby armi Usa per la guerra in Siria e Yemen


di Manlio Dinucci - il manifesto, 14 aprile 2017 

Si chiama «Liberty Passion» (Passione per la Libertà). È una modernissima, enorme nave statunitense di tipo Ro/Ro (progettata per trasportare veicoli e carichi su ruote): lunga 200 metri, ha 12 ponti con una superficie totale di oltre 50000 m2, sufficienti al trasporto di un carico equivalente a 6500 automobili. 

La nave, appartenente alla compagnia statunitense «Liberty Global Logistics», ha fatto il suo primo scalo il 24 marzo nel porto di Livorno. Prende così via ufficialmente un collegamento regolare tra Livorno e i porti di Aqaba in Giordania e Gedda in Arabia Saudita, effettuato mensilmente dalla «Liberty Passion» e dalle sue consorelle «Liberty Pride» (Orgoglio di Libertà) e «Liberty Promise» (Promessa di Libertà). L’apertura di tale servizio è stata celebrata come «una festa per il porto di Livorno».

Nessuno dice, però, perché la compagnia statunitense abbia scelto proprio lo scalo toscano. Lo spiega un comunicato dell’Amministrazione marittima Usa (4 marzo 2017): la «Liberty Passion» e le altre due navi, che effettuano il collegamento Livorno-Aqaba-Gedda, fanno parte del «Programma di sicurezza marittima» che, attraverso una partnership tra pubblico e privato, «fornisce al Dipartimento della difesa una potente, mobile flotta di proprietà privata, con bandiera ed equipaggio statunitensi». Le tre navi hanno ciascuna «la capacità di trasportare centinaia di veicoli da combattimento e da sppoggio, tra cui carrarmati, veicoli per il trasporto truppe, elicotteri ed equipaggiamenti per le unità militari».

È dunque chiaro perché, per il collegamento con i due porti mediorientali, la compagnia statunitense abbia scelto il porto di Livorno. Esso è collegato a Camp Darby, la limitrofa base logistica dello U.S. Army, che rifornisce le forze terrestri e aeree Usa nell’area mediterranea, mediorientale, africana e oltre. E’ l’unico sito dell’esercito Usa in cui il materiale preposizionato (carrarmati, ecc.) è collocato insieme alle munizioni: nei suoi 125 bunker vi è l’intero equipaggiamento di due battaglioni corazzati e due di fanteria meccanizzata. Vi sono stoccate anche enormi quantità di bombe e missili per aerei, insieme ai «kit di montaggio» per costruire rapidamente aeroporti in zone di guerra. Questi e altri materiali bellici possono essere rapidamente inviati in zona di operazione attraverso il porto di Livorno, collegato alla base dal Canale dei Navicelli recentemente allargato, e attraverso l’aeroporto militare di Pisa. Da qui sono partite le bombe usate nelle guerre contro l’Iraq, la Jugoslavia e la Libia.

Nel suo viaggio inaugurale – riportano documentate fonti (AsiaNews e altre) – la «Liberty Passion» ha trasportato 250 veicoli militari da Livorno al porto giordano di Aqaba dove, attraversato il Canale di Suez, è arrivata il 7 aprile. Due giorni prima, a Washington, il presidente Trump riceveva re Abdullah, per la seconda volta da febbraio, ribadendo l’appoggio statunitense alla Giordania di fronte alla minaccia terroristica proveniente dalla Siria. Mentre proprio in Giordania sono stati addestrati per anni – da istruttori statunitensi, britannici e francesi – militanti dell’«Esercito libero siriano» per attacchi terroristici in Siria. 

Vari rapporti indicano crescenti movimenti di truppe Usa, dotate di carrarmati e veicoli corazzati, al confine giordano-siriano. L’obiettivo sarebbe quello di impadronirsi, usando anche truppe giordane, della fascia meridionale del territorio siriano, dove operano forze speciali statunitensi e britanniche a sostegno dell’«Esercito libero siriano» che si scontra con l’Isis. Già in febbraio il presidente Trump aveva discusso con re Abdullah «la possibilità di stabilire zone sicure in Siria». In altre parole, la possibilità di balcanizzare la Siria vista l’impossibilità di controllare l’intero suo territorio, in seguito all’intervento russo. 

A questa e altre operazioni belliche, tra cui la guerra saudita che fa strage di civili nello Yemen, servono le armi Usa che partono da Livorno. Città dove, su invito del sindaco Nogarin (Movimento 5 Stelle), verrà probabilmente in visita Papa Francesco, che ieri ha di nuovo denunciato «i trafficanti di armi che guadagnano con il sangue degli uomini e delle donne». Mentre a Livorno si festeggia il fatto che il porto toscano sia stato scelto come scalo della «Liberty Global Logistics», con grandi prospettive di sviluppo. Finché c’è guerra, c’è speranza.

La Spoliazione della Repubblica democratica del Congo



Aree protette e biodiversità | Diritto e normativa | Energia | Geopolitica

L’infinita guerra mondiale del Congo: la verità svelata (VIDEO – attenzione immagini molto dure)

Repubblica democratica del Congo: il silenzio mediatico su 6 milioni di morti

[14 aprile 2017]


Un genicidio è in corso, più di 6 milioni di persone (la metà delle quali bambini di meno di 5 anni!) sono stati massacrati nell’indifferenza generale e con l’appoggio degli Stati Uniti e dell’Europa! Centinaia di migliaia di donne e di ragazze sono state violentate e mutilate dagli eserciti di occupazione. E tutto questo per una ragione principale: impadronirsi delle ricchezze minerarie eccezionali nascoste nel sottosuolo del Paese…

Conosciamo il metodo, si amplificano certe notizie e se ne dissimula altre altrettanto orribili. Si parla molto della crisi dei migranti e del medio Oriente, con la lotta contro il terrorismo (?), lotta abbastanza inquietante con l’entrata in campo della Russia, chiesta da al Assad, che non farà distinzioni, prendendo di mira (tutti?) gli avversari del presidente siriano. Nel frattempo, si è occultato volontariamente quel che succede in Congo [Repubblica democratica del Congo – Rdc, ndt], però, le anima buone che si commuovono, pronte a piangere per la sorte dei poveri migranti, dovrebbero lasciare qualche lacrima per un genocidio in corso, del quale non si parla nei vostri media preferiti, che sembrano fare delle lamentazioni selettive.

Un genocidio del quale sono stati complici i nostri leader e la comunità internazionale

Nel cuore dell’Africa, il Congo è un Paese ricco, pieno di materie prime (diamanti, oro, stagno, gas, petrolio, uranio, coltan…), di foreste, di acqua, di donne e di uomini, di una moltitudine di tribù riunite in una nazione disegnata dai colonizzatori e non risponde storicamente a granché. Dopo il genocidio del Rwanda, i Paesi confinanti hanno approfittato molto della confusione politica e istituzionale in Congo (limitrofo al Rwanda) per attaccare da tutte le parti questo gigantesco Paese pieno di tesori

E in tutto questo cosa hanno fatto gli occidentali? La colpevolezza dei leader americani ed europei per il genocidio del Rwanda li ha spinti a condurre una politica pro-Rwanda, lasciando che i ribelli rwandesi passassero sul lato congolese, liberi di fare quel che volevano, aiutati dagli alleati ugandesi e del Burundi…

Ma soprattutto, le numerose ricchezze  naturali della Rdc sono vitali per le economie occidentali, in particolare per le industrie automobilistica, aeronautica, spaziale, per l’alta tecnologia e l’elettronica, la gioielleria… Soprattutto il coltan (di cui il Congo detiene almeno il 60% delle risorse mondiali) è essenziale nella fabbricazione dei componenti elettronici che ritroviamo nelle TV, nei computer, negli smartphone, ma anche in alcune armi come i missili! La Rdc subisce anche delle massicce deforestazioni. I principali importatori? Usa, Europa, Cina. Non c’è da stupirsi.

Ma, dato che l’intrusione guerresca sembra interna all’Africa, nessuno può accusare gli Usa e le altre potenze occidentali di approfittarsi delle risorse e delle ricchezze del Congo intervenendo direttamente. No, è ancora più pratico lasciare che i popoli si sbranino fra loro. Parallelamente, gli Usa sostengono I dittatori che si succedono in Congo e le milizie rwandesi e ugandesi. Auguri.

Povertà estrema e condizioni di vita abiette, stupri incessanti (e un tasso di AIDS che raggiunge il 20% della popolazione nelle Province dell’Est), spostamenti di popolazioni, oltraggi, epidemie…: è in atto una strategia di disumanizzazione per rendere le vittime impotenti, una situazione terribile per la quale non ci sono parole abbastanza dure.

I leader occidentali sono così assetati di ricchezze al punto di lasciar perpetrare un nuovo genocidi? Sì, al punto di lasciar perpetrare e anche di coprire un nuovo genocidio. Con le armi, gli addestramenti militari delle nostre élites. Una cosa: quel che succede in Congo, dagli affaires politici ed economici al genocidio, non è determinate solo dai congolesi, ma anche dalle potenze carnivore, avide di ricchezza e senza nessuna considerazione per i popoli.

La situazione in Congo sarà risolta dai congolesi stessi. Ma la comunità internazionale deve istantaneamente smettere di sostenere rwandesi, ugandesi e tutte le milizie che perpetuano questo stato di Guerra insopportabile che permette loro di mettere le mani sulle ricchezze di un Paese senza doverne rendere conto a nessuno.

6 milioni di morti. Dei quali la metà bambini piccoli. Il cosiddetto mondo “libero” – noi – deve imperativamente guardare in faccia quel che la sua “libertà” lascia fare. Perché così tanta violenza e così poco rumore da parte dei media?

Non è interessante per gli europei? Non è abbastanza sensazionale, questo massacro che si conta in milioni di persone? E’ troppo lontano da “casa nostra”?, applicano ancora una volta questa odiosa “legge di prossimità”? Perché nessuna reazione, nessun impatto nell’immaginario collettivo, né indignazione, né collera, né emozione?

Il nostro dovere come cittadini del mondo è quindi quello di far passare il messaggio. He il mondo sappia. Prima che il mondo si muova. Ci sono dei colpevoli in Europa come ce ne sono in Africa. Il silenzio dei potenti uccide quanto il rumore delle mitragliette. Mettiamo tutti gli assassini di fronte alle loro responsabilità.

di Séraphin – Fréquence Lumière

Titolo originale: “Le Conflit au Congo : La Vérité Dévoilée”


Videogallery
Le Conflit au Congo: La Vérité Dévoilée - Crisis In The Congo: Uncovering The Truth


Guerra - un fatto è certo gli Stati Uniti hanno lanciato 59 missili in Siria mentre la situazione si andava lentamente stabilizzando, un potentissimo missile in Afghanistan a titolo dimostrativo, e lanciato le sue navi contro la Corea del Nord, questi avvenimenti hanno accelerato le contraddizioni che potrebbero essere superate solo dalla GUERRA TOTALE. Il tutto preceduto dal coro belante del Circo Mediatico che ha preparato il terreno per alzare il livello di tensione e di paura

Foa insiste, "confermo la notizia, ho due fonti entrambe verificate per due volte. La situazione in Siria è fuori controllo"

Il giornalista, avvicinato al termine di una conferenza, ribadisce il suo scoop. "Cosa succede ora? O l'allerta viene revocata, oppure i riservisti vengono reclutati se la crisi internazionale peggiora"
ESTERO


LUGANO – Ieri sera, Marcello Foa è stato protagonista di una conferenza all’USI assieme a Bruno Giussani, per parlare di tecnologia, social e futuro del giornalismo. Qualche giorno fa, il suo scoop sui 150mila riservisti americani a cui sarebbe arrivata una pre convocazione ha fatto molto parlare. Lanciata come uno scoop, non ha trovato seguito, e in molti si sono interrogati sulla sua veridicità, arrivando anche a parlare di bufala.

Al termine della serata, abbiamo chiesto direttamente a Foa che cosa pensa dell’eco che la sua notizia, rimasta di fatto isolata, ha suscitato.

Cosa ci può dire riguardo il suo scoop?
“Confermo tutto. Da buon giornalista ho le mie fonti, che mi hanno confermato la cosa. Si tratta di due fonti, verificate due volte, dunque sono uscito con la notizia. Essa non è stata smentita. E c’è un punto molto importante: mi dicono che devo svelare le mie fonti, il giornalista fa gli scoop perché le protegge. Il diritto alla libertà di stampa è quella di proteggere le proprie fonti. I regimi che non lo fanno sono le dittature. Le faccio un esempio: il Watergate. Non ci sarebbe stato se i giornalisti avessero svelato le loro fonti. La trasmissione Report ha appena mandato in onda delle notizie molto pesanti su Renzi, grazia a un testimone anonimi. O ti fidi del giornalista e della testata, oppure no. Il giornalista, che ha l’esperienza di vita deve essere creduto. La polemica che è scaturita mi è parsa dunque pretestuosa”.

Si aspettava di essere contestato in questo modo?
“Ho avuto una notizia domenica sera. Sono un giornalista, per cui l’ho pubblicata”.

Secondo le sue fonti, qual è la situazione ora?
“I militari hanno ricevuto una cartolina di premobilitazione, per questo non c’è un annuncio ufficiale. La mobilitazione viene fatta quando c’è in corso una crisi internazionale e dunque possono servire forze militari in più. Gli scenari possibili ora sono due. L’allerta può venire revocata, e quindi non succede niente, oppure i riservisti vengono reclutati perché c’è una crisi maggiore. Siamo a questo punto, ora”.

Cosa si attende adesso Marcello Foa?
“Quel che spero di cuore è che l’allerta venga revocata. Comunque sono molto preoccupato per la situazione internazionale”
.
Verso chi crede che gli americani vorranno indirizzarsi? Contro la Siria, oppure addirittura la Russia o la Corea?
“Non saprei dirlo. Quel che vedo con preoccupazione è che la situazione in Siria è fuori controllo e che c’è una parte dell’establishment americano che sembra intenzionato a usare la forza. Il Consigliere della Forza nazionale lo ha dichiarato, dicendo che possono fare di più, parlando di opzioni sul tavolo di Trump. Loro i piani li hanno e sembra vogliano usarli. Mi auguro davvero di cuore che non lo facciano! Questa situazione può durare qualche giorno, qualche settimana o qualche mese, non ne ho idea. Ma la notizia che 150mila riservisti sono stati preallertati è confermata da più fonti, io di più non so che dire”.

Paola Bernasconi
Pubblicato il 14.04.2017 12:21

Le Consorterie Guerrafondaie Statunitensi ed Ebraiche veloci verso la distruzione della Terra

Per Giulietto Chiesa: "Trump a un passo dall'atomica. E' la fine delle Nazioni Unite"

14 aprile 2017 ore 14:11, Andrea Barcariol

Secondo i media americani, gli Stati Uniti starebbero preparando un raid contro la Corea del Nord. Il ministero degli Esteri ha risposto: "Se vogliono, noi siamo pronti alla guerra". Come se non bastasse, ieri gli Usa hanno sganciato in Afghanistan la più potente bomba non nucleare, in funzione anti-Isis, mentre oggi c'è stato un raid della Turchia contro il Pkk in nord Iraq. Venti di guerra spirano in tutto il mondo. Di questo Intelligonews ha parlato con il giornalista Giulietto Chiesa, esperto di scenari geopolitici.


Ieri gli Stati Uniti hanno lanciato "la madre di tutte le bombe" in Afghanistan contro l'Isis. Un messaggio indiretto contro la Corea del Nord o contro Assad?

"Il messaggio temo sia a tutto il mondo, siamo alla bomba più vicina all'arma atomica. Questo dice che siamo a un passo dall'atomica. E' anche l'annuncio del prossimo attacco alla Corea del Nord, questo è chiarissimo, temo che siamo alla vigilia di un bombardamento. E' un cambio di paradigma, "American First" va interpretata come una dichiarazione di guerra contro il resto del mondo. Significa noi siamo i più forti e imporremo il nostro punto di vista a tutti. E' la fine delle Nazioni Unite, le conseguenti saranno devastanti se si continua in questa direzione".

Il ministro degli Esteri coreano ha replicato: "Se Usa vogliono, noi siamo pronti alla guerra".

"Questo è evidente, non c'è via di uscita, se non c'è negoziato e decidono tutto loro è ovvio che troveranno interlocutori che rispondono: noi ci difenderemo".

La politica estera di Trump sta indebolendo o rafforzando l'Isis?

"Sul terreno Assad è stato l'unico baluardo all'Isis, dobbiamo riconoscerlo, se non ci fosse stato lui il cosiddetto Califfato avrebbe sconfitto anche l'Iraq sconvolgendo totalmente il Medio Oriente. Bombardare Assad significa aprire la strada alla ripresa della guerra e destabilizzare tutta l'area. E' quindi una evidente contraddizione. Il problema fondamentale è che Trump ha perduto la battaglia interna: lui è andato al potere dicendo che avrebbe cambiato linea politica estera mentre sta facendo quello che avrebbe fatto la Clinton. Gli Stati Uniti sono i Servizi Segreti, il Pentagono, la Cia, sono loro che dettano l'agenda al presidente. Lui, non avendo la forza necessaria, non fa altro che eseguire i loro ordini. In questo modo sta distruggendo tutta la comunità internazionale".

L'incontro a Mosca tra Putin e Tillerson, segretario di Stato Usa, può essere il segno della ripresa della trattativa?

"Putin ha detto che sono pronti a farla finita subito, a patto che gli Usa tolgano il piede dall'acceleratore. L'incontro con Tillerson è stato desolante e il sottosegretario americano molto contraddittorio perché sono solo preoccupati di imporre la loro volontà. Dopo quattro ore Putin è uscito dicendo che le relazioni sono peggiorate".

Oggi c'è stato un raid turco contro il Pkk in Iraq. Che segnale è?

"La Turchia è un nostro alleato, abbiamo dentro la Nato forze che stanno costruendo la guerra e noi stiamo a guardare. Queste stesse forze vogliono portare l'Ucraina nella Nato, quindi noi avremo la guerra contro la Russia direttamente nella Nato. L'articolo 5 ci costringerà a entrare in guerra quando i pazzi della Nato avranno deciso di farla, purtroppo siamo degli ostaggi e ci faremo trascinare per i capelli".

Afghanistan - Trump bombarda i tunnel costruiti dalla Cia

ESTERI

Bomba sull'Afghanistan, Edward Snowden afferma: "Tunnel dell'Isis costruiti dalla CIA"

I tunnel erano stati fabbricati nel 1980 in funzione antisovietica, a seguito dell'invasione dell'Afghanistan da parte dell'Armata Rossa

14/04/2017 13:32 CEST | Aggiornato 17 ore fa
RedazioneL'Huffington Post

Dopo il bombardamento mirato sulla base missilistica siriana, gli Stati Uniti di Trump hanno dato un'altra prova di forza al mondo sganciando la MOAB - la bomba non atomica più potente di sempre - nella zona afghana di Nangarhar, col l'intento di colpire "tunnel e grotte usate dai miliziani dell'Isis". Ma a poche ore dall'attacco, l'attivista Edward Snowden ha pubblicato un documento in cui svela un importante retroscena della vicenda: quei tunnel sono stati finanziati degli stessi cittadini americani, perché costruiti in Afghanistan negli anni Ottanta dalla CIA.




The bomb dropped today in the middle of nowhere, Afghanistan, cost $314,000,000. http://articles.latimes.com/2011/nov/16/business/la-fi-bunker-buster-bomb-20111117 … (credit @thenib) pic.twitter.com/aj0Om5RhAV




.@thenib Those mujahedeen tunnel networks we're bombing in Afghanistan? We paid for them. #Blowbackhttp://www.nytimes.com/2005/09/11/magazine/lost-at-tora-bora.html … (via @GabiElenaDohm) pic.twitter.com/VDVsUYahiG



"È una rete di tunnel dei mujahiddin quella che abbiamo bombardato in Afghanistan? Noi abbiamo pagato per quella rete": è questo il commento, apparso sul profilo Twitter dell'informatico, a corredo di un estratto da un'inchiesta pubblicata sul New York Times nel 2005, dove si evince che la rete di cunicoli distrutta a Nargarhar è stata voluta e costruita nel 1980 dagli Usa stessi, tramite la loro agenzia di spionaggio. I tunnel a stelle e strisce, del resto, non sono stati successivamente conquistati dai jihadisti, bensì fabbricati proprio per essere utilizzati dai mujaheddin.

Nel 1980, infatti, la Casa Bianca sosteneva il movimento armato dei combattenti afghani in funzione antisovietica: nel '79 l'Armata Rossa aveva invaso il Paese e gli Stati Uniti si erano schierati con gli afghani, in una guerra conclusasi solo 10 anni dopo.





The bomb dropped today in the middle of nowhere, Afghanistan, cost $314,000,000. http://articles.latimes.com/2011/nov/16/business/la-fi-bunker-buster-bomb-20111117 … (credit @thenib)


Nel 2011, invece, il governo a stelle e strisce ha acquistato 20 ordigni come quello sganciato ieri - definito, non a caso, "la madre di tutte le bombe" - al prezzo di 315 milioni di dollari. Edward Snowden ha ricordato anche questo fatto citando un articolo del Los Angeles Times di quell'anno.

venerdì 14 aprile 2017

Eugenio Orso - Le Consorterie Guerrafondaie Statunitensi ed Ebraiche hanno in pugno Trump

Trump si rimangia tutto, ostaggio dell’élite di Eugenio Orso

Pubblicato il 13 aprile 2017

Un paese occupato da poteri esterni global-finanziari come l’Italia, ormai inerte sulla scena internazionale, per poter aver una prospettiva di liberazione e di riconquista della sovranità deve solo sperare in importanti accadimenti geopolitici esterni, che favoriscano la sua liberazione.

L’approccio isolazionista che ha avuto Donald Trump nella lunga campagna elettorale per le presidenziali Usa, lo scorso anno, ha lasciato ben sperare gli europei degni di questo nome. “America first” è stato il suo motto, dal significato fin troppo esplicito. Non solo l’avversione nei confronti del Nafta, del TTIP e del TPP, in termini di trattati globalisti per il commercio, ma anche e soprattutto il riconoscimento della necessità di superamento della NATO, giudicata obsoleta e troppo costosa, nonché l’espressa volontà di migliorare le relazioni con la Russia, prima di giungere a un passo dalla guerra. Questi due aspetti, ben presenti nella kermesse elettorale di Donald Trump, erano sicuramente quelli cruciali per i veri europei, impazienti di liberarsi delle catene della globalizzazione, del neoliberismo, della Ue e dell’euro.

Per questo i media del vecchio continente, obbedienti come sempre alla Voce del Padrone elitista, gridavano “al lupo, al lupo” davanti a Trump, e i disgustosi burocrati unionisti europei, assieme ai governanti degli stati asserviti, si preoccupavano per la sorte dell’alleanza (in primo luogo militare) fra le due sponde dell’Atlantico, senza la quale costoro schiatterebbero tutti in breve tempo.

La NATO è il punto focale della sottomissione del vecchio continente – fatta eccezione, naturalmente, per la Santa Russia – al potere globalista, neoliberista e guerrafondaio. Tolta di mezzo quella che io definisco la più grande organizzazione criminale armata al mondo, a disposizione delle Aristocrazie del denaro e della finanza, i sistemi di sfruttamento dei popoli europei, chiamati Ue e euro, non potrebbero resistere a lungo e, alla fine, sarebbero destinati al collasso.

All’inizio è parso che l’amministrazione Trump lasciasse campo libero ai russi in Siria, mantenendo però un po’ di presa sull’Iraq. Dopo il recente attacco missilistico americano alla Siria, però, non solo si sono dissolte tutte le speranze dei patrioti e sovranisti in Europa, ma Trump è parso applicare al mondo quello che sarebbe stato il “programma” della psicotica guerrafondaia Hillary Clinton, pupilla delle élite nordamericane e … saudite. Andando ben oltre Obama, The Donald, con un voltafaccia degno dei peggiori mentitori e imbroglioni, ci è apparso come l’ennesimo pericolo per il mondo intero, intenzionato a cercare l’innesco di un conflitto inestinguibile, in Siria come in Corea del Nord.

Ciò che conta è che il rischio di guerra con la Russia permane immutato, grazie a un Trump ostaggio delle onnipotenti élite finanziarie, e la liberazione dell’Europa (e dell’Italia) diventa soltanto un debole miraggio. Sul fronte siriano, Assad è un animale e Putin sostiene il diavolo, come ha affermato lo stesso Trump, mentre Putin denuncia pubblicamente che vi saranno altri “attacchi chimici”, organizzati dalle bande jihadiste per provocare bombardamenti Usa a sud di Damasco. Sul fronte nordcoreano, la minaccia di guerra (con esiti nucleari?) contro Kim Jong-un è evidente nella presenza della portaerei nucleare Carl Vinson e nelle bellicose dichiarazioni del presidente USA. C’è da aspettarsi sorprese anche sul fronte del Donbass ucraino, dove i mercenari euronazisti di Kiev scalpitano, in attesa di riprendere il conflitto.

Quello che è certo è che Trump è ostaggio delle stesse élite che hanno manovrato la presidenza Obama. Forse c’è qualcosa di decisivo che non sappiamo. Ad esempio, che a Trump i veri governanti degli Usa abbiano dato l’alternativa fra un prossimo impeachment, se costui avesse velleitariamente insistito nel voler realizzare integralmente il suo programma politico (su NATO, Russia e lotta al terrorismo, passi per l’avversione al Tpp global-mercatista …), e la permanenza alla presidenza in cambio della continuazione della geopolitica della prepotenza, della destabilizzazione e del caos, tanto cara ai criminali globalisti e ai fanatici neocon. Trump ha scelto mostrando il suo vero spessore, che non è quello di uno statista, ma di un burattino, come lo sarebbe stata la Clinton. Improvvisamente la NATO non è più obsoleta, per sua stessa ammissione fuor di ogni logica e coerenza, ma sarà ancora uno strumento di morte e di oppressione, castrando ogni speranza di liberazione in Europa.

Ciò comporta, per noi patrioti e sovranisti in Europa, delle conseguenze negative evidenti:
L’unica speranza che ci resta è la resistenza della Federazione Russa e della sua piccola coalizione di stati liberi, fin tanto che riuscirà a tenere.
La NATO continuerà ad opprimerci e a rappresentare, con gli Usa, il primo rischio di guerra, nella quale saremo automaticamente coinvolti.
La persistenza della NATO e il peggioramento delle relazioni con la Russia, complice la folle russofobia indotta dai media in occidente., contribuiranno a mantenere in vita più a lungo la costruzione elistista dell’unione europide e dell’eurolager.
I collaborazionisti del Pentagono e della troika, al governo nei paesi europei, non correranno rischi nel breve e continueranno a godere del sostegno e della protezione dei loro padroni sopranazionali, il che vorrà dire la continuazione della macelleria sociale e il progredire dell’impoverimento di massa, nonché i devastanti effetti della politica “dell’accoglienza” indiscriminata dei migranti.

Con il senno di poi possiamo affermare che anche se fosse diventata presidente la temutissima Clinton, al posto del deludente Donald Trump, per noi non sarebbe cambiato granché, perché saremmo sempre nella merda come lo siamo ora.

13 aprile 2017 - Giulietto Chiesa: La crisi delle relazioni internazionali inizia e finis...

Con le atomiche non esiste terza guerra mondiale ma solo la distruzione della Terra

ESTERI
TERZA GUERRA MONDIALE/ Sapelli: è colpa dell'Ue, ecco perché

Giulio Sapelli
venerdì 14 aprile 2017

L’elemento che caratterizza il sistema internazionale è quello dell’instabilità. Un’instabilità che si genera, prima che dal rapporto esistente tra gli stati, dagli stati medesimi ché tutti sono scossi da una peristaltica decostruzione dei loro sistemi istituzionali o dall’incompiuta realizzazione istituzionale.

Volete degli esempi? Per quanto riguarda il secondo aspetto, pensate alle Afriche, da nord a sud e da est a ovest. Quello che non si riesce a fare è lo state building, ossia l’autonomizzazione dello Stato dalla società civile. L’ordine burocratico legal-razionale non si invera e il clanismo e il tribalismo la fanno da padrone. Il Congo e la Nigeria sono due esempi preclari: meccanismi di successione al potere non si realizzano e non certo per la mancanza di processi democratico-elettorali, ma per la neutralizzazione di essi da parte di una dirompente e antropologicamente devastata e devastante società civile. Non è un caso che gli unici plessi territoriali che potremmo chiamare nazioni dove questo si realizza sono o la cristallizzazione di processi millenari, come l’Egitto militarizzato erede dell’impero dei Faraoni, o la nascente democrazia tunisina costruita sul lascito cartaginese, o ancora la monarchia marocchina, sacrale e discendente diretta del Profeta, come è quella hascemita che sopravvisse alla cacciata dalla Mecca per opera dei sauditi-wahabiti, e al suo trapianto per mano inglese in terra giordana. E poi c’è l’uso della violenza, agghiacciante e cristallizzantesi in istituzioni, come l’apartheid sudafricano, che ora è sfociato carismaticamente in democrazia.

Ma tutto è instabile, l’Organizzazione dell’unità africana è solo una camera di compensazione e le ferite della divisione africana tra Occidente e Unione Sovietica sono ancora tutte lì, con lo sfacelo somalo ed eritreo e il crollo di un impero secolare come quello etiopico. E ora anche gli Stati del Golfo persico cominciano a dividersi e a mettere in discussione il dominio saudita. Il fallito tentativo di abbattere l’Iran teocratico per mano irachena è fallito. E quel fallimento non poteva che elevare a potenza minacciosa lo stesso Iran, sconvolgendo il sistema di alleanze dei sauditi e creando quella divisione mesopotamica della mezzaluna sciita che da Teheran giunge a Damasco e minaccia Beirut.

I danni della mancata spartizione del mondo tra Russia e Usa dopo la caduta dell’Urss, emerge come non mai, appunto, in Nord Africa e in Medio Oriente. Il Medio Oriente, o meglio, la Mesopotamia, è il punto archetipale che tiene insieme l’Heartland e il Mediterraneo, e non a caso nel Mediterraneo e nell’Oceano indiano e nel Mar Cinese del sud si scaricano tutte le contraddizioni dell’instabilità odierna. Il Mediterraneo non è più un’ansa dell’Atlantico, ma la quintessenza e l’emblema di un vuoto politico: i migranti che dall’Africa e dalla Mesopotamia risalgono dal Mediterraneo e dagli stati balcanici l’Europa del Sud per dirigersi verso quella centrale e nordica. Ma qui trovano l’altro, clamoroso processo di deistituzionalizzazione. Ovvero la crescente frammentazione e disgregazione delle istituzioni di secondo grado, ossia sovranazionali, dell’Unione europea.

Qui si consuma il fallimento più grande della seconda metà del Novecento. È fallito il tentativo di tenere insieme il plesso di nazioni da cui tutto nasce nel mondo, ossia il mito illuministico-massonico che la teocrazia laica funzionalista potesse essere in grado non solo e non tanto di creare diritto e moneta, ma anche sistemi di senso e di legittimazione sottraendo per sempre l’Europa alla democrazia rappresentativa: Rousseau e Montesquieu dovevano morire. Ed è questa morte che crea lo squilibrio internazionale che promana dall’Europa, perché il culmine del processo di istituzionalizzazione risiede da sempre nella creazione delle burocrazie militari. Come è noto, esse continuano la politica con altri mezzi, ed è per questo che l’Europa non riesce a crearle, perché ha ucciso la politica.

Di qui il vuoto internazionale provocato dall’Europa con conseguenze che possono essere devastanti. Le uniche due potenze nucleari europee, la Gran Bretagna e la Francia, perseguono disegni strategici di lungo periodo stand-alone, ovvero vogliono fare da sole. Il Regno Unito con la Brexit e il ritorno agli anni Cinquanta-Sessanta, quando si rifiutò di entrare nel Mec. Ora il piano è quello dell’anglosfera, del grande disegno di un governo della potenza militare ed economica rifondata sulle terre del Commonwealth e della strategia ottocentesca del “sistema economico americano” che Henry Clay propugnò, suscitando l’ammirazione di Lincoln e fondando le basi del nazionalismo economico americano, su cui Andrew Spannaus ha scritto recentemente.

Quello che era, in primis, un disegno anti-inglese, perché la nascente Repubblica americana non voleva finire come finì l’India con il dominio britannico, diviene ora un modello internazionale di neo-industrialismo e di neo-protezionismo selettivo che altro non farebbe che dare forma istituzionale a ciò che accade nel commercio mondiale da circa trent’anni, con la fine dei trattati multilaterali e il crollo delle compagnie della logistica mondiale. Ma se il Regno Unito tende a una nuova prospettiva mondiale, la Francia tende a una profonda intensificazione del suo ruolo di grande potenza in Africa. Dal Nord Africa al Centro Africa subsahariano a Gibuti, non solo le merci e i sevizi, ma le armi francesi sono al lavoro per la realizzazione di un disegno imperiale.

Il tutto non fa che esacerbare l’attrito, tutto wagneriano, tra il delirio economico da superpotenza e l’inanità militare della grande potenza culturale tedesca. Essa ha realizzato un’egemonia ideologica con l’ordiliberalismus, ha realizzato un’egemonia economica nel commercio mondiale con il suo surplus, ma è colpita dalla sindrome dell’impotenza perché la sua orrenda storia le proibisce di trasformare tutto ciò in potenza militare. La prima conseguenza di ciò è la castrazione della Nato, che doveva realizzare l’alleanza transatlantica tra Usa ed Europa e che è oggi il primo punto d’attrito tra una grande potenza alla ricerca di una nuova identità (gli Usa) e un’Europa che non ne ha mai posseduta una. Il volto europeo non può che far proiettare in primo piano sull’arena mondiale tanto la Russia quanto gli Usa.

È il vuoto europeo che crea l’inevitabile duopolio Usa-Russia, è una forza centrifuga inevitabile provocata dall’assenza di questo specifico dell’Europa, che non è né unita, né armata. Ma essere attratti dal vuoto piuttosto che dalla convivenza vissuta come autocoscienza è il fulcro stesso dell’instabilità. Ciò che succede in Siria e in Ucraina altro non è che la conseguenza di essere stati un tempo incapaci di disegnare una nuova Yalta, dopo la caduta del Muro di Berlino. Più consapevoli di ciò sono da un lato i burocrati imperial-militari Usa, che oggi controllano Trump senza potergli impedire di compiere gesti che il presidente non controlla sino in fondo, e ciò evita guai incommensurabili. Si veda lo one shot in Siria: più una rappresentazione a uso interno che un attacco ai siriani e ai russi. Si veda l’Ucraina, dove Minsk continua a rimanere un sogno e la Russia continua a tenersi ben stretta la base di Sebastopoli. Si veda la Svezia, nazione che ritorna alla leva militare, l’esercito di popolo che chiama alle armi contro il nemico secolare, come se fossimo tornati ai tempi della prima Russia zarista.

In tutto questo tormentoso orizzonte è sorta da circa dieci anni, come Atlantide, la Cina completamente trasformata di Xi Jinping, che non si regge più sulla regola di Deng di non ammazzarsi più a vicenda tra burocrati del capitalismo monopolistico di stato asiatico, ma - oltre che sull’accettazione pragmatica di massa degli strati intermedi e popolari della nazione - sul terrorismo dispiegato camuffato da lotta alla corruzione e sul ritorno alla politica maoista del potere che sta sulla punta della canna del fucile. La Cina ha messo fuori squadra tutte le teorie e le pratiche del dominio mondiale. Con il suo mostruoso peso demografico ha illuso tutti che avrebbe dominato la terra minacciando l’India e la Siberia russa, in realtà inverando le teorie del nordamericano generale Mannhon per il quale il potere mondiale o è marittimo o non è. Non ci si illuda sulla Via della Seta: basta una cannonata russa per distruggere un treno. Non è per quella via che la Cina vuole dominare il mondo. Il mondo lo si domina dal mare, quel mare che sono le perle della "collana" che sale da Shangai a Ceylon a Gibuti su su per il canale di Suez al Pireo, oppure dalle Filippine e Sumatra fino a Peerth in Australia.

Tutto il sistema di potere del Pacific Realm è stato messo in discussione a partire dalla solidità stolida e rassicurante della Corea del Sud e del Giappone. In questa luce la follia atomica della Corea del Nord altro non è che un gioco di specchi per farci dimenticare il pericolo della collana di perle ed estenuare le piccole e grandi potenze mondiali in un negoziato e in un contenimento sfinente come fu, è e sarà quello con l’Iran. Gli Usa di Trump sono collocati al centro di questo burrascoso Oceano ed è naturale che abbiano come primo riferimento la Russia. Ma mentre gli Usa non hanno un pensiero strategico, ma solo pulsioni contenute dalla burocrazia militare imperiale, la Russia il pensiero strategico ce l'ha. È quello di Primakov, il geniale primo ministro e ministro degli Esteri prima di Eltsin e poi di Putin, alla morte del quale Lavrov è salito su un ponte di comando di una grande potenza che dalla guerra di Crimea in poi ha avuto chiaro il suo fine strategico. È una storia che inizia in quella metà del secondo Ottocento che ancora oggi fonda l’equilibrio di potenza mondiale.

Dopo la guerra di Crimea, la Russia ha infatti imparato che può essere solo ciò a cui la destina la sua spiritualità e la sua cultura, ossia una potenza eurasiatica, ma solo se domina l’Heartland, ossia affonda le sue radici tanto nei mari caldi del Mediterraneo, quanto in quelli turbinosi del Pacifico. Un disegno strategico e potente, perfetto, entusiasmante, quanto debole e gracile dopo il crollo del Comecon, il corpo economico dell’impero russo che quella strategia dovrebbe inverare. Un altro fattore di instabilità e di fibrillazione mondiale permanente.