L'albero della storia è sempre verde

L'albero della storia è sempre verde

"Teniamo ben ferma la comprensione del fatto che, di regola, le classi dominanti vincono sempre perché sempre in possesso della comprensione della totalità concettuale della riproduzione sociale, e le classi dominate perdono sempre per la loro stupidità strategica, dovuta all’impossibilità materiale di accedere a questa comprensione intellettuale. Nella storia universale comparata non vi sono assolutamente eccezioni. La prima e l’unica eccezione è il 1917 russo. Per questo, sul piano storico-mondiale, Lenin è molto più grande di Marx. Marx è soltanto il coronamento del grande pensiero idealistico ed umanistico tedesco, ed il fondatore del metodo della comprensione della storia attraverso i modi di produzione. Ma Lenin è molto di più. Lenin è il primo esempio storico in assoluto in cui le classi dominate, sia pure purtroppo soltanto per pochi decenni, hanno potuto vincere contro le classi dominanti. Bisogna dunque studiare con attenzione sia le ragioni della vittoria che le ragioni della sconfitta. Ma esse stanno in un solo complesso di problemi, la natura del partito comunista ed il suo rovesciamento posteriore classistico, individualistico e soprattutto anti- comunitario" Costanzo Preve da "Il modo di produzione comunitario. Il problema del comunismo rimesso sui piedi"

sabato 29 aprile 2017

7 maggio 2017 - Marine le Pen Presidente della Repubblica, il Globalismo Capitalistico non vuole

FRANCIA

29/04/2017 10:57
Cristina Di Giorgi
La corsa di Marine Le Pen

La candidata del Fn continua a conquistare terreno: ottiene l'endorsement della pasionaria dei Republicains Marie France Garaud e lancia un appello 'ai ribelli' di Melenchon


“E’ troppo presto per fare previsioni, ma la partita è aperta. Per quanto favorito, Macron può ancora perdere”, ha scritto Marcello Foa in un articolo pubblicato nel blog de Il Giornale in cui, all'indomani del primo turno delle presidenziali, ha descritto la situazione politica transalpina con particolare riferimento alla “rabbia sociale tutt'altro che sotto controllo e sempre più interclassista, che riguarda le fasce più umili della popolazione ma anche una classe media erosa nel suo benessere e nella sua identità”. E sarà proprio la capacità dei due contendenti di intercettare e dare risposte adeguate e concrete a questa rabbia il fattore decisivo che, al ballottaggio, farà vincere l'uno o l'altro dei due contendenti.

Al momento Macron, che sondaggisti, opinionisti, editorialisti ed europeisti danno già per vincitore (il leader di En Marche! farebbe forse bene a fare qualche debito scongiuro: chiedere conferma per la necessità degli stessi a Hillary Clinton), non sembra più così brillante come l'establishment che lo sostiene – quello stesso che lui dichiara di non rappresentare – tenta di dipingerlo. Le sue ultime uscite, proprio per quanto riguarda il malessere della gente, lo vedono infatti inseguitore di una Le Pen che invece sta riuscendo ad accreditarsi come leader di spessore anche e soprattutto tra le fasce più popolari dell'elettorato. A riprova di tale affermazione, la contestazione, nei giorni scorsi, al leader di En Marche! da parte degli operai della Whirpool di Amiens (in protesta contro il rischio delocalizzazione). Accolta invece a braccia aperte Marine, che a conferma del ruolo di “candidata del popolo” che per tutta la campagna elettorale ha inteso ritagliarsi, è anche recentemente salita – per restare nell'ambito della difesa dei lavoratori – a bordo di un peschereccio a Grau-du-Roi, nel Mediterraneo francese.

La risposta di Macron, che ha cercato in questo modo di tentare un recupero, è stata recarsi, giovedì, nella banlieue parigina di Sarcelles, dove si è intrattenuto con i ragazzi di un club sportivo. Rispondendo alle domande dei quali l'aspirante inquilino dell'Eliseo non si è lasciato sfuggire l'occasione di lanciare una stoccata alla sua avversaria: “Il programma per l'inserimento dei giovani di banlieue è una delle tante differenze con Marine Le Pen. Lei qui non viene, perché dice solo che quelli come voi se ne devono andare” ha detto Macron, giocandosi la (prevedibile) carta della presunta xenofobia ed estremismo della sua avversaria.

In attesa della contromossa di Marine, quanto alle alleanze politiche, a fronte della maggioranza degli esponenti dei partiti tradizionali – che, va ricordato, non è detto siano ancora in grado di influenzare ed orientare l'elettorato – schierati con Macron in un variegatissimo e arlecchinesco fronte “anti destra” più che “pro Francia”, la leader del Fn ha registrato ieri l'endorsement di Marie France Garaud, storica pasionaria dell'ala più conservatrice del partito gollista. Che in aperta contestazione con le indicazioni di Fillon ha deciso appunto di schierarsi con Marine Le Pen, dichiarando in un'intervista che la candidata della destra è “la sola in grado di ristabilire la sovranità della Francia”.

La Le Pen, inoltre, ha in queste ore lanciato un “appello ai ribelli” per fare “barrage” (sbarramento) a Macron. L'invito, rivolto all'elettorato di sinistra che al primo turno ha scelto il partito di Melenchon (un bacino di voti pari a circa il 19%), punta soprattutto sulla condivisione di posizioni euroscettiche. Ed è stato evidentemente proposto attraverso una scelta anche terminologica non casuale, dato che il termine usato - “barrage” - è lo stesso che viene utilizzato in funzione anti-Fn. Nulla è dunque lasciato al caso in una cavalcata che potrebbe anche concludersi in maniera diversa da come tutti si aspettano.

Qualunque sia l'esito che uscirà dalle urne il 7 maggio, resta comunque il fatto che il Front National in questa campagna elettorale sta dimostrando di non essere più, come in passato, un corpo estraneo alla società e alla democrazia francese. E se anche Marine Le Pen non dovesse riuscire a conquistare l'Eliseo, il suo partito potrebbe senz'altro capitalizzare quanto ottenuto in questi mesi alle elezioni politiche di giugno. Nelle quali tra l'altro Macron e il suo “En Marche” (movimento nato da pochi mesi e dunque ancora privo di struttura e radicamento) correranno senza l'appoggio di tutti coloro che oggi sostengono il candidato “indipendente” in funzione anti Le Pen.

La Russia di Putin ha saputo emanciparsi attraverso una battaglia interna conquistando la sua identità, tradizione, cultura e ciò non è tollerato dal Globalismo Capitalistico che tutto asfalta ed uniforma per sottomettere ai suoi valori di mercificare tutto anche i sentimenti


Da Rothschild a Khodorkovsky: REN TV svela fondi neri USA per opposizione russa "liberal"

© Sputnik. Alexandr Demyanchuk
14:26 29.04.2017(aggiornato 15:18 29.04.2017) URL abbreviato

Alcuni gruppi d'opposizione extraparlamentare, tra cui "Open Russia" ("Russia Aperta"), ricevono finanziamenti dagli Stati Uniti aggirando le leggi locali russe, emerge dal documentario televisivo di REN TV "Fondi neri ai liberali" andato in onda il 28 aprile.

A disposizione dei giornalisti del media russo è finito un video in cui l'ex portavoce del Partito Democratico Nazionale Tatiana Kasimova racconta che i candidati alle amministrazioni comunali di "Open Russia" avrebbero ricevuto un compenso da 300 a 400 mila rubli (circa 5mila-6mila euro). Secondo lei, i candidati erano 300, quindi l'organizzazione avrebbe stanziato 120 milioni di rubli (2 milioni di euro circa).

Per sapere dove il movimento dichiarato "non desiderato" prendeva questa somma, REN TV ha condotto una propria inchiesta.

In primo luogo i giornalisti hanno scoperto che tra gli sponsor di "Open Russia" c'era Nathaniel Charles Jakob Rotschild, uno dei rappresentanti della famosa dinastia di banchieri. Inoltre è emerso che i rappresentanti dell'opposizione extraparlamentare regolarmente viaggiano per corsi di formazione all'estero, in particolare a Tallinn e l'ingresso a questi eventi è chiuso ai media.

I viaggi in Estonia, come affermato nel documentario, vengono pagati dalla Fondazione americana "National Democratic Institute for International Affairs", che opera in Russia con la qualifica di organizzazione "non desiderata".

Il canale televisivo è giunto alla conclusione che l'opposizione liberale russa riceve fondi da Washington, dove si trova l'Istituto di Russia Moderna riconducibile alla fondazione dell'ex oligarca Khodorkovsky. A sua volta questa organizzazione riceve fondi tramite società offshore.

Come osservato da REN TV, l'erogazione di fondi statunitensi attraverso le strutture di Khodorkovsky sono di gran lunga il modo più conveniente per aggirare la legge sulle organizzazioni stranieri che vige in Russia.

Il Movimento Identitario Italiano implementa le sue strategie

IASSP, Spring School d’Élite- Il Presidente Rizzi”Affermazione Individuale, Percorso Etico Sociale”

28 aprile 2017 

Una Visione Progettuale per la formazione delle nuove classi dirigenti , intervista al Presidente Rizzi

Si è conclusa brillantemente la Spring School targata IASSP – Istituto di Alti Studi Strategici e Politici per la Leadership, tenutasi dal 10 al 15 aprile a Gargnano del Garda presso il prestigioso Palazzo Feltrinelli, emblema di architettura della belle époque che si riflette sul lago d’argento, che ha visto susseguirsi incontri intensi e di importanza internazionale. Alla Scuola di Alta Formazione Politica, presieduta dal Professor Ivan Rizzi e coordinata dal Professor Davide Cadeddu che ha come proposito l’ambizioso progetto di costruire una nuova Classe Dirigente Politico – Amministrativa, hanno partecipato discenti dirigenti e imprenditoriali, laureati, neolaureati e laureandi – tutti ammessi previa un accurato colloquio di selezione – che hanno potuto assistere e interagire a lezioni tenute dalle più importanti personalità internazionali: da Lelio Gavazza, regional managing director di Bulgari a Olga Iarussi, CEO South Europe Triumph, dal filosofo saggista e Professore del San Raffaele Diego Fusaro al cinquecentista Gianclaudio Civale, dalla Soprintendente Archeologica della Città metropolitana di Milano Antonella Ranaldi al direttore del Vittoriale degli Italiani Giordano Bruno Guerri, da Sergio Vento, ambasciatore a Washington e Rappresentante Permanente presso le Nazioni Unite a Marco Giaconi, direttore del Centro militare di studi strategici, ; e poi Antonino De Francesco Direttore del Dipartimento di studi storici, Università degli Studi di Milano, Alberto Martinelli Professore Emerito dell’Università degli Studi di Milano, Irene Piazzoni Ricercatrice presso l’Università degli Studi di Milano, il giornalista Dario Fabbri, l’imprenditore Eugenio Preatoni, Marco Soresina Docente presso l’Università degli Studi di Milano, Marco Biasi giurista e docente presso l’Università degli Studi di Milano, Diego Palano Managing Director di Facile.it Insurance, Pierluigi Sgarabotto Managing Director Duravit , Andrea Gamberini dell’Università degli Studi di Milano, Damiano Palano dell’ Università Cattolica del Sacro Cuore, con laboratori coordinati dai dott. Lorenza Morello e Alessandro Monchietto. 
Giornate intense, al termine delle quali le cene divenivano simposi di discussioni appassionate e prolungate, sino alle notturne passeggiate sul lungo lago, facendo tesoro della giornata appena trascorsa e pensando già a quella altrettanto proficua e ventura.

La Redazione di Ticinolive ha intervistato il Presidente dello IASSP, il Professor Ivan Rizzi, riguardo la visione progettuale offerta dallo IASSP ai giovani talenti.

Come pensa che i giovani discenti possano inserirsi in un’ottica di cambiamento concreto e sociale? In che modo essi potrebbero ricostruire il futuro?

Docenti IASSP. Da sinistra Lorenza Morello, il Presidente Ivan Rizzi, il professor Davide Cadeddu, l’Ambasciatore Sergio Vento, il direttore del Centro Militare Marco Giaconi

Il Prof. Ivan Rizzi Presidente IASSP (secondo, da destra) alla presentazione progetto IASSP alla Camera dei Deputati

Si tratta di riconoscere se stessi nel processo eterno dell’identificazione. Occorre chiedersi: a quale categoria appartengo? A quella dei vincenti? Dei perdenti? Poi c’è la persecuzione di quel che si potrebbe o dovrebbe essere, ovvero l’intuizione in rapporto al mondo: cosa pensi di diventare in barba alla condizione reale? Anche in questo caso occorre ragionare per categorie. Se vivi in provincia devi ritagliarti un tuo spazio, se vivi in città, devi invece difenderti dalla condizione alienante. Identificazione, decifrazione categorica della propria condizione sociale, desideri e aspettative concretizzantisi con un impegno sociale o con l’associazione della società stessa. In che modo? L’unica strada è costruire una propria individualità che parta da questa contingenza per poi costruire attraverso persone punti di riferimento o compagni di strada. Un riscatto personale, un’affermazione individuale, infine, il rapporto con la società. Il percorso non dev’essere individuale ma sociale. Occorre fare in modo che la prospettiva singolare corrisponda alla società, che il processo s’inserisca nel progresso della società stessa. Se l’inquietudine governa le anime che trasformano le cose, la dimensione epica progettuale è data ad alcuni individui che intuiscono. Il superamento dei limiti è un processo non personale, quanto piuttosto sociale, quindi necessariamente politico. L’avventura non dev’essere isolata, bensì l’individuo deve agire in una prospettiva plurale e morale, deve riuscire a far coincidere l’individualità con la società. L’orizzonte può esser visto da un lato come cognizione del limite, dall’altro come uno sbocco. Occorre dunque uscire dall’individualismo per intraprendere una strada politica, verificare che l’inquietudine interiore sia accettabile da parte della società (la visione del bello dev’essere kantianamente condivisa e non individuale) e abbia, perciò, uno sbocco nella politica.

Da sinistra Ing. Tiziano Li Piani, dottorando IASSP, Marco Giaconi, docente IASSP, Marco Franco Segretario Generale IASSP, On. Angelo Tofalo, deputato M5S e componente COPASIR, alla presentazione alla camera dei Deputati progetto IASSP

Sarebbe possibile, oggi, costruire una nuova élite (e una nuova leadership politica) che coniughi cultura, consapevolezza e onestà? 
Una nuova élite è oggi fondamentale, si presenta come un passo decisivo per uscire dall’ideologia degli “abiti stretti” novecenteschi che hanno tradito i loro stessi ideali. Basti pensare alla sinistra, che da una visione di condivisione è passata oggi a quella di un’appartenenza di accettazione passiva e buonista, basti pensare all’accusa infamante più ricorrente al giorno d’oggi ovvero quella di “fascista”, mentre il fascismo non esiste, né ha più ragion d’essere. Un’accusa pertanto vuota va a creare una casta ideologica che stabilisce chi possa esprimersi e chi invece sia costretto al silenzio; una casta nella quale domina il Mainstream del “tu, fascista” contro al “noi, antifascisti”; una scorciatoia del pensiero, insomma, poiché non viene analizzata la violenza antisociale del ‘900, una formula, dunque, funzionale ad accusare chi la pensa diversamente da quel che si vorrebbe. Viene, infine, a crearsi non una dialettica del pensiero che verifichi le contingenze ma una via selettiva e ideologica. Un’idea antimorale.
Un’ élite deve avere contenuti e qualità. Quali? La speranza è quella del nuovo secolo, intuita da Monroe, delle élite morali, ovvero la nascita di un Umanesimo morale, tipologia distrattamente tralasciata dall’Umanesimo comunemente noto. Occorre, pertanto, fondare la “persona completa” previa un’uscita dall’ideologia, con fascino sociale in un orizzonte morale.
Un’ élite può costruire una struttura cognitiva di pensiero progettuale su basi etiche. L’etica non è una nozione della democrazia, oggi infatti al massimo si rinnova la democrazia, vuoto concetto ormai inesistente, quando bisognerebbe più che mai parlare di demopraxia, in una rilettura di una prassi, per l’appunto, della democrazia. Pareto parlava di una ricostruzione diffidando dalle masse, Le Bon dichiarò legittima la diffidenza nei confronti del popolo visto come invasivo. Oggi il pericolo è il contrario: quell’élite del passato non voleva un’organizzazione sociale dialettica, ma una priorità intellettuale che potesse giustificare ogni cosa. Noi, al contrario, vogliamo una priorità morale, ovvero la potenza di decifrare il proprio compito, cosa che pochi fanno, poiché ci si abitua a privilegi precostituiti.
E’ ancora possibile parlare oggi di valori, in una società minimalista dominata dal nichilismo?
Oggi vige il confronto è tra un’economia efficientista e un umanesimo innovativo. Heidegger nei suoi studi sull’umanesimo critica la presunzione dell’arroganza intellettuale e sostiene che essa debba esser tenuta a freno da una pietas morale per il mondo, una pietas terrena, una forma di rapporto del passato ormai irrecuperabile. Personalmente sto uscendo dalla Religio, proprio per seguire la pietas morale epica, perseguendo, appunto l’etica. L’etica trascendentale potrebbe oggi definirsi come il rapporto tra l’Etica terrestre (Spinoza) che deve fare i conti con il mistero dell’essere, con la nostra incompiutezza. Quest’ultima non è tanto il “terrorismo” Heideggeriano dell’”essere per la morte” quanto piuttosto un rapporto lucidamente consapevole col tempo, già in questa esistenza: la donazione con cui “tu” esisti, spiega come l’essere donati non sia come l’essere pensati, poiché la fattività, l’indignazione rendono spiegabile la tua presenza nel mondo. ma tu sei qualcosa che non si è fatto da sé; lo dice la Religio ma il discorso dev’essere umanistico ed etico. Il mistero dell’essere si esplica nei rapporti con gli altri. La luce oscura invisibile della consapevolezza del Mistero è come l’essere senza fondo, un pavimento mobile, e quest’assenza di solidità dell’essere mostra la sacralità dell’esistenza. Per questo l’etica dev’essere collettiva, poiché siamo noi gli indecifrabili. Il mistero è impenetrabile e deve accompagnare una riflessione morale.
Katekon di Bisanzio – Benjamin Constant, 1876, l’entrata di Maometto II a Costantinopoli

Nel Suo discorso conclusivo ha citato Herder, in relazione al cosiddetto “differenzialismo”. Occorre pertanto essere diversi, identitari, in una parola continuare ad essere se stessi, di contro al livellamento della globalizzazione? 
Kant, a differenza di Herder è superato: ulteriore prova di come vi sia un ideale di universalismo insuperabile (e accuse di ideologie scomparse come il fascismo, siano ancora reali). Una cosa è l’idea universale senza tempo, nella prospettiva dell’eterno, un’altra è che noi non viviamo nel tempo ma nel frattempo. Per quanto riguarda l’evento, bisogna lasciarsi attraversare da esso, cercando di far sì che non trovi terreno banale ma un proprio valore, che entri nella vita con il dramma. Dobbiamo pensare all’avvenire, dobbiamo pensare alla nostra vita come eventi che vengano da fuori (come fu per l’impero romano che volgeva al tramonto). Ciò che viene dall’esterno è imprevedibile in un tempo non vissuto. Il tempo porta l’impensabile.
Il differenzialismo è una tematica fondamentale per capire. L’ordine storicistico di definizione di sé. L’Islam, per esempio, è diverso e spostato nel tempo. È proprio questa la bellezza e il dramma dell’umanità, l’incontro tra popoli diversi, in tempi diversi. Dobbiamo fare tuttavia i conti con quest’afflizione, accettare queste grandi differenze.
Differenze che la globalizzazione mira tuttavia a livellare…
Il progetto (il piano A del mondo) è in mano all’élite finanziaria del mondo, che fa sì che il conveniente divenga necessario all’umanità. Macron, per esempio, è uscito da uno studio in vitro dei Rothschild veri e non veri, da un’ élite finanziaria. se una persona costruita in vitro ( e penso al film “Manciuria candidate”) ha anche una memoria costruita in vitro, significa che l’umanesimo che si nasconde dietro la democrazia è stato vinto. Il Mainstream politico distrugge ogni tipo di dialettica. Compito nostro è difendere la nostra dialettica. La civilizzazione si sedimenta in strati di idee, parole, convinzioni. Noi siamo quello che abbiamo vissuto. Siamo occidentali poiché abbiamo letto Omero, pate fondante del nostro ancestrale vissuto antropologico. Sapere la frase di Byron “ma perché tutto questo sangue, per essere cantato?” è sapere di noi. L’idea del katekon, della forza di Bisanzio che resiste, freme e si conserva, è un progetto di futuro. La nostra destinazione è la responsabilità di pensare, le cose che recuperiamo dal passato sono per noi la nostra dignità etica.
“L’uccisione del reale” di conto alla “vendetta dei fatti”. Quale esempi a proposito?
Le fake news, per esempio, contro i fatti reali. Abbiamo appena attraversato il 25 aprile e dimenticato l’8 settembre. Il 25 aprile di settandue anni fa tutta l’Italia fascista divenne antifascista, il 25 aprile di oggi festeggia la menzogna che infranse la nostra dimensione cognitiva. Dobbiamo affidarci a quello che i tedeschi hanno saputo fare meglio di noi: entrare nella memoria storica e guardare in faccia il dolore. La vendetta dei fatti è oggi un’Italia artificiosa, antifascista su una base di decenza morale.
Il 25 aprile è pertanto la festa della liberazione dei popoli vincitori. I 150mila partigiani con “Bella ciao” dimostrarono l’artificiosità dell’antifascismo italiano. ”Una mattina mi son svegliato.” E fino a ieri dov’eri? E i poveri ragazzi ignoranti, che la cantavano, erano il doppio dei partigiani, soggiogati, ora come all’ora da un’ élite dominante.
I fatti dimostrano che noi stessi stiamo tradendo la nostra dimensione storica nel proporci agli altri come italiani, occorre pertanto, in materia di fatti, fare i conti con l’ambiguità.
La resistenza è quella della mia cultura. Non dev’essere solo un katekon, come Bisanzio, che presto o tardi dovette cedere.
Discenti IASSP alla presenza dell’Ambasciatore Sergio Vento (primo a destra), Presidente Ivan Rizzi (al centro), Professor Davide Cadeddu (terzo da sinistra, seconda fila).

Intervista a cura di Chantal Fantuzzi

2017 crisi economica - negli Stati Uniti sono impazziti, investono in deliri che stanno alimentando il prossimo scoppio di un'altra bolla

OLTRE IL CAPITALISMO TERMINALE. INVESTIRE IN DELIRI.

La Tesla  ha recentemente superato, come valore di Borsa, la Ford:  i “mercati”   si contendono il  titolo, che va a ruba. I capitalisti privati fanno a gara, insomma, per dare capitali al fondatore di Tesla, il geniale Elon Musk; miliardi di dollari, anzi decine di miliardi di dollari. E come tutti sappiamo, i privati, spinti dal loro istinto infallibile, sono i migliori allocatori del capitale. Sanno a chi merita darlo.
Dunque giustamente Tesla supera oggi in Borsa il valore di Ford.  Anche Tesla, come Ford, fa auto: ma ne ha venduta l’anno scorso 76 mila, mentre la Ford, 6 milioni.
Vero è che le auto Tesla sono elettriche,  dunque molto chic, ecologiche, prestigiose da avere  a Sylicon Valley fra i nuovi miliardari creatori di start-up, e quindi costose: 101.300  dollari il modello più economico, mentre  Ford fa praticamente utilitarie.  Vi domanderete dunque: chissà quanti profitti ha fatto, in più rispetto a Ford, e quindi quanti lucri ha fruttato ai capitalisti privati!
Nel 2016, Tesla ha perso  più di un miliardo  di dollari. E  Ford, intanto, ha guadagnato 10 miliardi. Ma i “mercati”, infallibili nell’allocare i loro capitali, finanziano  – ossia valorizzano –  Tesla più di Ford.
Una Tesla.
E non solo: i mercati continuano ad offrire miliardi a Uber,   la multinazionale con sede a San Francisco.  Ciò che entusiasma  i capitalisti è ovvio: Uber non ha quasi personale, non ha strutture, si basa su una app, ossia su un piccolo software: insomma è l’incarnazione stessa dell’impresa  “snella e innovativa”, basata  esclusivamente “su un’idea nuova”, prototipo  della “New Economy”  immateriale, impalpabile e dunque  senza i fastidiosi “costi” che vengono dalla necessità – odiosamente tipica della Old Economy – di assumere operai, o magari di comprare i macchinari per la produzione di beni.  Uber è un’azienda di taxi che non ha dovuto comprare i taxi. Sono i piccoli borghesi  che si  sono comprati l’auto  e che (non potendosela permettere) sperano di pagarsi le rate  facendo i taxisti per Uber.
Chissà   quanti profitti  han tratto i capitalisti che profondo  miliardi su Uber,  direte voi.  Infatti: nel 2016, Uber ha generato un giro d’affari astronomico di 20 miliardi di dollari, e un margine operativo lordo di ben 6.5 miliardi – per poi esibire una perdita di 2,8 miliardi.
Un ingenuo può magari restare interdetto dal fatto che  Uber, che incamera una commissione del 30% sull’attività dei suoi guidatori-tassisti a  tempo perso, che si sono comprati da sé il mezzo di produzione  (e di profitto per Uber),   non abbia fatto che perdere a rotta di  collo da quando è nata nel 2010:  9  miliardi. In cosa spende tanto?
(Uber – progetta il taxi volante. Lo comprate voi e Uber vi trova il cliente)
Ma nella “conquista di nuovi mercati”! Il giro d’affari di Uber è raddoppiato nel 2016, dopo essere triplicato nel 2015: è questo che attrae i capitalisti privati. Continuano a finanziarla per  l’aumento prodigioso, inimmaginabile, del fatturato.
Senza guardare troppo che la Uber, in certi paesi, “sovvenziona pesantemente la sua attività  in certi paesi,  dove il prezzo pagati dai suoi clienti è inferiore alla somma versata ai suoi autisti”  – ohibò, ma sovvenzionare l’attività sottocosto non è un delitto per il liberismo? Se uno Stato del terzo mondo, per esempio fa’ pagare un prezzo politico, sottocosto,  il pane dei suoi cittadini, si levano proteste altissime: lasciate fare i prezzi al “mercato”! Al libero gioco della domanda e dell’offerta!  Via la mano pubblica dall’economia ! La mano pubblica spreca capitali!
Ma no, nel caso di Uber,   il sovvenzionare in certi paesi la attività, serve ad uno scopo benedetto dai mercati:  debellare la concorrenza, fare “volume”. Tutto il profitto sperato e futuro di Uber sta infatti nel  progetto di rimpiazzare totalmente e dappertutto i taxi, quindi nel diventare monopolista mondiale di questo tipo di mercato –perché allora la taglia colossale  permetterà di “fare i prezzi” e incamerare profitti stravaganti.
Il che spiega e giustifica, agli occhi dei mercati,   le grandi spese di promozione  nel mondo, e  le costose campagna di reclutamento di “taxisti”.  “Dal suo lancio Uber ha perduto oltre 8 miliardi, un livello incredibile  per una start-up. Ma la società può permetterselo: riesce continuamente a ottenere somme titaniche dagli investitori, nonostante sia già molto valorizzata (68 miliardi di dollari). Dispone dunque di 7 miliardi di dollari di tesoreria, senza  contare una facilità di credito di 2,8 miliardi. Può quindi continuare la sua costosa strategia”.
In più, tenetene conto, Uber sta investendo nelle auto a  guida intelligente senza guidatori: nuove idee su nuove idee, è questo che piace ai mercati.
Infatti i mercati premiano”le idee nuove”. Cacciano decine di miliardi in “idee”; hanno visto che Google e Facebook fano profitti enormi, e sono nate da un software, e temono di perdere la  prossima gallina delle uova d’oro dell’economia immateriale.  Finanziano “idee”, ed Elon Musk ne crea a getto continuo. E’ un vulcano di idee innovative. Mettiamo:  53 mila delle  sue auto elettriche Tesla  vendute hanno dovuto essere richiamate  per malfunzionamento? Niente paura, Musk ha fondato la prima  azienda spaziale privata, la SpaceX, con cui si propone  di “tagliare di un fattore 10 il costo dell’esplorazione spaziale con uomini a bordo”, e progetta di portarci su Marte “fra 10-20 anni” ad un prezzo abbordabile  – abbordabile per i miliardari di Sylicon Valley, Zuckerberg si sarà  già prenotato. Uno dei suoi primi missili che doveva mettere in orbita un costoso satellite israeliano è esploso? Niente paura, ecco un’altra idea. Strepitosa: Neuralink: “Un’interfaccia che collegherà direttamente il cervello al computer. Il nuovo uomo 2.0 connesso alla macchina potrà non solo comunicare con il computer direttamente con il cervello ma anche comunicare all’instante con qualsiasi altro uomo a sua volta connesso ad un computer, il tutto sempre e solo con il pensiero.  Sarà pronto tra quattro anni!”.
(Elon Musk vi porta su Marte: finanziatelo!)
E i capitalisti di ventura  buttano miliardi  di soldi in Neuralink, come già fanno in SpaceX e in Tesla. Su cosa investono, infondo? Su fuffa di truffatori, direte voi  provinciali   –  memori di come Totò riuscisse a  vendere la Fontana di Trevi e il Colosseo al turista americano.  Sbagliato: quella  era Old Economy. Adesso è la New Economy, i mercati premiano le “nuove idee”. I sogni. I deliri.

Naturalmente, il fatto che i “mercati” finanzino non solo così titanicamente, ma anche per tanti anni, multinazionali della fuffa e del delirio,  ed accettino per tanto tempo di incamerare perdite, non solo finirà male  –  quando scoppierà la bolla Uber  o la bolla TEsla   ricorderemo l’attuale depressione 2008-2016  come un tempo di prosperità – ma  ci  pone qualche domanda: come mai a loro, ai capitalisti di ventura, ai “mercati”, non importa? Come mai hanno tante  decine di miliardi da buttare? Sono i miliardi, anzi le migliaia di miliardi  emessi   dalle banche centrali, ragazzi. Non costano niente, ai capitalisti. Non li investono  in ditte “mature”  che  diano lavoro  e  salari. Li investono in promesse di profitti mirabolanti,   nella speranza del  colpo gobbo.

..e  magari sono investumenti giusti.

(Vi collega il cervello al computer. Investite!)
Un altro modo di vedere  mostrerebbe invece che  si tratta di investimenti giustissimi e azzeccati.  I miliardi dati a Tesla sono investiti, in fondo, nella “industria del lusso” L’auto elettrica da  100 mila dollari, infatti, è fatta apposta per invogliare  il famoso 1% straricco, che oggi è anche vegano, ecologista, e vuol guidare un’auto “pulita” a qualunque prezzo. Naturalmente senza  il minimo pensiero che l’auto Tesla non genera elettricità; ha batterie, e l’elettricità la generano le solite centrali a carbone, petrolio, gas,  insomma inquinanti come prima.  Ma il miliardario ha la coscienza pulita – e oltretutto,  quelli che hanno comprato la Prius ibrida (ecologisti vorrei-non-posso)  lo invidiano.
E’ un modo molto sofisticato di vendere fuffa, quello del lusso dei lussi destinato all’1 per cento. Bisogna intercettare i  suoi deliri specifici: una vacanza su Marte (cosa vuoi regalare a chi ha già tutto?),  Neuralink che collega cervello e computer,  l’auto che si guida da sé, Internet delle Cose, sensori dovunque, carta di credito sottopelle come chip,  l’immortalità fisica  grazie all’Intelligenza Artificiale.
Funzionerà? Ci assicurano che il mondo ineluttabilmente avviato verso  questa innovazione creativa; già i robot hanno sostituito i precari da McDonald’s, in certe aziende cinesi  operai licenziati sono già sostituiti da automi – non c’è  più bisogno di uomini. Niente salari, quindi  – pensiamoci – a chi venderà la Ford i suoi 6 milioni di auto prodotte?
Leggo che in Usa – dove  tutti comprano le auto a rate, sicché regolarmente hanno un’auto superiore a quella che permette il  loro  potere d’acquisto – adesso la  piccola borghesia, devastata dalla globalizzazione  e recessione,  esita a indebitarsi ulteriormente. E  l’industria dell’auto con i suoi uffici di credito,   offre prestiti anche di 7 anni su auto d’occasione;  dove insomma    il bene che fa da garanzia – ossia l’auto usata – raggiungerà il valore zero molto prima che il prestito sia rimborsato.  Ma alla finanza non importa, perché quel debito mica se lo tengono nei libri contabili le banche;  lo rifilano, impacchettato in migliaia di prestiti “garantiti” allo stesso modo, a fondi d’investimento, fondi-pensione, e simili.  Stanno di nuovo gonfiando la bolla del subprime, come quella   che  implose nel 2008.  Delirio.

La moneta deve essere dello Stato che deve essere controllato dalle persone

Il cantautore Giuseppe Povia

Cosa c’entra Povia con Nino Galloni ?

DI FABIO CONDITI
comedonchisciotte.org
Quando abbiamo deciso di organizzare a Modena il 29 aprile 2017 un evento mediatico-spettacolare per parlare di sovranità monetaria, mi sono imbattuto in questo breve video che documenta l’incontro sul palco tra Povia e Nino Galloni, e sono stato folgorato dall’idea di creare le condizioni perché ci fosse un seguito concreto a questo incontro.

La competenza e l’esperienza di Nino Galloni la conosciamo tutti e la sua frase “svegliamoci prima che sia troppo tardi” è per tutti una esortazione a scuoterci dal nostro torpore e finalmente muoverci per dare il nostro personale ed importante contributo al cambiamento dell’attuale sistema economico e monetario.
In uno dei suoi primi libri, circa 25 anni fa, Nino già parlava di “economia monetaria” dicendo : “L’economia monetaria vera e propria è il sistema limitato non dalle disponibilità di terreni, materie prime o mezzi monetari, ma dalla disponibilità delle risorse umane; vale a dire che esso può svilupparsi fino al limite dato dalla valorizzazione del lavoro“.
Una moneta non più legata all’oro, se utilizzata correttamente dalla classe politica, può creare sviluppo economico valorizzando le risorse umane e permettendo il raggiungimento del benessere di tutti i cittadini.
In realtà, stiamo assistendo all’esatto contrario : l’economia monetaria è diventata finanziaria, producendo un aumento esponenziale delle disuguaglianze, della povertà e della disoccupazione.
Questo perchè la sovranità monetaria è uno dei temi più controversi e contrastati che esistano al mondo, a causa degli enormi interessi che nasconde.
Hanno cercato in tutti i modi di eliminare questa potenzialità dalla discussione politica ed economica, in accordo con il famoso detto padronale : “Non far sapere al contadino quanto è buono il formaggio con le pere”.
Tanto per chiarire ai più sprovveduti, noi siamo i contadini, mentre lo Stato è il formaggio e la sovranità monetaria è rappresentata dalle pere.
Ci hanno martellato per anni e convinto che lo Stato che utilizzi la propria sovranità monetaria è male, e deve essere assolutamente evitata questa sventura.
Il motivo è semplice : c’è qualcun’altro che sta utilizzando “il formaggio con le pere”, cioè lo Stato e la sua sovranità monetaria, e non vuole che noi scopriamo quant’è buono per l’economia reale e per la nostra vita.
Purtroppo da tantissimi anni ripetono come un mantra lo stesso concetto su giornali, libri, radio e televisioni : lo Stato non deve assolutamente creare denaro, altrimenti aumenta l’inflazione, la corruzione e arrivano anche le cavallette di biblica memoria.
Questa idea si è ormai radicata nella mente di tutti gli italiani, per cui smontarla non è facile, ci stiamo provando da anni ed i risultati sono sempre sicuramente inferiori alle nostre aspettative ed ai nostri sforzi.
I motivi sono sostanzialmente due : le convinzioni errate e lo sconforto.
Prima di tutto le persone hanno la percezione che i soldi siano creati dalle istituzioni, qualcuno pensa sia lo Stato mentre altri immaginano sia la Banca Centrale Europea a farlo.
Poi gli fai vedere una tabella della Banca Centrale Europea, dove il denaro creato dallo Stato è lo 0,3% del totale e quello creato dalla BCE è il 3%, poi gli chiedi :
“Da dove viene il 97% percento che troviamo nei depositi delle banche ?”
A questo punto il panico, io che ormai ho fatto più di 100 incontri in tutta Italia, vi posso assicurare che lo spettacolo è vedere le facce delle persone quando gli mostri queste tabelle, un misto di incredulità e smarrimento, perché non sanno proprio da dove possa venire tutto quel denaro … letteralmente dal nulla, creato dalle banche attraverso i prestiti !
Ma tutto questo è niente rispetto a quando poi gli spiego che i soldi nei loro conti correnti bancari, sono di proprietà della banca.
A quel punto cadono nello sconforto.
E’ in quel momento che capisco il genio di Povia, perché ascoltando le sue canzoni anche lui affronta questioni tremende che getterebbero nello sconforto chiunque, ma lo fa con allegria e le persone assimilano quei concetti … divertendosi.
Pensate alla sua straordinaria canzone su “Chi comanda il mondo” :

Scoprire che c’è un sistema economico e finanziario che controlla il mondo e costringe tutti a subite politiche di austerity e sacrifici che non sarebbero necessari, getterebbe nello sconforto chiunque.
Ma se lo canta Povia, le persone, me compreso, lo accettano più facilmente. E soprattutto fa venire la voglia di ribellarsi.
Questa è la forza ed il coraggio di questo cantautore straordinario, che è riuscito a tradurre in musica concetti che fino ad oggi erano solo per addetti ai lavori, comunicati in modo noioso ed incomprensibili per la maggior parte delle persone.
Unendo due modi di comunicare, le canzoni e gli interventi tecnici, cercheremo di aumentare al consapevolezza delle persone sull’importanza della sovranità monetaria per l’economia di una nazione, nella speranza di convincere tutti a mobilitarsi per generare un vero cambiamento.
Per questo motivo la componente più importante dello spettacolo sarà il pubblico, che spero interverrà numeroso per discutere insieme di economia e moneta, nella speranza di far comprendere come questi argomenti sono fondamentali per le nostre vite e condizionano il benessere di tutti noi.
Noi ci rivolgiamo a chi non è soddisfatto di come vanno le cose.
A chi pensa che esista un modo migliore di far funzionare l’economia.
A tutti quelli che hanno deciso di fare qualcosa per cambiare il mondo.
Venite a trovarci, passeremo uno splendido pomeriggio insieme, a parlare di cosa possiamo fare per migliorare il futuro nostro e dei nostri figli.

Chi è interessato all’evento, può venire alle ore 16,00 del 29 aprile 2017 al Teatro Sacro Cuore di Modena, l’ingresso è libero e gratuito e potete anche prenotare i posti inviando una mail con il numero dei partecipanti a moneta.positiva@gmail.com.
Insieme alla “strana coppia” Povia e Nino Galloni, ci saranno anche Marco Cattaneo, ideatore dei Certificati di Credito Fiscali, e Giovanni Zibordi, lo scopritore della capacità infinita delle Banche Centrali, di creare denaro e comprare debito degli Stati per annullarlo.
Ci sarà probabilmente anche una nuova televisione a riprenderci, la SOS Television che ringraziamo, la quale riprenderà lo spettacolo per mandarlo in onda sul suo canale 230 nel mese di maggio.
Io come Presidente dell’Associazione Moneta Positiva spiegherò i nostri obiettivi e quale sarà la nostra attività per riformare il sistema monetario e farlo funzionare meglio di oggi.
Spero con il contributo di tutti voi.
Ma se vogliamo davvero il cambiamento, dobbiamo prima di tutto cambiare noi stessi.
Perchè “Non dubitare mai che un piccolo gruppo di cittadini consapevoli e risoluti possa cambiare il mondo. In realtà sono stati sempre e solo loro a cambiarlo” (Margaret Mead).
E per cambiare il mondo, la moneta deve essere di proprietà dei cittadini e libera dal debito.
Fabio Conditi
Fonte: www.comedonchisciotte.org
28.04.2017
Presidente dell’Associazione Moneta Positiva

29 aprile 2017 - Mario Albanesi: "Era tutto vero!"

Giulio Sapelli sull'Alitalia

La mancata strategia di Alitalia

Aprile 28, 2017 Francesca Parodi

Gli errori del passato, la mala gestione, il disastroso accordo con Etihad, un referendum sbagliato. Intervista all’economista Giulio Sapelli


«La tragedia Alitalia è la tragedia dell’intero sistema di trasporti italiano» dice a tempi.it lo storico ed economista Giulio Sapelli a proposito della situazione di Alitalia. I dipendenti della compagnia hanno infatti respinto con il referendum del 24 aprile il preaccordo, firmato dall’azienda e i sindacati, per la ricapitalizzazione dell’azienda. Il piano prevedeva una nuova liquidità di circa 2 miliardi di euro, un aumento dei ricavi e un taglio dei costi.

TRENI E LOW COST. «Innanzitutto c’è infatti un problema di contesto: non si può parlare del mercato aereo senza metterlo in relazione agli altri sistemi di trasporto. Alitalia ha avuto tradizionalmente il ruolo di compagnia nazionale, ma offre a prezzi elevati tratte di breve percorrenza, perdendo quindi di competitività con il servizio ferroviario (basti pensare alla linea del treno alta velocità Milano-Roma)». In secondo luogo, un grave danno è stato provocato dalla «concorrenza sleale delle compagnie aeree low cost, perché queste vivono di sussidi da parte di enti locali e regioni».

MALA GESTIONE. Infine, «si è trattato di mala gestione da parte della società». La storia di Alitalia si snoda infatti fra scelte strategiche spesso criticate: originariamente azienda pubblica (fino agli anni ’90 era totalmente controllata prima dall’Iri e poi dal ministero del Tesoro), nel 1996 la compagnia venne privatizzata la prima volta sotto il governo Prodi, ma il Tesoro mantenne una partecipazione di maggioranza. Nel 2006, poiché l’azienda era vicina al fallimento, sempre Prodi decise di vendere le quote pubbliche di Alitalia ad Air France-Klm (la compagnia francese, a differenza di quella italiana, era già stata completamente privatizzata).
«L’accordo con la Francia avrebbe potuto salvare Alitalia, aprendola a tratte transoceaniche, ma non fu portato avanti per contrasti politici» spiega Sapelli. Infatti, con la vittoria di Berlusconi alle elezioni del 2008, l’accordo saltò: il nuovo governo, che mirava a «preservare l’italianità della compagnia», creò la Compagnia aerea italiana (Cai), una società composta da diversi imprenditori italiani, che rilevasse la parte sana di Alitalia. «Fu un’operazione sensata, ma troppo limitata nei capitali. Soprattutto, si commise l’errore strategico di non puntare sulle rotte a lungo raggio e mirare solo alla classe business».

REFERENDUM SBAGLIATO. Il successivo accordo con Etihad «è stato disastroso perché ha accentuato tutti gli errori commessi in precedenza: non si è cambiato il piano di trasporto internodale e si è mantenuto un contesto sfavorevole per Alitalia sia in relazione alle compagnie Low cost sia al sistema ferroviario. Etihad non ha fornito né con capitali e investimenti né per la gestione manageriale un supporto per affrontare la grande sfida delle rotte transoceaniche. L’unica cosa che ha fatto, gravissima per il nostro senso d’identità, è stato imporre il velo alle hostess».
Sapelli è convinto che quello rifiutato dai dipendenti di Alitalia fosse «un ottimo accordo. La vicenda conferma la mia teoria per cui non bisogna mai indire referendum con i lavoratori: esistono i sindacati, bisogna contrattare con loro».


7 maggio 2017 - Marine le Pen con estrema lucidità chiama a raccolta intorno al suo nome tutti quelli che veramente vogliono combattere il Globalismo Capitalistico, l'euroimbecillità la sua figlia prediletta e vuole far avamzare il Movimento degli Stati Identitari

Eliseo 2017, Marine Le Pen lancia appello a elettori di Mélenchon

28 APR 2017

Parigi (askanews) - Segnare una svolta epocale nel panorama politico europeo, e non solo. Seppellire per sempre le ideologie del XX secolo per costruire un nuovo fronte sovranista contro il potere dei ceti dominanti finanziari.

Marine Le Pen, candidata al ballottaggio del Front national nella corsa all'Eliseo, ha lanciato un appello con un tweet alla sinistra radicale degli elettori di Jean-Luc Mélenchon per fare un fronte comune contro il candidato centrista Emmanuel Macron al secondo turno delle presidenziali francesi.

Questa sembra essere la scelta strategica del Front National per mettere a frutto il quasi 20% raccolto dalla sinistra antiglobalista di Mélenchon.

"Mi rivolgo a tutti gli elettori della 'France insoumise' per dire loro che oggi bisogna fare fronte comune contro Emmanuel Macron. Il suo progetto è agli antipodi di quanto da loro sostenuto durante la campagna al primo turno. Non rappresenta il cambiamento ma la continuità, l'aggravarsi dei cinque anni di François Hollande" ha detto Le Pen.

"Il signor Macron è un banchiere. Rappresenta quella finanza arrogante che Hollande aveva promesso di combattere ma che invece ha lasciato prosperare. È un sostenitore del libero scambio senza regole, degli accordi commerciali con Stati Uniti e Canada che producono solo danni" ha concluso la candidata del Front national.

Dal canto suo, Mélenchon non ha ancora dato nessuna consegna di voto per il secondo turno del 7 maggio.

Immigrazione di Rimpiazzo - Tutte le Organizzazioni non Governative si innestano nel piano strategico di destabilizzare l'Italia e l'Europa sono l'altra faccia della medaglia dei trafficanti libici

ITALIA - 28 April 2017 - 11:09

Libia e migranti, ONG sotto accusa. Ma il vero problema è un altro

Guardare il dito e non vedere la luna. Il pericolo nel Mediterraneo non sono le organizzazioni non governative ma piuttosto i trafficanti. Colpire loro è l’unica soluzione


di Alfredo Mantici

Nel 2004, di fronte alla crescita esponenziale del numero dei migranti che, caricati su barconi fatiscenti, tentavano di approdare sulle coste italiane provenienti in massima parte dalla Tunisia e dall’Algeria, l’Unione Europea decise di istituire Frontex, un’agenzia ad hoc incaricata di aiutare i paesi dell’Unione «a gestire le loro frontiere esterne […] coordinando l’invio di attrezzatura tecnica (aerei e navi) e di personale di frontiera appositamente formato». Con un budget di 250 milioni di euro l’anno, Frontex ha operato con una certa efficacia fino al 2011, quando l’esplosione delle rivolte in medio oriente e Nord Africa ha fatto saltare gli equilibri politici in tutta l’area e contribuito a far crescere a dismisura il traffico illegale di migranti.

In Libia, in particolare, la caduta del regime del colonnello Gheddafi – che in cambio di consistenti aiuti economici si era impegnato a tenere sotto controllo le masse di migranti provenienti da tutta l’Africa – ha fatto saltare tutti gli equilibri e trasformato il paese nel principale punto di partenza del traffico di esseri umani verso le coste meridionali dell’Europa. Miliziani e capi tribali libici hanno immediatamente approfittato del regime di anarchia nel quale la Libia è precipitata dopo la caduta di Gheddafi e hanno assunto il controllo totale del traffico di clandestini, con guadagni per decine di milioni di dollari l’anno.

Le caratteristiche del traffico hanno subìto mutazioni significative nel corso degli anni. Nel 2011-2012 i barconi provenienti dalle coste libiche affrontavano la difficile traversata del Mediterraneo puntando ad approdare in massima parte sull’isola di Lampedusa. Alcuni naufragi, che causarono centinaia di morti, spinsero Frontex e l’Italia a dispiegare in mare navi prevalentemente militari aventi il compito di individuare i natanti in difficoltà in mare aperto e a raccogliere i migranti, distruggendo di volta in volta i barconi che li trasportavano.

(migranti bloccati in un porto greco)

Le strategie dei trafficanti

Nel corso di questa attività, la “flotta umanitaria” si era spinta, spesso per rispondere a chiamate di soccorso provenienti da barconi in difficoltà, sempre più verso le coste libiche. I trafficanti approfittarono immediatamente della tendenza dei soccorritori a spingersi sempre di più verso le acque territoriali libiche e così, nel 2016, cambiarono strategia: invece di tentare la traversata sempre pericolosa fino alle coste siciliane su natanti fatiscenti destinati ad essere distrutti o sequestrati all’arrivo, iniziarono a caricare i clandestini su semplici gommoni e a chiedere soccorso appena partiti costringendo, in nome del “dovere di soccorso in mare”, le navi di Frontex e delle marine europee addette al controllo del fenomeno migratorio a trasformarsi di fatto in traghetti impiegati nel trasporto dei clandestini.

È così che i trafficanti sono riusciti a far crescere a dismisura i proventi del traffico illegale (solo nei primi tre mesi del 2017 il numero di migranti è cresciuto del 43% rispetto allo stesso periodo del 2016), riuscendo anche a salvaguardare i loro principali “strumenti di produzione” e cioè i gommoni. Che, non venendo più distrutti o sequestrati, oggi possono essere riutilizzati per trasporti successivi.

Di fronte all’aumento del traffico dell’ultimo biennio, molte organizzazioni non governative (ONG), finanziate non solo con fondi “caritatevoli” ma anche con soldi dell’Unione Europea, sono intervenute nel Mediterraneo meridionale con navi appositamente noleggiate che, affiancandosi a quelle delle Guardie Costiere europee, sono diventate parte integrante del sistema di soccorso in mare lungo le coste libiche.

(i gommoni usati dai trafficanti di uomini)

Le accuse di Frontex e le ONG

Nel 2016, Frontex ha percepito che la crescente presenza in mare di navi delle ONG iniziava a creare effetti discorsivi nella dinamica dei soccorsi in mare legati al traffico di clandestini dalla Libia. In un rapporto pubblicato in parte dalFinancial Times nel gennaio 2016, l’Agenzia europea citava almeno tre casi di sospetta collaborazione tra alcune ONG (non specificate) e i trafficanti.

Nel primo episodio, secondo Frontex, i gommoni disponevano al momento della partenza delle coordinate precise sulla localizzazione delle navi di soccorso. Nel secondo caso, si menzionava un «appuntamento sospetto» tra una nave ONG e un barcone, mentre nel terzo caso si riferiva delle dichiarazioni di migranti che sostenevano di aver ricevuto da emissari di una ONG, istruzioni a non collaborare con la Guardia Costiera italiana. Si tratta di episodi poco chiari, che non hanno suscitati eccessivo scalpore dopo lo scoop delFinancial Times.

Ben altre reazioni – seppur tardive – ha suscitato invece la pubblicazione alla fine dello scorso mese di febbraio dell’ultimo rapporto Frontex, nel quale si afferma senza mezzi termini che «l’attività delle ONG a ridosso della costa libica produce conseguenze non volute». Infatti, secondo gli analisti dell’Agenzia europea, la presenza sempre crescente di navi delle ONG al fianco di quelle diFrontex a ridosso della fascia costiera libica, rischia di «attrarre i trafficanti» che fanno partire gommoni stracarichi dotati del minimo di carburante sufficiente a percorrere le poche miglia marine di acque territoriali, per portarle con precisione sospetta nelle vicinanze dei mezzi di soccorso.

(la mappa pubblicata da Luca Dondel)

I 5 Stelle e la Procura di Catania

In questo modo, secondo Frontex, «tutte le parti coinvolte nelle operazioni di soccorso nel Mediterraneo centrale contribuiscono senza volerlo ad aiutare i criminali a raggiungere i loro obiettivi». Queste rivelazioni, invece di stimolare la ricerca razionale di strumenti correttivi, hanno suscitato nel nostro paese reazioni esagitate. Specie quando la politica se ne è impadronita sull’onda dell’intervento di un giovane attivo ne campo della comunicazione – Luca Dondel – che, qualche settimana fa, ha postato su Facebook un messaggio (che ha registrato centinaia di migliaia di visualizzazioni) che ha ripreso stralci del rapporto Frontex e, dopo aver pubblicato una cartina con la “mappa” dello schieramento delle navi delle ONG, ha sostenuto che le ONG aiutando i migranti sostengono di fatto i trafficanti, creando così un business molto redditizio in cui sono coinvolte anche le cooperative.

Immediatamente, forse sull’onda di quel video, l’esponente del Movimento 5 Stelle Luigi Di Maio ha accusato le ONG di essere dei «taxi per migranti» e di svolgere un ruolo che le pone «in combutta con i trafficanti di uomini e gli scafisti». Il post su Facebook non ha soltanto attirato l’attenzione della politica, ma anche quella della Magistratura. Il Capo della procura della Repubblica di Catania, Carmelo Zuccaro, nell’annunciare nel corso di una recentissima intervista televisiva l’apertura formale di un’inchiesta sulla vicenda, ha formulato un’ipotesi abbastanza surreale. Non solo, ha sostenuto il dottor Zuccaro, alcune delle ONG potrebbero essere finanziate dai trafficanti ma ha aggiunto che «si perseguono da parte delle ONG finalità diverse: destabilizzare l’economia italiana per trarne vantaggi».

(soldato libico minaccia migranti in attesa di partire)

Il vero pericolo sono i trafficanti

Le polemiche sono naturalmente salite di tono, nonostante gli appelli alla cautela dei ministri dell’Interno, Marco Minniti, e della Giustizia, Andrea Orlando. Gli appelli finora sembrano caduti nel vuoto e il clamore del circuito mediatico-politico- giudiziario rendono difficile un’analisi razionale della vicenda.

Al momento, l’unica cosa certa, è che i trafficanti libici, oltre che cinici e spietati, sono molto furbi e si dimostrano ben capaci di infiltrarsi tra le maglie della rete di sicurezza stessa dell’Europa a difesa delle proprie frontiere. Forse, una volta attenuatosi il clamore di un vociare sempre più confuso, strumentale e improduttivo, si capirà che se non si trova il modo di colpire proprio loro, e cioè i trafficanti di uomini attivi nel caos libico, l’Europa e l’Italia continueranno a subire il fenomeno migratorio, invece che tentare di governarlo con misure efficaci contro le sue radici – e cioè ancora i trafficanti – e non contro i suoi effetti finali, e cioè i migranti. Il problema, insomma, non è tanto nelle ONG e nei salvataggi perché esso non si risolve in mare, nel Mediterraneo, ma va risolto sul terreno in Libia.